GIORDANO, Edoardo, detto Buchicco
Nacque il 30 genn. 1904 a Napoli da Enrico Giulio e dalla moglie Anna Giordano, che ne era nipote.
Il soprannome deriva dal tedesco "Buch", libro; e fu dato al G. negli anni dell'infanzia da un'istitutrice tedesca che aveva notato la sua passione precoce per i libri.
Il G. studiò con V. Volpe all'Accademia di belle arti di Napoli, diplomandosi nel 1927. L'anno dopo fu tra gli organizzatori della I Mostra primaverile d'arte di Napoli, dove espose Controluce (Napoli, Collezione del Comune), un dipinto di gusto ancora secessionista, debitore di E. Viti e, attraverso questo, del magistero di F. Casorati. In contatto diretto, tramite G. Peirce e C. Cocchia, con intellettuali di tendenza antifascista, quali C. Alvaro, G. Doria, A. Omodeo, C. Bernari, il G. fu con F. Girosi, G. Brancaccio e altri nel Gruppo degli ostinati, contrari alla pittura tradizionale napoletana. Di questa cerchia faceva parte anche un pittore più anziano, N. Fabricatore, aggiornato però sugli eventi della Biennale di Venezia e, quindi, sul panorama internazionale. Alla fine degli anni Venti il G. ne sposò la figlia, Regina; dal matrimonio nacque l'unica figlia Annamaria.
Negli anni Trenta il G. espose alle Sindacali campane, alle Biennali di Venezia del 1934 e del 1936, alla Quadriennale romana del 1935; la sua attività si caratterizza da una parte per opere come il Ritratto dello scultore Celestino Petrone del 1929, e Natura morta (Mamone Capria, 1998, pp. 28 s.) del 1930, che confermano la ricerca di volumi e luci sulla linea stilistica di Casorati e Viti, dall'altra indica la volontà di accogliere ulteriori sollecitazioni culturali quali il grottesco di L. Viani o certe atmosfere sospese della scrittura di Bernari. Esempio di quest'ultima tendenza è il dipinto Concertino (Napoli, collezione Carola: Ricci, p. 210), esposto nella personale allestita nel 1931 alla galleria del Milione di Milano, che denuncia la suggestione esercitata sul pittore anche dal cosiddetto "realismo magico".
Il tono ironico di questa pittura, che pone un certo distacco tra l'artista e l'oggetto rappresentato e avrebbe potuto avviare il G. verso un precoce approdo non realistico, appare per altro verso controbilanciato dai dipinti di gusto novecentista, quale il Cantiere navale (Napoli, collezione privata) del 1932, o addirittura "strapaesano" come nel Vicolo (Mamone Capria, 1998, p. 28) dell'anno seguente.
Nella prima metà degli anni Trenta si recò più volte a Parigi dove espose, nel 1935, alla galleria Carmin (Berni Canani, pp. 85 s.) ed entrò in rapporto con P. Picasso, C. Soutine, Marie Laurencin; questo determinò una svolta in direzione di una pittura dal taglio compositivo più sciolto e semplificato di cui è traccia nelle tempere del 1934, Interno con figura, ispirato a R. Dufy, e Ritratto del pittore Franco Girosi (Mamone Capria, 1998, pp. 30, 34), nel quale la semplificazione formale di matrice matissiana non esclude indurimenti di origine tedesca, alla M. Beckmann. Quest'adesione dell'artista napoletano al linguaggio postimpressionista assunse anche connotazioni etiche, veicolando un'ironia con cui egli intendeva sottrarsi al trionfalismo di regime; le vedute del 1936 dedicate a Piazza del Quirinale e a Piazza Colonna (ibid., pp. 32 s.), luoghi simbolo della romanità, subiscono un trattamento volutamente provinciale, memore di M. Utrillo. L'impegno ideologico del pittore, che nel 1936 sottoscrisse la protesta formulata da P. Ricci contro i modi antidemocratici del Sindacato fascista degli artisti, era destinato a maturare grazie alla frequentazione del cenacolo di villa Lucia, sul Vomero, dove il proprietario, I. De Feo, ospitava esponenti della cultura, da R. Guttuso, M. Mafai, F. Trombadori a E. De Filippo, V. Pratolini, A. Moravia.
Alla fine degli anni Trenta e negli anni della seconda guerra mondiale, la pittura del G. si fece più espressionista e cromaticamente accesa, raggiungendo esiti vicini a C. Soutine, ma anche all'area mitteleuropea, come nel Ritratto del pittore Mario Cortiello (Napoli, collezione Cortiello: ibid., p. 35), dipinto nel 1938, e nei Ritratti di Olga e Italo De Feo, del 1941-42 (ambedue a Roma, collezione De Feo: ibid., p. 36). Più vicino alla ricerca tonale romana, soprattutto dell'amico Mafai, è invece l'Autoritratto in poltrona del 1944 (Napoli, collezione Nastro: Fuori dall'ombra, p. 278 fig. 164).
Gli aggiornamenti culturali del G. fecero di lui, nel dopoguerra, un punto di riferimento per la nuova generazione dei pittori napoletani del Gruppo Sud, desiderosi non solo di troncare con il recente passato ma anche di affrancarsi dalla tradizione locale di ascendenza ancora ottocentesca. Il G. partecipò da esterno alle mostre tenute dal gruppo nel 1948 e nel 1949, entrando in relazione con esponenti del MAC, il Movimento arte concreta, fondato a Milano sulla spinta della volontà di rinnovamento e di ricostruzione che attraversava il paese appena uscito dalla guerra.
Nei primi anni Cinquanta si trasferì a Milano, dove ebbe inizio la stagione astratta del suo percorso artistico. Tra il 1952 e il 1956, periodo in cui strinse un sodalizio artistico con il pittore A. Bisanzio, diede vita a un astrattismo geometrico, lirico più che costruttivo, con echi delle opere di V. Kandinskij e dei futuristi più tardi, evidenti nella Composizione del 1954 (Milano, collezione Schettini: Fuori dall'ombra, p. 279 fig. 165); al contempo accolse anche spunti delle esperienze ottico-percettive come nella Composizione del 1955 (Napoli, collezione privata: ibid., p. 281 fig. 168). Negli stessi anni si orientò verso le tendenze informali, privilegiandone tanto l'aspetto materico, sulla scia del neonaturalismo lombardo di E. Morlotti e A. Chighine, quanto quello gestuale, come nel Trittico della collezione Nastro, anteriore al 1958 (ibid., p. 282 fig. 169).
Alla fine degli anni Cinquanta il G. si trasferì a Roma e qui diede inizio alla serie degli Intonaci, sperimentazioni materiche dai colori tenui, il cui particolare apprezzamento gli valse nel 1962 la personale dedicatagli alla XXXI Biennale di Venezia, nonché pannelli decorativi per alcune sedi della Banca d'Italia e un arazzo per la turbonave "Raffaello". La sua arte, intellettualmente inquieta e ansiosa di rappresentare il proprio tempo, subì ulteriori evoluzioni con l'inserimento di "scritture rotanti", per esempio nell'Intonacoper Pian del Mugnone (Roma, collezione Ronsisvalle: ibid., p. 283 fig. 172), presentato alla XXXI Biennale, o di volti, simboli pubblicitari, elementi riconoscibili anche se surreali, che potrebbero far parlare di recupero della figurazione, quali sono quelli che affiorano nella Parete esposta alla Triennale di Milano del 1964 o nelle decorazioni eseguite tre anni dopo per le sedi RAI di Torino, Genova e Roma.
Dal 1967 al 1970 il G. insegnò nudo all'Accademia di Napoli, realizzando riporti fotografici su tela, secondo l'esempio della pop art americana, quali Racconto del nostro tempo del 1966-67 e Bevete Pepsi Cola del 1968 (Di Genova, pp. 466 s. nn. 723 s.). Rientrato a Roma si dedicò a rigorosi collages astratti (Vivaldi).
Il G. morì a Roma il 13 apr. 1974.
Fonti e Bibl.: G. Ballo, La linea dell'arte italiana dal simbolismo alle opere moltiplicate, II, Roma 1964, p. 73; C. Vivaldi, E. G. (catal., galleria del Naviglio), Milano 1970, pp. n.n.; P. Ricci, Arte e artisti a Napoli 1800-1943, Napoli 1981, pp. 114, 160, 208, 210 s., 223, 225; Fuori dall'ombra. Nuove tendenze nelle arti a Napoli dal '45 al '65 (catal.), Napoli 1991, pp. 150 s., 278-283; P. Mamone Capria, G., E., in La pittura in Italia. Il Novecento/1, II, Milano 1992, p. 912 (con bibl.); Lo stile nel M.A.C. napoletano, a cura di L. Berni Canani, Bologna 1996, pp. 9 s., 85-93; L. Caramel, MAC. Movimento arte concreta 1948-1958, Firenze-Siena 1996, pp. 163, 167; G. Di Genova, Storia dell'arte italiana del Novecento. Generazione primo decennio, Bologna 1997, ad indicem; P. Mamone Capria, La vicenda figurativa di E. G., in Otto/Novecento, XXII (1998), 1, pp. 25-36.