ADORNO, Giorgio
Nacque a Genova da Adornino e da Nicolosia Della Rocca intorno al 1350. Fu dottore in legge, ma non trascurò la mercatura, nella Maona di Scio. Ebbe incarichi militari nel dogato del fratello Antoniotto e poi ancora durante il governo francese; nel 1389 capitano e podestà di Savona, la difese dalle incursioni saracene; nel 1394 fu commissario per la Riviera di Levante; nel 1396 partecipò alle trattative che si conclusero con la cessione di Genova alla Francia. Più volte anziano (1399, 1402, 1407), nel settembre 1401, come priore, abolì le amnistie divenute abituali nelle continue mutazioni di governo, riportò l'ordine nelle vallate vicine; fu ufficiale di provvigione (1404), uditore degli ambasciatori (1406), membro dell'ufficio che, con decreto del 27 apr. 1407, diede assetto all'intricata situazione dei debiti dello stato (ufficio che divenne poi il Banco di S. Giorgio). Passata Genova sotto il marchese Teodoro di Monferrato (settembre 1409), l'A. fu inviato console a Caffa in Crimea (1410), e lì rimase circa due anni. Tornato in patria, fu inviato a Savona con duecento soldati a reprimere una ribellione (marzo 1413); ma la sua condotta favorevole ai Savonesi lo rese sospetto a Teodoro, che, giunto il 4 marzo a Savona, lo incarcerò. Questo gesto provocò una violenta rivolta a Genova, che rovesciò la signoria del marchese di Monferrato. Teodoro liberò subito (22 marzo) l'A. a patto che sostenesse la sua causa; ma questi, invitato dal Comune a soccorrere la patria in pericolo, il 27 marzo fu acclamato doge dal popolo. Teodoro, sconfitto a Savona da Giacomo figlio dell'A., concordò la rinuncia a Genova in cambio di 24.500 ducati.
L'opera politica dell'A. mirò a sistemare i numerosi problemi aperti: concluse pace con i Fiorentini, riacquistando Sarzana che era stata loro venduta dai Francesi; ricomprò Gavi per 10.000 fiorini da Lodovico Cane, congiunto del condottiero Facino; da Sigismondo di Boemia, imperatore, ottenne per Genova una dichiarazione di indipendenza dalla Francia; nella Corsica, in preda ai signorotti locali, istitui i "caporali", uno a vita per ciascuna pieve con incarichi amministrativi, ma subordinati al governatore genovese; da Giano re di Cipro, moroso nei pagamenti dovuti secondo i trattati del secolo precedente, ottenne soddisfazione (1414).
Importante fu la riorganizzazione interna dello stato. Promosse infatti una riforma costituzionale, promulgata nel 1413 in centocinquantaquattro capitoli approvati da tutto il popolo adunato a parlamento nella piazza di S. Lorenzo.
Al doge a vita, di parte popolare e ghibellina, si affiancavano dodici Anziani, sei nobili e sei popolani (tra i quali tre mercanti, due artigiani della città e uno scelto fra le podesterie esterne); le questioni politiche più gravi erano affidate a due consigli, di quaranta e di trecentoventi membri.
L'anno dopo preparò nuove leggi civili e criminali. Riorganizzò l'ordinamento coloniale di Romania (Pera) e del Mar Nero (Gazaria), e ricostituì su nuove basi la struttura del Banco di S. Giorgio, cardine delle finanze statali.
Ma, nonostante l'intensa attività riorganizzatrice, non poté eliminare i dissidi nella città. Un tentativo di Battista Montaldo (4 dic. 1414) fu represso: ma persisteva uno stato di fermento, tenuto vivo dall'ambizione dei Fregoso. Il 23 marzo 1415 questi riuscirono a far deporre l'A. che, sostituito da due priori, fu nominato console di Caffa (ma non pare che vi si recasse), con una rendita annua di 300 ducati d'oro e l'esenzione perpetua dalle gabelle, in riconoscimento dei suoi meriti. Il ritiro dal dogato avvenne in forma dignitosa e solenne, e accanto al nuovo doge, Barnaba Guano, egli rimase alto consigliere. Quando poi Tommasino Fregoso (giugno 1415) si sostituì al Guano nel dogato, l'A. rifiutò di contrapporglisi. Da privato cittadino continuò l'attività mercantile, estraniandosi dalle vicende interne della città, e solo più tardi, nel 1421, fu a capo dell'ambasceria a Filippo Maria Visconti a Milano, alla cui signoria Genova si sottometteva.
"Civilitate et moderatione memorabilior" lo disse il cronista genovese contemporaneo Iacopo Bracelli; come maonese di Scio aveva accumulato grandi ricchezze, mettendo salde basi nel possesso di Focea Nuova, insieme col figlio Giovanni, che però gli premorì, lasciandolo erede.
L'ultima notizia che si ha dell'A, è il testamento, del 9 dic. 1426.Aveva sposato Pietrina, figlia del doge Leonardo Montaldo, poi una Spinola, e da loro ebbe dodici figli.
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