RUMI, Giorgio Carlo Aldo
– Nacque a Milano il 15 marzo 1938, figlio unico di Guido, possidente, ufficiale del regio esercito, e di Luigia Marinelli Devoto, pittrice.
È stato l’ultimo discendente diretto di una famiglia capitaneale dell’alto Lario infeudata del piano di Dongo dal XIII secolo, che diede al Comasco figure di notevole importanza politica, ecclesiastica e istituzionale.
Sulla sua vocazione di storico e sulla sua personalità ebbe una decisiva influenza il legame fra la storia dell’alto Lario, crocevia internazionale, e quella della famiglia. L’intenso sviluppo dell’industria siderurgica nella zona di Dongo, se alterò gli equilibri esistenti, non impedì che nel Novecento il nonno Aldo, ingegnere, fosse ancora protagonista della vita locale e più volte sindaco del paese.
Trascorse l’infanzia e la giovinezza fra Milano e Dongo, dove fu testimone oculare della cattura di Benito Mussolini. Dopo la maturità scientifica conseguita presso il liceo Leonardo da Vinci di Milano, si iscrisse alla facoltà di scienze politiche dell’Università cattolica del S. Cuore, dove si laureò con Gianfranco Miglio nel 1962. Nel 1964 si sposò con Jacinta Paroni, sua compagna di studi e sociologa, originaria di Casalbellotto, nella pianura cremonese: per Rumi la ‘Bassa’ sarebbe divenuta una patria di adozione, ricca di motivi di studio. Nel 1967 sarebbe nata la figlia Giulia Carolina e nel 1971 il figlio Giuseppe, entrambi avvocati.
Nella prospettiva di una carriera diplomatica, cui per diverso tempo pensò, svolse la tesi con Miglio sulla politica estera del fascismo, poi oggetto della sua prima monografia (Alle origini della politica estera fascista (1918-1923), Bari 1968); correlatore fu Ettore Passerin d’Entrèves, con cui stabilì un filiale legame di interessi e di affetti. Al momento di lasciare Milano per l’ateneo torinese, Passerin d’Entrèves gli offrì di seguirlo come assistente, ma l’interesse per la dimensione internazionale lo spinse a frequentare l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano (ISPI), con l’incoraggiamento di Brunello Vigezzi, di cui divenne, nel novembre del 1964, assistente volontario presso l’insegnamento di storia delle dottrine politiche della facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano (la ‘Statale’ di via Festa del Perdono, alla vigilia degli anni difficili della contestazione, quando Rumi avrebbe costantemente difeso le ragioni di un libero confronto culturale). Nel 1969 ebbe l’incarico di teoria e storia della storiografia presso la medesima facoltà, al quale si aggiunse poi quello di storia contemporanea presso la facoltà di scienze politiche.
In quegli anni Raffaele Mattioli lo coinvolse – con Vigezzi, Enrico Decleva e altri giovani studiosi – nell’iniziativa del riordino dell’archivio della Banca commerciale italiana e della fondazione di un centro per lo studio della classe dirigente italiana: il tema delle élites diventava centrale accanto a quello della politica internazionale. Fu membro del comitato di scienze filosofiche e filologiche del Consiglio nazionale delle ricerche, che rappresentò l’occasione per significativi contatti con l’ambiente romano e in particolare con figure quali Costanzo Casucci, Renzo De Felice, Gabriele De Rosa, Rodolfo Mosca, Ruggero Moscati, Rosario Romeo, Enrico Serra.
La sua carriera accademica proseguì con il conseguimento della libera docenza nel 1971. Vinto il concorso a cattedra per storia contemporanea, dopo un breve periodo all’Università degli Studi di Bari, nel 1977 fu chiamato dalla facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli Studi di Milano, dove rimase fino alla sua scomparsa.
Si dimostrò fin dall’inizio un docente unanimemente apprezzato e attento al dialogo con gli studenti e i numerosi allievi che avrebbero poi avuto un ruolo nell’università, nel giornalismo, nelle professioni. All’interno dell’ateneo ebbe diversi incarichi: componente del consiglio di amministrazione, presidente del corso di laurea in storia, presidente del Centro interdipartimentale di storia della Svizzera Bruno Caizzi.
Il suo itinerario di ricerca – quale si può vedere sia nelle diverse monografie sia nelle centinaia di saggi e contributi, molti dei quali raccolti nel volume Perché la storia. Itinerari di ricerca (1963-2006), curato da Edoardo Bressan e Daniela Saresella, con l’introduzione di Enrico Decleva (Milano 2009) – dimostra una indubbia coerenza interna. Gli studi sulla politica estera italiana fra primo dopoguerra e fascismo si rivelano fin dall’inizio innovativi per la sottolineatura del rapporto con l’opinione pubblica e con la classe dirigente. È in questa luce che vanno considerati gli sviluppi che avrebbero subito riguardato, da una parte, Milano, la Lombardia, le terre ticinesi, e, dall’altra, il mondo cattolico, in un intreccio capace di coinvolgere l’apertura allo scenario internazionale, la centralità della decisione politica, la dimensione etica e culturale. Decennale fu l’assidua e fraterna collaborazione con Franco Arese Lucini, presidente della Società storica lombarda, nei suoi studi sul patriziato lombardo.
I lavori degli anni Settanta del secolo scorso sul movimento cattolico, su padre Agostino Gemelli e l’Università cattolica, sulla diocesi ambrosiana entre deux guerres, sull’apporto dei credenti alla Resistenza offrono un contributo fondamentale agli studi in materia, al di là di contrapposizioni politiche di cui vedeva fra i primi la debolezza. La prospettiva si fa piuttosto quella di un’identità ‘guelfa’ non chiusa in se stessa, ma tesa alla condivisione del destino del Paese, come si vede in diversi saggi, poi raccolti in Milano cattolica nell’Italia unita (Milano 1983), Lombardia guelfa 1780-1980 (Brescia 1988), Santità sociale in Italia tra Otto e Novecento (Torino 1995). Si tratta di pagine che ripercorrono l’impegno dei cattolici lombardi e italiani, già dalla stagione delle Amicizie cristiane di fine Settecento – associazioni di laici cattolici fondate da Nikolaus von Diessbach – e da quella successiva dell’età della Restaurazione, tra il difficile rapporto con l’Austria e le crescenti aspirazioni nazionali. Un tema, questo, destinato a riproporsi in modo suggestivo con diversi approfondimenti sul cattolicesimo liberale e con il libro dedicato a Gioberti (Bologna 1999). La vicenda dei cattolici negli ultimi duecento anni diventa così l’occasione per rileggere la modernità italiana, con le ricorrenti sfide da essa poste, fra una ‘santità sociale’ maturata sul campo – dai protagonisti dell’Ottocento a don Primo Mazzolari e a don Carlo Gnocchi, due figure sulle quali scrisse pagine importanti – e una capacità di lettura del cambiamento esemplificata dal governo pastorale di Giovanni Battista Montini.
Accanto al motivo identitario, originalmente riletto, si colloca quello del legame con il territorio, con quelli che Rumi amava definire i «luoghi» della Civitas e della Ecclesia. Non a caso a lui, insieme ad altri studiosi, si deve la realizzazione di progetti editoriali di largo respiro, in cui figura sia fra i curatori sia fra gli autori di specifici interventi.
Vanno almeno ricordate le collane pubblicate dalla Cariplo su Milano dall’Unità alla ricostruzione e su le Provincie di Lombardia, all’interno delle quali si mette appunto a tema il rapporto fra città e territorio; o ancora la Storia religiosa della Lombardia della Fondazione Ambrosiana Paolo VI di Gazzada e dell’Editrice La Scuola di Brescia, di cui Rumi fu tra i principali animatori, con l’importante volume introduttivo e gli altri dedicati alla storia delle singole diocesi. Si tratti di una circoscrizione amministrativa municipale o provinciale, come pure ecclesiastica, lo spazio diventa un luogo perché è l’esito di una storia, rendendo possibile un progetto sul futuro. Gli apporti specifici di Rumi sottolineano i tratti distintivi di Milano e della Lombardia, fra sollecitazioni e tensioni talora difficili, ma sempre alla ricerca di un equilibrio sociale e di una vocazione europea, come poi emerge anche nel volume da lui curato su La formazione della Lombardia contemporanea (Milano-Roma-Bari 1998) o nei suoi contributi all’interno della Storia dell’Ambrosiana (Milano 2001 e 2002).
In un evidente collegamento con il nucleo originario dei suoi studi, si colloca la parallela attenzione all’azione diplomatica della S. Sede.
Dalle scelte di Leone XIII e del suo segretario di Stato cardinale Mariano Rampolla del Tindaro, caratterizzate dall’apertura a un nuovo rapporto fra il Vaticano e le nazioni democratiche, si giunge al pontificato di Benedetto XV, di cui si coglie la strategia di pace, sottolineandone la specificità diplomatica, e il rapporto con l’imperatore Carlo I d’Asburgo alla luce di un’inedita documentazione. Di particolare rilievo è il contributo agli atti del convegno romano del 1989, da lui stesso curato, su Benedetto XV e la pace – 1918 (Brescia 1990).
Rilevante il ruolo pubblico di Rumi, sempre in relazione con il suo profilo di studioso. Fu membro di molte istituzioni culturali come la Società storica lombarda, di cui ricoprì a lungo la carica di vicepresidente, l’Istituto lombardo Accademia di scienze e lettere, l’Archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, l’Accademia di S. Carlo Borromeo presso la Biblioteca Ambrosiana, la Fondazione Ambrosianeum, la Fondazione Balzan, il Centro internazionale di studi e documentazione Pio XI di Desio, la Fondazione Visconti di San Vito di Somma Lombardo, l’Accademia Virgiliana di Mantova, l’Istituto Luigi Sturzo di Roma, diverse realtà bresciane fra le quali l’Istituto Paolo VI. Fu altresì componente dei consigli di amministrazione del Teatro alla Scala, della Veneranda Fabbrica del duomo e, dal 2003 al 2005, della RAI. Fu apprezzato editorialista de L’Osservatore Romano, con i principali interventi raccolti in Tempi di guerra, attese di pace. Letture storiche da “L’Osservatore Romano” (1984-1998), curato da Paolo Gheda (Soveria Mannelli 1999), e collaborò anche ad altri giornali, fra i quali l’Avvenire e il Corriere della sera. Fra i promotori della rivista Civiltà Ambrosiana, fu cofondatore e condirettore, insieme a Ferdinando Adornato ed Ernesto Galli della Loggia, di liberal, periodico nato nella prospettiva di «un incontro fra laici e cattolici»: molti degli articoli di Rumi sarebbero poi stati pubblicati con il significativo titolo di Oltre Porta Pia (Roma 2007).
Dopo che nel 2003 gli era stata assegnata la grande medaglia d’oro del Comune di Milano, morì a Milano il 30 marzo 2006; nello stesso anno il suo nome venne iscritto nel famedio del cimitero monumentale.
Opere. Per le opere di Giorgio Rumi si rinvia a Scritti storici di G. R. Bibliografia, in G. Rumi, Perché la storia. Itinerari di ricerca (1963-2006), a cura di E. Bressan - D. Saresella. Introduzione di Enrico Decleva, Milano 2009, pp. 25-48.
Fonti e Bibl.: F. Panzera, In ricordo di G. R., in Archivio storico lombardo, CXXXI-CXXXII (2005-2006), pp. 557-565; G. Baiocchi, Il mio maestro G. R., in liberal, maggio 2006, http://chiesa. espresso.repubblica.it/articolo/55561.html (5 maggio 2017); A. Riccardi, Rumi, l’originalità e la finezza dell’indagine storica, in 30Giorni, XIV (2006), 4, pp. 66-67; D. Saresella, G. R., l’amicizia a distanza tra l’uomo del lago e il prete dell’argine, in Impegno, XVII (2006), 2, pp. 22-31; A. Colombo, Presentazione, in G. Rumi, Oltre Porta Pia. Scritti per liberal, Roma 2007, pp. 7-17; E. Decleva, Introduzione, in G. Rumi, Perché la storia. Itinerari di ricerca (1963-2006), a cura di E. Bressan - D. Saresella, Milano 2009, pp. 11-23; E. Bressan, G. R. e la storia della Lombardia. A dieci anni dalla scomparsa, in Archivio storico lombardo, CXLII (2016), pp. 229-248; G. Scanzi, G. R., Brescia e Giovanni Battista Montini, in Notiziario dell’Istituto Paolo VI, 2016, n. 71, pp. 45-61; G. R. storico della cittadinanza. Attualità di una lezione storiografica e civile, a cura di M. Bocci, Brescia-Roma 2016. E