CASTELVÌ, Giorgio
Secondogenito in linea maschile di Paolo marchese di Cea e di Marianna de Yxar, nacque a Cagliari intorno all'anno 1609 (infatti in un memoriale del 1677, che è la principale fonte che si ha della sua vita, egli afferma di avere sessantotto anni). Trascorse l'adolescenza come paggio alla corte di Madrid. Nel 1619 il padre colse l'occasione del passaggio per Cagliari di Emanuele Filiberto di Savoia con la flotta spagnola di cui era ammiraglio per ottenere di collocarlo al suo seguito. Tornato nell'isola, nel 1637, ripartiva per le Fiandre col grado di sergente in un tercio sardo levato e comandato dal padre. Allo sbarco in Catalogna questi però si ammalava e trasmetteva il comando al figlio.
Nel maggio del 1643 il C. fu catturato alla testa delle sue truppe dai Francesi nella battaglia di Rocroi. Durante la sua lunga prigionia, durata quaranta mesi, egli partecipò - secondo quanto afferma nel memoriale già ricordato - alle macchinazioni dei principi contro Mazzarino, cercando di stabilire un accordo fra essi e la Spagna. In particolare si trovò a negoziare "un tratado con el señor duque de Orliens",che però non venne concluso "por falta de que non se le dieron los poderes".
Riuscì a fuggire dal carcere, ma venne ripreso e rinchiuso nella Bastiglia, dove languì venti mesi nell'isolamento, in attesa di un processo che avrebbe potuto concludersi anche con la condanna a morte, dato che le sue mene erano state scoperte. Sarebbe poi stato liberato - sempre a suo dire - per l'intervento del valido di Filippo IV, Luis Mendez de Haro, il quale tramite la S. Sede sembra che interessasse il nunzio di Francia ad un suo possibile riscatto, avvenuto poi sulla base di uno scambio con "tres presidentes de Mez en Luxemburg",uno dei quali era "sobrino del Secretario de Estado Monsiur Telli, valido del Cardenal Mazzarino".
Tornato in Spagna, premette sugli ambienti di corte perché venissero intensificati i contatti con i principi francesi. Intanto, nel 1647, era scoppiata la rivolta di Masaniello, ed egli venne inviato a Napoli. In quell'occasione si sarebbe distinto nella difesa "de los puestos, de San-Telmo" con "el Tercio viejo de la Armada, que estava á su orden".
Appena soffocata la rivolta, fu segretamente inviato di nuovo in Francia, dove concluse con pieno successo, a suo dire, la trattativa coi principi, che di lì a poco si sarebbero sollevati contro Mazzarino.
Èdifficile valutare, sulla base del solo memoriale, quale sia stato il peso reale dell'azione diplomatica del C. nelle relazioni tra la corte di Madrid e i principi frondisti: è probabile che egli abbia gonfiato i propri meriti - soprattutto in un memoriale che, come si vedrà, aveva come scopo la sua riabilitazione -, senza però alterare sostanzialmente la verità.
In quel periodo gli fu affidata la sorveglianza di Enrico di Lorena, duca di Guisa, che si era messo a capo della rivolta di Napoli dopo l'uccisione di Masaniello, e che era stato catturato e rinchiuso nell'Alcazar di Segovia.
Per allentare la custodia del C. il duca finse di trattare la cessione parziale dei suoi Stati in cambio della libertà. Mentre il C., con l'autorizzazione del sovrano, si recava in Francia per concludere la trattativa (le lettere che il duca gli aveva affidato contenevano l'ordine per i suoi fedeli di uccidere il C.), il duca riuscì a fuggire, ma venne ripreso e imprigionato di nuovo, fino al luglio del 1652, mentre la trappola che egli aveva teso veniva sventata.
In quello stesso anno il sovrano compensò i servigi resi dal C. nominandolo reggente sardo presso il Supremo Consiglio d'Aragona. Poco dopo venne inviato come ambasciatore a Genova, ma non vi giunse "por el accidente que le sucedió a Iuanetin de Oria con las galeras franceses junto a Corcega". Gli fu perciò ordinato di riprendere il seggio presso il Supremo Consiglio d'Aragona, di dove si allontanò di nuovo per partecipare ad una ambasceria inviata alla principessa di Condé "con la ocasión de aver parido",e di lì a poco, nel 1654, per prendere in custodia, nell'Alcazar di Toledo, il duca Carlo IV di Lorena, allora al servizio della Corona spagnola in Fiandra e sospettato di intelligenza con la Francia.
La prigionia del duca durò cinque anni. Durante questo lungo soggiorno a Toledo il C. ebbe una crisi religiosa e prese gli ordini sacri. Questa sua nuova condizione avrebbe imposto l'abbandono della importante carica che ricopriva, ma il sovrano lo dispensò da quest'obbligo, ed anzi gli conferì anche l'abito dell'Ordine di Alcantara e la cappellania maggiore presso il convento delle carmelitane scalze di Madrid.
Meno di dieci anni dopo la sua fortuna doveva rapidamente tramontare, a causa della parte da lui avuta nella crisi che turbò gravemente i rapporti tra la Sardegna e la corte spagnola.
Questa aveva richiesto un cospicuo donativo, e la nobiltà isolana, di cui era principale esponente Agostino di Castelvì, marchese di Laconi e cugino del C., intendeva approfittare di questa occasione per ottenere in cambio un maggior potere politico.Dagli atti dei processi che seguirono i delitti Laconi e Camarassa risulta che, sia prima che durante la permanenza del cugino a corte per trattare le condizioni del donativo, il C. lo teneva puntualmente informato di quel che avveniva nel Supremo Consiglio d'Aragona, attraverso il quale passava la trattativa, suggerendogli la linea di condotta più opportuna ed efficace. Ed infatti il viceré di Sardegna, Manuel Gomez de los Cobos, marchese di Camarassa, fiero avversario del marchese di Laconi, denunciò nel giugno 1667 l'ingerenza non imparziale del C. e chiese che venisse escluso dagli affari relativi a questa controversia.
Nel giugno 1668 il marchese di Laconi venne ucciso a Cagliari in circostanze poco chiare. I congiunti e gli amici videro nel marchese di Camarassa il mandante dell'omicidio, ed il mese seguente lo uccisero per vendetta. La corte spagnola decise di punire con la massima durezza gli autori di questo delitto di lesa maestà, fra i quali c'era anche il fratello del C., Iacopo Artaldo, marchese di Cea.
Il C. a Madrid cercò di sdrammatizzare l'accaduto, presentandolo come una semplice vendetta personale, e intanto consigliava al fratello di mantenersi in campagna armato in attesa del perdono sovrano. Nel settembre di quell'anno compì un ulteriore estremo passo presso la regina reggente affinché il processo si svolgesse a Madrid, dove si sarebbero avute maggiori garanzie di imparzialità, offrendosi di pagare le spese per il viaggio dei testimoni. Prevalse invece una dura linea repressiva, con lo scopo anche di piegare le velleità autonomiste della nobiltà sarda: il nuovo viceré, duca di San Germano, concluse i processi con la condanna a morte in contumacia degli autori del delitto, sotto l'accusa di lesa maestà, nel settembre del 1669, e poco dopo il C. venne destituito dalla carica di reggente sardo e di cappellano maggiore ed esiliato. Gli fu ordinato di ritirarsi a S. Andrea del Monte, dove restò dieci mesi. Di qui ottenne di potersi trasferire a Medina del Campo, per curare una malattia. Peregrinò poi da Valdemoro a Pinto e infine a Carabanchel: quivi si trovava nel 1677, quando compose il memoriale più volte ricordato.
In quello stesso torno di tempo il primo Parlamento sardo successivo alla crisi Camarassa, quello del 1676-1678, chiese al sovrano che egli venisse reintegrato nella sua carica, rimasta vacante dopo la sua destituzione. Il C., invece, nel suo memoriale si limitava a chiedere, ormai vecchio e stanco, che "se le bolviesse á la Corte, y restituiesse su reputación, para que los pocos dias que le quedan, muera en la paz y quietud interior".
Questa estrema supplica dovette essere accolta, se è vero, come sembra, che egli morì a Madrid nel 1679.
Diede alle stampe due memoriali, che attualmente si conservano entrambi nella Biblioteca nacional di Madrid: Memorial… a su Magestad la Reina Doña Maria Ana de Austria, en el quel se pide satisfacción de las iniurias, ofensas y ultrajes que injustamente han padecido y padecen el suplicante y los de su familia, con motivo de la muerte del Marqués de Camarasa, s.n.t.; Memorial presentado a S. M. Carlos II... en el que se suplica que, en atención a los servicios que refiere y a los hechos por la Casa de Cervellón, se honre a su sobrino Don Miguel de Cervellón y Castelví con las mercedes que fueren más del agrado de S. M., s.n.t.
Fonti e Bibl.: Archivo General de Simancas, Consejo de Estado, l. 2703 (Relazione del Supremo Consiglio d'Aragona del 13 ag. 1678); Barcellona, Arch. de la Corona de Aragón, Consejo de Aragón, leg. 1133 (Memoriale del C. del 1677); leg. 1134: Cargos que resultan contra don Jorge Castelví;leg. 1136 (Memoriale della Reale Udienza su Agostino Castelvi del 1664); leg. 1132 (Relaz. del Supremo Consiglio d'Aragona del 14 ag. 1668); Arch. di Stato di Cagliari, Antico Arch. Regio, Cause criminali di cavalieri (1668), voll. 1-7; J. A. Vincart, Relación de la campaña del año de 1643 dirigida á su Majestad el Rey Don Felipe IV, in Colecciòn de documentos inéditos para la historia de España, LXXV, Madrid 1880, pp. 427, 442; G. Casalis, Diz. geograf.-stor.-statistico-comm. degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, III, Torino 1836, p. 187; P. Martini, Biografia sarda, I, Cagliari 1837, pp. 325-332; P. Tola, Diz. biogr. degli uomini illustri di Sardegna, I, Torino 1837, pp. 201-203; G. Manno, L'assassinio del viceré spagnuolo marchese di Camarassa, in Note sarde e ricordi, Torino 1868, pp. 34, 53; I. Pillito, Mem. tratte dall'Arch. di Stato in Cagliari riguardanti i regi rappresentanti che sotto diversi titoli governarono l'isola di Sardegna dal 1610 al 1620, Cagliari 1874, pp. 231, 233; G. Aleo, Storia cronologica di Sardegna (1636-1672), Cagliari 1926, pp. 18-20, 58, 147, 164; V. Prunas Tola, I privilegi di stamento militare nelle famiglie sarde, Torino 1933, p. 16; D. Scano, Donna Francesca di Zatrillas marchesa di Laconi e di Sietefuentes..., in Arch. stor. sardo, n. s., IV(1941-45), pp. 110-113, 163-166, 181, 210, 213, 215, 268 s.; J. Gramunt, El asesinato del marqués de Camarassa, in Hidalguia, IV(1956), pp. 273 s.; J. Mateu Ibars, Los virreyes de Cerdeña, fuentes para su estudio, Padova 1964, ad Indicem.