GIORGIO da Gubbio detto Mastro Giorgio
Così è chiamato comunemente il ceramista Giorgio Andreoli, nato a Intra forse intorno al 1465-70, morto a Gubbio probabilmente nel 1553. Benché indicato anche in atti solenni "figulo de Pavia", nelle sue maioliche si disse da Gubbio, dove G. con i suoi fratelli, Salimbene e Giovanni, presero dimora verso il 1490 per esercitarvi l'arte del vasaio, associandosi anche ad altri maestri. Nel 1498 i fratelli, che taluno disse (ma non è provato) profughi politici di Lombardia, ottennero la cittadinanza del luogo e l'esenzione ventennale dei gravami fiscali, come si costumava per auri artefici, e l'esenzione venne confermata da Leone X e poi dal duca Francesco Maria II della Rovere. Leone X, nel dirigere apposito breve (1519) a G., lo chiama eccellente maestro e senza pari nell'arte della "maiolica" e tale da essere desiderato e privilegiato come ospite di una città per l'onore e il lucro che le procura da parte di tutte le nazioni presso le quali i suoi vasi vengono portati". Nel 1525 G. si associa a un pittore durantino (Giovanni Luca) perché dipinga i vasi, sui quali egli applicherà poi i "riverberi", e chiama da Urbino un altro maestro (Federico), forse torniante. Nel 1536 si separa dagli eredi di Salimbene e da quell'anno la bottega è continuata dai figli Vincenzo (Cencio) e Ubaldo, quantunque un piatto (ex-collezione Caiani di Roma) porti la sigla M.o G.o e la data 1537, e un altro (ex-collezione Pasolini di Faenza) il nome e l'anno 1541, e fin verso quest'anno medesimo si vedano al rovescio dei pezzi i fregi di foglie di maiolica d'oro tipici delle opere segnate dal maestro. Nel 1547 i due fratelli, col consenso del padre, e con apposito contratto, fanno fra loro società per l'esercizio dell'arte nella bottega paterna; più precisamente Cencio assumendosi il compito della fabbricazione di ogni genere di vasi; Ubaldo, di dipingerli e farli dipingere, nonché di completare i vasi dipinti, "dove è d'uopo", a "maiolica", col quale nome s'intendevano allora il riflesso d'oro e i lustri metallici cangianti dal madreperla al violaceo, già noti alle fornaci ispano-moresche e derutesi (per non parlare di quelle orientali); ai quali riverberi mastro G. aggiunse un suo impareggiabile lustro a rosso di rubino ("rosso da maiolica"), perfezionando mirabilmente i tentativi in questo senso già intrapresi dalle botteghe di Deruta (v. maiolica). Mastro Giorgio ci dà conferma di tale duplice attività della sua officina nel contratto del 1525 col citato Giovanni Luca e nelle parole che appone di sua mano a tergo di un piatto di altro pittore del Museo civico di Bologna (1532- Mo Go finì de maiolica). Perciò sopra una medesima stoviglia si trovano spesso tanto la sigla dell'artefice esecutore della normale decorazione a dipinto (più comunemente Francesco Xanto Avelli), quanto quella personale del maestro eugubino, il quale completava l'opera dell'altro artista (eseguita a Gubbio o altrove) coi proprî ornati a terzo fuoco, arricchendo la pittura del pezzo coi lustri a riflessi suoi, sovrapposti talora senza troppo riguardo alle figurazioni. La prima fase dell'attività artistica di mastro G. non ci è nota. Taluno credé che anteriormente al 1498 egli lavorasse nelle officine di Faenza, comunque è da assegnare a Deruta la nicchia con la statuetta di S. Sebastiano con riflessi d'oro e lustro rosso di rubino datata 1501 (Londra, Victoria and Albert Museum) che si credé il primo lavoro a maiolica, datato, di G. Sono altresì discutibili le attribuzioni che a lui si fanno di grandi plastiche invetriate a soggetto sacro, di tipo robbiano, che si trovano in chiese dell'Umbria (Gubbio, Bevagna, ecc.: una parte al Museo dell'Istituto Städel di Francoforte sul Meno). Col 1518 cominciano i pezzi sicuri e di data certa, perché segnati al rovescio (talora con le iniziali M° Go, talora con l'intero nome seguito anche dalle parole "in Ugubio" o simili e dalla data, o soltanto coi fregi di foglie in maiolica d'oro che gli sono consueti (una sola volta, sembra, con le lettere G. A.). Non si può rigorosamente affermare che G. abbia trovato nuove composizioni decorative. Dapprima la sua officina segue gli schemi ornamentali derutesi; poi (circa 1525) quelli di Faenza e di Casteldurante con grottesche, trofei, storie a tenue tavolozza (es., piatto del 1525 con le Tre Grazie da Marcantonio, al Victoria and Albert Museum di Londra), ecc.; poi (1530) la maniera urbinate (esempio, il piatto con Leda e il Cigno del 1531, al Kunstgew. Mus. di Berlino). Se non si può escludere l'opera sua di pittore, la sua bottega si servì anche di altre mani per istoriare ceramiche. Insieme con pezzi firmati o siglati da lui, altri se ne hanno con altre iniziali: M., D., R., N., l'ultima delle quali (che appare nel 1531 Museo di Pavia) è unita nel 1537 alla firma del maestro e si attribuisce ai figlio Cencio (Nencio). Si conosce pure una produzione più comune, ma pur sempre a riflesso, iridata o a "rosso da maiolica", spesso con parti in rilievo plastico (vasi, piatti, versatori: i cosiddetti giorgini). Pure a Gubbio lavorò Vittorio detto il Prestino (esemplari datati 1536, 1557; memorie sino al 1569) che seguì le orme degli Andreoli. Un piatto firmato e datato 1522 fu pagato a Londra (1911) 2520 sterline. Il segreto del processo, che si credeva perduto, fu a metà del secolo XIX ritrovato e applicato sulle ceramiche smaltate e dipinte.
V. tavv. LXIII e LXIV e tav. a colori.
Bibl.: S. Ranghiasci, Notizie geneaologiche della Famiglia Andreolo..., Perugia 1778 (rist. da G. Vanzolini, Istoria delle fabbriche di maioliche metaurensi, II, Pesaro 1879); F. Ranghiasci-Brancaleoni, Di M. G. da Gubbio e di alcuni suoi lavori in maiolica, in Vanzolini, Istoria delle fabbriche, cit.; G. Mazzatinti, Per M. G. A., in Rassegna bibl. dell'arte italiana, I (1898); id., Per M. G. (numero unico), Forlì 1898, rist. in Il Vasari, III (1931), p. 89; id., La mostra delle opere di M. G. in Gubbio, ibid., VI (1899); E. Scatassa, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, Lipsia 1907 (con bibl.); A. Del Vita, M. G. fu pittore di maioliche?, in Rassegna d'arte, 1918, p. 12; id., La terminologia dei colori nella critica e nella descrizione della maiolica, in Faenza, III (1915), pp. 69 segg., 108 segg.; P. Perali, Un breve di Leone X a M. G. da Gubbio ed una nota critica intorno alle "maioliche", ibid., XI (1923), p. 40; P. M. Tua, Di un piatto di M. G. al Museo civico di Bassano, ibid., XII (1924), p. 84; F. C. Bonini, M. G. da Ugubbio ed i lustri metallici, ibid., XIX (1931), pp. 85 segg., 137 segg.