GIORGIO da Ragusa (Raguseo)
Figlio di Luca, nacque probabilmente a Ragusa (l'attuale Dubrovnik), in Dalmazia, nella seconda metà del sec. XVI. La madre proveniva, forse, dalla famiglia Milani a cui appartenne anche Giambattista (1527-1617), vescovo di Bergamo, che sostenne materialmente G. durante il corso della sua vita. G. ebbe due fratelli minori, Giovanni Domenico e Andrea.
Trascorse l'adolescenza a Venezia, dove fu istruito nelle discipline matematiche dal padre e nelle lettere da L. Natali. Ma ben maggiore, in questi anni, fu la predilezione per l'astrologia, che secondo una tradizione studiò a lungo sotto la guida di Osvaldo da Gent e di F. Barozzi. L'interesse per l'astrologia è all'origine del suo primo scritto, l'Astronomico et filosofico discorso sopra l'anno MDXC (Venetia, G. Percacino, 1590).
L'Astronomico et filosofico discorso - quella che sembra essere l'unica copia superstite dello scritto si trova a Parigi, Biliothèque nationale, Rés.V.1219 - è un breve lavoro diviso in quattro parti, di cui sono specificatamente dedicate all'astrologia la terza e la quarta, che trattano la prognosi delle eclissi di Sole e di Luna e l'influsso dei moti celesti sugli avvenimenti dell'anno 1590. Vi è espressa una posizione, più tardi rifiutata, tesa a unificare sotto il concetto di corpo naturale i corpi celesti e i corpi corruttibili, per renderli così oggetto della stessa scienza naturale (Josipovic).
Fu quindi iscritto ai corsi dello Studio patavino, dove si addottorò dapprima in arti - la data esatta non è nota -, poi, il 7 marzo 1592, in teologia e quindi, il 3 nov. 1601, in medicina. Nel frattempo ricevette gli ordini minori e conquistò una certa fama come esperto di arte lulliana, sostenendo due dispute pubbliche su conclusioni teologiche composte secondo il metodo di R. Lullo, una a Venezia nel 1594 e l'altra a Padova nel 1595.
Negli atti dello Studio di Padova degli anni 1597-99 il nome di G. compare quale promotore in gradi accademici e testimone dell'iscrizione di nuovi membri al Collegio dei teologi, pur non avendo a quelle date alcun incarico di insegnamento pubblico. Pare tuttavia che tenesse un insegnamento privato di filosofia fino all'estate 1599, quando partì per un viaggio che lo tenne lontano dalla città veneta per due anni, durante il quale soggiornò a Siena, Pisa, Firenze, Roma e Napoli. A Pisa conobbe F. Buonamici e G. Mercuriale, mentre a Napoli strinse rapporti con G. Della Porta. Tornato a Padova nella primavera del 1601 (abbiamo notizia della sua presenza in città nel giugno di quell'anno grazie a una testimonianza di N.-C. Fabri de Peiresc, che ebbe allora modo di conoscerlo), fu dapprima incaricato di leggere teologia presso i canonici secolari di S. Maria in Avanzio e quindi, il 20 ott. 1601, fu nominato dal doge M. Grimani lettore della seconda cattedra ordinaria di filosofia naturale dello Studio, sostituendo C. Cremonini da poco promosso in primo loco. Dei circa venti corsi che tenne negli anni di insegnamento padovano, ci sono pervenuti gli argomenti di solo sei di essi, due dei quali dedicati all'ottavo libro di Physica (1603-04 e 1609-10), due al De generatione et corruptione (1604-05 e 1610-11), uno al primo e secondo libro del De anima (1611-12), e uno al terzo libro (1614-15). L'attività accademica, negli anni seguenti, lo impegnò a fondo, e non solo con le lezioni ordinarie. Il suo nome, infatti, è uno di quelli che più spesso figura nella commissione che attribuiva le insegne dottorali secondo la prassi dei conti palatini, e in questa veste il 25 apr. 1602 addottorò in filosofia e medicina W. Harvey. Inoltre, fu coinvolto in una polemica con il più famoso dei suoi colleghi, C. Cremonini.
Motivo del contendere fu, al di là della questione specifica (le forme dei quattro elementi aristotelici), il credito da riconoscere agli interpreti latini di Aristotele, limitato per il Cremonini che, come è noto, si rifaceva ai commentatori greci e ad Alessandro di Afrodisia in particolare, assai ampio per il G., che difese le posizioni degli scolastici come le uniche autenticamente aristoteliche. La polemica ebbe uno strascico velenoso con una commedia scritta dal Cremonini e rimasta inedita, Le nubi, in cui G. è descritto come un chiacchierone inconcludente.
Il 30 ott. 1607 fu confermata a G. dal Senato veneziano la nomina a dottore leggente in secundo loco. Di certo, a quella data, aveva già scritto alcune delle ventiquattro dispute che compongono le Peripateticae disputationes, Venetiis 1613.
Le dispute sono un documento caratteristico dello stato delle discussioni sulle interpretazioni di Aristotele nel primo scorcio del sec. XVII. Tutte le maggiori tematiche di "fisica" aristotelica sono toccate, e la disamina condotta attesta che G. disponeva di una buona conoscenza non solo degli autori canonici (commentatori greci e latini, recenti e medievali, tra i quali Duns Scoto sembra assumere il ruolo di autore guida), ma anche di quelli della scolastica iberica del sec. XVI. Della quindicesima disputa, De formis elementorum, che riassume la sua posizione nella polemica con il Cremonini, si è già detto. Per le altre è da notare che nella prima, De naturalis philosophiae subiecto, mostra di aver modificato il punto di vista giovanile sui corpi naturali, definizione ora riservata solo a ciò che è sottoposto a generazione e corruzione, non estendibile, neanche per analogia, ai corpi celesti; mentre nelle tre che affrontano la questione dell'anima (ventesima, ventunesima e ventiduesima), pur riprendendo, contro gli averroisti, la dottrina propria della tradizione alessandrista della natura informativa dell'anima e dell'unità ontologica dell'individuo, diverge da essa a proposito della separabilità del principio informativo della materia e della sua immortalità, seguendo la posizione tomistica.
È del 24 ott. 1615 la seconda conferma di G. come lettore, e in questa occasione dal Senato veneziano venne sollevata la questione della ascrizione al Collegio dei dottori artisti. La richiesta, parallela a un'altra che riguardava F. Liceti, era irrituale, in quanto pur essendo entrambi dottori leggenti, non lo erano di primo luogo, e perciò secondo lo statuto del Collegio non potevano essere accolti. Solo dopo altre pressioni del Senato i due furono associati, il 28 marzo 1616, inducendo il Collegio degli artisti a muovere una protesta formale, che però fu respinta. In seguito all'ascrizione, G. poté fungere da promotore alle lauree in filosofia e medicina concesse secondo la prassi ordinaria, e lo fece varie volte fino al 1621.
Negli anni attorno al 1618 partecipò alle discussioni nate in seguito alla comparsa della cometa. G. assunse nel dibattito una posizione originale, in quanto, pur ritenendo conforme a ragione il dettato aristotelico, indicò la necessità di un vaglio critico da parte dei sensi e dell'esperienza. Qualunque fosse il significato che G. attribuiva a quest'ultimo termine (in una lettera, del 5 febbr. 1611, compresa tra le Epistolae morales, dialecticae et mathematicae, Londra, British Library, Add. Mss., 10810, cc. 425-429v, G. afferma di avere utilizzato il telescopio per verificare alcune scoperte annunciate da Galileo nel Sidereus nuncius), vi è, dietro a esso, una deroga non comune al principio d'autorità. è degli stessi anni il lavoro di preparazione di un'opera, Epistolarum mathematicarum, seu de divinatione, che vide la luce postuma a Parigi nel 1623 per le cure del giurista Ch.-A. Fabrot, firmatario della dedica.
Nelle intenzioni di G. il libro doveva essere la prima parte di un'opera più vasta, identificabile con il citato ms. Add. Mss., 10810 della British Library. Le 29 lettere che lo compongono trattano di argomenti astrologici e di magia divinatoria ed ebbero una buona risonanza, tanto che la posizione di G. divenne paradigmatica nel dibattito sulle scienze occulte che, in quel giro d'anni, si sviluppò in Francia. L'autore ha un atteggiamento critico verso l'astrologia giudiziaria e le discipline divinatorie, giudicate falsi saperi, in quanto non poggianti su principî universalmente validi, ma ammette l'esistenza delle qualità occulte, per mezzo delle quali, come attraverso la luce e il moto dei pianeti, i cieli possono influire sulla regione sublunare (dalla quale è esclusa la parte razionale-volitiva dell'uomo).
Il G. morì a Padova il 13 genn. 1622.
Fonti e Bibl.: I principali inediti di G. sono dispersi tra Londra, British Library (le Epistolae morales, dialecticae et mathematicae, Add. Mss., 10810, che contengono anche molte notizie biografiche), Milano, Bibl. Ambrosiana (una Expositio super spheram Ioannis de Sacrobosco, N.207 sup.; un frammento di uno scritto di arte lulliana, V.47 sup.; sette quesiti In re physica, D.325 part.inf.), e Roma, Bibl. nazionale, S.Gregorio, 597 (una versione leggermente diversa del De puero et puella qui ad d. Antonii confessoris altare delati revixisse putantur, stampato in appendice all'opera postuma di Giorgio).
Vicende biografiche. Per i gradi accademici: Padova, Arch. antico dell'Università, 335, cc. 101r-102v; 425, c. 9r; Ibid., Arch. della Curia vescovile, Diversorum, 61, c. 38v; per l'attività di promotore alle lauree: Ibid., Arch. antico dell'Università, 424, cc. 95r, 97r, 98r, 99v; 426, cc. 27v, 29v, 33v; Arch. di Stato di Padova, Arch. notarile, 4104, cc. 205, 576r-577v; 4105, cc. 434, 438v-439v, 453; per la nomina a lettore e per le conferme: Padova, Arch. antico dell'Università, 664, cc. 136r, 137r, 138r; per i corsi accademici: ibid., 242, cc. 47r, 49r, 50r; 651, c. 374r; 678, cc. 127r, 140r; Arch. di Stato di Venezia, b. 429; per l'ascrizione al Collegio degli artisti: Padova, Arch. antico dell'Università, 341, cc. 40v-43v; per la morte: ibid., 664, c. 98r; per notizie sulla famiglia: Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. ital., VII.351 (= 8385), c. 13v; la commedia del Cremonini, Le nubi, ibid., Mss. lat., XIV.47 (= 4705) e Mss. ital., IX.24 (= 6476).
La figura di G. è considerata nelle storie dell'Università di Padova almeno da G.F. Tomasini, Gymnasium Patavinium, Utini 1654, pp. 309, 445. Il Tomasini è anche l'autore di un elogio del G., negli Illustrium virorum elogia, Patavii 1630, pp. 338-341, che è la fonte principale per tutte le successive biografie. Inoltre: Lettere di uomini illustri, Venezia 1744, pp. 317-323; A. Bacotich, G. Raguseo da R., in Arch. stor. per la Dalmazia, XX (1935), pp. 397-408; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, VI, New York 1941, pp. 198-202; C. Lewis, The Merton tradition and kinematics in late Sixteenth and early Seventeenth century Italy, Padova 1980, pp. 219, 252, 254; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, III, a cura di P. Galluzzi, Firenze 1983, p. 1545; M. Josipovic, Il pensiero filosofico di G. Raguseo, Milano 1985.