DE LULLO, Giorgio
Nacque a Roma il 24 apr. 1921 da Giovanni e da Amelia Occhetti, di modeste condizioni economiche. Mentre frequentava l'istituto magistrale "G. Carducci", perdette improvvisamente il padre, precipitato da una finestra, il 27 maggio 1938; questo evento lo legò alla madre (che pure perderà presto) e ne determinò il carattere, schivo e malinconico, volto alle abitudini solitarie o, al più, alla frequentazione di pochissimi amici a lui congeniali. Dopo aver conseguito l'abilitazione nella sessione autunnale del 1939 ed essersi impiegato come commesso in un negozio di articoli da regalo, ebbe una breve esperienza militare sul fronte iugoslavo col grado di sottotenente dell'esercito, quindi, su sollecitazione dell'attrice Nora Ricci, si iscrisse al corso triennale di recitazione dell'Accademia nazionale d'arte drammatica nell'autunno 1943 e ne frequentò parzialmente il secondo anno, senza ottenere la promozione al successivo, per aver abbandonato le lezioni.
In effetti, il 20 maggio 1945, contravvenendo al severo regolamento accademico allora in vigore, esordiva al teatro Manzoni con la parte di Petrell nella prima italiana di Gioventù malata di F. Bruckner, diretta da M. Landi ed accolta piuttosto freddamente dalla critica.La rivelazione sopraggiunse subito, il 13 giugno successivo, con la parte di Fortunio nel Candeliere di A. de Musset (teatro Eliseo, regia di O. Costa): il D. dette una bella prova delle sue qualità naturali e della sua diligente preparazione, meritandosi due lunghi applausi a scena aperta, ma insistendo anche su qualche lezio languoroso.
Questa, e le folte interpretazioni successive, comunque, lo segnalarono al pubblico da una parte per l'amore esclusivo e già aristocraticamente atteggiato che legava l'attore al teatro, dall'altra per il tipo dell'eroe romantico, incompreso e solitario, volto alla contemplazione più della bellezza ideale che della donna concreta, talvolta decadente e sconfitto assertore del mito dei libertarismo sentimentale o addirittura politico.
Fu infatti "giovanilmente sospiroso" in Un matrimonio tranquillo di E. Mac Cracken (teatro delle Arti, 1ºsettembre), recepì docile e affascinato il magistero di L. Visconti, che lo diresse come Emone nell'Antigone diJ. Anouilh (teatro Eliseo, 18 ottobre), e partecipò, tra applausi entusiastici, al primo grande spettacolo realizzato a Roma dalla fine della guerra (Sogno di una notte di mezz'estate di W. Shakespeare, teatro Quirino, 8 dicembre, parte di Lisandro, regia di G. S alvini).
In una seconda prova con Visconti, in occasione della prima italiana, parzialmente contrastata, dello Zoo divetro di T. Williams al teatro Eliseo non convinse del tutto V. Pandolfi che, nella parte di Jim, lo trovò "a volte incerto, ma nel complesso sensibile e vivo" (12 dic. 1946).
Quell'anno debuttò nel cinema, ma la prima e le prove successive, oltre ad essere scarse, risultarono poco significative per due motivi: da una parte la non congenialità o l'eccessivo sentimentalismo delle parti, dall'altra una certa staticità espressiva che, sin da allora, ne determinava i limiti della recitazione e che era particolarmente avvertibile sullo schermo: comunque, prestò con una certa cura la sua figura al personaggio di Carlo Grandet, cinico ed attivista, in un dignitoso film di M. Soldati, Eugenia Grandet;ful'insegnante altero, figlio di un bonario bidello, in Mio figlio professore di R. Castellani e l'ufficiale imberbe in Cuore di D. Coletti (1947), solo per citare le prestazioni che meritarono qualche attenzione da parte della critica.
Dopo essere stato con Visconti in Euridice di J. Anouilh (teatro alla Pergola di Firenze, 28 febbr. 1947, parte di Orfeo), il D. conquistò la stima di R. Simoni in un affascinante spettacolo di G. Strehler, La tempesta di W. Shakespeare, rappresentata al Giardino di Boboli in occasione dell'XI Maggio musicale fiorentino il 6 giugno 1948, recitandovi la parte del principe Ferdinando. Fu poi Romeo in Romeo e Giulietta di W. Shakespeare al teatro romano di Verona il 26 luglio successivo, sotto la direzione del Simoni: secondo G. C. Castello "la sincerità, lo slancio non sono mai, in lui, andati a scapito di un vigile controllo" (e questo accenno al controllo è il segno rivelatore di molti suoi atteggiamenti futuri). Sempre in quell'anno, G. Strehler gli dette due opportunità, la prima come re Millo nel Corvo di C. Gozzi al teatro La Fenice di Venezia, in occasione del IX Festival internazionale del teatro il 26 settembre, la seconda, "eccellente" nella conclusione, come Constantin Gavrilovič Triepliov, nel Gabbiano di A. P. Čechov al Piccolo Teatro di Milano il 24 novembre. Nel 1949 spiccarono il Filippo di V. Alfieri (teatro Comunale di Asti per il secondo centenario della nascita dell'autore, 9 aprile, parte di Don Carlo), e lo spettacolo affidato "al più ampio e autorevole complesso che si sia mai riunito su una scena italiana", quel Troilo e Cressida di Shakespeare, diretto da Visconti e interpretato, come Paride, con una "sostenuta, elegante misura (anche canora)" (Giardino di Boboli. per il XII Maggio musicale fiorentino, 21 giugno).
Nel 1950 fu Vito Amante nel film Ilvoto di M. Bonnard, non uscì dal cliché abituale con l'Invito al castello di J. Anouilh (Piccolo Teatro di Roma, 28 genn. 1950, parte dei due gemelli, regia di O. Costa) e con La dodicesima notte di Shakespeare (villa Floridiana di Napoli, 20 luglio 1950, poi Piccolo Teatro di Roma, parte di Orsino, poi di Sebastiano, regia di O. Costa) che segnò la prima tappa di una frequentazione di questo testo. Da questo momento sino all'estate 1954 fu un alternarsi di prove di indubbia resa spettacolare come negli allestimenti viscontiani della Morte di un commesso viaggiatore di A. Miller (teatro Eliseo, 10 febbr. 1951) in cui fu un Biff "ammirevole", di Un tram che si chiama desiderio di T. Williams in seconda edizione (teatro Nuovo di Milano, 28 aprile successivo) in cui fu un Mitch di "particolare valore", della Locandiera di C. Goldoni (teatro Eliseo, 2 ott. 1952) in cui fu Fabrizio, delle Tre sorelle di A. P. Čechov (teatro Eliseo, 20 dicembre successivo) in cui fu Tusenbach con "una delicata e commossa nostalgia, una sincerità schiva e toccante", e della Medea di Euripide (teatro Manzoni di Milano, 6 marzo 1953).
Si trattò sempre di spettacoli di notevole livello artistico nonostante l'accoglienza talvolta non convinta del pubblico e della critica, non sempre disposti a cogliere i significati innovativi delle regie viscontiane ma coscienti di avere di fronte il più estroso e, al contempo, puntiglioso interprete della scena italiana del dopoguerra. Meno felici prestazioni furono quelle del D. nella pur prestigiosa prima italiana del Re Enrico IV di Shakespeare (teatro romano di Verona, 7 luglio 1951) con un esile e non del tutto persuasivo Enrico principe di Galles, nel Giulio Cesare ancora di Shakespeare (Piccolo Teatro di Milano, 20 nov. 1953) con un pur volenteroso Marc'Antonio, nella prima italiana de La folle de Chaillot di J. Giraudoux (ivi, 24 febbr. 1954) con la parte di Pietro presto abbandonata, nella sesta edizione dell'Arlecchino servitore di due padroni di C. Goldoni (ivi, 4 giugno successivo) con la parte di Florindo pure essa presto abbandonata (in tutti questi spettacoli, anch'essi di grande rilevanza, dovuti ad un artista emergente, lo Strehler, che proprio con l'Arlecchino aveva costruito uno spettacolo chiave del moderno teatro italiano, il D. sentiva forse il richiamo verso un impegno diretto, di concertazione degli interpreti secondo criteri propri non ancora chiaramente definiti e soprattutto, il consiglio e l'amicizia del più giovane e più pragmatico collega Romolo Valli, da lui frequentato sempre più intensamente durante l'esperienza milanese, a partire dall'incontro nel Giulio Cesare).
Anche la partecipazione alla compagnia di A. Pagnani non lo soddisfece; quanto allo spettacolo di esordio, Chéri di Colette e L. Marchand (teatro Eliseo, 21 nov. 1951, parte in titolo), ebbe da parte di Pandolfi uno dei giudizi, più severi pronunciati sull'attore già sulla cresta dell'onda, riscattato, per altro, da quello del sempre benevolo Simoni che ammirò, nella parte di Bielajev in Un mese in campagna di I. S. Turgenev (teatro Odeon di Milano, 8 apr. 1952, regia di Costa), "da sincerità, la freschezza, la giovinezza e la nobiltà della sua arte".
Nell'autunno 1954 avvenne la svolta decisiva della sua vita: ormai convinto che i suoi amici più stimati, primo il Valli, erano in grado di formare un complesso giovanile dove lo stesso repertorio non dovesse sottostare alle esigenze, spesso puramente esibizionistiche, dell'uno o dell'altro attore, entrò nella Compagnia spettacoli Errepì, che dal febbraio 1955 assumerà il nome di Compagnia di prosa G. De Lullo-R. Falk-T. Buazzelli-A. Guarnieri-R. Valli, sotto la direzione artistica di Luigi Squarzina con il seguente repertorio: Lorenzaccio di A. de Musset, le novità Sud di J. Green e Gigi di Colette, Spiritismo nell'antica casa di U. Betti, la novità La bugiarda di D. Fabbri, nel quale era evidente, accanto al gusto per la riesumazione, quello per la commedia di costume di gusto brillante o, talvolta, frivolo. Il primo spettacolo, Lorenzaccio (teatro Valle di Roma, 24 dic. 1954, regia di L. Squarzina), non convinse né G.C. Castello né V. Pandolfi che lodarono l'iniziativa in sé ma rimasero perplessi di fronte al decorativistico allestimento e alla fluvialità del testo.
Nasceva così, anche se tra discussioni appassionate, la formazione che per oltre quindici anni, con la denominazione corrente di Compagnia dei giovani, costituirà uno dei centri obbligati dell'interesse del pubblico, nonostante le non sempre chiare riserve della critica militante che pure non lesinò gli elogi a certe scelte le quali, per lo meno, rimasero testimonianze incancellabili della storia del costume teatrale italiano. Ora il sodalizio artistico e sentimentale col Valli fu rinsaldato da frequenti dichiarazioni d'intesa (di lui il D. dirà che gli aveva insegnato ad amare la vita, gli altri, il mondo, in una parola ad amare).
Per la prima italiana di Gigi divenne regista: la diresse infatti al teatro Carignano di Torino, il 6 apr. 1955. L'accento, come era da aspettarsi, fu posto tutto sulla recitazione, che il D. volle sorvegliata e attenta ai dettagli; come dichiarerà in una delle sue rare interviste (gennaio 1981), era convinto che i veri registi dovessero saper recitare, come Visconti, Strehler, Costa: "Finché il regista saprà recitare e non violenterà i grandi testi più che di tramonto del teatro di regia parlerei di aggiornamento".
Debuttò in televisione, con la parte di Chlestako nel Revisore di N. Gogol il 1º luglio successivo, dopo una serie di prove che risentivano dell'apparato ancora approssimativo degli studi del tempo. Con la stagione 1955-56 il D. assunse, insieme con il Valli, la direzione artistica della Compagnia G. De Lullo-R. Falk-A. Guarnieri-R. Valli (uscitone il Buazzelli), esordendo con vivo successo di pubblico al teatro delle Arti di Roma, il 22 settembre, con Una donna dal cuore troppo piccolo di F. Crommelynck; il 5 dicembre successivo diresse al teatro Manzoni La calunnia di L. Hellman non soddisfacendo pienamente R. Rebora. Poi intervenne la grande occasione: nello stesso teatro, il 21 genn. 1956, diresse finalmente la prima della Bugiarda, già annunciata nella precedente stagione.
Nell'Italia del boom economico pubblico e critici accolsero calorosamente lo spettacolo che, ripresentato negli anni '70, in un paese dal volto profondamente mutato, susciterà, accanto all'immutata stima per gli interpreti, obbiezioni e riserve di taluni che insisteranno sulla sua proponibilità unicamente come prodotto di evasione e di diseducazione del pubblico. Quella prima, comunque, propose definitivamente all'attenzione del mondo teatrale italiano il nuovo "fenomeno" De Lullo.
Ormai affermati, i "giovani" erano considerati, alla vigilia del terzo anno di attività, "attori ... che alla bravura accoppiano il reciproco affetto, il senso di disciplina, l'amore per la professione ed un grande desiderio di far bene, per poter essere veramente degni di un Teatro senza equivoci e senza compromessi". Il 1957 fu l'anno del Diario di Anna Frank di F. Goodrich e A. Hackett (teatro Eliseo, 31 gennaio): la messinscena del D. adottava un criterio di fedeltà, il più scrupoloso possibile, alle parole della fanciulla ebrea.
Il Pandolfì affermò: "Estremamente accurata e coscienziosa, pecca a volte di qualche lentezza, e il tono risulta forse non sufficientemente variato"; comunque, lo stesso regista, molto più tardi (gennaio 1981), dichiarerà di ricordare l'esperienza umana del Diario come quella che connotò il momento irripetibile della giovinezza: a confermare la soddisfazione per l'esito felice della sua fatica, arrivò il premio San Genesio, per la regia del Diario, conferitogli a Milano il 12 ottobre.
Sentendosi maturo per prove più coraggiose, s'impegnò con il primo dramma di una sorta di trilogia imperniata sulla difficoltà del vivere e dovuta a G. Patroni Griffi, a lui legato da una solida amicizia: intendeva scandalizzare il pubblico ma senza superare i limiti del decoro "borghese" e ci riuscì, pervenendo addirittura, secondo taluni, alla sua più matura interpretazione proprio col personaggio di Renato in D'amore si muore. In questo dramma, andato in scena al teatro La Fenice di Venezia in apertura del XVII Festival internazionale del teatro di prosa, il 25 giugno 1958, il regista colse con maestria l'angoscia mortale che lo pervadeva e l'attore s'immedesimò nel personaggio, curandone ogni tono, smorzato o violento. In Anima nera (Festival della prosa di Bologna, 16 apr. 1960) le cose andarono diversamente: G. Guazzotti riconosceva che il D. aveva messo in scena la commedia "in modo abilissimo, sfruttando le imperfezioni del testo e camuffandole sotto una parvenza di ardimento", dopo aver insistito sulla mancanza in esso di una reale possibilità di conflitto. Il 16 luglio 1961, al teatro romano di Verona diresse da "orafo esperto e di gusto" di fronte a una pietra preziosa, e interpretò nella parte di Sebastiano La notte dell'Epifania. L'anno successivo interpretò il suo ultimo film, Ilprocesso di Verona di C. Lizzani in una parte, quella di Alessandro Pavolini, in cui apparve, anche a causa della sua breve durata, non all'altezza delle sue interpretazioni teatrali.
Nella stagione 1962-63 la compagnia si ricostituì soltanto per andare all'estero: furono toccate le città di Mosca, Leningrado, Varsavia, Budapest, dove ottennero straordinario successo soprattutto i Sei personaggi in cerca d'autore di L. Pirandello e Ildiario di Anna Frank (aprile-maggio 1963). Dopo la mancata formazione della Compagnia del teatro libero con i "giovani" - R. Morelli, P. Stoppa e il Visconti, meno A. Guarnieri - il D. mise in scena, come era nel programma, i Seipersonaggi con qualche lieve modifica rispetto all'edizione della tournée dell'anno precedente (teatro Quirino, 17 genn. 1964), primo di una memorabile triade (gli altri furono Ilgiuoco delle parti e L'amica delle mogli) e dei sette drammi pirandelliani da lui affrontati all'insegna di una "regia avveduta e calma e calcolata".
A questo punto divenne determinante l'influsso del Valli: prima, l'emotività e l'istrionismo del D., maturati e controllati dal magistero del Visconti, nel passaggio graduale dall'attività di attore a quella di regista, proiettavano sui colleghi e sull'organizzazione dell'ambiente scenico un riverbero vibrante e turbato, il soffio di un neoromanticismo alle prese con i ritmi dilaniati della vita moderna; ora, la sua idea del teatro si sostanziò di chiarezza, di trasparenza, di felicità (ma di una felicità transeunte e mai appagata); fu regista meticoloso, mai autoritario, e si giovò della esuberante cultura del Valli, della sapienza scenografica di P. L. Pizzi, dell'alto artigianato di tutti gli attori, la cui intesa nella scelta dei testi e cooperazione nella costruzione dei personaggi furono la ragione prima di una lunga serie di successi. Nel 1965, il suo anno più felice, si avvicinò alle Tre sorelle di A. P. Čechov (teatro alla Pergola di Firenze, 15 gennaio) riscuotendo uno dei suoi più meritati successi. Alla televisione, fu attivo con le regie da studio della Fiaccola sotto il moggio di Gabriele D'Annunzio (9 aprile) e degli ormai collaudati Sei personaggi (24 settembre). Il 10 dicembre, presso il teatro Eliseo, costruì la sua regia più matura (gli frutterà il XIII premio San Genesio per il miglior regista l'anno successivo): Il giuoco delle parti convinse per la sapiente concertazione degli attori nei due blocchi dello spettacolo (da una parte il grottesco dall'altra l'arigoscia), e per le belle scene, in parte ispirate alla pittura di F. Casorati. Dopo la raffinata divagazione della Calandria di B. Dovizi da Bibbiena (diretta, e interpretata come Prologo, al teatro La Fenice di Venezia, XXV Festival internazionale della prosa, 2 ott. 1966), avvenne il terzo incontro con Patroni Griffi: Metti, una sera a cena (teatro Eliseo, 15 febbr. 1967), commedia non del tutto accetta ai critici. Dopo la parentesi interpretativa dell'Egmont di W. Goethe (prima italiana, nel cortile di palazzo Pitti per il Maggio fiorentino, 7 giugno 1967, regia di L. Visconti) in cui fu un protagonista vigoroso e commosso, l'approccio a L'amica delle mogli (teatro Carignano di Torino, 4 ott. 1968) fu l'ultimo che non dette luogo a rilievi sostanziali da parte di taluni critici che, più sensibili di altri al clima della contestazione, videro in lui un simbolo della conservazione, sia pure di una conservazione intelligente ma disperatamente aggrappata ad esercizi stilistico-formali ormai superati.
Le prove successive furono giudicate come inutili giuochi estetizzanti: per esempio, la Hedda Gabler di H. Ibsen (teatro Carignano di Torino, 15 genn. 1969) o l'Edipo re di Sofocle (teatro alla Scala di Milano, 13 marzo successivo); e addirittura sviante, l'interpretazione del protagonista in Victor di R. Vitrac (teatro Quirino, 19 dicembre successivo, regia di Patroni Griffi). Tra manifestazioni ostili e interventi polemici, il 29 apr. 1971 andò in scena, per l'inaugurazione del rinnovato teatro Argentina di Roma, il GiulioCesare shakespeariano; il D. lo diresse e lo interpretò nella stessa parte di diciotto anni prima, sollevando o il riserbo prudente o il rimprovero aperto, come quello di A. Lombardol per aver spostato l'accento sulla sfera privata a scapito di quella pubblica e, pertanto, spezzato l'equilibrio originario dell'opera.
Il 16 marzo 1972 la ditta, mutata in Compagnia associata di prosa, affrontò al teatro Valle di Roma Così è (se vi pare) di Pirandello, risolto come processo alla Betti tra attori-carnefici e personaggi perseguitati in una dimensione da oratorio, e il 6 nov. 1973, per l'ultima volta al completo come Compagnia Albani-DeLulloFalk-Morelli-Stoppa-Valli, il puro divertimento di Stasera Feydeau.
Il mito dei "giovani" si era dissolto: la nascente potenza dei teatri stabili pareva divorare sempre più lo spazio delle compagnie di giro ed essi, con poche altre formazioni, avevano tenuto alta la bandiera della iniziativa privata senza essere rivoluzionari (il loro stile raccolto e salottiero non si addiceva ai rivolgimenti traumatici), né tampoco era mancato loro un altero e compiaciuto professionismo, che in tempi di contestazione globale costituiva un rimprovero larvato allo sperimentalismo non sempre trasparente degli antiaccademici.
Le ragioni della dispersione furono attribuite alla precarietà economica, ma è anche vero che con il Sessantotto era finita un'epoca e su quella compagnia simbolo si erano pertanto riversate le contraddizioni dei tempi nuovi. Il D. diresse quindi la compagnia di prosa di Rossella Falk in Trovarsi di Pirandello (teatro Valle, 11 genn. 1974) e la compagnia di Romolo Valli nel Malato immaginario di Molière (teatro Nuovo di Spoleto per il Festival dei due mondi, giugno, poi teatro Valle, 3 dic. 1974) in chiave minuziosamente realistica, e in Tutto per bene (teatro Eliseo, II ott. 1975), in cui si ravvisò un ritorno ai livelli delle più riuscite prove pirandelliane, per la calibratura dei formalismi e la sottolineatura sapiente delle battute e delle pause. Col 1976 ebbe inizio il periodo della metafora del deserto e dell'incomunicabilità, quello che R. Tian definì il nrionfale prolungamento finale concluso dall'indimenticabile fiammata accesa con Prima del silenzio".
Il D., ritrovata la sua inventiva anche per l'apporto determinante del Valli interprete, si volle specchiare nello Spoorier di Terra di nessuno di H. Pinter (teatro Metastasio di Prato, 20 apr. 1976), disegnandosi, nella sua ultima interpretazione, affranto sino all'autopunizione, ironico, pavido e ostinato, cancellando, come regista, ogni riferimento topografico e culturale di marca londinese e pervenendo così a un discorso astratto.
Nel 1977 curò regia, scene e costumi di Così fan tutte di W. A. Mozart (teatro Caio Melisso. per il XX Festival dei due mondi di Spoleto, 28 giugno) e per la Compagnia di prosa del teatro Eliseo la regia dell'Enrico IV di Pirandello (20 ottobre, dopo il battesimo al teatro Nuovo di Spoleto di sei giorni prima) in cui venne rappresentata la finzione-realtà dell'uomo "diverso" per natura e per scelta da quelli che vengono a parlargli. Dopo una serie di prove minori (in cui spiccò peraltro, il 16 marzo 1979, una rivisitazione acre e gioiosa della Dodicesima notte con la quale i cosiddetti "giovani dell'Eliseo", in ideale continuazione della sua indimenticata compagnia, iniziarono la loro attività) e di riproposizioni alla televisione dei suoi maggiori successi (ultima quella dell'Enrico IV il 7 aprile successivo), pervenne al suo ultimo capolavoro di regista: in Prima del silenzio diPatroni Griffi, il 28 dic. 1979, il Tian fu toccato dalle suggestioni metaforiche e dai momenti lirici della regia e della recitazione sospesa tra angoscia esistenziale e ironia intellettuale del Valli che, proprio durante le repliche del dramma, scomparve, per un incidente stradale, il 1º febbr. 1980. Con la morte improvvisa del compagno, cominciò per il D. un periodo oscuro e tribolato: si ritirò per qualche tempo nel romitorio dell'isola di San Francesco del Deserto; tornato a Roma, si sottopose a cure mediche e parve riacquistare la fiducia in se stesso. Il lavoro prese il sopravvento sui rimpianti angosciosi: nacque così il Grupppo teatrale libero RV (Romolo Valli) che debuttò con le Tresorelle alnuovo teatro Parioli di Roma, il 10 ottobre; questa e le prove successive, con rimandi formali puntuali ma privi ormai di qualsiasi vibrazione, delusero generalmente gli spettatori, nonostante il soffio di ironia o di distanziamento riscontrabile nella sua ultima fatica, Anima nera, andata in scena nello stesso teatro il 22 apr. 1981 e sospesa il 13 maggio successivo per indisponibilità dell'attore protagonista.
Lo si vide stremato dopo le prove, contrariato dalle difficoltà sopravvenute a motivo dei compensi troppo bassi, intemperante nel bere, sfiduciato negli amici di un tempo dai quali si riteneva allontanato per difetto di solidarietà. Progettava letture e svaghi solitari, quando, per una recrudescenza della cirrosi epatica che non volle o non seppe curare, fu ricoverato d'urgenza in clinica; spirò inaspettatamente, dopo qualche giorno, il 10 luglio 1981 in Roma.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. d. Acc. naz. di arte drammatica, fasc. per s.; Il Messaggero, 28 maggio 1938; 30 giugno, 22ott. 1977; 16 marzo, 30 dic. 1979; 24 aprile, 11 luglio 1981 (necr.); Il Giornale del mattino (Roma), 14 giugno, 2 sett., 19 ott., 9 dic. 1945; Il Dramma, 1º e 15 dic. 1945;1º gennaio, 1º marzo 1947; 15 giugno 1948;1º gennaio, 1º maggio 1949; 15 febbr. 1950;1º agosto, 1º dic. 1951; 15 ott. 1952; 15 gennaio, 1º aprile, 1º dic. 1953; 15 marzo 1954; gennaio, maggio, novembre 1955; febbraio, giugno 1956;febbraio 1957;gennaio 1959; maggio 1960; febbraio 1964; gennaiofebbraio, ottobre 1966 (profilo critico di M. Raimondo, G.D. attore regista, pp. 45-54);giugno-luglio 1967; giugno-luglio 1976; aprile, giugno 1979; Sipario, agosto, ottobre 1948;luglio 1949; agosto 1950; marzo, maggio 1951; marzo 1955; gennaio1956; ottobre 1957; febbraio 1965; gennaio1966; marzo 1967; novembre 1968; giugno 1971; Scenario, 1º -15 sett. 1953 (profilo critico di G. C. Castello, D. dal romanticismo al realismo, pp. 33-36); Radiocorriere, 26 giugno-2 luglio 1955;4-10 apr., 19-25 sett. 1965, 1º -7 apr. 1979; L'Europeo, 14 ag. 1955; Panorama, 14 febbr. 1958, Almanacco dello spettacolo drammatico '63, Roma 1964, pp. 206 s.; Almanacco... '65, Roma 1966, pp. 134 s.; Almanacco... '66, Roma 1967, p. 318, La Repubblica, 10 maggio 1979; Il Patalogo quattro. Annuario 1982 dello spettacolo, Milano 1982, II, Teatro e lirica, pp. 158 s. (necr.); Teatro italiano 81-82, Roma 1984, p. 563 (necr.); F. Quadri, La politica del regista, Milano 1980, pp. 168-75, 380 s.; Encicl. dello spett., IV, coll. 440 s.; Filmlexicon degli autori e delle opere, II, coll. 203 s.