DELLA TORRE, Giorgio
Nacque, attorno alla metà del sec. XV, da Giovanni, luogotenente della contea di Gorizia, di Tommaso - questi, figlio, d'Ermagora, era stato titolare di cariche nel Goriziano, tra cui quella di provveditore del castello di Rifemborgo e aveva combattuto, al soldo di Venezia, contro Filippo Maria Visconti morendo, nel 1431, a Bergamo probabilmente per postumi di ferite ricevute in battaglia - e dalla nobildonna padovana Francesca Forzatè, di famiglia d'antico lignaggio dello stesso ceppo dei Transalgardi e dei Capodilista nonché illustrata dal beato Giordano (di cui in Bibliotheca sanctorum, V, pp. 987-991).
Educato accuratamente, il D. pervenne alla laurea in legge che, assieme all'eccezionale memoria, e a una particolare inclinazione al rapido apprendimento delle lingue, gli facilitò l'inserimento a corte, ove ben presto si distinse, guadagnandosi la stima e la confidenza di Massimiliano d'Asburgo. Donde la nomina a consigliere, il conferimento del titolo di cavaliere aurato e l'affidamento di delicate missioni diplomatiche. Il D. si recò, così, in Svezia, a Napoli presso Ferdinando I d'Aragona e a Roma, nella quale entrò - così il diarista Burcardo - il 29 genn. 1488, assieme ad altri tre oratores (il vescovo di Sebenico Luca de Tollentis, Wolfang Bernhard de Pelheym, Giovanni de Beka) di Massimiliano, venendo con questi ospitato "iuxta plateam Sanctae Mariae". Né era solo uomo di dotta ed ornata loquela. Di statura imponente, dal fisico vigoroso, il D. era anche atto alle armi e dette prova di qualità militari nelle Fiandre ribelli a Massimiliano, ove pare sia stato un suo ingegnoso stratagemme a liberare quest'ultimo in un pericoloso frangente. Inviato regio a Mosca, il D. vi entrò il 16 luglio 1490 per sondare la disponibilità di Ivan III a concedere una figlia in moglie al sovrano, rimasto vedovo, e per esplorare, in ogni caso, la possibilità d'un'intesa politico-militare. E il D. era nuovamente a Mosca, dal 20 nov. 1491 al 12 apr. 1492, latore nonché fautore d'un abbozzo di trattato.
Caro a Ferdinando d'Aragona, stimato da Paola Gonzaga la seconda moglie dell'ultimo conte di Gorizia Leonardo, apprezzato e benvoluto da grandi personaggi del tempo - l'attestava l'ora disperso epistolario già nell'archivio dei castello di Duino -, il D. venne ampiamente compensato dei suoi servigi da Massimiliano che gli concedette in feudo Mehduk, Lekuwitz e Vokunitz, sostituendoli, quando caddero in mano turca, colla concessione, del 1491, di Gurkfeld, cui s'aggiunse, nel 1497, l'investitura dei castelli di Friedrichstein, Klingenfeld, Kočeive (o Cocevia o Gottschee) e Senabor (o, stando al Litta, Somobor).
Dev'essere il D., allora, quel "domino Zorzi da la Torre qual à certi castelli... vicino 70 mia" a Zagabria, sul quale si sofferma, in una lettera cifrata del 14 apr. 1510 riportata dal Sanuto, l'oratore veneto in Ungheria Piero Pasqualigo, cui il D. aveva inviato un "nepote" per fargli sapere che, a suo avviso, la pace veneto-imperiale andava trattata tramite il patriarca di Aquileia Domenico Grimani. Ed è probabile che il D. abbia avuto sentore dell'azione mediatrice effettivamente svolta da questo tra Venezia e Giulio II. Comunque il suo suggerimento - forse dettato dal desiderio d'essere, in qualche modo, presente in una fase cruciale, forse escogitato coll'intenzione di carpire un minimo di ruolo, sia pure dietro le quinte, di una non facile soluzione diplomatica (né va escluso possa essere scaturito anche da contatti collo stesso Grimani interessato a mettersi in luce per interposta persona) - non ebbe successo, ché l'"orator" veneziano presso Ladislao II gli rispose seccamente che la Repubblica già aveva mandato appositi "oratori per tratar pace" con Massimiliano e non è pertanto, "a proposito" complicare le trattative coinvolgendovi pure il card. Grimani. Ma, oltre a questa proposta, così rapidamente lasciata cadere, il D. ne fece tradimento nei confronti di Massimiliano e, pure, del re d'Ungheria di cui era, come egli stesso dice, "subdito e consier". Si dichiara, infatti, pronto "a servir la Signoria con cavali lizieri 500", certo di poter operare a vantaggio di Venezia "gran cose", potendo all'uopo utilizzare taluni suoi "castelli" confinanti col "Friul".
Evidentemente il D. si sentiva emarginato e, pur di scrollarsi di dosso il non voluto isolamento, tentava sia la via della diplomazia sia quella dell'armi, a costo, in tal caso, di battersi contro l'Impero. Raggelante, comunque, anche a quest'ultimo proposito, la risposta del Pasqualigo: Venezia disponeva di sin troppi cavalleggeri; ciò premesso, egli avrebbe egualmente informato la Signoria dell'offerta del D., al quale, poi, da questa, non pervenne nemmeno un accenno di presa in considerazione. Questi è, così, costretto al rimuginio inattivo nelle sue terre, ché non va confuso con quell'omonimo di cui si parla, all'inizio del sec. XVI, quale eventuale capo del corpo di spedizioni faticosamente arruolato in Germania per conto di Ludovico il Moro; ma, comunque, il comando venne affidato a un altro per il carattere collerico dimostrato da quest'altro Giorgio Della Torre (cfr. L. G. Pélissier, Louis XII et L. Sforza..., II, Paris 1896, p. 114).
Sulla traccia della irascibilità di quest'ultimo si può, sia pure con azzardo, ipotizzare egli sia lo stesso Giorgio Della Torre - figlio del Febo nominato in investiture feudali del 1484 e, in tal caso, fratello di Giovanni Febo e zio del Francesco che sarà ambasciatore cesareo a Venezia - "doctor" nonché "capitano di Loches", nel "contado di Goritia et soto la patria del Friul", di cui, nel 1508, la Serenissima sequestra i beni "per ribelion" - "rebello nostro" lo chiama, infatti, Sanuto - e che, nel 1509, giunge a capo di 7.000 Boemi contro la Repubblica in Friuli risultando, comunque, nel corso dell'anno ferito in un alterco - ecco il tratto della collera e della litigiosità - da Giovanni Ausperger "capitano de Lubiana". E, sempre coll'alea del rischio, si può supporre sia ancora questo Giorgio Della Torre a distinguersi, nel 1515, nella repressione di tumulti contadini scoppiati nell'Austria interiore.
Tornando al D., questi muore a Senabor il 20 marzo 1512. S'era sposato con Elena di Cristoforo Frangipane avendone una sola figlia, Anna, che, erede della signoria di Gurkfeld, s'accasò col governatore della Stiria Hans Ungnad (1493-1564), il quale, dopo la sua morte, si risposò con la contessa Maddalena von Barby (1534-1565).
Fonti e Bibl.: I. Burchardi Liber notarum..., in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXXII, 1, a cura di E. Celani, pp. 220 s.; M. Sanuto, Diarii, X, Venezia 1883, coll. 267 s.(e, per l'omonimo, IX, ibid. 1883, col. 76); G.G. Capodagli, Udine illustrata, Udine 1665, p. 334; C.G. Ferrucci, Albero geneal. ... de la Torre...,Venetia 1776, pp. 126 ss.; C. von Czoernig, Gorizia...,Gorizia 1969, p. 578; R. Pichler, Il castello di Duino..., Trento 1882, pp. 317, 320, 336, tav. II; A. Leopold, Die Ostpolitik ... Maximilians I. ..., tesi di dottorato, Università di Graz nel 1966(una copia in Österreichische Nationalbibl. di Vienna, con segnatura 1,014,699-C), pp. 9-13, 23, 28 s., 31, 33 s.; P. Litta, Le fam. celebri ital., s.v. Torriani di Valsassina, tav. VIII. Sull'amonimo: G. e L. Amaseo-G. A. Azio, Diari udinesi, a cura di E. Ceruti, Venezia 1884, pp. 55, 129.