DI FACCIO (Di Fazio), Giorgio
Nato a Niella Tanaro, presso Ceva (Cuneo), è noto per la sua attività di architetto a Palermo dal 1559 al 1592. Prima del ritrovamento di un atto di donazione, in data 30 luglio 1579, al nipote Giovanni, figlio del fratello Giovanni, di una parte dell'eredità paterna in Niella (Meli, 1952-53), si credeva che il D. fosse di origine genovese (Cosentino, 1878; Di Marzo, 1883) o siciliana (Paterna Baldizzi, 1904; Epifanio, 1938). Ma al di fuori del dato anagrafico, non si hanno altre notizie sugli anni di formazione o sulla presunta attività del D. nel suo paese natale, né sappiamo quando e per quali motivi egli se ne sia allontanato. È probabile comunque, come è stato ipotizzato dal Meli (1952-53), che sia stato invitato a trasferirsi a Palermo dai mercanti piemontesi (molti dei quali nei rogiti notatili vengono indicati come niellesi), da tempo ivi stabilitisi.
Altri documenti ci informano che il 16 luglio 1559 il D. sposò, nella parrocchia di S. Croce in Palermo, Aurelia, figlia di Elisabetta e di Francesco Nastasi "fabbricatore", dalla quale ebbe in seguito otto figli, tutti noti per nome. Negli anni 1566-67 risulta occupato, insieme con altri "maestri fabbricatori", nei lavori di ricostruzione della parte centrale del palazzo reale, iniziati sotto il viceré Giovanni Fernandez de Vega, che si protrassero fino agli inizi del sec. XVII (Arch. di Stato di Palermo, Arch. notarile, Notaio Pietro Ganci, regg. 4407 e 4355; cfr. Meli, 1958): apporto che è oggi difficile leggere per la pluralità di interventi sulle strutture dell'edificio. In un atto notarile del 7 luglio 1568 (Ibid., Notaio G. Guagliardo, reg. 4254; cfr. Meli, 1958), il D. si impegnava a costruire la casa - oggi non più esistente - del pretore Ludovico Spatafora, nella via di S. Nicolò alla Kalsa. Ma la sua prima commissione di un certo rilievo fu la tribuna della chiesa di S. Maria la Nuova, nella piazza di S. Giacomo la Marina, la cui esecuzione è documentata negli anni fra il 1569 e il 1582.
Chiamato a completare l'edificio - iniziato nel 1534 in forme catalane e modificato poi da G. Spadafora e G. Giacalone in forme più propriamente rinascimentali, d'impronta gaginiana, con l'intervento nel corpo delle navate divise da quattro archi a pieno centro - il D. progettò una tribuna ottagonale, di chiara derivazione bramantesca, che però volumetricamente e spazialmente contrasta con la struttura preesistente della chiesa sottolineando, come ha ben evidenziato S. Boscarino (1981), l'indipendenza e la maturazione del suo linguaggio rispetto alla cultura architettonica locale.
Seguendo sempre i documenti, risulta che nel 1576 il D. era già impegnato nei lavori della chiesa di S. Giorgio dei Genovesi, la sua opera più importante e meglio conosciuta, peraltro non finita.
In un rogito notarile del 29 dic. 1576, il marmoraro Battista Carrabio si obbligava con il console della nazione genovese in Palermo, Agostino Rivarola, a fornire quaranta colonne di marmo bianco di Carrara "a ben vista e soddisfazione del Console e del capomastro della fabbrica Giorgio Di Faccio" (cfr. Cosentino, 1878, doc. II, pp. 248-250). Il prospetto principale, di rigorosa compattezza volumetrica, presenta l'ordine architettonico gigante, scandito da lesene e sormontato da una ricca cornice raccordata ai lati con ampie volute. Nello spazio interno, invece, gli elementi caratterizzanti - i sostegni tetrastili e gli archi dall'alto soprassesto - mutuati dalla tradizione locale, in particolare dalla cattedrale normanna palermitana, vengono riutilizzati in chiave rinascimentale, soprattutto nel vibrante contrasto con l'intonaco delle pareti. Sulla crociera si staglia un tamburo ottagonale semplice, a lesene doriche, con finestre rettangolari e tetto piramidale.
Negli anni 1582-83 (cfr. i documenti citati dal Meli, 1958) il D. lavorò al progetto del seminario arcivescovile, voluto dall'arcivescovo Cesare Marullo in conformità alle deliberazioni del concilio tridentino, e portato a termine nel 1591. Di particolare interesse l'arioso cortile, a pianta rettangolare, con due ordini di logge: il primo con archi che poggiano su colonne doriche per mezzo di pulvini trabeati, collegato al secondo ordine mediante elementi decorati a mensola allungata.
Il 29 maggio 1592, gravemente ammalato, il D. stipulò il suo testamento presso il notaio Giulio Trabona. Nell'atto veniva nominato fidecommissario ed esecutore testamentario don Giovanni Antonio Gerardi, savonese, parroco della Kalsa. A lui legò "tutti li soi libri di architettura, pro bono amore", disponendo inoltre che "tutti li disigni de li ecclesii che ipse testator ha fatto fari in questa città di Palermo siano restituiti e dati a li predetti ecclesii" (cfr. Meli, 1958). Morì a Palermo, nello stesso giorno del testamento, e venne seppellito nella cappella della Madonna della Grazia nella chiesa del monastero della Pietà. Nella dichiarazione di morte della parrocchia di S. Croce è detto "mastro Giorgino".
Anche se le sue realizzazioni rivelano una conoscenza puntuale e appropriata dell'architettura continentale della Rinascenza italiana, e in particolar modo della spazialità bramantesca, il D. mostra di aver assimilato i moduli stilistici della tradizione locale, nel solco della corrente gaginiana - specie per l'uso di lesene esterne e delle finestre strombate a edicola trabeata - contribuendo così alla decisiva affermazione del linguaggio rinascimentale in ambiente locale, tanto che, ad una valutazione critica più moderna, il D. si impone come una delle figure più autorevoli, nel campo dell'architettura degli ultimi decenni del Cinquecento siciliano.
Fonti e Bibl.: G. Cosentino, La chiesa di S. Giorgio dei Genovesi in Palermo, in Arch. stor. sicil., n. s., III (1878), pp. 229 s., 248-250; G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia..., Palermo 1883, I, pp. 596 s.; L. Paterna Baldizzi, La chiesa di S. Giorgio dei Genovesi, Palermo 1904, p. 23; E. Calandra, Breve storia dell'architettura in Sicilia, Bari 1938, pp. 82 s.; L. Epifanio, La chiesa di S. Giorgio dei Genovesi, Palermo 1938, p. 29; F. Meli, G. D. di Niella Tanaro autore di architetture del Rinascimento palermitano, in Boll. della Soc. piemontese di archeologia e di belle arti, VI-VII (1952-53), pp. 166-171; C. Federico, I mercanti genovesi in Sicilia e la chiesa della loro "nazione" in Palermo, Palermo 1958, pp. 54 s.; F. Meli, Matteo Carnilivari e l'archit. del Quattro e Cinquecento in Palermo, Roma 1958, pp. 180-183, 194-197 (con regesto documentario); G. Spatrisano, Architettura del Cinquecento in Palermo, Palermo 1961, pp. 88 ss., 148 ss.; R. Patricolo, Le iscrizioni sepolcrali in S. Giorgio dei Genovesi a Palermo, in Genova e i genovesi a Palermo, Genova 1980, pp. 72, 80; S. Boscarino, Architettura e urbanistica dal Cinquecento al Settecento, in Storia della Sicilia, V, Napoli 1981, pp. 361 s.