GIORGIO di Giovanni
Nacque a Siena in data imprecisata, probabilmente verso la fine del XV secolo.
La sua formazione si avviò forse a contatto con Domenico Beccafumi; ma fu poi fortemente condizionata dal soggiorno romano nell'ambito dei cantieri vaticani.
L'alunnato presso Giovanni Ricamatore detto Giovanni da Udine, plausibilmente al tempo della decorazione delle logge del primo piano (1519), orientò la produzione di G. verso un "modo di operare di quei frutti, herbaggi et animali" (Mancini, p. 198) che, in linea con le propensioni naturalistiche del maestro, ne assimilava lo straordinario repertorio di invenzioni, dimostrandosi contemporaneamente attento a una cultura figurativa di ispirazione più strettamente antiquariale.
Rientrato in patria dopo il sacco del 1527, G. avviò una produzione pittorica autonoma che, in assenza di appigli documentari, è stata spesso assimilata dalle fonti al catalogo di Baldassarre Peruzzi, attivo a Siena in quegli anni ma impegnato quasi esclusivamente come architetto civile.
Sullo scorcio degli anni Venti, G. si rivelò un raffinato interprete della storia antica nel pannello con la Fuga di Clelia (Dublino, collezione privata): fronte di cassone o spalliera, impregnato di cultura romana, dichiara la matrice senese nelle preziosità memori di Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma, aggiornate su più moderni suggerimenti beccafumiani nelle dissolvenze argentee del paesaggio.
Al 1533 è datata la tavoletta della Vittoria navale di Corone nel Peloponneso, biccherna attribuita a G. (Le biccherne…, p. 232), incipit di un'intensa produzione di legature dipinte per i registri degli uffici finanziari senesi, attualmente conservate presso l'Archivio di Stato di Siena.
Una sensibilità pittorica innestata sugli impianti solidi e forti delle figure, connota un gruppo compatto di opere che, scalabili nella prima metà del quarto decennio, sembrano legittimare, pur in assenza di riscontri documentari, il ruolo emergente di G. nel corso degli anni Trenta.
La tessitura luministica di matrice beccafumiana definisce i profili delle figure di tre dei quattro pannelli del cataletto della chiesa di Fontegiusta (Siena, Pinacoteca nazionale), già riferiti al Sodoma: l'elegante soluzione del gioco delle mani e della testa reclinata del Cristo morto si affianca all'andamento spezzato del panneggio metallico dei Confratelli della Compagnia di Fontegiusta in adorazione della Croce; mentre l'impianto saldo e calibrato della Madonna con Bambino richiama il disegno netto e sicuro dello Sposalizio mistico di s. Caterina nella Pinacoteca di Siena, che è stato però anche attribuito al pittore "Capanna Senese" (Fattorini). Lo sviluppo elegante dei panneggi, i sofisticati dettagli compositivi assimilano il gruppo principale, circondato da santi, all'Annunciazione del coronamento poligonale, inquadrata da una sobria quinta prospettica porticata, aperta al centro su una scena di Crocifissione.
Se il S.Martino e il povero nell'affresco a più scomparti per la famiglia Ciglioni sulla navata destra della chiesa di S. Lorenzo a Sovicille, richiama lo stile di G. nel panneggio duro e tagliente, la Madonna con Bambino, posta al centro dell'opera e fiancheggiata dai ss. Cristoforo e Agata, e il S.Onofrio rappresentato nella finta nicchia a sinistra, hanno suggerito l'attribuzione a "Capanna Senese" (ibid.).
Imparentato con il Cristo morto di Fontegiusta, l'Endimione addormentato (Siena, collezione Chigi Saracini) si abbandona in un dilatato orizzonte paesistico che, descritto con cura e attenzione naturalistica, richiama il pendant di Orfeo del castello praghese di Šternberk: l'acuta caratterizzazione dei cavalli di Selene, che abbandona Endimione, e degli animali, incantati dal musico, sono evidentemente debitori della fantasia decorativa di Giovanni da Udine.
La data 1535 si legge sugli affreschi eseguiti da G. nella cappella della villa di Belcaro, presso Siena.
Vi rappresentò nell'abside la Madonna in trono con Bambino e s. Giovannino, circondata dai ss. Caterina d'Alessandria, Giacomo, Cristoforo e Caterina da Siena, ripetendo nell'impianto le finte nicchie laterali dell'affresco di Sovicille; mentre l'ambientazione paesistica delle Storie di s. Giacomo, sul lato sinistro dell'abside, conferma la compattezza stilistica delle opere di G. nella prima metà degli anni Trenta. Cronologicamente vicino agli affreschi nella cappella è il ricchissimo apparato di grottesche, festoni, pergolati dipinti e stucchi della loggia e dell'atrio che, pesantemente ridipinti, denunciano comunque l'inequivocabile matrice culturale, proponendosi come revival di un gusto decorativo filtrato attraverso il classicismo aulico del Peruzzi. Il gruppo di cinque disegni dello Hessisches Landesmuseum di Darmstadt, chiamati in causa come studi per gli affreschi di Belcaro, dichiara, nel tratto netto e nel panneggiare angoloso, le caratteristiche inconfondibili dello stile di G. (Dacos, pp. 140 s.), introducendo a un'antologia caleidoscopica di bizzarri cavalli marini, leoni accigliati, animali disegnati dal vero e citazioni da Marcantonio Raimondi.
Sulla scia degli interventi di Belcaro si pongono le altrettanto ridipinte decorazioni eseguite da G. per casa Mandoli, poi palazzo Chigi Saracini.
Ricordato dalle fonti, il "portichetto di Giorgio, compagno di Giovanni da Udine" (Mancini, p. 114) ripropone il noto repertorio di figure minute su fondi vivacemente colorati, fasci di canne su cui si intrecciano vitigni, racemi abitati, maschere e altre fantasticherie ereditate dalla cultura figurativa delle logge vaticane. I paesaggi negli ovati della volta centrale rivelano, d'altra parte, un precoce aggiornamento su esemplari importati dal Nord, confermato dal fregio di palazzo Chigi che G. affrescò, su commissione del cardinale Giovanni Piccolomini Todeschini, nel salone di palazzo Patrizi, entro il 1537.
Protagonista di una serie di transazioni che ne documentano l'attività di "depentore", il nome di G. compare a partire dal 1538 nei registri contabili senesi ed è menzionato nel 1541 negli stati delle anime in contrada di S. Stefano, insieme con quello della moglie Caterina (Romagnoli, p. 560). Nello stesso anno sono documentati i pagamenti per l'arco trionfale realizzato da G., insieme con Bartolomeo Neroni detto il Riccio, in vista del passaggio a Siena di Paolo III, oltre alle perdute pitture sulle porte dell'arcivescovato.
Attribuita a G., la biccherna allegorica delle Riforme del Granvelle fanno veleggiare sicura la barca della Repubblica (1542) ricorda le Storie di s. Giacomo della cappella di Belcaro nella resa dei rilievi e delle rocce; mentre la raffinata esecuzione delle tavolette con la Lupa senese e con le Stimmate di s. Caterina, la Madonna, s. Giovanni Battista e s. Bernardino (1545) confermano la sua specializzazione nel settore.
Interrompendo bruscamente i lavori del fregio per la sala della Cancelleria di palazzo pubblico, G. si trasferì nel 1546 nel castello di Seggiano, forse impegnato nella casa dei Placidi, ma venne richiamato perentoriamente a Siena nell'agosto per concludere l'incarico affidatogli dal Comune.
Dopo il perduto S.Girolamo commissionato a G. nel 1548 dall'università dei notai, il pittore proseguì la sua attività di frescante in palazzo Guglielmi al Casato, dove il Giudizio di Paride collocato in un'ariosa ambientazione paesistica richiama direttamente gli interventi di Belcaro, e in palazzo Bargagli a S. Agostino, con cornici di stucco e tenui decorazioni in un insieme di gusto romano.
Se al 1552 si possono riferire i due ovati con paesaggi della seconda volta della loggia degli Ufficiali, la data di demolizione della cittadella spagnola di San Prospero coincise con un sostanziale mutamento di rotta della carriera di G. che da allora in poi si dedicò quasi esclusivamente ai prestigiosi incarichi di architetto militare conferitigli dalle magistrature senesi.
Il ruolo attivo di G. nel cantiere della cittadella è attestato dal progetto di collegamento della fortificazione spagnola con il sistema difensivo urbano (Siena, Biblioteca comunale), conferma indiretta della paternità delle due tavolette dipinte che descrivono i lavori di demolizione dei bastioni sotto la protezione della Vergine.
Nel dicembre del 1552 G. giunse a Montalcino, piazzaforte strategica della Repubblica senese.
Ebbe l'incarico di potenziarne la rocca trecentesca, minacciata dall'imminente attacco degli imperiali. Concentrandosi sul lato sudoccidentale della fortezza, più vulnerabile perché "senza fiancho nisuno" (Romagnoli, p. 573), progettò l'allestimento dei tre baluardi fortificati di S. Martino, S. Antonio e S. Margherita, con l'intenzione di garantire la tenuta di una posizione difficilmente difendibile anche a causa della conformazione del terreno.
Nel biennio 1552-53, in parallelo con l'avanzamento dei lavori di Montalcino, puntualmente documentati dal carteggio con il governo senese, G. diresse gli interventi di ammodernamento delle roccaforti di Radicofani, Chiusi, Arcidosso, Castel del Piano, Montepulciano, San Giovanni d'Asso, Sesta, San Gusmé e Monteoliveto Maggiore, confermando l'attenzione al dettaglio topografico nella biccherna dell'Assedio di Montalcino (1553), analitica veduta prospettica della città ripresa da nord.
Perduti i documentati lavori per Giovan Battista Salvani e la biccherna con l'Abdicazione di Carlo V (1555), un'analitica rappresentazione delle cinte murarie si ritrova nella tavoletta di ascendenza beccafumiana con S.Paolo che conforta i Senesi nelle tribolazioni dell'assedio, testimonianza del rimpianto senese per la libertà perduta.
Alcuni pagamenti di armi dipinte per Alvero de Sandi a palazzo Piccolomini e per le porte cittadine di Camollia e Nuova (1557) consentono di documentare l'attività di G. fino alla fine del sesto decennio.
Il G. morì a Siena nel gennaio del 1559.
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