Giorgio Falco
La significatività della figura di Giorgio Falco consiste soprattutto nel fatto che egli rappresenta, per così dire, uno storico di transizione: formatosi ai tempi del metodo storico quando prevaleva la prospettiva economico-giuridica, in seguito fu profondamente influenzato dal pensiero di Benedetto Croce, e per questo mutò il proprio modo di rapportarsi al passato e di impegnarsi nella ricerca, senza tuttavia diventare pienamente ‘crociano’. Egli era uno storico del Medioevo, con varie aperture alla storia moderna e al Risorgimento italiano, e tale rimase nel corso di un’esistenza che, a partire dalle leggi razziali del 1938, gli riservò grandi tribolazioni sul piano umano che in lui produssero inquietudini su quello intellettuale e morale.
Giorgio Falco nasce a Torino il 6 febbraio 1888 da Achille e da Annetta Pavia. Si laurea in lettere presso l’ateneo torinese nel 1911 alla scuola di Pietro Fedele. Dalla fine dello stesso anno si trasferisce a Roma presso la Reale Società romana di storia patria, impegnandosi nello studio dei comuni del Lazio meridionale. Dal 1914 al 1930 insegna in scuole e istituti tecnici, salvo la parentesi (dal maggio 1916 al giugno 1919) della Prima guerra mondiale, prestando, tra l’altro, servizio presso l’Ufficio storico del ministero della Guerra.
Nel 1930, risultato vincitore di concorso a cattedra universitaria, è nominato professore titolare di storia moderna presso la facoltà in cui diciannove anni prima si era laureato. L’anno successivo opta per l’insegnamento di storia medievale – sorto a seguito dello sdoppiamento della cattedra di storia moderna – a cui dal 1932 affianca, per affidamento, il corso di paleografia e diplomatica. Anche se il suo nome era comparso tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti del 1925 e si era guadagnato la fama di antifascista, non rifiuta il giuramento di fedeltà al regime dittatoriale, mentre mantiene legami con Croce favoriti dall’amicizia di sua moglie, Nelda Sampò, con la moglie del filosofo, Adelina Rossi.
Nel 1938 viene allontanato dall’insegnamento universitario a seguito delle leggi razziali «nella più totale indifferenza della sua Facoltà», unitamente a Zaccaria Santorre De Benedetti e Arnaldo Momigliano. Seguono il trasferimento a Roma, la conversione al cristianesimo di confessione cattolica – riceve il battesimo il 1° settembre 1939 – e il rifugio nel monastero di San Paolo fuori le Mura.
Alla fine della guerra, nel 1945 viene reintegrato nell’insegnamento universitario, anche se nell’ateneo torinese è costretto ad affiancarsi al titolare Francesco Cognasso, che lo aveva sostituito dopo l’allontanamento per le leggi razziali: una situazione per lui intollerabile che, dopo lunghi soggiorni romani al fine di realizzare l’edizione (mai portata a termine) del Chronicon Casauriense per la ristampa muratoriana, e dopo il fallimento della richiesta di essere chiamato presso l’Università di Roma, nel 1951 lo spinge a chiedere il trasferimento presso l’ateneo genovese dove, sino al 1954, insegna storia medievale e moderna. Tornato a Torino, occupa la cattedra di storia moderna e soltanto nel 1957-58 riottiene, per un solo anno, l’insegnamento ufficiale e unico di storia medievale. Poi il fuori ruolo, la nomina a ‘professore emerito’ e la morte sopraggiunta a Torino il 26 aprile 1966.
Dopo la laurea, per un quindicennio Falco si occupa di argomenti relativi alla storia del Lazio nel Medioevo, pubblicando i risultati delle sue ricerche nell’«Archivio della Società romana di storia patria». Dal 1913 al 1916 compaiono le varie puntate de Il comune di Velletri nel Medio Evo (sec. XI-XIV), una ricerca che l’autore dichiara di aver realizzato nel 1912, «durante il primo anno di alunnato presso la R. Società Romana di Storia Patria», dietro indicazione di Fedele, ma che si inseriva in una consolidata corrente di studi «intorno all’origine e allo sviluppo dei comuni italiani nel medio evo». La novità era rappresentata dal fatto che l’interesse era incentrato su «la Sabina e in ispecie la Campagna e la Marittima», cioè un «vasto territorio» che era rimasto «quasi inesplorato» e che offriva l’opportunità di «vedere il trapasso dai comuni dell’alta e della media Italia ai comuni dell’Italia inferiore», senza tralasciarne le peculiarità. Quel territorio, infatti, costituiva «il campo aperto dove per secoli si combatt[erono] gl’interessi del papato e dell’impero, del comune di Roma e dei baroni», allargando così le prospettive di ricerca dalla storia comunale a «quella storia del feudalesimo nella provincia di Roma che ancora si attende dagli studiosi». Il ripetuto ricorso alle parole stesse di Falco serve non solo a chiarire gli intendimenti di una ricerca, ma soprattutto a indicare l’elevata consapevolezza storica e storiografica di uno studioso non ancora venticinquenne.
La monografia su Velletri appare di struttura sproporzionata tra la parte contenente la trattazione, limitata a meno di 70 pagine, e l’appendice documentaria che riporta 48 documenti, dal 1250 al 1400, e si estende per più di 320 pagine. La sproporzione è forse dipendente dai tempi di elaborazione e di redazione ancora imbevuti dell’erudizione di stampo positivista o dalla contingente necessità di rendere conto del proprio lavoro durante il ricordato anno di alunnato. Questa monografia costituisce la premessa a un successivo studio, di più ampio respiro, su I comuni della Campagna e della Marittima nel Medio Evo, comparso tra il 1919 e il 1926 nell’«Archivio della Società romana di storia patria», anch’esso una monografia molto più estesa della precedente (quasi 300 pagine), che costituisce ancora oggi un contributo non trascurabile, a livello sia di metodo sia di contenuti, in merito alla storia comunale. Ne sono state sottolineate di recente, da un lato, l’originalità nell’impiantare una comparazione su scala territoriale capace di ovviare alle discontinuità delle serie documentarie (Artifoni 2001, ma anche Arnaldi 1994) e, d’altro lato, l’individuazione «della guerra e della qualifica militare della nobiltà come struttura portante dello sviluppo comunale» (Artifoni 2001, con riferimento a Maire-Vigueur 1991). Partendo da queste due convinzioni di fondo, il discorso falchiano si allarga necessariamente alle relative ricadute sull’organizzazione sociale ed economica dei Comuni, proponendo temi e questioni che saranno ripresi dalla medievistica a partire dagli anni Settanta del Novecento. Eppure, Falco per lungo tempo è stato ricordato per il «secondo volto» della sua produzione storiografica: il volto del Falco crociano, cioè quello della Polemica sul Medioevo e della Santa Romana Repubblica, su cui oramai è tempo di fermare l’attenzione.
Medioevo e periodo storico è, con lievi modificazioni, il testo della prolusione che nel 1930 Falco tenne per inaugurare il suo insegnamento presso l’ateneo torinese. Era allora presente, in qualità di giovane studente, il futuro mediolatinista Gustavo Vinay che, più di trent’anni dopo, ricorda quell’avvenimento attraverso una ricostruzione valutativa ed emotiva davvero importante:
Nella prolusione che stavo ascoltando, c’era in fondo il dramma di una storiografia e dell’uomo che così nobilmente la impersonava: da una parte la volontà eroica di dare respiro alle cose, di disporle in un grande disegno (La polemica sul medioevo e La Santa Romana Repubblica); dall’altra il concreto, le terre che si comprano, si vendono, si coltivano, i patrimoni che si fanno e si disfanno, gli uomini piccoli e grandi che vi passano sopra e una traccia vi lasciano. E il dramma era qui: nella concretezza analitica che non aveva scopo né dimensione se non riusciva a infonderle il lievito che la maturasse alla sintesi. Il dramma di una storia che deve essere prima filologia e di una filologia che non riesce a giustificarsi se non è già storia e appena in fasce così robusta da dominare i secoli […] (Vinay 1967, p. 20).
Già nel 1930 apparivano con chiarezza le contrastanti e contrastate strade che stavano portando alle successive pubblicazioni di Falco, il quale, in primo luogo, si pone la domanda «Quale sarà il nostro medioevo?» e dà subito la risposta «Per noi, e – non sembri presunzione – per chi guardi più a fondo, non vi può essere dubbio: medio evo è lo (sic) formazione d’Europa su base cristiana e romana» (Albori d’Europa, 1947, p. 22).
Su questa fondamentale convinzione nascono due opere di grande rilievo: la prima è La polemica sul Medioevo, pubblicata nel 1933 come volume CXLIII della Biblioteca della Società storica subalpina, in cui rappresentava un’autentica novità sul piano sia contenutistico sia metodologico. La distanza dall’anteriore produzione di Ferdinando Gabotto (erudito e ‘sabaudista’) e dei suoi collaboratori era siderale e resa evidente dall’irruzione della storiografia, che ovviamente si ispirava e traeva alimento dalle riflessioni e dalle teorizzazioni di Croce. Anzi, secondo Fulvio Tessitore (Introduzione a La polemica sul Medioevo, 19882), già la prolusione del 1930 «segna la più esplicita adesione alle tesi esposte dal Croce in Teoria e storia della storiografia» (p. 15). La palese conferma si trova non appena si legga la Prefazione a La polemica sul Medioevo, là dove si danno in estrema sintesi i contenuti del volume (che era stato preceduto da prime parziali stesure sulla rivista «Civiltà moderna» del 1931 e del 1933, non segnalate nella Bibliografia degli scritti di Giorgio Falco, a cura di A. Sisto, F. Torcellan, 1967):
Nelle pagine che seguono sono passati in rassegna – secondo un disegno e secondo criteri determinati – alcuni fra i principali rappresentanti della storiografia generale dall’umanesimo al romanticismo, allo scopo anzitutto di mostrare come sia nato, come si
sia venuto configurando di età in età, d’una in altra esperienza il Medioevo; in secondo luogo di spianare la vita alla polemica metodica e alla visione possibilmente organica di un Medioevo rispondente alle nostre esigenze spirituali, che formeranno argomento di un successivo volume (La polemica sul Medioevo, 19882, p. 28).
La trattazione si estende pertanto dal Quattrocento all’Ottocento, ripercorrendo i cammini della cultura storica europea sia pure in un rapporto privilegiato con il progressivo definirsi e con le successive mutazioni del concetto di Medioevo, o, se di vuole, della ‘periodizzazione’ di un’età definita e assunta come Medioevo. Il punto d’arrivo è dato dallo «storicismo cattolico di Federico Schlegel» quale emerge dalla sua Philosophie des Geschichte del 1829:
Col nome di Federigo Schlegel terminiamo così la nostra rassegna, poiché egli risolve una volta per sempre il problema centrale del Medioevo, che aveva assillato gli storici del Settecento, poiché ai grandi principi da lui affermati – libertà, individualità, valore essenziale politico-religioso della storia – dobbiamo anche oggi rifarci, se vogliamo assolvere degnamente il compito che ci siamo proposto (La polemica sul Medioevo, 19882, p. 347).
La lunga analisi della storiografia sul Medioevo perveniva non a una conclusione, bensì piuttosto a un progetto che, riprendendo i termini dell’interpretazione schlegeliana, proponesse una ‘nuova’ visione del Medioevo.
Parrebbe pertanto – e i più così pensano – che il successivo volume su La Santa Romana Repubblica.dovesse rappresentare la realizzazione del progetto, benché non sia da escludere che, nel contempo, Falco pensasse a un secondo volume su La polemica sul Medioevo se, ancora nel 1962, scriveva a Raffaele Mattioli, lo straordinario intellettuale-banchiere proprietario della casa editrice Riccardo Ricciardi, di coltivare il «sogno» di provvedere alla «seconda edizione e al compimento della Polemica sul Medio Evo» (cit. in Merlo 2008, p. 87). Ciò non avvenne e occorre incentrare il discorso su La Santa Romana Repubblica.
Da Torino, il 10 aprile 1939, Croce scriveva a Falco una lettera che così inizia:
Ho passato queste giornate a leggere il vostro libro, con piacere e con ammirazione grande. Voi sapete qual è il mio ideale di un libro di storia: ridurre la notizia dei fatti a un racconto di un dramma dell’anima. E questo ideale l’ho trovato con gioia a pieno attuato nel vostro libro, che così presenta la storia del medio evo e la rende coerente e intelligibile […]. È limpidissimo, scritto bene, con precisione e sobrietà e, dove viene naturale, commosso ed eloquente (cit.
in P. Zerbi, introduzione a G. Falco, In margine alla vita e alla storia, 1967, pp. 26 e seg. nota 45; e in Cavina 1998, p. 637).
La lettera contiene ancora l’impegno affinché, «un po’ prima o un po’ dopo, il libro veda la luce». Siamo nel 1939, quando Falco aveva subito e subiva gli effetti violenti delle leggi razziali del regime dittatoriale; ma la stesura del «libro» risaliva al 1937. Occorrerà attendere il mese di marzo del 1942, quando, grazie all’intelligenza del banchiere-editore Mattioli, presso la casa editrice Riccardo Ricciardi, il «libro» finalmente fu stampato con un titolo attraente, La Santa Romana Repubblica, e con un sottotitolo più neutro o, se si vuole, riduttivo, Profilo storico del Medio Evo (anche se per Falco esso era «anche troppo presuntuoso» rispetto alla sua convinzione che si trattasse «di un semplice abbozzo»).
Per ragioni che non occorre precisare, l’autore riportato su copertina e frontespizio non era Giorgio Falco, bensì un tale Giuseppe Fornaseri (nome e cognome forse ispirati a quelli autentici di un suo allievo). Soltanto dopo «la Liberazione, l’editore fece ristampare frontespizio e copertina con il vero nome dell’autore» (Merlo 2008, pp. 85 e seg.): il volume conobbe in seguito una notevole fortuna tanto da giungere, nel 1986, alla decima edizione. A partire dalla seconda edizione del 1954, pur conservando il testo «immutato», «salvo qualche ritocco e qualche correzione», si trovano un nuovo capitolo dedicato a La lotta all’iconoclasmo e un aggiornamento delle Note bibliografiche.
Perché l’inserimento del nuovo capitolo? Lo chiarisce lo stesso autore nella Prefazione alla seconda edizione, quando precisa di essersi «reso conto della necessità, per la compiutezza del disegno, di approfondire e segnare in maniera più incisiva il distacco dell’Occidente dall’Oriente e lo spostamento dell’asse della politica papale a metà del secolo VIII». «Distacco» e «spostamento» servono a concentrare l’attenzione sull’Occidente e sul Medioevo che è soltanto occidentale, poiché coincidente con «la storia della fondazione d’Europa in base cristiana e romana, della formazione e della dissociazione del cattolicesimo europeo». Per illustrare questo assunto La Santa Romana Repubblica.si articola in sedici capitoli. Escluse l’introduzione storiografica e le conclusioni, «undici dei quattordici capitoli […] sono biografie» (Arnaldi 2010, p. 516): biografie attraverso le quali pervenire a cogliere e illustrare il crociano «dramma dell’anima», che però non è fatto personalistico, in quanto, «sia pure in misura diversa da uomo ad uomo, la storia è cosa di tutti – opera di solidarietà universale – e non esistono quegli esseri miracolosi, onniscenti e onnipotenti, a cui vada attribuito, in singolo, il merito o la colpa di una rivoluzione» (Pagine sparse di storia e di vita, 1960, pp. 567 e segg.) o di qualsiasi altro avvenimento che investa la vita collettiva e determini il destino dell’umanità.
Allo storico spetta il compito di individuare un «significato» alle vicende del passato in base alle domande che il presente sollecita di formulare al passato: e la sollecitazione urgente proveniva allora dalla spaccatura dell’Europa segnata dall’affermarsi dei nazionalismi, delle dittature e dei totalitarismi, che coinvolgeva il destino stesso di quel continente. Falco, insoddisfatto dell’interpretazione dei «secoli oscuri» – di qui, per es., il suo giudizio nettamente negativo della produzione storiografica di un Gabriele Pepe –, giunge a individuarne il «chiarissimo significato» nella «fondazione dell’Europa su base cristiana e romana, nel processo della sua articolazione e della sua dissociazione, infine nell’impostazione del mondo moderno». Ovviamente, siffatti processi non avvennero né sono interpretabili senza considerarne gli aspetti fattualmente drammatici e tragici. Qui si apre una dimensione del mestiere di storico che Falco visse esistenzialmente intenso attraverso laboriose riflessioni soprattutto negli anni dal 1938 al 1945.
Negli anni Trenta Falco arrivò alle seguenti affermazioni:
Gli studiosi di storia sono un po’ medici dell’anima. La storia è piena di dolore; ed essi cercano di consolare questo dolore, mostrando che era necessario agli uomini per salire più in alto […]. Medici, dunque, che si sforzano di infondere un’austera fiducia nella storia e nella vita, la quale nelle apparenze e nelle esperienze non sarebbe che una successione paurosa di gerarchia e di anarchia, di pace operosa e di distruzione, di vittorie e di sconfitte inesplicabili.
Queste parole introducono il capitolo su La fondazione d’Europa. Carlomagno de La Santa Romana Repubblica: e ben lo si capisce, pensando alle campagne di Carlomagno contro i Sassoni e alla sanguinosa repressione della loro rivolta nel 782:
Sopraggiunto Carlomagno, si fece consegnare i colpevoli, che erano venuti meno al giuramento di fedeltà, e, con esempio forse unico della storia dell’Occidente, riunitili a Werden in numero di 4500, li fece tutti decapitare […]. Noi possiamo rimanere turbati dinanzi ai 4500 prigionieri uccisi, a un popolo e ad un paese devastati per venti anni, a scopo di incivilimento e di conversione. Ma questi grandi giudizi della storia non vanno misurati alla stregua della nostra sensibilità […]. Quanto a Carlomagno, egli non ebbe certo in questo caso né esitazioni, né pentimenti, poiché i colpevoli della rivolta erano venuti meno ad un vincolo sacro […] e poiché non v’era dubbio che incombeva a lui per fede, per tradizione e consacrazione divina, sterminare col suo esercito cristiano e coi suoi missionari il paganesimo ad ora ad ora minaccioso o provocante.
Tali affermazioni vanno confrontate con quanto contenuto in due scritti inediti di Falco pubblicati postumi da Piero Zerbi nel 1967. Gli scritti sono databili tra la fine del 1943 e la metà del 1944, quando Falco era costretto a nascondersi nel monastero di San Paolo fuori le Mura, essendo Roma sotto l’occupazione dell’esercito tedesco. Le sicurezze di un tempo si indeboliscono. La tragedia europea delle dittature e della guerra aveva «reso difficile allo storico la missione di ‘medico dell’anima’ che cura il dolore additando il significato profondo delle cose» (Artifoni 2001). Queste le espressioni falchiane:
Quanto al patimento umano, nessuna generazione della storia può vantare il triste primato della nostra […]. Come sarà consolato, compensato, espiato lo scempio, come sarà placata la giustizia per i milioni di innocenti […] calunniati, scherniti, deportati, straziati, uccisi, per gli ostaggi fucilati, le famiglie disperse, le case distrutte, le fortune annientate?
La risposta non sembrava avere orientamenti positivi né soddisfacenti se si rimaneva fidenti e ancorati a «quella storia che tutto spiega e che, in fondo, giustifica tutto ciò che è accaduto». C’era invece la constatazione che la «crisi europea e mondiale […] toccata in sorte alle nostre generazioni» avesse una forte corrispondenza nell’ambito degli studi storici: «Vi è […] da tempo più di uno studioso di storia educato all’idealismo, che sente la necessità di superare – quando le forze fossero pari all’assunto – la sua dottrina storiografica» (In margine alla vita e alla storia, cit., pp. 92, 94 e segg.).
Così, passata la guerra, ma non esauriti i dubbi e le inquietudini, nel 1953, ripercorrendo il cammino di un uomo di sessantacinque anni in una conferenza presso l’Università di Catania, Falco così concludeva il suo discorso: «Noi riteniamo che la storia sia una cosa non ancora del tutto chiara e che lo storicismo assoluto possa dar luogo anch’esso a qualche difficoltà». Il cristiano Falco vede i limiti dello «storicismo» come «religione dello Spirito […] che sacrifica alla esigenze della ragione le più comuni propensioni dell’anima umana, una religione insomma di uomini forti», schierandosi per i deboli e con i deboli, ossia coloro che non si rassegnano «senza intimo travaglio alla tremenda solidarietà delle generazioni, alla pena che si paga senza personale responsabilità, alla somma d’iniquità e di sofferenze, che dovrebbe trovare la sua soluzione nella dialettica dello Spirito» (Pagine sparse di storia e di vita, cit., pp. 564 e segg.).
Falco amava definirsi «uno di quei pazzi innocui che consumano il tempo a frugare vecchie carte» (Merlo 2008, p. 88): e la passione per i documenti si presenta molto forte nella piena maturità. Quando era «un medievista novizio» aveva avuto «un’animata conversazione» con il suo maestro Fedele, sostenendo che «non v’erano allora in Italia che due storici, Salvemini e Volpe» e ricevendone una risposta spiazzante: «Il più bel libro di storia degli ultimi cinquanta anni era l’edizione dei diplomi dei re d’Italia dello Schiaparelli» (Pagine sparse di storia e di vita, cit., p. 551). Tale affermazione era difficile da condividere per uno storico giovane e promettente, il quale però nel 1943-44 ebbe a scrivere: «Non vi è lettura più suggestiva, per chi sia pratico, d’un buon libro di documenti» (In margine alla vita e alla storia, cit., p. 69). Ne diede prova pochi anni dopo con il saggio La vita portovenerese nel Duecento (1952) e con la collaborazione con Geo Pistarino all’edizione de Il cartulario di Giovanni Giona di Portovenere (secolo XIII) del 1955. Non si scordi che nel 1951 Falco si era trasferito all’Università di Genova e che, nella memoria di un suo allievo genovese, si presentava «già anziano, dalla salute malferma, duramente provato dall’infamia delle leggi razziali» e umiliato dallo sdoppiamento della «sua cattedra torinese di storia medievale, oramai occupata da un altro» (Puncuh 2006, p. 1002).
La presa di distanza dall’idealismo e dallo storicismo assoluto, ovvero dalla storiografia crociana, comporta l’inevitabile ricerca delle peculiarità del mestiere di storico. D’altronde, la fisionomia di storico di Falco non poteva né può essere definita in modo semplice e riduttivo. In proposito valgono ancora le parole di Delio Cantimori:
Nell’opera del Falco convergono e si fondono armonicamente momenti di cultura apparentemente lontani e divergenti: l’indirizzo storiografico erudito-filologico, di lontana origine muratoriana rinnovata attraverso il ‘buon metodo storico’ espresso dal positivismo, l’indirizzo storiografico economico-giuridico, l’ampiezza di visuale e di critica portata dall’idealismo crociano: non senza consapevolezza, in Falco, dei limiti di ognuno di questi e di altri indirizzi storiografici (Cantimori 1967, p. 101).
Di tale ricca personalità di studioso è coinvolgente testimonianza il volume Pagine sparse di storia e di vita, per la cui pubblicazione Falco si rivolse a Mattioli nel 1959 con questa motivazione: «Nell’atto di scendere dalla cattedra per l’ultima volta, m’è nato il desiderio di accomiatarmi in qualche modo dalla scuola, dagli studi e anche un po’ dalla vita» (Merlo 2008, p. 87). Il «qualche modo» consisteva nel «salvare dall’oscurità e dalla dispersione» una serie di scritti pubblicati in varie e disparate occasioni in un unico libro. In esso i contributi sono quarantotto raggruppati in sei sezioni: Note di storia e di erudizione medievale, Appunti sulla cultura del Settecento, Pagine di storia del Risorgimento, Divagazioni, Cose di scuola e Letture. La molteplicità di interessi aveva portato Falco a ritornare su alcuni temi della sua produzione anteriore alla Seconda guerra mondiale, quali il monachesimo, cassinese e non, o gli uomini della Chiesa romana, oppure ad allargare i suoi orizzonti verso Ludovico Antonio Muratori e il 18° sec. e, ancora, su alcune figure (Camillo Benso conte di Cavour, Carlo Pisacane, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi) e momenti (il Quarattotto piemontese e lo Statuto albertino, il moto livornese del 1857) risorgimentali.
Le scelte tematiche erano derivate dalle urgenze del presente, come risulta da una frase falchiana scritta in piena guerra: «Davanti allo spettacolo miserando dell’Italia disfatta ci siamo domandati quale sia stato il valore del Risorgimento», poiché constatava come si fosse «fatto getto delle più preziose conquiste del Risorgimento, libertà, unità, indipendenza» (In margine alla vita e alla storia, cit., pp. 109 e segg.). D’altra parte, nel corso della sua vita a Falco era toccato di scoprire, «con grandissima sorpresa, che le cosiddette libertà civili non erano un bene conquistato una volta per sempre; ma che andavano difese e riconquistate ogni giorno» (Pagine sparse, cit., p. 561). Insomma, così all’Italia come a tutta l’Europa s’imponeva un grandioso sforzo di «restaurazione morale e religiosa» (p. 100), in cui lo studio e la riflessione sul passato – comportanti una nuova ‘attualità’ della stessa Santa Romana Repubblica, come appare pure dalle pagine di Albori d’Europa del 1947 – erano condizioni indispensabili in vista di un nuovo «ordine» europeo e mondiale:
Questa ripresa di coscienza e questo nuovo ordine sono oggi [1944] un’impellente necessità, non tanto perché esistono problemi che solo in sede supernazionale possono trovare la loro soluzione, quanto perché l’Europa è posta nell’alternativa o di ritrovare se stessa e di riprendere la sua via, o di andare dispersa e sommersa dalle grandi forze, che hanno compiuto la sua liberazione (Pagine sparse, cit., p. 536).
Per un elenco completo degli scritti di Giorgio Falco si veda: Bibliografia degli scritti di Giorgio Falco, a cura di A. Sisto, F. Torcellan, «Rivista storica italiana», 1967, 1, pp. 41-66.
La polemica sul Medioevo, Torino 1933, Napoli 19882 (con Introduzione di F. Tessitore).
La Santa Romana Repubblica. Profilo storico del Medio Evo, Milano-Napoli 1942 (con lo pseudonimo Giuseppe Fornaseri), 198610 .
Albori d’Europa. Pagine di storia medievale, Roma 1947.
Pagine sparse di storia e di vita, Milano-Napoli 1960.
In margine alla vita e alla storia (con introduzione di P. Zerbi, Giorgio Falco medioevalista), Milano 1967.
Studi sulla storia del Lazio nel Medioevo, 2 voll., Roma 1988.
D. Cantimori, Conversando di storia, Bari 1967.
V. Vinay, Pretesti della memoria per un maestro, Milano-Napoli 1967 (rist. anast. Spoleto 1993, con Premessa di G. Miccoli).
G. Severino, Giorgio Falco: un medievista nella crisi dell’idealismo storiografico, «La cultura», 1974, 2, pp. 167-220.
O. Capitani, Medioevo passato prossimo. Appunti storiografici: tra due guerre e molte crisi, Bologna 1979.
J.-C. Maire-Vigueur, Nobiltà e popolo nei comuni del Lazio meridionale, in Il Lazio meridionale tra papato e impero al tempo di Enrico VI, Atti del Convegno internazionale, Fiuggi-Guaracino-Montecassino 1986, Roma 1991, pp. 203-13.
E. Artifoni, Giorgio Falco, in L’Università di Torino. Profilo storico e istituzionale, a cura di F. Traniello, Torino 1993, pp. 363-65.
G. Arnaldi, Falco Giorgio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 44° vol., Roma 1994, ad vocem (con bibl. prec.).
P. Cavina, In margine a un rapporto di studio e di vita: alcune lettere di Giorgio Falco a Benedetto Croce, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1998, 15, pp. 633-69.
G. Sergi, La storia medievale, in Storia della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, a cura di I. Lana, Firenze 2000, pp. 359-78.
E. Artifoni, La medievistica in Piemonte nel Novecento e il problema dell’identità regionale, in La cultura del Novecento in Piemonte: un bilancio di fine secolo, Atti del Convegno, 5-8 maggio 1999, San Salvatore Monferrato 2001, pp. 45-56.
P. Cancian, La medievistica, in La città, la storia, il secolo. Cento anni di storiografia a Torino, a cura di A. d’Orsi, Bologna 2001, pp. 135-214.
D. Puncuh, All’ombra della Lanterna. Cinquant’anni tra archivi e biblioteche: 1956-2006, a cura di A. Rovere, M. Calleri, S. Macchiavello, 2 voll., Genova 2006.
C. Capra, Le edizioni settecentesche della Ricciardi milanese, in La casa editrice Riccardo Ricciardi. Cento anni di editoria erudita, Atti della Giornata di studio, Milano 2007, a cura di M. Bologna, Roma 2008, pp. 89-103.
G.G. Merlo, Spazi di storia e di vita nell’editoria ricciardiana, in La casa editrice Riccardo Ricciardi. Cento anni di editoria erudita, Atti della Giornata di studio, Milano 2007, a cura di M. Bologna, Roma 2008, pp. 81-88.
G. Arnaldi, Conoscenza storica e mestiere di storico, Bologna 2010.