FERRARI, Giorgio
Nacque a Cremona nel 1539 o 1540 (cfr. Masetti Zannini, p. 129 n. 82).
Agli inizi della sua carriera lo troviamo a Venezia, dove svolse funzioni prevalentemente editoriali, come attestano le formule delle sottoscrizioni (nel 1571 "sumptibus et expensis" per i tipi di Pietro Deuchino, nel 1573 "ad istanza" per la stampa di Giacomo Simbeni). Come molti altri "uomini del libro" suoi contemporanei, ebbe interessi imprenditoriali alternativamente o contemporaneamente a Venezia e a Roma. A Roma lo troviamo a partire dal 1581, anche se nel 1584 risulta ancora associato a Venezia nella "Societas Magna". Già nel 1573 aveva stipulato una convenzione con il Comune di Roma insieme con i librai Domenico Basa, Brianza Brianzi, Girolamo Franzini, Marco Amadori, Sebastiano De Franceschi e Antonio Lanza per la stampa e lo smercio di libri editi dalla Stamperia del popolo romano. Si può sospettare che per molti anni il F. abbia mirato ad avere in appalto la stamperia che già era stata di Paolo Manuzio e poi di Fabrizio Galletti e Domenico Basa. Nel 1582 infatti ebbe parte preponderante nella citazione in giudizio (fatta anche a nome degli altri componenti della Società dei librai) dello stesso Basa, di Curzio Rossi e di Francesco Carampella, perché notificassero il numero dei volumi dei testi canonici stampati (specie in Francia), la quantità dei torchi ad essi adibiti e le città nelle quali venivano prodotti. I librai non si fidavano infatti del Basa, né degli accordi stretti con Guillaume Rouillé di Lione, circa il rispetto del privilegio della Stamperia del popolo romano.
Alla fine del 1584 le mire dei F. divennero palesi: infatti era imminente un suo accordo con il "Popolo romano" per prendere il posto del Basa, quando i librai Giacomo Tornieri e Francesco Carampella presentarono un'offerta interessante per una "meliorem et laudabiliorem conditionem ad utilitatem Populi". Questo indusse il Consiglio ad una lunga riflessione, che si risolse un anno dopo. Alla fine del 1585 l'atto fu finalmente rogato con il Ferrari. Le richieste degli altri due librai (5.000 scudi in luogo dei 7.000 richiesti dal F.) dovettero sembrare troppo esigue per poter essere rispettate. Il F. si trovò pertanto a dirigere la Stamperia del popolo romano.
Non c'è dubbio che, nonostante le note non certo positive che si possono ricavare dai documenti circa il carattere e l'onestà del F., sotto di lui la stamperia ebbe nuovo impulso e tornò a un livello qualitativo e quantitativo almeno dignitoso. Certo sull'immagine del F. pesano negativamente numerose testimonianze: ad esempio quella resa dal suo ex dipendente Bartolomeo Grassi, libraro al Pellegrino, che nel 1593 lo accusò di frode per avergli venduto tra il 1580 e il 1583 tutti i libri che aveva in magazzino (per un valore di 18.000 scudi) con l'impegno di ritirarsi, libri che di notte si riprendeva, introducendosi di nascosto nel magazzino, e vendeva poi ad altri librai. Anche nella risoluzione degli obblighi verso il "Popolo romano" non pare che il F. fosse un esempio di puntualità e onestà, se ancora due anni dopo la stipula della convenzione non aveva versato la cauzione e fatto l'inventario dei libri ricevuti. Altra testimonianza negativa è quella di Antonio Lanza, sempre nella causa intentata dal Grassi: il libraio affermò che il F. non teneva fede agli impegni presi con il "Popolo romano", quali quello di far lavorare due torchi (mentre ne era stato attivo a stento uno) o di non fare società con altri, mentre si era messo con "Gennaro (Zenaro) ed altri" a Venezia; inoltre non aveva tenuto distinta la sua amministrazione da quella del Popolo romano (teneva in affitto un magazzino a 10 scudi l'anno, mentre ne metteva in conto 20 all'amministrazione del Comune, e faceva stampare più copie di quante ne dichiarava vendendole poi sotto banco).
Date queste premesse, nonostante la notevole attività che si sviluppò sotto la direzione del F., non vi furono notevoli incrementi nelle entrate della Stamperia del popolo romano. Fu anche per questo che il Comune, che già nel 1590 lo aveva citato davanti al tribunale del cardinale A. M. Salviati, in seguito al bilancio presentato nel 1593, fece interrompere l'attività della stamperia, che non pubblicò più edizioni per due anni (a fronte della cinquantina apparse nel periodo precedente). Nel 1595 le pubblicazioni ripresero, segno che la causa intentata contro il F. si era per qualche motivo insabbiata. Ma la ripresa fu breve e stanca. Nel 1598, anche in seguito alla nascita della tipografia della Camera apostolica, la Stamperia dei popolo romano scomparve silenziosamente, senza che vi fosse un atto ufficiale che ne sancisse in qualche modo la fine.
Il F. continuò la sua attività fino ai primi anni del Seicento, se è vero che nel 1606 ripubblicò un'opera di Antonio Scappi, che aveva già stampato nel 1592. Dovette morire poco dopo a Roma.
Data la posizione assunta nell'ambito della Stamperia del popolo romano, è ovvio che la produzione dei F. sia perfettamente inquadrata nel clima controriformistico della Roma della fine del Cinquecento. La prima edizione sottoscritta da lui "in aedibus Populi Romani" è la Summa theologiae di Tommaso d'Aquino, ma non mancano Luis de Granada e altri campioni del cattolicesimo ortodosso, quali Nicolas Aymeric, e magari gesuiti come Benito Perera. Nell'ambito della stamperia del Popolo romano, la produzione del F. si concluse con la stampa, nel periodo seguito all'interruzione degli anni 1593-94, di alcune opere di Giovanni Botero, tra le quali la prima edizione delle Aggiunte fatte alla Ragion di Stato, che fu l'ultima sua in assoluto (1598).
Più difficile invece quantificare e caratterizzare l'attività del F. prima e al di fuori dell'azienda fondata da Paolo Manuzio. Dal censimento delle cinquecentine romane dell'Ascarelli si possono ricavare una quindicina di edizioni stampate dal F. a Roma prima di assumere la direzione della stamperia del Popolo romano, tra il 1581 e il 1584. Tra queste spiccano numerose opere di Martino de Azpilcueta (non meno di cinque titoli in latino, italiano e spagnolo), nelle sottoscrizioni delle quali troviamo attestato il possesso da parte del F. di una tipografia a Roma almeno a partire dal 1581. Inoltre risulta chiara da queste edizioni una stretta collaborazione con l'editore Vincenzo Accolti. Del periodo di interruzione della attività del F. presso la Stamperia del popolo romano si conosce soltanto un opuscolo, contenente le Stanze di Torquato Tasso, stampato nel 1593
Bibl.: E. Pastorello, Tipografi, editori librai a Venezia nel sec. XVI, Firenze 1924, pp. 35 s.;A. M. Giorgetti Vichi, Ann. della Stamperia del Popolo Romano (1570-1598), Roma 1959, pp. 53-63, 105-127;F. Ascarelli, Le cinquecentine romane. Censimento delle ediz. romane del XVI sec. possedute dalle Bibl. di Roma, Milano 1972, pp. 340 s.;G. L. Masetti Zannini, Stampatori e librai a Roma nella seconda metà del Cinquecento, Roma 1980, ad Ind.;F. Ascarelli-M. Menato, La tipografia del '500 in Italia, Firenze 1989, ad Indicem.