FRANCHETTI, Giorgio (Giorgio Gioacchino)
Nacque a Torino il 18 genn. 1865 dal barone Raimondo e da Luisa Sara Rothschild.
Il padre avrebbe voluto che il F., il minore dei suoi tre figli, si dedicasse alla cura degli affari familiari dopo che il maggiore, Alberto, aveva intrapreso gli studi di musica, divenendo un valente compositore, e il secondo, Edoardo, la carriera diplomatica. Il F., tuttavia, era di carattere molto diverso da quello paterno; condivideva con la madre, cresciuta a Vienna in un ambiente raffinato e intellettuale, l'amore per la musica, per gli oggetti d'arte, per la letteratura. L'influsso materno fece del F. un raffinato collezionista di opere d'arte, ma anche un pianista e scrittore di musica sebbene la sua attività in questo campo sia tramandata esclusivamente dalle testimonianze, piuttosto imprecise, dello stesso Franchetti.
Terminati gli studi all'Accademia militare di Torino, il F. si trasferì prima a Dresda, seguendo il fratello Alberto, e poi a Monaco, dove iniziò a prendere lezioni di piano. Nella città bavarese conobbe la giovane baronessa Maria Hornstein Hohenstoffeln, che sposò nel 1890.
Il disaccordo col padre lo teneva ormai lontano da casa e in condizioni economiche non floride. Tuttavia, il suo interesse per la raccolta di oggetti d'arte si manifestò proprio in quel periodo, quando fece acquisti di arredamento (alcuni tappeti turchi e un pregevole arazzo fiammingo del XVI secolo, tessuto su un cartone ancora tardogotico). Di pari passo progrediva il suo interesse per la musica, che lo aveva portato a comporre un concerto per pianoforte e orchestra, eseguito a Monaco.
Nel 1890 decise di trasferirsi a Firenze per seguire le lezioni del musicista G. Buonamici. Nell'ambiente fiorentino, dove in quel momento fervevano gli interessi dei collezionisti e le ricerche degli studiosi di tutto il mondo sull'arte toscana del Rinascimento, il F. iniziò a collezionare oggetti d'arte più sistematicamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Insieme con la moglie, usufruendo del non cospicuo lascito avuto in eredità dal nonno paterno, raccolse dipinti di artisti toscani del Rinascimento, ma anche di minori "primitivi", la cui riscoperta in quegli anni aveva provocato la corsa all'acquisto dei maggiori collezionisti e dei musei stranieri.
Il F. non aveva alle spalle una grande disponibilità finanziaria e i suoi acquisti, spesso frutto di occasioni colte al volo, da piccoli antiquari, dettate qualche volta più dall'istintiva attrazione per un certo pezzo che dalla consapevolezza del suo valore o dal nome dell'artista, rivelano la matrice emozionale dell'acquisizione, molto distante dalle valutazioni tecniche di William Bode, direttore del Kaiser-Friederich-Museum di Berlino, o di Bernard Berenson, consulente dei musei americani.
Dopo la nascita nel 1891 del primo figlio, Luigi, i rapporti con il padre andarono migliorando e il F. decise di tornare a Venezia, nella casa di proprietà di famiglia, il grande palazzo Cavalli a S. Vidal, sul Canal Grande. Dopo averlo acquistato, i Franchetti avevano fatto eseguire lavori di ristrutturazione dell'edificio che ne avevano profondamemente alterato l'originaria struttura gotica. Il F. non condivideva queste scelte e la sua decisione di trasferirsi in una piccola abitazione dall'altra parte del campo dovette essere dettata dalla difficoltà di adattarsi a spazi che sentiva profondamente estranei.
Nel 1894, venuto a sapere che il palazzo della Ca' d'oro era in vendita, dopo molte esitazioni dovute al cattivo stato di conservazione dell'immobile, passato in più mani e profondamente alterato dalle divisioni in appartamenti, il F. decise di acquistarlo, impegnandosi poi nella non facile impresa di restituire all'edificio l'originario aspetto quattrocentesco.
Da questo momento la storia della sua vita e la storia del restauro della Ca' d'oro diventano inscindibili. Nella vendita era sparita, alienata a parte, la Vera da pozzo di Bartolomeo Buon, che il F. rintracciò e ricomprò a Parigi da un antiquario. Il F. considerava la Ca' d'oro non un palazzo d'abitazione, ma, con una modernissima concezione del bene artistico, opera d'arte da musealizzare come tale, e museo essa stessa. Il F. seguì personalmente i lavori di restauro. Demolite le superfetazioni, ritrovati nella costruzione una parte dei frammenti originari e ricostruiti i pezzi mancanti con marmi antichi rintracciati nelle botteghe dei tagliapietra, venne ripristinata la scala esterna che dal cortile portava al portico del primo piano. Per l'accesso al secondo piano il F. riuscì a ottenere la concessione da parte del Comune di una scala di legno gotica, proveniente dalla casa dell'Agnella posta a S. Maria Mater Domini, che in qualche modo doveva essere affine alle originarie scale del palazzo.
Alla volontà di effettuare un restauro il più possibile fedele alle forme originarie dell'edificio il F. affiancò elementi nuovi che certamente non avrebbero potuto costituire l'arredo di una casa gotica, cosa di cui era perfettamente consapevole. In questa operazione fu sostenuto dal suo raffinatissimo gusto, dalla scelta di materiali preziosi e rari e dal lavoro di maestranze qualificate. Si dedicò alla decorazione del portico del pianterreno, dove fece rivestire le pareti di marmi rossi e pietra d'Istria distribuiti secondo un disegno geometrizzante; fece costruire il grande mosaico pavimentale, adoperando marmi romani antichi e tardoantichi - per procurarsi i quali comperava dagli antiquari romani intere colonne e vasche, i cui resti si conservano ancora in un deposito del Museo - oltre a elementi architettonici vari che vennero composti secondo un disegno ispirato ai mosaici marciani ma anche a mosaici pavimentali romani. Dal Museo archeologico di Venezia riuscì a farsi concedere in deposito alcuni pezzi da accostare nel portico alle sculture che lui stesso aveva acquistato, tra cui un Busto di giovane, copia romana da un marmo greco.
Di pari passo accanto al restauro continuò a incrementare la collezione con l'acquisto di opere rilevanti. Tra queste il S. Sebastiano di A. Mantegna, rintracciato nella raccolta Scarpa di Motta di Livenza, per il quale il F. fece costruire una fastosa cappella, ispirata all'architettura lombardesca di S. Maria Mater Domini, rivestita di marmi rari e con il soffitto cassettonato proveniente da un altro edificio. Acquistò inoltre una serie di dipinti veneti e lombardi del XV e XVI secolo, come la Venere allo specchio attribuita a Tiziano, la Venere dormiente con amorino di Paris Bordone, rintracciata in una collezione privata milanese, e dipinti di manieristi toscani come il Pontormo o G. Macchietti. Il raggio degli interessi del F. era molto ampio e così accanto alle opere italiane, tra cui spiccano ancora due vedute di F. Guardi, compaiono dipinti fiamminghi, come il Ritratto di gentiluomo di Anton van Dyck, la Crocefissione di Jan van Eyck o il S. Gerolamo in un paesaggio di Joachim Patinier, accanto a molti esemplari di arredamento o di arti applicate.
Lo sforzo per il restauro fu notevolissimo e, per alcuni anni, il F. sospese l'impresa. Tuttavia il 19 maggio 1916, ottenuta la donazione della Ca' d'oro e delle sue collezioni, lo Stato italiano lo affiancò nell'opera. Si ripresero quindi con grande energia i lavori e fu acquistato l'attiguo palazzo Duodo, dove il F. intendeva inserire gli uffici e i servizi del Museo e dove egli stesso andò ad abitare. Nel suo lavoro fu consigliato, tra gli altri, da Gabriele D'Annunzio, che ricorda spesso nelle sue lettere la Ca' d'oro e il barone, e da Mariano Fortuny y Madrazo.
Nell'allestimento della Ca' d'oro il F. non ripropose le scenografie d'ambiente che negli stessi anni caratterizzavano gli allestimenti di molti musei italiani; intese lasciare maggior respiro possibile ai pezzi della collezione, che non dovevano essere accostati secondo freddi criteri geografici, di scuola o cronologici, ma esposti in modo tale che fosse mantenuto e chiaramente percepito il carattere di raccolta privata "che un gentiluomo ha messo insieme per sé e per gli amici", senza che "nessun numero o mutevole cartellino" potesse distrarre da un'ambientazione tanto raffinata (Fogolari, 1926-27).
Gravemente malato, il F. morì suicida a Venezia il 17 dic. 1922.
L'anno seguente le ceneri furono riposte nel cortile della Ca' d'oro. Completati i lavori e integrata la raccolta con l'arrivo di opere d'arte di diversa provenienza, la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'oro fu ufficialmente inaugurata il 18 genn. 1927.
Fonti e Bibl.: C. Gamba, La Ca' d'oro e la Collezione Franchetti, in Boll. d'arte, X (1916), pp. 321-334; G. Fogolari, Inaugurazione della R. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'oro, ibid., s. 2, VI (1926-27), pp. 378-384; G. Fogolari - U. Nebbia - V. Moschini, La R. Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'oro, Venezia 1929, pp. 1-20; G. Fogolari, The Giorgio Franchetti Gallery in the Ca' d'oro in Venice, Roma 1950, pp. 1-5; F. Valcanover, Ca' d'oro. La Galleria Giorgio Franchetti, Milano 1986, pp. 7 s. e passim; S. Moschini Marconi, Galleria Giorgio Franchetti alla Ca' d'oro, Roma 1992, pp. 3-6.