Giorgio Fuà
È difficile racchiudere in un breve quadro rappresentativo la personalità, l’attività, il pensiero di Giorgio Fuà. Viene in soccorso la sua Nota autobiografica (in Trasformazioni dell’economia e della società italiana. Studi in onore di Giorgio Fuà, a cura del Gruppo di Ancona, 1999, pp. 497-500), che in sole tre pagine offre una mirabile sintesi delle principali tappe della sua carriera. I contributi di Fuà si distinguono per un costante impegno innovativo sui vari fronti delle realizzazioni, del metodo, della formazione e della ricerca. Impegno profuso in tutto l’arco della sua vita, nel ruolo che si è attribuito di «imprenditore culturale», svolto con coerenza e lucidità.
Fuà nasce ad Ancona il 19 maggio 1919. La sua formazione viene forgiata dalle difficoltà che ha dovuto superare per portare a compimento gli studi universitari e dalle prime importanti esperienze di lavoro. La formazione universitaria appartiene al periodo 1937-1941, anni difficili e travagliati per un giovane ebreo, espulso dalla Scuola Normale di Pisa per le leggi razziali del 1938. Ciò nonostante, Fuà consegue il dottorato in economia politica nel 1940 a Losanna, come rifugiato, e nel 1941 si laurea in scienze politiche anche a Pisa, come «esterno». Nel 1942 è un giovanissimo docente all’università ebraica di Milano, affiancando prestigiosi studiosi come Renzo Fubini, Gino Luzzatto, Mario Falco, che non potevano insegnare nelle università di Stato perché ebrei. Nel 1947 inizia la sua esperienza di docente, come professore incaricato di statistica economica all’Università di Pisa fino al 1950.
Altrettanto formative sono le sue esperienze di lavoro, a contatto con alcuni grandi leader: Adriano Olivetti a Ivrea, Gunnar Myrdal alla sede di Ginevra dell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Enrico Mattei all’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi). Proprio quest’ultima esperienza, come consigliere economico del presidente Mattei, è fondamentale, perché poco più che trentenne egli ha la responsabilità di gestire un ufficio studi, dal 1954 fino al 1962. Sperimenta così l’importanza di coordinare lavori di gruppo, scegliendo giovani collaboratori brillanti che poi si affermeranno, tra i quali Luigi Spaventa, Giorgio Ruffolo, Sabino Cassese, Paolo Leon.
Nel 1960 vince il concorso a cattedra di politica economica e rientra ad Ancona, dove risiede per il resto della sua vita. Inizia la prestigiosa carriera di professore universitario contribuendo a fondare nella sua città natale la facoltà di Economia, allora sede distaccata dell’Università di Urbino. Nel 1967 fonda l’ISTAO (Istituto Superiore di Studi Economici Adriano Olivetti, dal 1971 Istituto Adriano Olivetti di Studi per la Gestione dell’Economia e delle Aziende), uno dei primi istituti di formazione postlaurea in Italia. Nel triennio 1983-1986 assume la carica di presidente della Società italiana degli economisti, impegnandosi a riorganizzarla su basi nuove. Nel 1988 fonda e presiede l’Associazione per la collaborazione tra gli economisti di lingua neolatina. Muore ad Ancona il 13 settembre 2000.
Ad Ancona Fuà coglie l’opportunità di mettere a frutto le sue esperienze formative, impegnandosi con slancio imprenditoriale nella selezione dei docenti, nell’adozione di forme innovative di insegnamento, nella formazione di un gruppo locale di ricercatori da avviare alla carriera accademica. Fonda una scuola di economia che sin dal primo decennio, negli anni Sessanta, si afferma come centro di eccellenza nella formazione e nella ricerca, realizzando un investimento in capitale umano tra i più interessanti in campo universitario (Alessandrini, Crivellini 2008). La figura alla quale si ispira e alla quale attribuisce importanza fondamentale per lo sviluppo economico e sociale è l’imprenditore-leader «che considera propria missione quella di formare, guidare, sviluppare un gruppo di persone facendole sentire partecipi di un’operazione creativa comune della quale essere tutte orgogliose» (Presentazione, in ISTAO 1997, p. 6). È il modello che ha conosciuto nelle sue esperienze di lavoro e che con coerenza interpreta in prima persona nei quattro decenni della propria attività accademica.
La portata innovativa del suo lavoro formativo e scientifico si distingue per scelte di fondo spesso compiute in controtendenza rispetto agli orientamenti allora dominanti o in anticipo rispetto agli sviluppi futuri negli studi universitari italiani. Con coraggio e lungimiranza, Fuà investe energie intellettuali e organizzative in una sede periferica, senza tradizioni universitarie, in controtendenza rispetto all’attrazione esercitata sui professori universitari dalle sedi centrali più prestigiose (soprattutto Roma e Milano), ritenute in grado di offrire maggiori opportunità e onori. L’investimento in periferia si rivela ben presto proficuo, come luogo ideale per innovare e sperimentare, mettendo in pratica i principi della specializzazione flessibile, del laboratorio artigianale e della comunità scientifica interdisciplinare. Fanno leva una serie di fattori permissivi di successo.
In primo luogo, lo stimolo a innovare viene favorito dalla realtà circostante, che sin dagli anni Sessanta presenta i fermenti di una regione, le Marche, in fase di decollo economico, grazie a un nuovo modello di sviluppo non programmato, radicato nel territorio, sulla spinta propulsiva delle piccole e medie imprese in piena osmosi con la struttura sociale locale. Da osservatorio periferico, Ancona diviene un osservatorio privilegiato che convince Fuà a cambiare radicalmente idea rispetto alla proposta, fatta al suo arrivo, di puntare sugli investimenti delle grandi imprese e, in particolare, delle partecipazioni statali per attivare lo sviluppo della regione. Con l’attenzione per il territorio e l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, registra il successo dello sviluppo endogeno delle regioni dell’area NEC (Nord-Est-Centro) «con risultati probabilmente migliori di quelli che si sarebbero potuti ottenere importando risorse e modelli dall’esterno» (L’industrializzazione del Nord Est e del Centro, in Industrializzazione senza fratture, a cura di G. Fuà, C. Zacchia, 1983, p. 41). Entra così in sintonia con le contemporanee analisi di Giacomo Becattini sulla Toscana, Sebastiano Brusco sull’Emilia-Romagna e Arnaldo Bagnasco sulla ‘terza Italia’. A differenza dei primi due, che diventano i riconosciuti capiscuola degli studi sui distretti, Fuà non si rifà esplicitamente al modello distrettuale, ma conia il concetto meno circoscritto di ‘industrializzazione diffusa senza fratture’.
Una seconda convergenza di fattori permissivi viene dalla mancanza di tradizioni universitarie nella città di Ancona, situazione che offre i vantaggi dell’assenza di vincoli accademici precostituiti e della presenza dell’entusiasmo fattivo della comunità locale, ai quali si accompagna la flessibilità organizzativa della Libera università di Urbino, non statale, sulla spinta del rettore Carlo Bo che crede in questa nuova sede distaccata. Sotto la guida di Fuà, la facoltà di Economia e commercio viene impostata su un modello che punta alla qualità e al merito e, per la prima volta in Italia, vengono offerti due percorsi formativi, uno economico-sociale e l’altro economico-aziendale. Viene così anticipata la liberalizzazione dei corsi di studio che le successive leggi universitarie ratificheranno. Una liberalizzazione controllata e coordinata ben lontana dall’attuale eccessiva proliferazione delle lauree con indirizzi specialistici.
Un’altra realizzazione innovativa promossa da Fuà è la fondazione dell’ISTAO, che nasce come corso pilota per la formazione postuniversitaria di economisti, per iniziativa del Social science research council e della Fondazione Olivetti. Il problema da risolvere era la mancanza di una formazione specifica per economisti, vista la preparazione generale, di tipo interdisciplinare, fornita dalle facoltà di Economia e commercio. Anziché affrontare il difficile compito di riformare la facoltà, Fuà propone di istituire una scuola postlaurea più mirata negli obiettivi e più contenuta nel numero degli allievi. In quel momento si tratta di un’iniziativa pionieristica che anticipa l’articolazione dei percorsi universitari su più livelli, sistema diffuso all’estero e recepito solo in questi ultimi anni dall’università italiana, prima con il dottorato di ricerca poi con i master e le lauree magistrali.
L’ISTAO si distingue subito in campo nazionale per l’originalità della struttura organizzativa, degli obiettivi e delle modalità di gestione. Diviene il luogo ideale per la sperimentazione innovativa fermamente perseguita da Fuà, basata su un numero ridotto di allievi, rigorosamente selezionati all’ingresso in base alle attitudini e alle motivazioni, su metodi e programmi più avanzati e attentamente coordinati e sulla continua valutazione dei risultati e dei miglioramenti da introdurre. È molto significativo portare l’attenzione sul volume dell’ISTAO Una scuola imprenditoriale sul modello Adriano Olivetti (1997), nel quale si registrano trent’anni di attività dell’istituto e che si apre in tono dichiaratamente dimesso: «nessuna pretesa da parte nostra di produrre un libro di gradevole lettura». Ma già a una prima attenta valutazione se ne apprezza l’impostazione intelligente e l’utilità di una documentazione essenziale e completa. È l’ultimo volume che Fuà concepisce e realizza. Non lo firma e lo dedica significativamente a Olivetti, uno dei suoi maestri. Ma lo stile inconfondibile di Fuà appare sin dalle tre pagine della Presentazione, dove con la proverbiale dote di sintesi egli racchiude e chiaramente trasmette il distillato del grande disegno formativo di questa scuola, originale e per molti aspetti irripetibile.
L’enfasi viene posta sulla formazione di economisti operativi, con una preparazione ampia, «a 360 gradi», e flessibile, in evidente contrasto con la specializzazione spinta che prevale nella formazione e nella ricerca attuale. L’obiettivo fuaiano è sviluppare negli allievi lo spirito di iniziativa e la capacità di assumersi le responsabilità. Questi sono i requisiti indispensabili ad acquisire una mentalità imprenditoriale, necessaria a tutti i livelli, sia delle imprese, piccole o grandi, sia delle istituzioni, nazionali o locali. Il metodo prescelto è quello del laboratorio artigianale, nel quale non si impara solo dai testi (spesso pensati per realtà diverse, soprattutto straniere) e non si apprendono solo le tecniche e le strategie, ma ci si occupa di problemi concreti utilizzando le testimonianze dirette degli imprenditori e degli operatori privati e pubblici e collaborando attivamente alla soluzione di casi e alla redazione di progetti specifici:
L’ISTAO applica metodi e tecniche di formazione in cui la formula ‘apprendere producendo’ prevale (senza però escluderla) su quella ‘apprendere ascoltando lezioni’. Ci si ispira, in un certo senso, all’antico modello della bottega artigiana (Presentazione, cit., p. 6).
La riconosciuta importanza di Fuà come economista non si limita alle realizzazioni e all’impegno didattico. Si estende alle particolarità del metodo di ricerca e alla rilevanza dei temi trattati. Secondo la più nobile tradizione degli economisti classici, Fuà ha interpretato il ruolo di scienziato sociale, impegnato a occuparsi dei grandi temi della società, per contribuire a migliorare il benessere collettivo. Ritiene che sia questo l’obiettivo con il quale l’economista acquista la sua funzione sociale. L’economista utile si deve impegnare a capire i meccanismi economico-sociali e a farsi capire con un linguaggio stringato e chiaro.
La capacità di sintesi è una caratteristica distintiva dei suoi scritti, che sono brevi, ma densi di significati ed esposti con la massima chiarezza. Sfrondare i testi di ogni elemento inessenziale ha costituito un costante impegno nella sua produzione scientifica, anche al rischio «che qualcuno giudichi superficiale lo studio e banale la conclusione, ma è un rischio che affronto deliberatamente» (Nota autobiografica, cit., p. 499). Obiettivo sorretto dalla propensione alla smitizzazione, che lo porta a definire «libretti» i suoi libri, «pianino» il piano economico redatto per l’ENI, «modellaccio» il modello econometrico per la previsione di medio periodo (Il “Modellaccio”: modello dell’economia italiana elaborato dal gruppo di Ancona, a cura di G. Fuà, 1976).
Secondo Fuà, l’economista dev’essere consapevole di avere a disposizione strumenti imperfetti e limitati rispetto alla complessità e all’ampiezza del proprio campo di ricerca. Nell’illusione di aggirare questi limiti, non deve cadere nella facile tentazione di rifugiarsi nelle schematizzazioni semplificate dei modelli matematici, lontani dalla realtà, oppure nelle specializzazioni sempre più spinte che circoscrivono la visione dell’economia entro campi ristretti. Questa tendenza, purtroppo sempre più dominante, determina l’autoemarginazione degli economisti entro temi di ricerca puramente accademici, lasciando spazio per un ruolo attivo all’interno della società ad altri scienziati sociali, meno sofisticati, ma più pragmatici. Fuà si è incessantemente battuto affinché la professione dell’economista non diventi sterilmente fine a se stessa e mantenga una centralità interpretativa e propositiva sui grandi temi della società. Consapevole dei limiti degli strumenti che usa, l’economista deve costantemente impegnarsi a migliorarli, e deve adottare un approccio interdisciplinare, interagendo con altri scienziati sociali (demografi, sociologi, giuristi, aziendalisti, statistici, storici), se vuole cogliere a fondo le determinanti dello sviluppo e del benessere collettivo.
Nell’ambivalenza tra l’ambizione di mantenere un ruolo centrale sui problemi fondamentali e l’umiltà di non poter vantare una supremazia interpretativa, si racchiude «il fascino e la scomodità del mestiere di economista politico». Con questo incipit Fuà apre il testo Crescita, benessere e compiti dell’economia politica, pubblicato nel 1994, che assume il significato di un testamento ideale, molto istruttivo, a chiusura della sua lunga attività scientifica che si è protratta per mezzo secolo. Come giustamente notano Massimo Tamberi (in Trasformazioni dell’economia e della società italiana, 1999) e Paolo Sylos Labini (2002), è sorprendente riscontrare come il metodo e il percorso di ricerca siano già esplicitati con chiarezza nei suoi primi contributi giovanili e siano stati portati avanti con coerenza e determinazione in tutto l’arco della sua carriera. Nella tesi di dottorato a Losanna, scritta in francese a soli 21 anni, su Population et bien-être (1940), sono già presenti due dei temi fondamentali della sua futura attività di ricerca: l’evoluzione demografica e i livelli di benessere e di sviluppo economico. Questo suo primo contributo si chiude con una chiara scelta metodologica: «Si la possibilité m’était offerte à l’avenir de m’adonner encore à mes recerches préférées, c’est sur le terrain concret que je le poursuivrais» (p. 133).
Non è casuale che l’anno successivo Fuà discuta la tesi di laurea a Pisa affrontando il tema di Come misurare il livello di vita di una collettività. E ancora, cinquantadue anni dopo, chiude i suoi numerosi contributi scientifici con il «libretto» Crescita economica. Le insidie delle cifre (1993), in piena coerenza con la sua impostazione metodologica di attenzione agli strumenti di misurazione del benessere, per capirne a fondo l’effettiva capacità di rappresentazione dei processi di sviluppo; rispetto a mezzo secolo prima, Fuà registra l’evoluzione che ha reso più sfumato l’obiettivo del benessere collettivo:
Nei paesi ricchi […] dobbiamo smettere di privilegiare il tradizionale tema della quantità di merce prodotta e dedicare maggiore attenzione ad altri temi, che non possono più essere considerati secondari dal punto di vista del benessere collettivo (p. 107).
Tra tali nuovi temi vanno presi in considerazione valori quali l’ambiente, il paesaggio, la cultura, la soddisfazione sul lavoro, la formazione del capitale umano. Questo più ampio sistema di valori non può essere rappresentato dal PIL (Prodotto Interno Lordo), che misura soltanto i valori di mercato, oltretutto con crescente difficoltà nelle economie avanzate nelle quali prevale il peso economico e sociale dei servizi e della produzione di beni immateriali, difficili da valutare.
Su questo fronte va attribuito a Fuà il grande merito di avere anticipato l’attuale tendenza che riconosce la necessità di superare i limiti del PIL come misura rappresentativa della crescita economica e sociale di una collettività.
La capacità di Fuà di sviluppare temi di ricerca in controtendenza rispetto ai contemporanei e in anticipo rispetto agli interessi scientifici futuri si estende su diversi altri aspetti. I campi esplorati restano centrati sul processo di sviluppo, ma con approfondimenti riguardanti le cause, i ritardi, gli squilibri territoriali, la distribuzione personale e settoriale dei redditi, i legami con l’evoluzione demografica, con particolare riferimento all’invecchiamento della popolazione e ai flussi migratori, alle interazioni con i livelli occupazionali, con le capacità organizzative e imprenditoriali. I punti di riferimento sono i vincoli strutturali e istituzionali e l’individuazione dei movimenti di lungo periodo, badando a non disperdere l’insegnamento che si può trarre dalla prospettiva storica. Il merito di Fuà è quello di recuperare e mantenere viva l’attenzione su problemi a lungo trascurati dagli economisti (ma successivamente tornati in auge), quali la popolazione e i suoi movimenti, la formazione e il capitale umano, il ruolo dell’imprenditore, il regionalismo e i sistemi locali di piccole e medie imprese. Le tappe fondamentali del suo percorso scientifico sono segnate da diverse importanti ricerche, che egli progetta e organizza prevalentemente come lavori di gruppo.
Nei primi anni Settanta promuove la costruzione di un modello econometrico dell’economia italiana per le previsioni di medio periodo che, come detto, egli stesso definisce in modo bizzarro ma significativo il «modellaccio». A metà dello stesso decennio avvia e coordina un’altra ricerca di gruppo sull’utilizzazione della forza lavoro in Italia, che mette in rilievo la persistenza di marcati squilibri strutturali nelle capacità imprenditive, organizzative e tecnologiche e il dualismo che ne consegue tra occupazione regolare e irregolare. Questi risultati sono presentati nel mirabile «libretto» Occupazione e capacità produttive. La realtà italiana (1976), successivamente affiancato da una serie di sei volumi che raccolgono la notevole massa di studi di base e di approfondimento svolti dai numerosi ricercatori che hanno collaborato al progetto (Occupazione e capacità produttive. Confronti internazionali: ricerche di economia applicata del Gruppo di Ancona, a cura di P. Alessandrini, 1978).
Alla capacità di cogliere i problemi più rilevanti, anche in anticipo sui tempi di maturazione della comunità scientifica, si accompagna un continuo lavoro di adattamento critico sulla rilevanza dei risultati ottenuti e degli strumenti utilizzati. Una prova evidente viene fornita da un terzo lavoro di gruppo, Lo sviluppo economico in Italia. È il primo in ordine di tempo, perché avviato negli anni Sessanta, ma viene portato a termine da Fuà soltanto dodici anni dopo la pubblicazione (1969) dei primi due volumi di ricerche specifiche (il 2° e il 3° nella numerazione dell’opera):
Nel 1969 […] mi posi all’opera per tracciare un quadro d’insieme che abbracciasse il tutto ma ben presto mi imbattei in dubbi che imponevano nuove ricerche. Cominciai così un avventuroso itinerario (Lavoro e reddito, 1° vol. di Lo sviluppo economico in Italia. Storia dell’economia italiana negli ultimi cento anni, a cura di G. Fuà, 1981, p. 13).
Itinerario che trova una via di uscita attraverso il libro Problemi dello sviluppo tardivo in Europa (1980), frutto di una ricerca coordinata da Fuà presso l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), nel quale si mettono in evidenza i problemi strutturali che accomunano l’Italia e gli altri Paesi mediterranei a sviluppo più recente (Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, Turchia) e che li rende diversi dai Paesi a sviluppo più antico. Alla diffusione di questa consapevolezza e delle sue implicazioni in termini di forme comuni di cooperazione tra Paesi ritardatari e di adattamento delle politiche di sviluppo alle loro esigenze specifiche, Fuà dedica molte energie, spesso controcorrente rispetto alle opinioni comuni. La principale conclusione alla quale giunge, che diviene una costante del suo pensiero, è che ciascun Paese deve adattare il proprio modello di sviluppo alle proprie caratteristiche, senza necessariamente seguire il sentiero percorso dai Paesi più avanzati con l’obiettivo di raggiungerli in una gara di inseguimento che può essere velleitaria o controproducente:
Dobbiamo acquistare piena coscienza del notevole divario che ancora permane e della sorte specifica di un paese che ha iniziato il suo sviluppo economico moderno solo in epoca relativamente recente […]: la specificità cui mi riferisco significa infatti che un paese che ha cominciato a svilupparsi dopo gli altri è destinato ad avere uno sviluppo diverso da quelli che lo hanno preceduto, non però che deve averlo peggiore (Lavoro e reddito, cit., p. 14).
Con questa nuova convinzione, maturata «in conseguenza delle mie nuove esperienze e dei ripensamenti connessi», riprende e conclude la ricerca sullo sviluppo italiano, dando un raro insegnamento di onestà intellettuale e serietà critica.
Nei successivi quindici anni, l’attività di ricerca guidata da Fuà si concentra sugli aspetti territoriali dello sviluppo, con due importanti ricerche di gruppo: Industrializzazione senza fratture (a cura di G. Fuà, C. Zacchia, 1983) e Orientamenti per la politica del territorio (a cura di G. Fuà, 1991). La prima affronta il tema dell’industrializzazione diffusa nel territorio, che è tipica delle regioni della citata area NEC, a sviluppo prevalentemente endogeno basato su sistemi di piccole imprese. La seconda fornisce indicazioni sulle politiche per la diffusione territoriale dello sviluppo.
Oltre all’importanza dei temi trattati, il carattere distintivo dell’impegno scientifico di Fuà risiede nella sua straordinaria capacità di coordinamento attivo dei gruppi di ricerca. I collaboratori, che sceglie accuratamente per competenza e affinità, hanno i benefici di partecipare a un grande progetto, di avere il costante stimolo delle sue intuizioni, di superare il severo vaglio del suo attento giudizio. Il volume collettivo (Trasformazioni dell’economia e della società italiana. Studi in onore di Giorgio Fuà), redatto nel 1999 dai suoi allievi del Gruppo di Ancona in occasione del suo ottantesimo compleanno, con l’apporto di numerosi studiosi (economisti, aziendalisti, demografi, sociologi, statistici, geografi) e arricchito da un’antologia delle sue pagine esemplari, testimonia a consuntivo il grande movimento di idee e di contributi che Fuà ha saputo promuovere e gestire intorno a sé.
Population et bien-être. La conception économique de l’optimum du peuplement, Lausanne 1940.
Reddito nazionale e politica economica, Torino 1957.
Lo Stato e il risparmio privato, Torino 1961, 19702.
G. Fuà, P. Sylos Labini, Idee per la programmazione economica, Bari 1963.
Notes on Italian economic growth: 1861-1964, Milano 1965.
Occupazione e capacità produttive. La realtà italiana, Bologna 1976.
Il “Modellaccio”: modello dell’economia italiana elaborato dal gruppo di Ancona, a cura di G. Fuà, 4 voll., Milano 1976-1977.
Problemi dello sviluppo tardivo in Europa, Bologna 1980, 19852.
Lo sviluppo economico in Italia. Storia dell’economia italiana negli ultimi cento anni, a cura di G. Fuà, 1° vol., Lavoro e reddito, Milano 1981.
Industrializzazione senza fratture, a cura di G. Fuà, C. Zacchia, Bologna 1983 (in partic. G. Fuà, L’industrializzazione del Nord Est e del Centro, pp. 7-46).
Conseguenze economiche dell’evoluzione demografica, a cura di G. Fuà, Bologna 1986 (in partic. G. Fuà, Introduzione, pp. 7-50).
Orientamenti per la politica del territorio, a cura di G. Fuà, Bologna 1991 (in partic. G. Fuà, Introduzione e Alcuni orientamenti generali, pp. 7-23).
Crescita economica. Le insidie delle cifre, Bologna 1993.
Crescita, benessere e compiti dell’economia politica, «Il Mulino», 1994, 5, pp. 761-68.
Occupazione e capacità produttive. Confronti internazionali: ricerche di economia applicata del Gruppo di Ancona, a cura di P. Alessandrini, 6 voll., Bologna 1978.
ISTAO, Una scuola imprenditoriale sul modello Adriano Olivetti, Bologna 1997.
Trasformazioni dell’economia e della società italiana. Studi in onore di Giorgio Fuà, a cura del Gruppo di Ancona, Bologna 1999 (in partic. M. Tamberi, Riflessioni su temi e metodi dell’opera di Fuà, pp. 465-75; Bibliografia completa delle opere di Fuà, a cura di P. Ercolani, M. Tamberi, pp. 501-11).
P. Sylos Labini, L’opera di Giorgio Fuà: concezioni feconde e problemi aperti, «Rivista italiana degli economisti», 2002, 1, pp.141-51.
P. Alessandrini, M. Crivellini, Fuà e la scuola di economia, in Accademia nazionale dei Lincei, Giornate lincee in ricordo di Giorgio Fuà: Roma, 5-6 ottobre 2006, Roma 2008, pp. 11-34.