GRAFFEO (Grafeo), Giorgio
Si ignorano data e luogo di nascita e nomi dei genitori; è noto, invece, il nome del fratello, Benvenuto. Le prime notizie che lo riguardano sono in relazione con l'inizio in Sicilia del regno di Federico IV d'Aragona verso la fine del 1355 e, in particolare, con il momento in cui il gran giustiziere Artale Alagona prese il controllo della persona del re.
In quelle circostanze il G., benché la sua famiglia fosse latina, aderì alla "parzialità" catalana collegandosi a esponenti di rilievo del baronaggio siciliano come Guglielmo Peralta e Nicolò Abbate (anch'egli d'origine latina), nobili anch'essi fedeli al re, i quali dominavano rispettivamente Sciacca e Trapani; con tale scelta egli fu quindi in contrasto con la famiglia Chiaramonte, sostenitrice delle rivendicazioni di Giovanna I d'Angiò al trono di Sicilia, e i cui membri detenevano il controllo della Sicilia occidentale.
Il 23 marzo 1356 il G. fu informato dall'Alagona dei mutamenti avvenuti con il trasferimento di Federico IV a Catania e della sospensione dei poteri della vicaria Eufemia, sorella del sovrano. Il 31 marzo, in quanto castellano e capitano di Marsala, ufficio ricoperto qualche mese prima dal fratello Benvenuto, fu messo al corrente dello sviluppo delle trattative in corso con il re d'Aragona Pietro IV, del quale gli furono trasmesse le lettere, relative al matrimonio di Federico IV con Costanza, figlia di Pietro, e alla promessa di aiuti militari.
Il 1° aprile ottenne l'annullamento di un provvedimento regio, del quale era stato destinatario il fratello Benvenuto, in merito all'assegnazione a Guglielmo de Rosa, capitano di Sciacca, dei beni appartenuti al ribelle Giovanni Ferro, beni nelle mani dei due fratelli. Fu quindi invitato l'11 aprile, insieme con l'Abbate e il Peralta, a non prestare più alcuna obbedienza all'infanta Eufemia che, lontana da Federico IV, continuava a emanare provvedimenti in accordo con Enrico Rosso e Francesco Ventimiglia.
Il successivo 29 luglio compare con il titolo di regio consigliere e nello stesso torno di tempo era informato dei successi ottenuti da Artale d'Alagona, il quale era riuscito a recuperare la piana di Milazzo e a ricondurre a Catania, dove risiedeva il sovrano, la vicaria Eufemia. L'11 agosto il re, ma più concretamente l'Alagona, gli comunicò che Ottobono Doria, grande ammiraglio del Regno prossimo agli Angiò, stava per aderire al loro schieramento e pertanto lo invitò a non compiere alcuna azione offensiva contro di lui. Il 6 o il 7 settembre fu informato nuovamente degli avvenimenti messinesi, dove si fronteggiavano i due schieramenti filoangioino e filoaragonese. Pare evidente che l'Alagona nutrisse qualche motivo di preoccupazione. Dopo che il G., l'Abbate, il Peralta e altri, avevano concluso una tregua coi Chiaramonte, il 18 settembre il G. fu invitato a rompere l'accordo e a riprendere le ostilità, giacché i nemici ne avevano approfittato per concentrare le azioni militari nella Sicilia orientale. Il 24 ottobre fu ulteriormente aggiornato dei successi ottenuti da Artale Alagona e soprattutto della pace con il conte Francesco Ventimiglia. Il 24 novembre gli fu rinnovato l'invito a combattere i Chiaramonte i quali avevano preso Messina; successivamente, il 9 dicembre, gli furono comunicati i nuovi successi dell'Alagona, impegnato nel contrastare i Chiaramonte. Il 9 marzo 1357 il G. fu ancora informato, insieme con l'Abbate e il Peralta, dei successi militari che facevano sperare in una prossima riconquista di Messina. Sempre con l'Abbate e col Peralta, il 19 aprile fu invitato ad accorrere con tutti i suoi uomini in difesa della terra e del castello di Cammarata. Nel frattempo l'Alagona ottenne un'importante vittoria contro gli Angioini della quale il G. fu informato il 16 giugno.
Il 15 luglio al G. veniva comunicata la richiesta di donazione del Regno di Sicilia in favore della regina d'Aragona Eleonora, nel caso che Federico IV, suo fratello, morisse senza discendenti. L'accettazione di tale richiesta era stata deliberata da un'assemblea di baroni, alla quale il G. non aveva potuto partecipare, a causa forse della difficoltà a raggiungere la corte. Pertanto gli fu chiesto di inviare un atto di procura notarile in favore dei tre ambasciatori destinati in Aragona: Riccardo Ventimiglia, Berardo de Castellis e Bartolomeo d'Altavilla. Il 15 settembre fu sollecitato a inviare immediatamente tale procura al gran giustiziere Artale Alagona. Dopo il ritiro degli Angioini da Messina, con l'Abbate e il Peralta ricevette il 24 settembre nuove istruzioni per il recupero dei territori occupati dai nemici.
Nel gennaio del 1358 con 200 cavalieri sottrasse ai Chiaramonte la città di Mazara. Il successo di tale iniziativa fu favorito dall'essersi egli avvalso di una parte degli uomini del Peralta e della complicità degli abitanti della città. Presentatosi con i suoi uomini fuori le mura di Mazara, il G. finse la fuga per attirare le forze nemiche in un'imboscata, che si risolse in una sanguinosa battaglia conclusasi vittoriosamente; secondo il racconto di Michele da Piazza (I, 126), solo pochi nemici riuscirono a salvarsi fuggendo per le paludi. Entrato a Mazara, il G. ebbe però difficoltà a mantenerne il possesso.
Il 22 gennaio Federico IV, ormai sotto il controllo del Ventimiglia, gli rispondeva da Cefalù di non potere cavalcare fino a Mazara, a causa delle intemperie invernali, e di dovere inviare altrove, a Ciminna, il contingente di cavalieri che stava radunando. Il re scrisse però al Peralta, a Riccardo Abbate e agli altri baroni del Val di Mazara, nonché al senescalco Matteo Moncada e a Blasco Alagona, invitandoli ad accorrere in difesa della città e per la conquista del castello di Mazara, che fu preso ai primi del mese di febbraio. Il soccorso militare richiesto gli sarebbe stato invece negato dalla "compagnia di Cristia" composta soltanto da catalani e l'episodio, secondo il cronista Michele da Piazza, sarebbe rivelatore delle difficoltà e delle diffidenze che incontravano i Latini all'interno della parzialità catalana. Sicché Federico Chiaramonte poté rientrare con la forza a Mazara, città che per questi episodi bellici, come sostiene il cronista, "quasi deserta remansit" (p. 297).
L'8 aprile il re, ritenendo che non si dovesse più temere che le forze chiaramontane potessero ricevere aiuti da Napoli, chiese al G. di venire alla sua presenza entro la prima settimana di maggio con tutti i suoi uomini e insieme con gli altri baroni del Val di Mazara. Quattro giorni dopo Federico chiedeva a tutti loro di manifestare per iscritto il proprio parere sul progetto di dirigere l'esercito all'assalto delle posizioni nemiche, invitandoli a tenersi pronti.
Il 26 luglio 1358 al G., che pochi giorni prima aveva ricevuto da Perrono Gioeni, protonotaro del Regno, l'amministrazione dei mulini e degli altri suoi beni a Calatafimi, fu ordinato di assalire con tutte le forze, insieme con Riccardo Abbate e Guglielmo Peralta, tutte le posizioni tenute in Val di Mazara da Federico Chiaramonte, per impedirgli di congiungersi in Val di Noto con Manfredi Chiaramonte e con le forze angioine sbarcate dalla Calabria. L'offensiva portò il G. a conquistare, o riconquistare, oltre Marsala e Mazara, anche Misilindino e Monte Grifo, terre nelle quali il 9 agosto gli fu attribuito dal re il potere di ricompensare i suoi sostenitori con la spartizione dei beni appartenuti ai nemici e sulle quali, oltre Partanna e Belice, fu nominato capitano di guerra, con giurisdizione in materia criminale.
Con una galeotta da lui armata esercitò la pirateria, non solo contro i nemici. Tra aprile e maggio del 1360 furono infatti depredate dalla sua nave nelle acque della Sardegna sei imbarcazioni di mercanti genovesi, cariche di panni, altre merci e denaro. Al termine della scorreria i pirati portarono tutti i beni depredati a Mazara.
Temendo le rappresaglie dei Genovesi, ai quali due anni prima aveva rinnovato i privilegi che essi godevano in Sicilia, il re nel mese di giugno ordinò il sequestro delle merci razziate, in attesa di accertamenti sulla loro provenienza, e vietò al G. di procedere alla loro spartizione tra i marinai e gli armatori inviando appositamente presso di lui Enrico de Serafino, suo hostiarius camere. Alla corte siciliana giungeva intanto l'ambasciatore del doge genovese Cosmele di Bonanno, il quale, lamentando il danno subito dai mercanti Oberto Finimondo, Bartolomeo Ricio, Bertolo de Savona, Andreolo e Domenico de Santoromulo e Giovannuccio de Calvi, danno valutato complessivamente più di 7273 fiorini, ne chiedeva l'immediata e integrale riparazione, minacciando altrimenti rappresaglie per la violazione degli accordi commerciali. Il 7 ottobre Federico IV ingiungeva perciò al G. l'integrale restituzione di merci e denaro sottratti ai Genovesi o del valore corrispondente.
Divenuto uno dei maestri razionali del Regno, ufficio nel quale sembra essere succeduto al fratello Benvenuto, tra il 1365 e il 1366 ereditò da Verdina de Arenos il feudo di Torretta in Val di Mazara, che il re gli consentì di vendere. Nel luglio 1372 è testimoniata la grave inimicizia intervenuta col Peralta, il quale sconsigliava che il G. fosse imbarcato sulla stessa nave che avrebbe accompagnato una figlia del Peralta destinata in sposa al conte di Prades.
L'11 apr. 1374, ancora maestro razionale, ottenne dal re la libera estrazione dal porto di Sciacca di 200 tratte di frumento. Dopo la morte di Federico IV, avvenuta nel 1377, nel 1382 il G. fu uno dei siciliani a cui erano destinate le ambascerie che l'infante Martino inviava dall'Aragona, con il proposito di acquisire fautori alla sua causa per la rivendicazione del trono siciliano contro il governo dei quattro vicari. Non si hanno notizie ulteriori sul G. né è nota la data della sua morte.
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