Giorgio La Pira
Il contributo di Giorgio La Pira ai dibattiti costituenti appare rilevante, in riferimento sia a singole disposizioni sia al disegno complessivo; d’altra parte, La Pira alla Costituente è stato relatore sui principi fondamentali e uno dei due oratori del gruppo democristiano nel dibattito generale sul progetto; proprio a lui giornali rappresentativi come «Il popolo», «L’avvenire d’Italia» e «Cronache sociali» chiesero di esprimere un primo commento sul testo costituzionale appena adottato. Si pone il problema dei motivi della sua autorevolezza, di quale sia stato il suo apporto e di come egli sia riuscito a trovare un terreno di utile confronto con le altre e diverse culture presenti alla Costituente.
La Pira nasce il 9 gennaio 1904 a Pozzallo presso Ragusa, in una famiglia di modeste condizioni economiche. Nel 1913, per proseguire negli studi medi, è affidato a uno zio di Messina, Luigi Occhipinti. Consegue un brillante diploma da ragioniere, aiutando la piccola azienda dello zio e partecipando alle iniziative di un vivace gruppo di coetanei (qui nascono le sue amicizie con Salvatore Pugliatti e Salvatore Quasimodo). Nel 1922 supera l’esame di maturità classica e si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, dove consegue eccellenti risultati. In quest’ultima fase torna alla fede religiosa, mentre vengono meno alcune acerbe aperture verso il dannunzianesimo e il fascismo. Nel 1926 è a Firenze per laurearsi in diritto romano con Emilio Betti, già suo docente a Messina. Dopo la tesi (pubblicata nel 1930), è incaricato dell'insegnamento di istituzioni di diritto romano; dopo studi anche all’estero, nel 1930 è libero docente, nel 1933 vince il concorso a cattedra e viene chiamato dalla facoltà di Giurisprudenza di Firenze. La Pira si distingue per l’intensa fede religiosa, e in questo periodo frequenta vari ambienti ecclesiali e partecipa a movimenti cattolici. Frequenta anche monsignor Giovanni Battista Montini e padre Mariano Cordovani.
Dal 1937 si impegna contro le tendenze razziste e belliciste del fascismo e rompe con l’ambiente de «Il frontespizio», rivista letteraria diretta tra gli altri da Giovanni Papini. Fra il 1939 e il 1940 pubblica «Principî», una scarna rivista che, rivisitando il pensiero classico e teologico, indica i principi ineludibili per una convivenza fondata sui valori personalisti. Dopo l’8 settembre 1943, essendo ricercato, deve trasferirsi a Roma. In questa fase è autore di scritti per l’impegno in politica dei cattolici e che individuano il fondamento del nuovo Stato nel personalismo e in mutati rapporti sociali.
Eletto alla Costituente, è relatore sui principi fondamentali e protagonista di molti confronti che si svolgono nella commissione dei 75 e nell’assemblea plenaria. Collaboratore di «Cronache sociali», che esprime le posizioni più riformiste del cattolicesimo politico italiano, non segue Giuseppe Dossetti, allora vicesegretario della Democrazia cristiana, nel suo ritiro dall’impegno parlamentare, e nel 1948-49 è sottosegretario al ministero del Lavoro, di cui è titolare Amintore Fanfani, il politico a lui più vicino.
Nel 1951 diviene sindaco di Firenze, alla guida di una giunta centrista, dove porta una forte carica di innovazione e di interventismo dinanzi ai gravi problemi economici e sociali. Malgrado i risultati amministrativi e l’innovativa politica culturale, non mancano polemiche giornalistiche e politiche.
Nonostante il successo nelle elezioni del 1956, il nuovo sistema elettorale e l’impossibilità di formare una giunta di centro-sinistra rendono fragile la sua seconda amministrazione. D’altra parte, motivo di attacchi sono le iniziative di dialogo e di tono pacifista che La Pira continua ad assumere. Nel 1961, in un mutato contesto politico ed ecclesiale, viene rieletto sindaco: i risultati conseguiti vengono però messi in ombra dalle polemiche, e La Pira appare sempre più isolato dal dominante sistema dei partiti.
Dimessosi nel 1965, La Pira esce dalla politica nelle istituzioni; peraltro, continua i suoi interventi a livello internazionale e nazionale. Rieletto deputato nel 1976, muore a Firenze il 5 novembre 1977.
Già subito dopo la caduta del fascismo, La Pira, intervenendo pubblicamente sulla situazione del Paese (Responsabilità del pensiero, «La nazione», 8 agosto 1943), afferma che la rifondazione dello Stato dovrà necessariamente recuperare dalla «tradizione giuridica latina e cristiana» il principio fondamentale che «non la persona per lo Stato, ma lo Stato per la persona e per tutti gli sviluppi naturali e soprannaturali della persona». Ciò mentre condanna il «tradimento degli intellettuali» nell’affermazione dei totalitarismi, avendo contribuito a porne le premesse filosofiche allorché hanno «intaccato in radice tutto il tessuto delle verità cristiane».
D’altra parte, concetti analoghi aveva sviluppato, seppur evidentemente in forma meno esplicita, in «Principî», il singolare supplemento di «Vita cristiana» (edita dai domenicani del convento di San Marco a Firenze): una piccola rivista di «ascetica e mistica» che gli aveva permesso di far circolare per oltre un anno, in pieno regime fascista, idee allora assai eterodosse. Basti qui ricordare che nell’ultimo numero pubblicato, dedicato al «desiderio della libertà», aveva scritto dell’importanza «del fondamento solido di una limitazione giuridica apportata all’azione di coloro che in una data società detengono il governo della medesima» (Premessa, «Principî», 1940, 1-2). Non a caso, in occasione della forzata chiusura della «rivistina bimestrale», essa fu accusata di aver sostenuto «principi della più bell’acqua liberale e democratica», e nelle successive polemiche fu imputato dai fascisti fiorentini a La Pira di parlare di «eterni valori» e di «primato della legge».
La Pira, uomo di fede molto intensa, aderisce al tomismo su molteplici e fondamentali aspetti della propria vita personale e religiosa e, nei difficili anni della contrapposizione al fascismo, trova in questa concezione filosofica anche le basi per una teoria politica adeguata alle sue coraggiose polemiche con le concezioni totalitarie dominanti. Peraltro la continua utilizzazione che La Pira fa del pensiero tomista non significa che egli ignori i nuovi problemi posti dagli Stati pluralisti e democratici, caratterizzati dalle moderne fonti costituzionali, così come reso evidente dai testi citati nei suoi scritti.
Semmai, ricorrente negli anni precedenti alla fase costituente è l’affermazione della sufficienza della riflessione tomista, integrata da alcuni esiti della sociologia cristiana, per la risoluzione dei problemi posti dal moderno costituzionalismo: in questo senso assai significativo appare il suo ampio intervento (Il nostro esame di coscienza di fronte alla Costituente) alla 19a Settimana sociale dei cattolici d'Italia su «Costituzione e Costituente» (Firenze, 22-28 ottobre 1945). Qui La Pira appare pienamente consapevole che le costituzioni moderne non contengono solo la disciplina degli organi statali, ma anche la determinazione dei «criteri fondamentali cui deve ispirarsi» l’attività legislativa dello Stato; al tempo stesso polemizza fortemente con il costituzionalismo degli Stati totalitari, ma pure con quello delle costituzioni «di tipo individualista» e «di tipo socialista», imputate di essere profondamente errate in quanto traduzioni giuridiche di «errate metafisiche» (La casa comune, 1979, 19962, p. 131).
Peraltro, al di là delle molteplici polemiche contro le costituzioni di tipo liberalborghese, è su questo modello storico che poi si ipotizza di poter lavorare, seppure mediante l’inserimento di notevoli innovazioni, dall'effettiva garanzia del primato della persona e delle strutture sociali e associative, alla piena valorizzazione del lavoro, a un vasto pluralismo istituzionale; al tempo stesso, non mancano anche alcune proposte di tipo organicistico, derivanti da risalenti progettazioni di intellettuali cattolici all’epoca delle prime reazioni al manifestarsi della questione sociale.
D’altra parte, nella citata Settimana sociale si confrontano due linee di fondo diverse, rappresentate da coloro che progettano di caratterizzare in senso clericale lo Stato e la Costituzione (tesi allora forte, specie in parti dell’ambiente ecclesiastico), e da coloro che, invece, sostengono che la democrazia pluralista dev'essere non solo piena ed effettiva, ma anche integrata da significativi diritti sociali. In questa polarizzazione, La Pira, pur attraverso un andamento argomentativo tutto interno al neotomismo e alle sensibilità cattoliche, si colloca accanto a relatori (come, per es., Antonio Amorth, Fanfani, Ferruccio Pergolesi, Egidio Tosato) che ipotizzano di recuperare le tecniche giuridiche e alcuni valori dalle costituzioni liberaldemocratiche, pur innovandole radicalmente in modo da dare risposte soddisfacenti a tutti coloro che condividono la critica allo Stato «borghese capitalista».
In questa fase La Pira partecipa alle molteplici iniziative poste in essere da Dossetti, che coinvolgono molti intellettuali e docenti, ed è lui a spiegare che «una costituzione cristianamente ispirata» non dipende da privilegi da riconoscere al cattolicesimo, ma dal fatto
che l’‘oggetto’ della costituzione, il suo fine, sia la persona umana quale il cattolicesimo la definisce e la mostra. E dipende di conseguenza dall’altro fatto che tutte le strutture dell’edificio costituzionale siano ordinate a questo fine (La casa comune, cit., p. 141).
L’impegno nell’Assemblea costituente non fu voluto da La Pira, che si riteneva semmai adatto a un ruolo di sollecitatore culturale, ma le pressioni per coinvolgere questo intellettuale così caratterizzato furono evidentemente forti, e d’altra parte fondate su quanto egli stesso aveva scritto circa la doverosità dell’impegno politico per
preparare le nuove strutture sociali nelle quali – come dice Maritain – siano rifratte quelle esigenze di interiorità, libertà e fraternità che sono le esigenze insopprimibili della persona umana (Premesse della politica, 1945, p. 186).
La sua larga notorietà a livello nazionale spiega anche come, una volta eletto, egli sia nominato componente della commissione che deve proporre il progetto di costituzione, e qui sia incaricato di redigere una delle due relazioni iniziali sui principi fondamentali e sui diritti e doveri.
Le proposte contenute in questa sua relazione appaiono omogenee a quanto da lui sostenuto da almeno un decennio nel filone delle riflessioni sui diritti fondamentali dell’uomo alla luce dell’attualizzazione del pensiero tomista, ma sul piano propositivo sono anche fortemente arricchite e tributarie del moderno costituzionalismo democratico, ivi compresi i recentissimi confronti che si erano svolti in Francia.
In particolare, se soprattutto tramite la mediazione delle proposte di Costantino Mortati (Relazione sui diritti pubblici subiettivi, in Ministero per la Costituente, Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, Relazione all’Assemblea costituente, 1° vol., 1946, pp. 79 e segg.) entrano nell’articolato di La Pira le tecniche costituzionalistiche più adeguate di tutela delle diverse posizioni soggettive, con il testo del 1945 di Emmanuel Mounier (in origine elaborato per un auspicato accordo internazionale: cfr. Progetto di una "Dichiarazione dei diritti", 1942-45, ora in Mounier in Italia 1935-1949, testi e documenti, a cura di G. Campanini, 1986, pp. 79 e segg.) trova piena conferma, in un contesto contemporaneo, la visione dello Stato come strumentale alla tutela dei valori personalistici e comunitari e l’ineludibile rispetto da parte degli Stati delle libertà fondamentali tramite costituzioni di tipo rigido.
Malgrado questi riferimenti anche al più recente costituzionalismo, le proposte di La Pira sollevano non poche obiezioni, specie per la loro esplicita derivazione dalla tradizione culturale cattolica, ma forse anche per il tipo di scelte, sia politiche sia tecniche, che veicolavano in una fase di grande incertezza nelle progettazioni istituzionali da parte dei vari partiti (U. De Siervo, Scelte e confronti costituzionali nel periodo costituente: il progetto democratico cristiano e le altre proposte, «Jus», 1979, 2, pp. 127 e segg.).
In realtà, allorché si giungerà, dopo un primo difficile e tesissimo confronto (De Siervo 1979, pp. 46 e segg.), a un’intesa su quelli che sono gli attuali articoli 2 e 3 della Costituzione (che in estrema sintesi esprimono le scelte personaliste e comunitarie, il recupero del principio di eguaglianza dinanzi alla legge, ma anche l’impegno dello Stato a farsi carico della rimozione delle disuguaglianze di fatto), non verrà in tal modo solo trovato il nucleo di accordo fondamentale su quello che sarà poi denominato come il 'compromesso costituzionale' fra i 'partiti di massa' (democristiani, socialisti e comunisti), ma implicitamente si sceglierà anche di adottare una Costituzione analitica, finalizzata e rigida. Evidentemente si era conseguito un reciproco riconoscimento di serietà e di credibilità nei tentativi di edificazione di un rinnovato Stato democratico.
Su quest'iniziale base di accordo si svilupperà poi tutta la dialettica del confronto costituente, durante il quale, certo, accanto a tanti momenti di intesa non mancheranno anche forti attriti e aspri conflitti sia su alcuni profili in cui vengono in gioco sensibilità diverse sui valori della convivenza, sia su modelli diversi di tipo istituzionale. Relativamente alla parte organizzativa dello Stato, per es., la scelta per un ordinamento democratico bilanciato, caratterizzato dalla creazione delle Regioni e garantito da una Corte costituzionale, è voluta da democristiani e dai movimenti politici della tradizione repubblicana e liberale, mentre deve superare fortissime resistenze dei partiti d'ispirazione marxista, prigionieri di una visione semplicistica dell’assetto istituzionale (se addirittura non affascinati, almeno in parte, da prospettive di trasformazione rivoluzionaria).
Ciò che peraltro appare significativo è che La Pira, nel dibattito generale sul complessivo progetto di costituzione elaborato dalla commissione, esprima un giudizio complessivamente positivo, rivendicando in modo esplicito ai valori cristiani, interpretati secondo la tradizione tomista, la capacità di fornire a tutti un quadro costituzionale pienamente accettabile.
D’altra parte, gli elementi per lui assolutamente caratterizzanti del nuovo patto costituzionale per una solida democrazia appaiono fondamentalmente solo il riconoscimento del valore assoluto della persona, vista nella sua concretezza, e la necessità che a una naturale «struttura sociale pluralista» corrisponda «un assetto giuridico conforme» (La casa comune, cit., pp. 255 e segg.).
Anche da questo punto di vista egli motiva il necessario richiamo nella Costituzione dei Patti lateranensi («anche se vi è qualche punto che potrebbe essere sottoposto a revisione bilaterale»), con anzi la rivendicazione di aver svolto un ruolo significativo nella formulazione finale dell’art. 7 della Costituzione. Quanto poi alle ricorrenti polemiche sulla necessaria laicità dello Stato, la risposta è che se «non dobbiamo fare uno Stato confessionale», non è neanche accettabile uno Stato che non prenda atto dell’orientazione religiosa dell’uomo e degli organismi sociali in cui si manifesta questa realtà (La casa comune, cit., pp. 242 e segg.).
Ma La Pira, da acuto giurista, coglie anche la necessità dell’adozione di norme organizzative coerenti con il nuovo sistema di principi e di valori che si viene definendo: per es., motiva la decisa richiesta di un'autorevole e autonoma Corte costituzionale perché in tal modo si induce il futuro legislatore ad attuare le nuove disposizioni costituzionali e si garantisce l’effettiva superiorità delle disposizioni costituzionali sulla volontà delle forze politiche temporaneamente maggioritarie.
Quanto al notissimo (ma spesso deformato) episodio della proposta di La Pira di far precedere il testo costituzionale dalla premessa «In nome di Dio il popolo italiano si dà la presente Costituzione», è bene ricordare anzitutto che questa proposta viene presentata solo dopo la fine delle votazioni sugli articoli della Costituzione, che non contiene riferimenti a una specifica religione e soprattutto che La Pira vorrebbe che fosse adottata «per acclamazione o unanimemente», poiché a suo parere su di essa potrebbero ritrovarsi tutti, credenti e non credenti: peraltro, dinanzi a diverse obiezioni, malgrado il proprio profondo convincimento sulla sua opportunità («ho compiuto secondo la mia coscienza il gesto che dovevo compiere»), ritira la proposta, poiché ritiene che non si possa mettere ai voti un richiamo del genere (La casa comune, cit., pp. 271 e segg.).
D’altra parte, se La Pira alla Costituente svolge incontestabilmente un ruolo di assoluto rilievo, tuttavia non si rende omogeneo alla classe politica che viene formandosi nei partiti e nelle istituzioni repubblicane, restando fortemente caratterizzato dalle sue tipicità di uomo di cultura dalla fortissima religiosità, ‘prestato’ alla politica, e che quindi utilizza linguaggi e assume comportamenti fortemente caratterizzati dalla sua fede, così ‘scandalizzando’ molti, abituati a forme espressive assai più neutre.
Nei primi commenti di La Pira sulla nuova Costituzione si coglie l’assenza di ogni intento celebrativo, pur nell’espressione di un complessivo giudizio certamente favorevole. Pesa però molto la preoccupazione, particolarmente forte proprio nel 1948 fra i componenti del cosiddetto ‘gruppo dossettiano’, che le concrete modalità della ricostruzione economica in corso e i relativi interventi sociali non siano coerenti con principi e valori codificati nel nuovo patto costituzionale. Non a caso, egli si pone un duplice interrogativo: se esista nella nuova Costituzione un nuovo principio caratterizzante, che la distingua positivamente e se questa costituzione sia «uno strumento giuridico storicamente vitale» e cioè «adeguato a quelle riforme di struttura che vanno operate nell’attuale ordinamento sociale, economico e politico» (La casa comune, cit., p. 277).
Il «principio basilare che dà fondamento a tutta la costituzione» viene individuato proprio nell’art. 2, alla cui formulazione e adozione La Pira aveva tanto contribuito e che ispira tanta parte dei principi e dello stesso assetto organizzativo determinati dalla Costituzione.
Al di là della piena condivisione dei principi affermati e del modello istituzionale largamente articolato e pluralistico che si era (pur faticosamente) affermato nei lavori della Costituente, egli sembra però sostenere che l’opzione pluralistica avrebbe dovuto comportare pure la trasformazione delle imprese per garantirvi un ruolo attivo dei lavoratori, l’inserimento nel Senato della rappresentanza delle «comunità di lavoro» (senza peraltro cadere nel corporativismo) e delle realtà territoriali, la disciplina giuridica dei partiti politici, la garanzia del pluralismo scolastico, se non l’indissolubilità del matrimonio. Ma, al di là di alcune
deficienze ed incoerenze, [...] la Costituzione si presenta come uno strumento giuridico storicamente adeguato: cioè come uno strumento proporzionato a quella costituzione di un ordine sociale nuovo al quale dovrà tendere, con tutte le sue energie, il Parlamento futuro (La casa comune, cit., p. 286).
In realtà, se negli anni immediatamente seguenti, caratterizzati dal suo intenso impegno amministrativo, la Costituzione gli sembrerà un testo un po’ troppo astratto rispetto alle tante impellenze sociali, ben presto ne utilizzerà a fondo le potenzialità in tante occasioni politiche e culturali.
La nostra vocazione sociale, Roma 1945.
Premesse della politica, Firenze 1945.
Il valore della persona umana, Milano 1947.
Architettura di uno Stato democratico, Roma 1948.
Principî, a cura di A. Scivoletto, Firenze 1955.
La casa comune. Una costituzione per l’uomo, a cura di U. De Siervo, Firenze 1979, 19962.
Altri scritti sono citati in G. Conticelli, L. Artusi, Bibliografia degli scritti di Giorgio La Pira, Firenze 1998, 1° vol. dell'Edizione nazionale delle opere di Giorgio La Pira.
U. De Siervo, Introduzione a G. La Pira, La casa comune. Una costituzione per l’uomo, a cura di U. De Siervo, Firenze 1979, 19962, pp. 7-77.
G. Campanini, Cristianesimo e democrazia: studi sul pensiero politico cattolico del '900, Brescia 1980.
S. Grassi, Il contributo di Giorgio La Pira ai lavori dell’Assemblea costituente, in Scelte della Costituente e cultura giuridica, a cura di U. De Siervo, Bologna 1980, 2° vol., Protagonisti e momenti del dibattito costituzionale, pp. 179 e segg.
F. Mazzei, La Pira: cose viste e ascoltate, Firenze 1980.
Fondazione Giorgio La Pira, La Pira oggi, Atti del 1° Convegno di studi sul messaggio di Giorgio La Pira nella presente epoca storica, Firenze 1983 (in partic.: S. Nistri, La Pira, Papini e il «Frontespizio», pp. 249-70).
U. De Siervo, Giorgio La Pira, in Il Parlamento italiano. Storia parlamentare e politica dell’Italia, 1861-1988, sotto la direzione di P. Buccomino, 18° vol., 1959-1963. Una difficile transizione: verso il centro-sinistra, Milano 1991, pp. 366 e segg.
Fondazione Giorgio La Pira, La Pira e gli anni di «Principî», Firenze 1993 (in partic.: P.L. Ballini, Vicende di cattolici fiorentini durante il regime, pp. 51-92; U. De Siervo, I rapporti fra padre Cordovani e La Pira negli anni trenta, pp. 110-14).
G. Miligi, Gli anni messinesi e le 'parole di vita' di Giorgio La Pira, Messina 19952.
I cattolici democratici e la Costituzione, Ricerca dell'Istituto Luigi Sturzo, a cura di N. Antonetti, U. De Siervo, F. Malgeri, 3 voll., Bologna 1998.
P.A. Carnemolla, Un cristiano siciliano: rassegna degli studi su Giorgio La Pira, 1978-1998, Caltanisetta-Roma 1999.
V. Peri, Giorgio La Pira: spazi storici, frontiere evangeliche, Caltanisetta-Roma 2001.
V. Possenti, La Pira tra storia e profezia. Con Tommaso maestro, Genova-Milano 2004.
B. Bocchini Camaiani, La Pira Giorgio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 63° vol., Roma 2004, ad vocem.
Giorgio La Pira. Un San Francesco nel Novecento, a cura di C. Vigna, E. Zambruno, Roma 2008.