LIUZZI, Giorgio
Nacque a Vercelli il 30 ag. 1895 da Guido e da Elvira Pugliese.
Il padre Guido (Reggio Emilia, 4 dic. 1866 - Torino, 16 maggio 1942) apparteneva a una famiglia israelita che aveva abbandonato le tradizionali attività commerciali per partecipare alla gestione dello Stato in campo sia civile, sia militare. Percorse rapidamente la carriera militare, alternando periodi di comando di truppe a periodi di servizio di stato maggiore; fu nominato capitano a scelta nel 1899 e maggiore nel 1911; quindi prese parte alla guerra di Libia come comandante di un battaglione di fanteria. Promosso tenente colonnello, partecipò alla prima guerra mondiale, durante la quale si distinse soprattutto per le sue capacità organizzative in campo logistico, e alla fine del conflitto era intendente di armata, dopo aver raggiunto il grado di maggiore generale. Comandante dal 1920 della scuola di guerra di Civitavecchia, la riorganizzò e la diresse nel quinquennio successivo. Promosso generale di divisione nel 1923 e di corpo d'armata nel 1928, comandò le divisioni militari territoriali di Treviso e Padova e il corpo di armata di Udine. Collocato in ausiliaria nel 1932, fu posto in congedo assoluto nel 1939 in quanto ebreo. Monarchico, nazionalista, fascista convinto, fu eletto, nel 1934, presidente della comunità ebraica di Torino; cercò di conciliare ebraismo e fascismo fino, e oltre, i limiti del possibile con il gruppo de "La nostra bandiera" e si scontrò con l'Unione delle comunità israelitiche italiane sulla riforma della legge del 1930 che - subito dopo il concordato del 1929 fra Stato e Chiesa - regolava il funzionamento delle comunità stesse. Alla vigilia della pubblicazione delle leggi razziali del 1938, scrisse ancora una volta a B. Mussolini per rivendicare i meriti degli ebrei italiani; tenne quindi, sino alla morte, un contegno fermo e dignitoso.
Il L. sentì sin dall'infanzia il richiamo della vita militare e seguì le orme del padre; allievo della R. Accademia militare di Torino dal febbraio 1913, il L. ne uscì come sottotenente di artiglieria nel marzo del 1915 e interruppe subito dopo il corso presso la scuola di applicazione per la sopravvenuta mobilitazione a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Assegnato a una batteria del 1° reggimento artiglieria da montagna, fu promosso tenente nel marzo del 1916. Capitano il 23 apr. 1917 per meriti eccezionali, fu decorato con una medaglia di bronzo al valor militare sul monte Zebio a giugno e con una d'argento ad agosto, per l'appoggio offerto dalla sua batteria al passaggio dell'Isonzo. Ferito una prima volta a giugno, fu ferito più gravemente ad agosto e sgombrato sull'ospedale militare di Torino. Rientrato in servizio, fu ammesso a frequentare il corso pratico di stato maggiore e, dal marzo del 1918, fu addetto all'ufficio operazioni del XXVII corpo d'armata, con il quale ebbe modo di distinguersi al passaggio del Piave durante l'offensiva finale. Trasferito all'ufficio operazioni del comando supremo ai primi del 1919, fu destinato, a ottobre, al comando del corpo di stato maggiore, a Roma. Nel 1920 fu inviato a Vienna, presso la locale Commissione interalleata di controllo, fino al marzo del 1921, quando rimpatriò. A ottobre fu ammesso a frequentare il 51° corso di stato maggiore a Civitavecchia, che terminò, primo classificato, nel 1923, per passare alla scuola di applicazione di Torino per un corso annuale complementare di cultura tecnico-professionale.
Dopo un periodo di servizio presso il gabinetto del ministro della Guerra passò al 20° reggimento di artiglieria da campagna a Cittadella e poi a Padova. Maggiore dal giugno 1927, fu destinato al 19° artiglieria da campagna a Firenze, per tornare a Roma, allo stato maggiore, nel novembre 1929.
Brevettato come osservatore aereo, tra il 1931 e il 1934 fu impiegato come insegnante di arte militare terrestre e di cooperazione aeroterrestre presso le scuole di osservazione aerea di Grottaglie e Cerveteri e fu anche brevemente assegnato a un'unità di artiglieria tedesca per perfezionarsi nella lingua.
Promosso tenente colonnello, dal novembre 1934 fu ufficiale di collegamento presso l'aeronautica assegnato al 20° stormo e capo di stato maggiore della 2ª divisione celere dall'ottobre 1935 al febbraio 1938. In quest'ultimo anno sposò a Modena Gabriella Namias. Fu poi promosso colonnello per meriti eccezionali e destinato, nel luglio del 1938, al comando del 1° reggimento di artiglieria celere. A novembre fu però esonerato dal comando e collocato successivamente in congedo assoluto, in applicazione delle leggi razziali.
Fu quasi un contrappasso dell'encomio tributatogli nel maggio dello stesso anno dal capo del governo e ministro della Guerra "Per l'ordine, la marziale prestanza e la salda coesione spirituale, dimostrati dal reparto ai suoi ordini in occasione della rivista militare in onore del Führer" (Roma, Arch. dell'Ufficio stor. dello Stato maggiore dell'Esercito, Biografie).
Nonostante l'invito del governo dell'Ecuador, che lo aveva richiesto per riorganizzare il suo esercito, il L. non volle lasciare l'Italia, e rimase a vivere in uno sperduto paesetto delle campagne emiliane. Nei giorni successivi all'armistizio dell'8 sett. 1943, il L., nel tentativo di attraversare la linea del fronte, raggiunse le Marche, dove riuscì a organizzare la fuga, via mare, di prigionieri di guerra alleati evasi dai campi di prigionia. Non fece però in tempo a partire con loro perché fu arrestato dai Tedeschi. Non riconosciuto come ebreo, riuscì a evadere e a nascondersi a Roma. Alla liberazione della città (4 giugno 1944) poté riprendere servizio nell'Esercito e fu assegnato, quale capo di stato maggiore, alla delegazione A, che sovrintendeva alle unità italiane operanti con l'8ª armata britannica. Dopo la liberazione di Bologna (21 apr. 1945), la delegazione divenne VI comando militare territoriale, sempre con il L. come capo di stato maggiore. Promosso generale di brigata, rientrò a Roma, dal febbraio 1946 addetto allo stato maggiore, divenendone sottocapo. Mantenne tale incarico per poco più di un anno, tra il marzo 1947 e il giugno 1948, lasciandolo, infine, per divergenza di opinioni sulla riorganizzazione in atto nell'Esercito.
Dal giugno 1948 al gennaio 1950 fu al comando della brigata corazzata "Ariete", la prima grande unità corazzata del nuovo Esercito, e tornò poi a Roma come direttore generale dei servizi di commissariato e amministrazione del ministero della Difesa-Esercito, un incarico di notevole rilevanza nel delicato periodo della ricostruzione delle forze armate; il 4 luglio 1950 fu promosso generale di divisione.
In quegli anni il L., che già nel periodo prebellico aveva collaborato con vari periodici militari, riprese a pubblicare, stavolta nella Rivista militare, articoli e saggi sul riordinamento e l'ammodernamento dell'Esercito.
Dall'ottobre 1951 comandò la divisione "Granatieri di Sardegna", di stanza nella capitale, per passare a Napoli al locale comando militare territoriale. Qui rimase, anche dopo la promozione a generale di corpo d'armata, concessagli nel luglio 1953, fino al 10 apr. 1954, quando fu nominato comandante del V corpo d'armata a Vittorio Veneto.
Qualche mese dopo, il 26 settembre, divenne capo di stato maggiore dell'Esercito.
Durante la sua permanenza in questo incarico, l'Esercito, che dopo l'adesione dell'Italia al Patto atlantico era cresciuto eccessivamente in numero di unità a scapito della loro funzionalità, fu riordinato con notevoli tagli relativi agli enti amministrativi e logistici, che incontrarono resistenze in ambito politico, mentre si procedeva alla riorganizzazione delle unità operative.
Nel 1959 ebbe fine la lunga permanenza del L. ai vertici dell'Esercito; non trovandosi in sintonia con i progetti di riforma interforze del nuovo ministro della Difesa, G. Andreotti, il L. presentò le sue dimissioni, accolte in data 28 marzo.
L'occasione specifica riguardò l'installazione in Italia dei missili Jupiter, che il L. reputava controproducente per la difesa nazionale (tanto più perché i costi per le basi erano stati posti a carico dell'Esercito anziché dell'Aeronautica).
Passato a disposizione del ministero, nel febbraio 1962 il L., che usufruiva allora della proroga dei limiti di età per il servizio che non aveva potuto prestare tra il 1939 e il 1944, fu nominato presidente del Centro studi per la difesa civile, carica tenuta fino al suo collocamento in congedo, il 31 ag. 1963. Nello stesso anno apparve a Roma il suo volume Italia difesa?, nel quale il L. esplicitamente esternava le sue convinzioni riguardo alla politica di sicurezza italiana.
Il L. sottolineava la scarsa considerazione di cui godevano le forze armate nel Paese, l'insufficiente trattamento economico, il loro declassamento e, soprattutto - a suo giudizio - l'erronea convinzione, dal mondo militare prevalentemente accettata, di doverle mantenere il più possibile estranee alla politica. Egli riteneva, invece, che esse avrebbero dovuto svolgere un loro autonomo ruolo nella tutela degli interessi nazionali. Tali opinioni non concorsero certo a rendere il L. più accetto ai governi dell'epoca e ai vertici militari che gli erano succeduti, così come avvenne in seguito per altre sue esternazioni e per certe frequentazioni politiche (per esempio quella con R. Pacciardi).
Nel maggio 1968 il L. fu, comunque, nominato direttore del consiglio direttivo dell'Ordine di Vittorio Veneto e ricoprì tale incarico fino all'ottobre 1972, in coincidenza con il suo congedo assoluto. Stabilitosi a Milano, collaborò a vari giornali, come editorialista in materia militare, soprattutto con il Corriere della sera, e raccolse in volume alcuni suoi racconti di ambiente militare (Una giornata di guerra…, Roma 1975).
Il L. morì a Milano il 5 nov. 1983.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. dell'Ufficio storico dello Stato maggiore dell'Esercito, Biografie, 80/82, 39/18 (per Guido); Ibid., Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio ordinario, b. 30; Carteggio riservato, b. 146 (per Guido); Ministero degli Interni, Pubblica Sicurezza, A1.-1942, b. 46; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961, pp. 181, 183 s., 257-273, 384 (per Guido); M. Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, Milano 1982, p. 399; V. Ilari, Storia militare della prima Repubblica, Ancona 1994, pp. 63, 79, 81, 116, 331, 363, 475 s., 487, 496; O. Bovio, Storia dell'Esercito italiano (1861-1990), Roma 1996, pp. 467, 469, 642 s.; A. Rovighi, I militari di origine ebraica nel primo secolo di vita dello Stato italiano, Roma 1999, pp. 37, 70, 110-114; G. Cecini, Ebrei e forze armate nel periodo fascista, tesi di laurea, Università degli studi di Roma "La Sapienza", facoltà di scienze politiche, a.a. 2002-03.