LUNGAROTTI, Giorgio
Nacque il 29 ott. 1910 a Torgiano, presso Perugia, da Daniele e Nunziata Trona.
La famiglia era proprietaria di cospicui appezzamenti nell'area torgianese e nella piana del Tevere, gestiti, come era consueto nell'Umbria dell'epoca, a mezzadria.
Dopo aver completato studi superiori di indirizzo scientifico, il giovane L. si laureò nel 1936 presso la facoltà di agraria dell'Università di Perugia discutendo la tesi "Aspetti della viticoltura in Provincia di Perugia" (relatore A. Vivenza).
All'ateneo perugino il L. fu anche allievo di T. Castelli, docente di microbiologia e fervente repubblicano, dal quale, dopo la fine della seconda guerra mondiale, fu spinto a una breve esperienza politica come sindaco del Comune di Torgiano.
Unico figlio maschio, il L. affiancò il padre nella gestione delle proprietà di famiglia, all'interno delle quali poté mettere a frutto, e maturare ulteriormente, specie tra la fine degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, una vasta serie di specializzazioni nel campo della tecnica e dell'imprenditoria agraria.
Oltre che alla viticoltura e all'olivicoltura, che costituivano peraltro comparti tradizionali dell'economia agraria umbra, il L. si dedicò anche all'allevamento e alla selezione del bestiame (bovini, suini, equini), all'orticoltura, alla frutticoltura, alla selvicoltura, impegnandosi tra l'altro nella coltivazione di varie decine di migliaia di pioppi sui terreni di cui la sua famiglia era proprietaria lungo le rive del Tevere e curando i processi di commercializzazione di questa variegata produzione nei mercati dell'Italia centrale.
Progressivamente inserito nelle responsabilità gestionali dell'azienda di famiglia, il L. compì, in questi anni, diversi viaggi all'estero.
Alla fine degli anni Quaranta, per esempio, accompagnò in Nordamerica amici intenzionati a realizzare investimenti fondiari in Canada, mentre lunghe, frequenti e protratte negli anni furono le visite in Francia, dettate da interessi legati alla viticoltura e alle tecniche enologiche.
Al 1948 risale la decisione di una parziale diversificazione degli interessi della famiglia, con la creazione di una società di distribuzione di idrocarburi, la Società carburanti e affini Perugia (SCAP), allo stato attuale dotata di due depositi, 25 occupati e una quarantina di impianti nell'area regionale umbra.
L'investimento diretto nel settore dei petroli, pur rappresentando un ambito di attività a latere rispetto al corpo centrale degli interessi in campo agrario, si sarebbe rivelato una scelta oculata, sia sotto il profilo della diversificazione del rischio sia per la remuneratività e liquidità che, in passaggi delicati della vicenda aziendale, la SCAP fu in grado di garantire.
Con gli anni Cinquanta, la questione che si pose al L., come del resto a buona parte dei proprietari terrieri dell'Italia centrale, fu quella della mezzadria, a causa della scarsa produttività di questa e della forte conflittualità nei rapporti contrattuali. Il L. decise tempestivamente di passare alla conduzione diretta integrale delle sue proprietà, convertendo la policoltura mezzadrile in produzioni specializzate completamente rivolte alla commercializzazione.
Il passaggio successivo, quello della focalizzazione sulla viniviticoltura, intervenne agli inizi degli anni Sessanta, allorché, con la scomparsa del padre, il L. rimase l'unico responsabile dell'azienda.
Dai 40 ettari su un totale di circa 200 della proprietà, quelli a vigneto specializzato crebbero progressivamente fino a raggiungere i circa 300 della fine degli anni Novanta, quando nel complesso, per effetto della riunione di terreni pertinenti a vari rami della famiglia e delle nuove acquisizioni, l'area sotto la conduzione dell'azienda arrivò a circa 600 ettari.
Dopo una prima fase di sperimentazioni - non ultima quella relativa a un allevamento di visoni nella campagna torgianese -, il punto d'avvio del nuovo orientamento può essere formalmente indicato nella costituzione, nel 1962, della Cantine Lungarotti spa. Con la nuova società prese corpo l'idea di concentrarsi sulla vinificazione, sganciandola definitivamente dal tradizionale empirismo che, anche nei rari casi di vigneto specializzato delle tenute nobiliari della Valle Umbra o del Marscianese, guidava l'operato dei fattori e dei "vignaroli" delle campagne umbre.
Il disegno del L. fu, da un lato, quello di dotarsi di una cantina che consentisse di reimpostare il processo di trasformazione su metodi razionali e tecnologie enologiche aggiornate e consapevoli; dall'altro, di condurre un'attenta opera di sperimentazione, adattamento e miglioramento dei vitigni, in rapporto alle condizioni locali della coltivazione e alle qualità finali del prodotto. Frutto di questi sforzi furono, in quello stesso 1962, il Rubesco e il bianco Torre di Giano, che restano due fra i prodotti di punta dell'azienda. A essi seguirono le Riserve, nel 1966, e tutta una lunga serie di altri vini, dallo Chardonnay (1977) al novello Falò (1986), al giovane bianco Brezza (1980), cui si aggiunsero poi spumante, grappe e produzioni più tradizionali, come il Vino santo, o i vari tipi di olio extravergine di oliva, fino alla Salsa balsamica d'uva. L'intensa sperimentazione condusse il L. non solo a un'attenta selezione e valorizzazione dei vitigni locali, che dal 1968 poterono fregiarsi del marchio Denominazione di origine controllata (DOC) e dal 1990 di quello Denominazione di origine controllata garantita (DOCG), ma anche - per esempio nel caso del Cabernet Sauvignon vinificato in purezza (1974) o in uvaggio nel San Giorgio (1977) - a reintrodurre varietà coltivate prima dell'epidemia di filossera che aveva infierito in Umbria fino agli anni Trenta, o, successivamente, a realizzare vini completamente nuovi, seguendo le tendenze enologiche più recenti.
D'altra parte, con l'idea di produrre vini di qualità, ammodernando radicalmente e in certi casi addirittura rivoluzionando le tecniche viniviticole tradizionali, il L. anticipò di almeno un quarto di secolo orientamenti che poi si sarebbero largamente diffusi nel panorama enologico italiano. Una simile scelta risultò a maggior ragione innovativa in un'area quale quella umbra, relativamente marginale rispetto alle tradizioni enologiche colte, come quella piemontese o quella toscana, e in cui le produzioni di qualità esistevano in certa misura solo nell'area orvietana. Né, specie in un tale contesto, si trattò di un'opzione priva di rischi, visto il radicamento che ancora negli anni Sessanta il vino da tavola, cioè il prodotto corrente e a basso prezzo unitario, aveva nella dieta diffusa italiana.
Parallelamente a questi sviluppi e alla prosecuzione di varie altre produzioni agricole e di trasformazione, a partire dagli anni Settanta il L. orientò i suoi sforzi verso iniziative di tipo turistico e culturale, aprendo un fronte di attività pure in larga misura anticipatore di tendenze e orientamenti successivi. Su questo nuovo indirizzo ebbe un peso rilevante la formazione storico-artistica di Maria Grazia Marchetti vedova Severini, di origine eugubina, che il L. aveva sposato nel 1965.
Fu, in larga misura, opera di quest'ultima il Museo del vino creato a Torgiano nel 1974, cui fece seguito, parecchi anni dopo, nel 2000, la concretizzazione di un altro progetto del L., quello di un Museo dell'olivo e dell'olio; i due musei, gestiti dalla Fondazione Lungarotti, hanno ospitato un'intensa attività culturale ed espositiva collegata alle ricche raccolte artistiche ed etno-antropologiche in essi contenute.
Sin dal 1978 tali interessi culturali si erano collegati anche a iniziative di tipo turistico e imprenditoriale, con la creazione di un complesso alberghiero, dotato di strutture ristorative e congressuali (Le tre vaselle), frutto del restauro di alcune porzioni del borgo medievale di Torgiano e, negli anni successivi, con l'apertura di un punto di degustazione e vendita dei vini, di una bottega di prodotti artigianali locali, di un impianto agrituristico (Poggio alle vigne).
Più in generale, si trattò di un'intensa opera di promozione dell'area torgianese che fece da battistrada a molti fra gli indirizzi recenti della valorizzazione turistica delle vocazioni artistico-culturali, paesaggistiche, artigianali ed eno-gastronomiche dei territori locali, non solo umbri o dell'Italia centrale.
Sin dalla fine degli anni Settanta il L. fu affiancato dalle figlie nella conduzione dell'impresa: dal 1979 da Teresa Severini, enologa, che ha collaborato alla messa a punto di molti vini dell'azienda, e poi, dal 1992, da Chiara Lungarotti, pure agronoma, che sarebbe divenuta amministratrice unica dell'impresa dopo la morte del padre.
Insignito del "premio per particolare merito e contributo al progresso economico provinciale" dalla Camera di commercio di Perugia nel 1968 e poi del premio Fedeltà al lavoro dalla stessa istituzione l'anno successivo, il L. divenne cavaliere del lavoro nel 1990.
Il L. morì a Perugia il 16 apr. 1999.
A quella data le Cantine Lungarotti avevano una produzione oscillante intorno ai 2,5-3 milioni di bottiglie l'anno, per metà esportata (in primo luogo negli Stati Uniti e in Gran Bretagna) e occupavano circa 90 addetti tra impianti enologici e azienda agraria, oltre ai circa 40 dipendenti impiegati nelle attività turistico-alberghiere.
Fonti e Bibl.: Dati e informazioni relativi al L. sono tratti, oltre che da una breve scheda in I cavalieri del lavoro 1901-2000, Roma 2002, p. 1098, da articoli, brochures aziendali e, soprattutto, da colloqui avuti con familiari, responsabili e tecnici dell'azienda. Per la zona DOC si veda anche Camera di commercio di Perugia, Albo dei vigneti del vino DOC della Provincia di Perugia, Perugia 1976, pp. 71-77. I cataloghi sistematici del Museo del vino di Torgiano sono editi nella Collana regionale di beni culturali dell'Umbria