MANGANELLI, Giorgio
Nacque a Milano il 15 nov. 1922, secondogenito di Paolino e Amelia Censi.
La famiglia era benestante grazie al lavoro del padre, che, partito come venditore ambulante, era divenuto procuratore di borsa. L'infanzia del M. fu segnata dal problematico rapporto con la madre, la cui possessività - unita a una religiosità che aveva connotati ossessivi - costituì per lui una fonte di grande angoscia, dalla quale non riuscì mai a liberarsi completamente.
Frequentò il liceo classico Cesare Beccaria di Milano; agli anni delle superiori risalgono le prime prove di scrittura.
Nel giornale della scuola, La Giostra, al cui allestimento partecipava attivamente, pubblicò nel 1940 un racconto intitolato Il sogno triste della casa bianca (recuperato da S.S. Nigro, in Il Sole - 24 Ore, 27 ag. 2000).
Nel 1940, si iscrisse alla facoltà di scienze politiche di Pavia. Il suo percorso universitario fu particolarmente brillante, nonostante le vicende belliche, che lo coinvolsero da vicino. Nel febbraio 1943, infatti, venne richiamato e arruolato nel 78 reggimento di fanteria, a Bergamo. Entrò nella Resistenza nel marzo 1944, venendo a far parte della sezione clandestina del Partito comunista di Langhirano, nell'Appennino parmense; nell'ottobre dello stesso anno, passò alla sezione di Roccabianca (paese di origine del padre), di cui divenne vicesegretario dal febbraio dell'anno successivo; in seguito fu presidente del locale Comitato di liberazione nazionale (CLN) e commissario di sezione per gli intellettuali e la propaganda. Venne catturato e condannato a morte il 18 marzo 1945; ma l'ufficiale che doveva fucilarlo gli risparmiò la vita, limitandosi a colpirlo violentemente sul capo col mitra.
Il 9 nov. 1945 si laureò, con 110 e lode, presentando una tesi in storia delle dottrine politiche, relatore V. Beonio Brocchieri, cui rimase legato anche dopo aver terminato gli studi. La tesi, Contributo critico allo studio delle dottrine politiche del '600 italiano, è stata pubblicata postuma (a cura di P. Napoli, Macerata 1999). Subito dopo la laurea, iniziò quell'attività di traduttore di testi letterari dall'inglese che lo accompagnò per tutta la vita.
La prima opera affrontata fu Confidence di H. James; in seguito tradusse testi di E. Ambler, G.G. Byron, T.S. Eliot, R. Firbank, T. Hanlin, O. Henry, F. Spencer Chapman, C. Sprigge, J. Webster. Particolarmente impegnative - e riuscite - furono le versioni dei racconti di E.A. Poe (pubblicate in tre volumi nella prestigiosa collana einaudiana "Scrittori tradotti da scrittori", Torino 1983) e di varie opere di W.B. Yeats. L'incontro con l'opera di Yeats fu fondamentale per l'evoluzione letteraria, e probabilmente anche umana, del M. che, per motivi non chiari, non pubblicò mai le traduzioni che aveva ultimato nel 1956 per Guanda (con il titolo Drammi celtici vennero stampate postume, a cura di V. Papetti, Milano 1999).
Tornato a Milano, nel 1946 sposò Fausta Chiaruttini, donna colta, di origine slava; subito dopo il matrimonio, i due coniugi andarono a vivere nella grande casa dei genitori del M.; ciò causò non pochi problemi, soprattutto per i pessimi rapporti tra suocera e nuora. Il 20 maggio 1947 nacque la figlia Amelia (sempre chiamata Lietta). Nell'autunno dello stesso anno iniziò a collaborare con La Gazzetta di Parma, scrivendo di quello che era ormai divenuto il suo interesse di studio privilegiato, la letteratura inglese e americana. La scrittura per i giornali era destinata a diventare la sua principale fonte di sostentamento: nel corso di quarant'anni collaborò con molte testate diverse (tra cui Il Giorno, Il Mondo, L'Espresso, La Stampa, Corriere della sera, Il Messaggero).
Nell'autunno del 1949 conobbe la giovane poetessa Alda Merini, con la quale ebbe per alcuni anni una relazione molto tormentata, a causa soprattutto dei disturbi psichici di cui soffriva la donna. La situazione familiare, intanto, andava peggiorando, anche a causa di una grave malattia che aveva colpito il padre, figura fondamentale per il mantenimento dell'equilibrio casalingo: il M. e la moglie vivevano ormai di fatto come separati in casa. Dopo la morte del padre, il 15 giugno 1953, lasciò improvvisamente Milano, per andare a stabilirsi a Roma, tagliando ogni rapporto sia con i familiari, sia con la Merini. Nell'estate dello stesso anno, grazie a una borsa di studio, passò un mese a Liverpool; quel viaggio, il primo compiuto all'estero, contribuì ad alleviare le sofferenze psicologiche patite in quel periodo.
Nell'anno successivo intraprese una collaborazione con il Terzo Programma della RAI, per cui scrisse testi relativi alla letteratura inglese e angloamericana. Nel dicembre 1955 si iscrisse al Partito radicale, ciò che nelle sue aspettative avrebbe dovuto permettergli di uscire da uno stato di isolamento politico vissuto come molto penoso. Nell'agosto 1957, risultato vincitore in un concorso, divenne insegnante di ruolo di inglese nelle scuole superiori (come incaricato, aveva cominciato a insegnare dieci anni prima).
Il 2 apr. 1959, dopo un periodo in cui aveva avvertito un netto peggioramento delle sue condizioni psicologiche, cominciò con Ernst Bernhard un percorso di psicoterapia interrotto solo dalla morte del medico, nel 1965. Il contatto con Bernhard, un analista di scuola junghiana, si rivelò di importanza fondamentale per il M., non solo dal punto di vista psicologico ma anche da quello letterario.
Infatti, fu da appunti scritti nell'ambito della terapia che nacque la versione iniziale della prima opera compiuta del M. scrittore, Hilarotragoedia. Più in generale, la presenza di suggestioni psicanalitiche, segnatamente del pensiero di C.G. Jung, è avvertibile nell'intera opera del M., che peraltro dedicò alle tematiche psicanalitiche non pochi interventi (una raccolta postuma - Il vescovo e il ciarlatano. Inconscio, casi clinici, psicologia del profondo. Scritti 1969-1987, Roma 2001 - è stata curata da E. Trevi).
Dopo l'inizio della psicoterapia, il M. riprese i contatti, interrotti ormai da molti anni, con la madre, che viveva a casa del figlio maggiore, a Torino. Ma i rapporti rimasero estremamente problematici. Non è forse un caso che il M. arrivò a pubblicare il primo libro, Hilarotragoedia, solo poco dopo la morte della madre, nel 1964. Nello stesso anno rivide, dopo più di un decennio, la figlia, con la quale mantenne poi sempre un buon rapporto.
L'uscita di Hilarotragoedia, insieme con l'adesione al Gruppo 63, lo rese noto al mondo letterario, e il M. venne considerato subito un esponente di primo piano della neoavanguardia. Gli anni Sessanta lo videro molto impegnato nel campo dell'editoria.
Fu fra i fondatori della rivista Grammatica e condirettore della collana "La ricerca letteraria" di Einaudi. Dette inizio, inoltre, a quell'attività di consulente editoriale che lo accompagnò per tutta la vita (molte, e importanti, le case editrici per cui lavorò: Guanda, Einaudi, Feltrinelli, Garzanti, Mondadori e Adelphi).
Nella primavera del 1970 compì un impegnativo viaggio in Africa (dall'Egitto al Kenia).
Il M., che in precedenza aveva condotto una vita molto sedentaria, scoprì in sé una forte passione per i viaggi, anche in terre lontane, che trovò negli anni successivi un preciso sbocco letterario, con numerosi reportages da vari Paesi del mondo (soprattutto dell'Asia), alcuni dei quali a tutt'oggi non raccolti in volume o rimasti inediti.
Nel 1972 decise di lasciare il posto di docente incaricato di letteratura inglese presso l'Università di Roma La Sapienza (cui era arrivato da assistente di G. Baldini), profondamente deluso dal mondo accademico, al quale si sentiva del tutto estraneo. Da allora in poi visse esclusivamente della sua scrittura; gli anni Settanta e Ottanta lo videro sempre più impegnato nelle attività culturali avviate nei decenni precedenti.
Nel marzo del 1990 venne colpito da una grave forma di mielite; ma non erano solo i problemi di salute ad affliggerlo: secondo la testimonianza dell'amica Giulia Niccolai, il M., nel corso di una conversazione telefonica avvenuta in quello stesso mese, aveva confessato di aver perso la voglia di vivere.
Il M. morì a Roma il 28 maggio 1990.
L'esordio nel campo della scrittura creativa era arrivato per il M. piuttosto tardi, con il già ricordato volume Hilarotragoedia (Milano 1964), destinato a rivestire un'importanza fondamentale per qualsiasi discorso critico sull'autore. La maggior parte dei molti recensori del testo ebbe l'impressione di trovarsi di fronte a una prima prova singolarmente matura, opera di uno scrittore ultraquarantenne che sembrava giunto improvvisamente al pieno dominio dei propri mezzi stilistici. In realtà, l'elaborazione era stata assai più tormentata di quanto non si pensasse; una prima stesura venne scritta di getto (tra il dicembre 1960 e il gennaio 1961), ma fu seguita da un intenso lavoro di revisione (che comportò anche l'espunzione di parecchie pagine): del testo esistono ben cinque stesure dattiloscritte, che presentano correzioni a mano. Inoltre, il lavoro su Hilarotragoedia era stato preceduto da un apprendistato letterario durato parecchi anni: il M. aveva incominciato sin dal 1953 a confrontarsi con la scrittura creativa in prosa, componendo un gran numero di brevi testi - a oggi pressoché tutti inediti - in cui è già possibile individuare molte caratteristiche che saranno proprie dei suoi primi libri.
È difficile inquadrare Hilarotragoedia in un genere letterario: nel risvolto di copertina, lo stesso M. definisce il testo "un trattatello, un manualetto teorico-pratico"; ma non mancano inserti puramente narrativi (il più importante ha per titolo Storia del non nato). L'assioma di partenza, che campeggia graficamente evidenziato nella prima pagina, è il seguente: "che l'uomo ha natura discenditiva". La natura degli esseri umani tende ineluttabilmente alla discesa verso l'Ade: ogni uomo è abitato da una "vocazione discenditiva", ciò che non rende il percorso verso gli inferi - peraltro facilitato dalle caratteristiche strutturali dell'universo, che sembra concepito a tale scopo - immune dalle più varie forme di angoscia (di cui viene approntato un catalogo ragionato). È questo il tema principale, che però viene sviluppato in modo nient'affatto lineare: il testo si presenta come una selva di ipotesi, chiose, precisazioni, note linguistiche, aneddoti che spostano continuamente la prospettiva del discorso, e complicano il procedere della trattazione. Quest'ultima è destinata a non arrivare mai a una conclusione: il testo infatti termina bruscamente, con i due punti che dovrebbero introdurre un'ennesima ipotesi che però non troverà mai luogo.
La prosa di Hilarotragoedia si iscrive senza dubbio nel solco del plurilinguismo, ed è caratterizzata in particolare da una ardita ricerca lessicale (tesa soprattutto al recupero di arcaismi anche molto rari e alla creazione di neologismi) e da un uso intensissimo delle figure retoriche (con evidenti richiami a certi prediletti prosatori barocchi). A questa cifra stilistica il M. rimarrà sostanzialmente fedele lungo tutto il corso della sua attività letteraria, anche se non tutti i testi successivi saranno improntati alla medesima oltranza espressiva.
Con la seconda opera narrativa del M., Nuovo commento (Torino 1969), si riprendono, portandole alle estreme conseguenze, alcune particolarità strutturali dell'opera prima: l'intero libro è costituito da un'interminabile serie di glosse a un testo inesistente; all'interno di un'intricata rete di note, che si generano una dall'altra, trovano luogo inserti narrativi, come il Caso del commentatore fortunato.
Più tradizionale, almeno dal punto di vista della struttura, è Agli dèi ulteriori (ibid. 1972), in cui si raccolgono cinque testi narrativi e una sorta di trattato (già pubblicato nel 1965, nel n. 8 del Menabò). Quest'ultimo, significativamente intitolato Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti, mostra molti punti di contatto, sia tematici sia stilistici, con Hilarotragoedia.
Il percorso creativo del M. continuò con una fitta serie di libri, in cui, pur nella varietà delle soluzioni adottate, non si registrano sostanziali cambiamenti di poetica: si tratta o di approfondimenti di temi già sperimentati, o di esplorazioni di temi nuovi ma comunque appartenenti agli stessi ambiti conoscitivi affrontati nelle prime opere: Sconclusione (Milano 1976), Amore (ibid. 1981), Discorso dell'ombra o dello stemma o del lettore e dello scrittore considerati come dementi (ibid. 1982), Dall'inferno (ibid. 1985), Tutti gli errori (ibid. 1986), Rumori o voci (ibid. 1987). In ognuno di questi libri convivono, spesso strettamente intrecciate, trattatistica e narrativa; l'autore si dimostra "assai competente in fatto di cose che non esistono" (secondo una sua calzantissima definizione, originariamente concepita per un personaggio, ma poi utilizzata per se stesso nella sopraccoperta dell'Antologia privata, ibid. 1989, una raccolta di suoi scritti di varia provenienza).
Luoghi onirici, esseri mitologici, animali fantastici, emblemi araldici, metamorfosi, allucinazioni e incubi di ogni genere trovano spazio in pagine tenute sempre in equilibrio tra una forte tensione raziocinante e il liberarsi di pulsioni inconsce.
Presente in ogni testo è anche la riflessione sul fare letterario, più o meno esplicita a seconda dei casi; alla tendenza al discorso metaletterario il M. rimane coerente fino all'ultimo testo pubblicato in vita, Encomio del tiranno. Scritto all'unico scopo di fare dei soldi (ibid. 1990), che mette in scena i rapporti di reciproca dipendenza che legano il buffone al tiranno.
Nella figura del buffone viene adombrata la condizione ambigua dello scrittore, che da un lato si trova in una condizione di subalternità rispetto al potere, ma dall'altro, grazie alla sua capacità di creare attraverso la lingua, è il solo a garantire la possibilità di esistere del potere stesso.
Il M. aveva in cantiere altri libri; postumi sono usciti: La palude definitiva (a cura di E. Flamini, ibid. 1991), Il presepio (a cura di E. Flamini - G. Pinotti, ibid. 1992) e La notte (a cura di S.S. Nigro, ibid. 1996).
La ricerca di una soluzione differente emerge in Centuria (ibid. 1979), testo che occupa un posto a sé nella produzione del M., essendo l'unica prova di pura narrativa. Centuria ottenne un notevole successo di pubblico, grazie anche al fatto che fu insignito del premio Viareggio.
Il libro è composto da Cento piccoli romanzi fiume (come recita il sottotitolo), ognuno racchiuso nello spazio di una sola pagina. Per l'occasione, anche lo stile adottato appare sensibilmente diverso dal solito: pur attentamente lavorata come sempre, la prosa è qui molto lontana dai virtuosismi barocchi cui il M. aveva abituato i suoi lettori.
L'interesse del M. per la letteratura si è concretizzato nella produzione di una miriade di prefazioni, articoli e saggi brevi - pubblicati in quotidiani, rotocalchi e riviste letterarie nel corso di decenni - attraverso cui egli svolse un discorso di singolare compattezza e coerenza, a dispetto della varietà dei temi trattati (che vanno da questioni squisitamente teoriche a letture critiche dei più diversi scrittori antichi e moderni). Inoltre, si riscontra una perfetta rispondenza tra le posizioni espresse nella saggistica letteraria e la pratica scrittoria del M. narratore. Tutte queste caratteristiche sono evidenti già nella prima raccolta di saggi, La letteratura come menzogna (ibid. 1967).
Particolarmente importante è il testo che dà il titolo alla raccolta, letto durante una riunione del Gruppo 63, un vero e proprio manifesto di poetica, i cui concetti verranno ripresi (e approfonditi) molto spesso dall'autore, che alle idee lì espresse rimarrà sempre fedele. In moltissime occasioni il M. afferma con forza la sua visione della letteratura, vista come un'attività immorale, cinica e profondamente asociale, e proprio per questo degna di interesse. Viene rivendicata inoltre la supremazia assoluta della lingua sui contenuti: lo scrittore, personaggio irresponsabile, che ha in sé le caratteristiche proprie del buffone, del fool di shakespeariana memoria, non ha messaggi da affidare all'umanità: il suo compito è quello di assemblare nel modo migliore, non senza l'uso di ogni artificio possibile, le parole sulla carta, con un gesto che ha la gratuità e insieme il rigore di una cerimonia. Logica conseguenza di tali premesse è l'aperta rivalutazione della retorica, considerata basilare per la scrittura letteraria.
Il M. pubblicò altri due libri di scritti sulla letteratura, raccogliendo rispettivamente prefazioni e articoli giornalistici: Angosce di stile (ibid. 1981) e Laboriose inezie (ibid. 1986). Quest'ultimo, formato soprattutto da scritti su autori italiani dalle origini all'Ottocento, era stato concepito unitariamente a un volume sugli "Oggidiani" (vale a dire sugli scrittori novecenteschi) che non vide mai la luce. Una serie di schede su grandi testi della letteratura mondiale ottonovecentesca, scritte dal M. e da C. Garboli tra il 1960 e il 1961, apparve quasi trent'anni dopo col titolo Cento libri per due secoli di letteratura (ibid. 1989).
Molti anche in questo settore della produzione del M. sono i libri postumi. Un'impronta marcatamente teorica hanno gli scritti raccolti ne Il rumore sottile della prosa (a cura di P. Italia, ibid. 1994), mentre gli interessi di anglistica sono alla base dei testi editi in De America. Saggi e divagazioni sulla cultura statunitense (a cura di L. Scarlini, ibid. 1999), e nella serie di opere curate da V. Papetti: Incorporei felini (I-II, Roma 2002), Vita di Samuel Johnson (ibid. 2002), L'impero romanzesco. Letture per un editore (Torino 2003), Il romanzo inglese del Settecento (ibid. 2004). Nata per un programma radiofonico è la scelta dal Morgante di L. Pulci, accompagnata da un racconto-commento del M., recentemente recuperato da G. Pulce (Un'allucinazione fiamminga, Roma 2006).
Si sbaglierebbe a voler separare nettamente, nell'opera del M., narrativa e saggistica letteraria: se non si esagera a dire che ogni suo testo creativo contiene riflessioni teoriche (a volte più, a volte meno esplicite) sul fare scrittura, è vero anche che i suoi saggi si propongono come testi letterari a tutti gli effetti. Il confine tra i due generi, sempre labile, viene completamente superato in Pinocchio: un libro parallelo (Milano 1977).
Il testo di Collodi, cui il M. era particolarmente legato, e a cui dedicò più di un articolo, è sottoposto a un'operazione singolare; il nuovo Pinocchio, infatti, non appartiene né al genere del commento né a quello della parafrasi (anche se di entrambi conserva alcune caratteristiche), bensì si inscrive in una tipologia tutt'affatto inedita, che lo stesso autore sente il bisogno di definire: "Si suppone in genere che un libro parallelo sia un testo scritto accanto ad altro, già esistente libro, una lamina scritta che mima forme e dimensioni di altra lamina, e ne insegue i caratteri, i segni, parte traducendo, confermando, negando, ampliando". L'operazione è perfettamente riuscita: il libro suggerisce senza dubbio nuovi modi di leggere il romanzo di Collodi, grazie anche alle continue suggestioni psicanalitiche, peraltro mai esibite come tali; ma, allo stesso tempo, non esaurisce in ciò la sua funzione, ponendosi anche come testo letterario perfettamente autonomo.
Di un altro classico della letteratura, l'Otello di W. Shakespeare, il M. offrì una vera e propria riscrittura: Cassio governa a Cipro (ibid. 1977; la prima rappresentazione risale al 1972). Pubblicato postumo (a cura di L. Scarlini, ibid. 2002) è Il Personaggio, personalissima rivisitazione del Don Giovanni scritto da L. Da Ponte per Mozart, risalente con ogni probabilità agli anni 1976-77.
Il M. scrisse anche vari testi teatrali originali, che raccolse poi in A e B (ibid. 1975) insieme con una serie di Interviste impossibili a vari personaggi antichi e moderni. La sua attenzione per il teatro è testimoniata inoltre dai testi raccolti nel postumo Cerimonie e artifici (a cura di L. Scarlini, Salerno-Milano 2000).
Dell'infinità di pagine frutto delle sue intense collaborazioni giornalistiche il M. pubblicò due scelte: Lunario dell'orfano sannita (Torino 1973) e Improvvisi per macchina da scrivere (Milano 1989).
Gli articoli compresi in entrambi i volumi affrontano i più vari aspetti del costume e della società. Il corsivo, che per essere efficace richiede sintesi e ironia, si rivela un tipo testuale particolarmente congeniale al M., che lo usa per rovesciare le presunte verità del senso comune, rivelando gli aspetti paradossali presenti in ogni piega del reale: in gioco, quindi, c'è molto di più della ricerca dell'effetto comico (pur sempre perseguita).
Tra i molteplici interessi culturali del M. non mancò quello per le arti figurative. Egli tenne per alcuni mesi una rubrica nella rivista FMR, riunendo poi i testi nel volume Salons (ibid. 1987).
Da alcune fra le più importanti esperienze di viaggio del M. nacquero Cina e altri Orienti (ibid. 1974) e il postumo Esperimento con l'India (a cura di E. Flamini, ibid. 1992); entrambi i libri raccolgono perlopiù articoli giornalistici scritti a caldo (rispettivamente tra il 1972 e il 1973 e tra il 1975 e il 1976). Altri reportages sono usciti nel 2006, a cura di A. Cortellessa, con il titolo L'isola pianeta e altri settentrioni (ibid.).
Le relazioni di viaggio sono strettamente legate al resto della produzione del M., che gli attribuiva un'importanza per nulla secondaria; basti pensare che egli teorizzava la necessità di fondare un genere letterario nuovo, la geocritica, l'obiettivo del quale sarebbe giungere a "leggere" i luoghi con le stesse modalità con cui si affrontano i libri. Tutto ciò rende perfettamente legittima l'operazione compiuta da Graziella Pulce, che nel volume L'infinita trama di Allah. Viaggi nell'Islam 1973-1987 (Roma 2002) ha raccolto insieme scritti di viaggio e articoli letterari relativi al mondo islamico. Vere e proprie "recensioni di luoghi", questa volta italiani, si leggono in La favola pitagorica (a cura di A. Cortellessa, Milano 2005).
Negli ultimi anni, si stanno infittendo le uscite di volumi di scritti del M. riuniti per argomento.
Oltre ai molti libri già menzionati, sono da ricordare: Il delitto rende ma è difficile. Aforismi e stravaganze (Milano 1997) e UFO e altri oggetti non identificati. 1972-1990, a cura di G. Pulce (Roma 2003). La bibliografia del M. si è inoltre arricchita di un'antologia di interviste (La penombra mentale, a cura di R. Deidier, Roma 2001), e di una raccolta epistolare (Costruire ricordi, a cura di G. Pulce, Milano 2003; si tratta di lettere a G. Sandri). Nel volume di P. Terni, G. M. ascoltatore maniacale (Palermo 2001), sono riportate conversazioni radiofoniche su temi relativi alla musica classica.
La sterminata produzione del M. contempla anche un numero non esiguo di testi poetici, la maggior parte dei quali scritti nel periodo precedente all'esordio nel campo della prosa; un'ampia scelta si legge in Poesie, a cura di D. Piccini (Milano 2006).
Per un affidabile regesto dei testi del M. pubblicati (in vita o postumi) si veda G. Pulce, Bibliografia degli scritti di G. M., Firenze 1996, pp. 102-175.
Fonti e Bibl.: Per i principali studi sul M. pubblicati entro la fine del 2003 è disponibile un'esaustiva bibliografia, cui si può rimandare senz'altro: G. Pulce, G. M. Figure e sistema, Firenze 2004, pp. 161-171. Tra i contributi più recenti particolare importanza ha G. M., a cura di A. Cortellessa - M. Belpoliti, Milano 2006 (oltre a una ricca sezione di materiali critici, il volume contiene anche testi del M. inediti o rari). Fra gli studi filologici relativi all'opera del M., si veda M. Bricchi, M. e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia con testi inediti, Novara 2002 (si ricostruisce la complessa storia testuale dell'opera prima e si pubblicano brani espunti dalla versione definitiva).