MANIACE (Maniakes), Giorgio (Georgios)
Figlio di Goudelios, di discussa discendenza nobiliare microasiatica - ovvero homo novus, secondo un'altra interpretazione - nacque presumibilmente nell'ultimo quarto del X secolo.
La sua carriera è nota dal 1029 o 1030 quando l'imperatore Romano III Argiro lo prepose al Tema taurico di Teluch, al confine anatolico-siriano, come protospatario e stratego, e ne constatò la capacità, rara ai tempi, di confrontarsi con successo con gli Arabi.
Promosso stratego delle città dell'Eufrate, con sede a Samosata, con spregiudicata astuzia il M. prese Edessa, traendone in prezioso trofeo la lettera "autografa" di Cristo al re Abgar; fu nominato quindi catapano del Vaspurakan, da dove fu poi trasferito sul fronte occidentale. Diversi tipi di sigilli attestano l'impegno del M. come protospatario e archegeta dell'Anatolia e come patrizio e catapano del Vaspurakan.
Col cambio di guardia nel Vaspurakan è connesso, in funzione antiaraba, l'incarico italiano, che le fonti locali riportano al 1038, mentre Scylitzes (1973) dà una cronologia oscillante, rilevando peraltro l'intercorrere di un certo lasso di tempo tra la nomina e l'arrivo del M. in Sicilia.
In effetti questi dovette prima aggregare un composito esercito, che comprendeva, oltre alle milizie provinciali di Puglia e Calabria e a corpi di Armeni, Pauliciani e Macedoni, anche mercenari normanni - concessi da Guaimario di Salerno e al comando del lombardo Arduino - e mercenari lombardi, russi e vareghi (cfr. le leggende della saga norvegese di Heimskringla, dove il M. è ricordato con il nome di Girgir).
Scortato da unità di marina guidate dal patrizio Stefano, cognato dell'imperatore Michele IV, il M. mosse nel 1038 verso la Sicilia con il ruolo di stratego autokrator, cioè generalissimo, e col supremo comando sui massimi funzionari del luogo, strateghi e catapani. Dopo la presa di Messina, in cui si distinsero i Normanni, il M. colse una cruenta vittoria in un punto chiave della via per Palermo, ove si annidavano gli arabi, sostenuti da rinforzi africani, a Rhemata (oggi Rometta), alle pendici dei monti Peloritani, a circa 30 km da Messina (Scylitzes, 1973, p. 403). Dovette poi interrompere l'assedio di Siracusa e recarsi un'altra volta contro il nemico nella pianura detta "Draghinai".
In proposito Amari richiama la toponomastica della zona a occidente dell'Etna, dove furono "nel duodecimo secolo una terra e un'abbadia addimandate da lui [il M.] e il nome vi dura finoggi" (p. 258). In effetti, tra Bronte, Cesarò e Randazzo si sono conservati i toponimi "Maniace di Bronte", il "vallone Maniace", nonché il torrente "Saracena" (Merendino, p. 140). La città, da cui erano uscite le milizie arabe per la battaglia campale, doveva essere l'odierna Troina. Manca di rispondenza nei fatti la notizia di Scylitzes che il M. avesse ottenuto gradualmente il passo in tutta l'isola. Sebbene a Draghinai egli avesse stravinto (Scylitzes, 1973, p. 405), l'interno agibile per i Bizantini rimase circoscritto a una quarantina di chilometri dalla costa orientale. Si tramanda che il M. prese tredici imprecisate città, ed è certo che tra queste fu Siracusa. La cronachistica araba dà notizia di un tentativo su Malta - parzialmente riuscito - da parte dei Bizantini: e questi erano "al certo schiera spiccata dall'esercito di Maniace" (Amari, p. 282). Le gesta dello strenuo miles, vincitore dei "barbari", rimasero indelebili nella memoria collettiva dei Siciliani, anche se finirono per configurarsi, man mano che sbiadivano i dati storici, con tratti favolosi (v., per esempio, nel XIII secolo la lectio "Manaceo" di Bartolomeo da Neocastro e la sua fantasiosa ricostruzione). Il suo ricordo, sedimentato anche nell'onomastica siciliana (Merendino, p. 138), rinvia, tra l'altro, ad atti di devozione e a opere di fortificazione e di restauri. Così, nella provincia di Messina, troviamo il monastero di S. Maria di Maniace, dal M. dotato o fondato. A Siracusa, dove era nel 1040, egli rinvenne, come informa la storiografia cassinese, la reliquia più cara ai suoi abitanti, il corpo della martire s. Lucia; se ne appropriò e lo inviò a Costantinopoli. Restaurò, sulla punta di Ortigia, un castello, che, completamente riedificato da Federico II, reca a tutt'oggi il nome di castello Maniace.
Nonostante il suo slancio guerriero, che quasi faceva sperare, in prosieguo di tempo, in una riconquista di tutta la Sicilia, il M. fu stroncato da una vendetta del patrizio Stefano: questi, riconosciuto reo di aver lasciato scampo - dopo Draghinai - ad ‛Abd-Allā'h, figlio del califfo di Kairouan, aveva subito dal M. l'umiliazione di una pubblica rimostranza. Con l'accusa di alto tradimento, nello stesso 1040, il M. fu richiamato e recluso a Costantinopoli. Seguì una sua riabilitazione sotto Michele V, mentre l'imperatrice Zoe (1042) lo trasse di nuovo al vertice delle gerarchie militari, inviandolo non in Sicilia, ormai persa per l'inettitudine dei suoi successori, ma nelle terre bizantine sottoposte a Bari, sede degli strateghi e catapani.
I nemici da combattere erano, in questo caso, i locali, insorti col sostegno di milizie normanne (1041), capitanate, come un tempo in Sicilia, da Arduino, all'epoca topoterete di Melfi per incarico del catapano Michele Dokeianos. I Normanni erano giunti a occupare quasi l'intera provincia e si erano sottomessi prima ad Atenolfo (fratello del principe di Benevento), quindi al barese Argiro, figlio di Melo.
Il M., nominato generalissimo e catapano in uno scenario in fiamme, ingaggiò una prova di forza che gli alienò i locali. Le fonti marchiano di infamia le vessazioni e le efferatezze di cui si rese responsabile a Matera e a Monopoli, senza riuscire peraltro a staccare dalla sedizione i ribelli. Cambiò rotta il nuovo sovrano Costantino IX Monomaco (1042-55), che con espedienti diplomatici attirò a sé Argiro e inflisse al M. la mortificazione della revoca.
La critica addebita talora al M. la colpa di aver aggravato la situazione compromessa di Bisanzio nei residui domini pugliesi: il che sembra plausibile ove si guardino gli esiti immediati della durezza del suo contegno. Ma la linea adottata da Costantino IX nei confronti del M. presenta lati discutibili, se non oscuri. Il M. era divenuto famoso in guerre e in vittorie, scrive l'agiografo di s. Filarete di Calabria (p. 44), e per non poche virtù. La sanzione di Costantino IX ignorava persino i suoi meriti come vincitore degli Arabi. In questo contesto il sovrano non avrebbe agito perciò con equilibrio, tanto più che fu sensibile, a quanto si tramanda, alle pressioni del nobile Romano Sclero, in perenne litigio col M. per possessi limitrofi in Anatolia. Prescindendo dai rapporti personali, è da considerare che il disgregarsi dei domini bizantini fu dovuto al fatto che il predominio acquisito dai Normanni non era più reversibile, come di lì a una ventina d'anni sarebbe stato chiaro.
Il M. allora si tramutò da servitore dell'Impero in usurpatore. All'arrivo del nuovo catapano Pardo, nel settembre 1042, il M. aprì le ostilità uccidendolo, quindi si portò a Otranto, senza lasciarsi persuadere da un'ambasceria di pacificazione, di cui faceva parte l'arcivescovo di Bari. Nel febbraio 1043, con truppe di varia formazione, traversò l'Adriatico e passò a Durazzo, deciso a marciare su Costantinopoli per la via Egnazia. È stata formulata l'ipotesi che l'usurpatore volesse coordinare il suo attacco con un altro architettato dai Russi, che si presentarono infatti dinanzi a Costantinopoli nell'estate 1043.
A Ostrovo, in Macedonia, mentre stava sbaragliando l'armata governativa, guidata dal sebastoforo Stefano, il M. perse la vita in combattimento agli inizi dell'estate 1043. La sua testa, infilzata su una lancia, adornò il trionfo celebrato dal sebastoforo nella capitale.
La fama e la letteratura trasfigurarono il M., per la sua tempra, in personaggio eroico, abbattuto non da mano d'uomo, ma dalla destra divina (Attaliate, p. 19). I momenti salienti delle sue gesta sono effigiati nel ms. Vitrinas 26-2 della Biblioteca nacional di Madrid a illustrazione della Synopsis historiarum di Scylitzes.
Un corpo di ausiliari dell'armata bizantina veniva ancora denominato "maniakatai" nel tardo XI secolo (Anna Comnena, II, p. 117).
Della famiglia, che si ritiene pur sempre attestata dopo il M. tra gli alti funzionari bizantini, sono editi sigilli, databili tra la seconda metà dell'XI e l'inizio-metà del XII secolo. Un discendente del M., forse nipote, compare quale proprietario terriero nel catasto di Tebe, in Grecia, alla metà dell'XI secolo.
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