Giorgio Mortara
Quello di Giorgio Mortara all’interno della cultura economica italiana fu un ruolo complesso, non privo di contraddizioni, come fu contradditorio il percorso di vita di molti intellettuali che raggiunsero la loro maturità e operarono attivamente nel ventennio fascista. Partecipò da protagonista al dibattito di politica economica dei suoi tempi. Competenza tecnica, spiccato nazionalismo, capacità manageriale nell’organizzare e promuovere strutture di studio costituiscono gli elementi che caratterizzano il contributo di Mortara all’economia italiana.
Giorgio Mortara nacque a Mantova il 4 aprile 1885 da Clelia Vivanti e Lodovico, che fu giurista insigne e ricoprì importanti cariche pubbliche e di governo (ministro della Giustizia nel governo Nitti dal 1919 al 1920). Studiò giurisprudenza a Napoli, dove si laureò nel 1905, sviluppando i suoi interessi per gli studi quantitativi, in particolare quelli demografici. Su consiglio di Rodolfo Benini (1862-1956), statistico di statura internazionale, nell’anno accademico 1907-08 si recò a Berlino dove studiò con lo statistico ed economista Ladislaus von Bortkiewicz (1868-1931). Al soggiorno berlinese risalgono i suoi contributi metodologici riguardanti la legge degli eventi rari e alcuni importanti studi in campo demografico. Al ritorno in Italia continuò la sua collaborazione con Benini e, nel 1909, non ancora venticinquenne, iniziò la sua carriera accademica nella Messina del dopo terremoto; in questo periodo si collocano i suoi studi quantitativi volti alla misurazione del movimento economico dell’economia italiana. Dal 1914 è all’Università di Roma, poi alla Bocconi a Milano (dal 1924) e poi nuovamente a Roma (dal 1956).
Quando maturò l’intervento italiano nella Prima guerra mondiale, Mortara, nonostante la grave otite contratta durante il servizio di leva, ottenne di essere richiamato in servizio: emergeva già allora il forte sentimento patriottico che ispirò costantemente il suo agire pubblico.
Nel 1919-20 riprese l’attività accademica a Roma. L’impegno profuso durante gli anni di guerra non lo aveva distratto dalla ricerca: aveva continuato a dirigere attivamente il «Giornale degli economisti» (carica esercitata dal 1910 al 1938) e, nel 1917, era riuscito a pubblicare il manuale Elementi di statistica; successivamente, nel 1920, pubblicò le Lezioni di statistica economica e demografica e, nel 1922, le Lezioni di statistica metodologica.
Il suo rapporto con il fascismo fu sempre filtrato da un nazionalismo fortemente identitario che precedette ideologicamente la sua adesione al regime e prevalse sulle sue origini israelitiche. Giunse alla decisione di prendere la tessera del partito soltanto nel 1933, non senza esitazioni e dubbi. La sua carriera in Italia fu interrotta nel 1938 quando, colpito dai provvedimenti contro gli ebrei italiani, decise la via dell’esilio volontario in Brasile dove trasferì il centro dei suoi interessi professionali e affettivi fino alla fine dei suoi giorni (Baffigi, Magnani 2009; Magnani 2012).
La sua passione per la ricerca fu sempre orientata da rigore e concretezza. Così fu, per es., con le «Prospettive economiche», pubblicazione annuale che Mortara curò personalmente per diciassette anni (1921-1937); con il lavoro svolto per la Società Edison, intorno al 1930; con quello per la Banca d’Italia che lo occupò per due anni, dal 1936, durante i quali contribuì alla fondazione del Servizio studi, curò l’impianto della statistica del credito per rami di attività economica, coordinò la stesura dei tre volumi su L’economia italiana nel sessennio 1931-1936. Negli anni di esilio in Brasile svolse molteplici lavori accademici e istituzionali; in tale Paese, Mortara fu subito nominato consigliere tecnico della Commissione nazionale del censimento del 1940. Si dedicò inoltre allo studio della popolazione brasiliana, con ricerche che ebbero risalto internazionale. Mortara si spense a Rio de Janeiro il 30 marzo 1967.
Tra lo scorcio dell’Ottocento e l’inizio del 20° sec. fiorì una nuova disciplina, la semiologia economica, che diede impulso a un incontro sempre più fecondo fra l’analisi economica e la statistica. Si trattava di un avvicinamento a quella che oggi chiamiamo analisi della congiuntura. Dalle ricerche in questo campo, in vari Paesi europei e negli Stati Uniti, nacquero alcuni importanti istituti di ricerca economica il cui scopo principale era effettuare diagnosi sullo stato corrente e prospettico dell’economia. Ciò non accadde in Italia, nonostante l’accademia italiana annoverasse alcuni fra gli studiosi di punta in questo campo, fra cui Mortara (Baffigi 2007 e 2008).
Mortara era consapevole dell’importanza di questo filone sia sotto il profilo metodologico, in quanto conoscitore dei più sofisticati risultati in ambito internazionale; sia sotto il profilo della raccolta sistematica delle statistiche economiche e della loro interpretazione a fini di diagnosi e di previsione della situazione economica del Paese (Borruso 1997). Dal punto di vista metodologico, si riconnetteva a maestri dell’economia e della statistica come Maffeo Pantaleoni e Benini.
Nel 1913 e nel 1914 egli pubblica due lavori semiologici, fondamentali nella letteratura sull’argomento, nei quali risalta la padronanza nell’uso di metodi statistici allora alla frontiera, come la correlazione o la rimozione della stagionalità nelle serie storiche mediante l’uso delle medie mobili; l’obiettivo di tali lavori è la costruzione di un indice sintetico, o ‘totalizzatore’, basato su una media di indici elementari calcolati su una batteria di variabili «corrispondenti a varie funzioni della vita economica» (G. Mortara, Numeri indici delle condizioni economiche d’Italia, 1913, p. 193). Mortara estrae e sintetizza le informazioni contenute in variabili come le entrate dello Stato, l’andamento del commercio con l’estero, le vendite di biglietti ferroviari, la produzione di carbon fossile e di frumento e altre ancora.
Dieci anni più tardi, in un rapporto dell’International labor office al comitato economico della Società delle nazioni, l’articolo di Mortara del 1913 è compreso tra i principali studi fondamentali e propedeutici per il successivo sviluppo dei cosiddetti barometri economici, strumenti statistici per la diagnosi dello stato dell’economia.
L’utilità degli indici sintetici è spiegata da Mortara con pragmatico acume epistemologico. Seguiamo il suo ragionamento.
Gli studiosi dei fatti sociali [osservano più] serie di dati statistici, corrispondenti a varie funzioni della vita economica. In questo modo il loro giudizio è basato su un insieme di sintomi, ché un solo indizio, per quanto in sé stesso significativo, potrebbe indurre a conclusioni fallaci […] Tal modo di procedere equivale, in sostanza, ad una formazione di medie: l’economista si rappresenta in altrettanti diagrammi, reali o pur soltanto ideali, l’andamento delle diverse serie; e accostandoli l’uno all’altro, ricerca nel confronto le comuni tendenze che siano per apparirvi espresse (p. 193).
Mortara continua chiedendosi: «il procedimento seguito dall’economista per giudicare le condizioni di un paese è dunque tale che il calcolo di numeri sintetici valga a sostituirlo, col vantaggio di una maggiore precisione?» (p. 194). La risposta non è scontata: «lo scienziato, infatti, non si restringe all’esame di alcuni dati statistici, ma fonda il suo giudizio su notizie in parte non riducibili, o non ridotte, a forma numerica» (pp. 194-95). Mortara ritiene che i vantaggi degli indici sintetici non risiedano in una maggiore efficienza nell’estrarre informazioni dai dati statistici disponibili. I benefici che la comunità scientifica e gli operatori economici possono trarne, conclude Mortara, sono tutti collegati alla loro maggiore sistematicità, rispetto al libero ragionamento; ciò facilita l’elaborazione e la comunicazione intersoggettiva delle informazioni e le rende più attendibili perché più libere dagli interessi di parte o semplicemente dai punti di vista di ciascun economista. Al tempo stesso, la sistematicità non ostacola la flessibilità nel calcolo o la possibilità di aggiornare l’indice sintetico al passare del tempo con l’esclusione o l’aggiunta di variabili.
Tutto sommato, credo che un buon economista, dall’esame di un conveniente corredo di dati sulle condizioni d’un paese non possa ricavare una impressione d’insieme molto differente da quella tradotta in un indice sintetico stabilito con cura e cautela; il quale indice, una volta che ne sian fissate imparzialmente le basi, è per sempre sottratto all’influsso di quelle preoccupazioni di partito politico o di scuola economica, onde di rado riesce a liberarsi lo studioso più sereno (p. 195).
Va rilevato, peraltro, per concretezza, che le datazioni del ciclo che emergono dall’indice sintetico di Mortara sono sostanzialmente in linea con i più recenti studi quantitativi sull’Italia postunitaria portati avanti dagli storici economici. In particolare, egli nel 1913 sottolineava
il forte progresso dell’Italia negli ultimi quarant’anni; progresso rapido fin verso il 1885, rallentatosi fra l’85 e l’87, interrotto da un sensibile regresso dall’87 al 98. Da quest’ultima data ha principio una nuova fase di progresso, in generale molto rapido: rallentato ma non interrotto intorno al 1904, al 1908 e al 1912 (p. 202).
L’impegno di Mortara nella produzione di statistiche economiche è un filo che attraversa tutta la sua carriera scientifica; impegno scientifico sempre congiunto all’impegno che egli mette al servizio della nazione e della società italiane. Tuttavia, sul suo nazionalismo torneremo più avanti in quanto parte importante della sua visione economico-politica, elemento fondamentale del suo rapporto teorico e politico con il fascismo.
La capacità di lavoro di Mortara è testimoniata da un’opera come le Prospettive economiche, cui si dedicò per 17 anni dal 1921 sino al 1937, interrotta dalla barbarie razzista del regime che costrinse l’autore all’esilio. Un intellettuale come Gino Luzzatto teneva in grandissima considerazione le Prospettive, delle quali apprezzava l’intento empirista
in un paese come il nostro, in cui la vita sociale e la stessa cultura hanno ancora così scarsi contatti col mondo esterno, di cui subiamo ogni giorno l’influenza senza quasi avvedercene (Luzzatto 1929, p. 97).
Su un versante politico-culturale diverso, le Prospettive costituirono fonte di riflessione anche per Antonio Gramsci che nei Quaderni del carcere cita più volte l’annuario di Mortara. Il metodo con cui vengono selezionate le informazioni più rilevanti e la metodica continuità con la quale sono proposte, rendono quest’opera ancora un’utile fonte per la storia economica.
È anche importante aggiungere che l’opera di sistematico raccoglitore e interprete di statistiche poggiava su basi teoriche solide e aggiornate. Nello svolgere la sua attività di analisi e di previsione economica Mortara aveva ben presente la coeva letteratura economica sulle fluttuazioni cicliche. Ne è testimonianza il volume sui cicli economici pubblicato nel 1932, nella Nuova collana degli economisti di Giuseppe Bottai e Celestino Arena. Il libro contiene testi di Wesley C. Mitchell, Ernst Wagemann e Costantino Bresciani Turroni. Mortara arricchì l’antologia con una sua introduzione sulla previsione economica, nella quale chiarisce la propria visione della scienza economica e della politica economica.
L’esigenza di fare previsioni, secondo Mortara, è profondamente connaturata alla stessa esistenza dell’uomo; essa, tuttavia, subì una trasformazione importante quando nella storia umana si passò «dal regime di economia naturale a quello di economia parzialmente regolata dall’opera dell’uomo» (Cicli economici, 1932, p. XII), quando, cioè,
una parte di mano in mano maggiore dell’umana attività viene dedicata a preparare il soddisfacimento di bisogni futuri. Con questo spostamento di meta, diviene a grado a grado maggiore anche il rischio incorso dal produttore nell’operazione produttiva. Finché ‘produrre’ significa cogliere il frutto dall’albero che l’offre spontaneamente, l’operazione produttiva in se stessa non presenta alcun rischio. Ma quando l’alimento è offerto dal cereale coltivato o dalla pecora allevata, ecco sorgere il rischio che il risultato non sia adeguato allo sforzo, o che addirittura sia nullo. Ed ecco in pari tempo aprirsi un più vasto campo alla previsione economica e alla conseguente previdenza (p. XII).
Si potrebbe obiettare, osserva Mortara, che il superamento del «regime di economia naturale» fosse proprio una risposta all’incertezza a esso intrinseca. L’obiezione è ovviamente retorica, perché qui Mortara ha buon gioco a mettere in campo la sua grande sapienza di demografo con la quale egli può «facilmente replicare» che mentre nel regime di economia naturale «l’equilibrio demografico è stabilito automaticamente dalle forze naturali», nel regime successivo è l’uomo stesso che
concorre a determinarlo con la sua azione moltiplicatrice dei mezzi di sussistenza, così che diviene più che mai necessaria la previsione economica, ad evitare improvvise e vaste distruzioni di vite (p. XIII).
Il Mortara demografo entra con autorevolezza nel dibattito sulla diminuzione delle nascite, in ampia misura collegato all’ideologia natalista del regime. Si tratta di un fenomeno preoccupante nella prospettiva nazionalista, della potenza del numero. Egli ne attribuisce le cause a fattori prevalentemente sociali, a differenza di Corrado Gini che ricorreva a spiegazioni di tipo biologico (Treves 2001; Cassata 2006). Da un punto di vista più analitico, Anna Treves sottolinea come, già nel 1911, Mortara avesse colto con grande acume e lucidità il nesso tra la minore natalità e la ridotta mortalità che anticipava
elementi di quel complesso schema della transizione demografica che sarebbe stato teorizzato vari anni più tardi e che tanta fortuna avrebbe avuto nel dopoguerra (Le nascite e la politica nell’Italia del Novecento, 2001, p. 210).
Il suo punto di vista di demografo arricchiva quindi la sua consapevolezza e la sua visione economica: l’Italia era un Paese in transizione economica e demografica, ma i due aspetti erano facce della stessa medaglia (Natalità e urbanesimo in Italia, 1929).
Ma riprendiamo il nesso fra incertezza ed evoluzione dei sistemi economici, nel quale, come abbiamo visto, Mortara inquadra la sua discussione dell’attività previsiva. La trasformazione in atto nel sistema economico, prosegue Mortara (Cicli economici, cit.), non riguardava soltanto le dinamiche demografiche ed economiche interne ai singoli Paesi; essa aveva anche importanti profili di carattere internazionale, riguardando i sempre più intensi rapporti economici fra Paesi, i loro legami commerciali. «L’estendersi nello spazio delle relazioni economiche» aveva consolidato la riduzione dei rischi tipica di un «regime di economia parzialmente controllato dall’uomo» ma aveva anche aumentato l’esigenza di fare previsioni rigorose e attendibili:
In un certo senso tutto il commercio internazionale si può riguardare come un gigantesco sistema di mutua assicurazione, in cui ciascun paese è garantito dagli altri contro il rischio che certi bisogni della sua popolazione non possano essere soddisfatti, o possano esserlo soltanto in misura inadeguata. Ma, per la stessa estensione che hanno assunto gli scambi internazionali, è grandissimo il pericolo inerente all’eventuale restrizione o cessazione di essi (Cicli economici, cit., p. XV).
Eccoci quindi a uno snodo cruciale nel pensiero economico di Mortara, uno snodo che ci aiuta a cogliere il senso del suo nazionalismo: nel passaggio dall’economia dell’albero da frutta all’economia delle interdipendenze internazionali, cresce la tensione fra rischio e previdenza. Nella visione di Mortara, che ricordiamo scrive l’introduzione a Cicli economici nel bel mezzo della grande depressione, l’interdipendenza tra gli uomini sembra aver oltrepassato il livello oltre il quale i rischi superano i vantaggi.
Il progresso della tecnica produttiva ed il moltiplicarsi delle relazioni fra gli uomini hanno reso possibile una sistematica prevenzione ed un pronto riparo alle azioni dannose dei fattori naturali; ma, intrecciando sempre più fitte interdipendenze fra individui e popoli, hanno reso più largamente e più profondamente sensibile ogni azione dei fattori sociali. Il trascendere delle relazioni economiche oltre i confini politici ha accresciuto le possibilità di turbamento delle relazioni stesse (p. XVI, corsivo mio)
finendo così con il suscitare reazioni contro «quella progredita divisione del lavoro internazionale» (p. XV) «per l’eccesso delle quali l’umanità è oggi sottoposta a così gravi sofferenze» (p. XVI).
Qui Mortara enuncia con prudenza concetti che svilupperà con maggiore compiutezza negli anni successivi; sembra dire: attenzione, l’incertezza intrinseca nei sistemi economici in cui viviamo va, sì, gestita affinando le nostre capacità previsive; ma, probabilmente, essa ha passato il segno: occorrono interventi volti a dare maggiore stabilità ai processi economici; l’interdipendenza economica internazionale va limitata. E qui entra in gioco il ruolo dello Stato, legato, appunto, al «trascendere delle relazioni economiche oltre i confini politici».
Siamo giunti al tema del nazionalismo. Il tema è richiamato da Paolo Baffi (1990, p. 31) che ricorda la sua polemica con il maestro da posizioni internazionaliste e liberali. Nell’interpretazione di Libero Lenti (in Il pensiero economico italiano 1850/1950, 1980, p. 600), nel suo necrologio-biografia, quello di Mortara era un nazionalismo risorgimentale. Ma la questione va affrontata in termini molto diversi. In realtà, Mortara è partecipe di una nuova forma di nazionalismo, quel movimento che si era andato formando durante e dopo la Prima guerra mondiale. Nella costruzione di questo nazionalismo il pensiero economico svolse un ruolo importante (Michelini 1999; Gigliobianco 2006, p. 311) che condurrà al corporativismo e all’autarchia: concetti inscindibili nel pensiero di Mortara. Nel 1926, egli pubblica sul «Giornale degli economisti» un articolo dal titolo Per l’indipendenza economica dell’Italia nel quale sottolinea la grave dipendenza economica dell’Italia dalle economie straniere. Quali sono gli strumenti per almeno attenuare questo stato di fatto?
Poiché lo Stato moderno non può sopprimere la molla del tornaconto individuale senza minarsi la base, né rinunziar ad agire secondo il tornaconto nazionale senza scavarsi la fossa, la sua politica economica costituisce necessariamente un compromesso fra le due opposte direttive estreme […]. L’ordinamento corporativo, che si va attuando in Italia, mira, fra altro, ad agevolare la valutazione dei tornaconti individuali e delle loro risultanti, da parte dello Stato, e la comprensione delle necessità nazionali, da parte dei gruppi e degli individui (p. 598).
Mortara conclude che l’indipendenza economica dell’Italia richiede protezione e progresso tecnico: la prima è «compito di governo», il secondo è «compito di popolo» (p. 605).
Il suo nazionalismo trova sostanza nella prospettiva autarchica e nella costruzione dell’ordinamento corporativo. Ed è interessante, per contrasto, come, alcuni anni più tardi partendo da un analogo apologo dell’albero da frutta, dello sviluppo dei mercati e della specializzazione internazionale, Luigi Einaudi (1944) giungerà a conclusioni opposte a quelle di Mortara: non autarchia, ma federalismo europeo, superamento dello Stato-nazione. Siamo agli antipodi dell’imperialismo, strada che invece imboccherà Mortara. Nel marzo 1937, in un articolo che reca in epigrafe il motto reso famoso da Otto von Bismarck (Beati possidentes), egli si prende gioco di uno studio della Società della nazioni nel quale si sostiene l’inutilità economica delle colonie. Per Mortara, le colonie sono utili e la tesi contraria «deve far sorridere – a tu per tu con se stesso – ogni suo avvocato che non sia un perfetto cretino» (Sull’inutilità economica delle colonie, 1937, p. 177).
Cambia il tono, il registro dei suoi scritti, sempre più inquinati dalla durezza e dal sarcasmo. Ciò non gli impedisce di svolgere con rigore e dedizione il suo poliedrico lavoro scientifico, editoriale, manageriale.
Gli anni Trenta sono gli ultimi della sua carriera in Italia, che precedono l’amaro esilio brasiliano. Anni ancora densi di attività nei quali Mortara ha modo di misurarsi con importanti imprese scientifico-editoriali e organizzative. Lo spirito con cui intraprendeva questo genere di fatiche conservò sempre la sua caratteristica indipendenza. In questa prospettiva va sicuramente attenuata una pur interessante chiave di lettura come quella proposta da Silvio Lanaro (1979) che vede l’opera di Mortara come funzionale al suo nazionalismo e al suo imperialismo. Occorre distinguere i validi contributi scientifici, e la consapevolezza metodologica con cui li ottiene, dall’ideologia del nostro autore. Il caso della Edison è, a questo riguardo, emblematico. In occasione del cinquantenario della società, nel 1934, gli fu chiesto di scrivere una storia tecnica ed economica dell’industria elettrica in Italia e nel mondo. Egli subordinò l’accettazione dell’incarico a due condizioni: la libertà di poter scegliere gli autori per la redazione dei volumi e quella di poter assumere quale collaboratore l’amico antifascista Ferruccio Parri, appena tornato dal confino (Franzinelli, Magnani 2009, pp. 259 e segg.).
In quegli anni, l’incessante attività scientifica di Mortara ebbe un cruciale punto di contatto con una tecnostruttura come quella della Banca d’Italia; contatto e collaborazione intensissimi, di estrema rilevanza per la storia delle istituzioni economiche italiane e quindi per gli sviluppi della cultura economica del Paese (Baffi 1990, pp. 19-58; Gigliobianco 2006, pp. 309 e segg). Mortara, nel marzo 1936, venne chiamato dall’amico governatore Vincenzo Azzolini a collaborare alla costruzione del nuovo ufficio studi, necessaria per adeguare le strutture della Banca d’Italia ai compiti che le erano stati affidati dalla nuova legge bancaria, promulgata il 12 marzo 1936. Così egli contribuì in modo determinante a creare un’istituzione solida e, malgrado il fascismo al potere, scientificamente indipendente, vero prerequisito necessario a produrre statistiche affidabili e durature (Baffigi 2010): un’istituzione che, anche grazie a Mortara, nei decenni successivi rimarrà un punto di riferimento per l’analisi economica e per la stessa formulazione della politica economica.
Il rapporto con la Banca d’Italia fu interrotto dalle leggi razziali (Baffigi, Magnani 2009). Il governatore Vincenzo Azzolini, insieme al capo del servizio studi Carlo Rodella e Paolo Baffi, tentarono di evitare l’esilio del loro amico, collega e maestro. Proposero a tal fine a Mortara, rimosso dalla cattedra alla Bocconi, un nuovo impegnativo incarico, volto a sviluppare le vecchie ricerche semiologiche (Archivio storico della Banca d’Italia, ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, cart. 23, fasc. 1, settembre 1938, pp. 37-38). L’8 ottobre Mortara incontra Azzolini a Milano il quale, come riferisce lo stesso Mortara a Baffi «dopo aver sentito le mie ragioni si è convinto della saggezza della mia decisione» (Archivio storico della Banca d’Italia, ASBI, Carte Baffi, Monte Oppio, cart. 22, fasc. 5, 8 ottobre 1938, p. 25). Lo stesso giorno scrive anche a Raffaele Mattioli, per confermargli la decisione di partire «che ho creduto di dover prendere nell’interesse dei miei figli» (Archivio storico Banca Intesa San Paolo, Patrimonio Banca Commerciale Italiana, ASI-BCI, Carte Raffaele Mattioli, cart. 209, fasc. «Mortara Giorgio», 8 ottobre 1938). Mortara partì per il Brasile con la famiglia il 5 gennaio del 1939.
Numeri indici delle condizioni economiche d’Italia, «Giornale degli economisti e Rivista di statistica», 1913, pp. 193-204.
Elementi di statistica: appunti sulle lezioni di statistica metodologica, dettate nell’Istituto Superiore di Studi Commerciali di Roma, Roma 1917.
Lezioni di statistica economica e demografica, Roma 1920.
Prospettive economiche, 15 voll., 1921-1937.
Lezioni di statistica metodologica dettate nel R. Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma, Città di Castello 1922.
La semiotica economica nell’opera di Maffeo Pantaleoni, «Giornale degli economisti», aprile 1925, pp. 215-23.
Per l’indipendenza economica dell’Italia, «Giornale degli economisti e Rivista di statistica», 1926, pp. 593-605.
Natalità e urbanesimo in Italia, «Nuova antologia», maggio-giugno 1929.
Incremento demografico e politica economica, «Archivio di studi corporativi», 1930.
Cicli economici, a cura di G. Mortara, Torino 1932.
Sull’inutilità economica delle colonie, «Giornale degli economisti e Rivista di statistica», marzo 1937.
Il problema dell’autarchia economica nazionale nei riguardi degli scambi con l’estero, Roma 1938.
Si vedano inoltre le seguenti fonti archivistiche:
Archivio storico della Banca d’Italia (ASBI), Carte Baffi, Monte Oppio, cart. 23, fasc. 1, settembre 1938, pp. 37-38.
Archivio storico della Banca d’Italia (ASBI), Carte Baffi, Monte Oppio, cart. 22, fasc. 5, 8 ottobre 1938, p. 25.
Archivio storico Banca Intesa San Paolo, Patrimonio Banca Commerciale Italiana (ASI-BCI), Carte Raffaele Mattioli, cart. 209, fasc. «Mortara Giorgio», 8 ottobre 1938.
International labor office, Economic barometers (Report submitted to the Economic committee of the League of Nations), Studies and reports, Series N (Statistics), No. 5, Geneva 1924.
M. Pantaleoni, Una visione cinematografica del progresso della scienza economica (1870-1907), in Id., Erotemi di economia, Bari 1925 (edizione originale, «Giornale degli economisti», 1907, XXXV, pp. 964-92).
G. Luzzatto, L’Italia economica contemporanea attraverso la statistica, «Nuova rivista storica», gennaio-febbraio 1929, XIII.
L. Einaudi, I problemi economici della federazione europea, Lugano 1944 (anche in Id., La guerra e l’unità europea, Milano 1953, pp. 69-151).
L. Lenti, Giorgio Mortara, «Giornale degli economisti», 1967, poi in Il pensiero economico italiano 1850-1950, a cura di M. Finoia, Bologna 1980.
S. Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia 1870-1925, Venezia 1979.
Omaggio a Giorgio Mortara. Vita e opere, Roma 1985 (contiene l’autobiografia e la bibliografia completa e annotata delle opere di Mortara).
P. Baffi, Testimonianze e ricordi, Milano 1990.
E. Borruso, Giorgio Mortara e il consolidamento degli studi di statistica industriale in Italia (1924-39), in Pensare l’Italia nuova: la cultura economica milanese tra corporativismo e ricostruzione, a cura di G. De Luca, Milano 1997.
L. Michelini, Liberalismo, nazionalismo, fascismo. Stato e mercato, corporativismo e liberismo, nel pensiero economico del nazionalismo italiano (1900-1923), Milano 1999.
A. Treves, Le nascite e la politica nell’Italia del Novecento, Milano 2001.
F. Cassata, Il fascismo razionale. Corrado Gini fra scienza e politica, Roma 2006.
A. Gigliobianco, Via Nazionale, Roma 2006.
A. Baffigi, Cultura statistica e cultura politica: l’Italia nei primi decenni unitari, «Quaderni dell’Ufficio ricerche storiche», 2007, 15.
A. Baffigi, Rodolfo Benini e la semiologia economica nell’Italia post-unitaria, «Il pensiero economico italiano», 2008, 1, pp. 67-88.
A. Baffigi, M. Magnani, Giorgio Mortara, in Le leggi antiebraiche del 1938, le società scientifiche e la scuola in Italia, Atti del Convegno, Roma (26-27 novembre 2008), Biblioteca dell’Accademia Nazionale delle Scienze detta dei XL, Roma 2009, pp. 237-54.
M. Franzinelli, M. Magnani, Beneduce. Il finanziere di Mussolini, Milano 2009.
A. Baffigi, Giorgio Mortara e la statistica sul credito per rami di attività, «Quaderni storici», agosto 2010, 2.
M. Magnani, Mortara Giorgio, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 77° vol., Roma 2012, ad vocem.