PASQUALI, Giorgio
PASQUALI, Giorgio. – Nacque a Roma il 29 aprile 1885 da Gustavo e da Anna (Marianna) Lasagni.
Il padre, esperto di diritto internazionale e professionista ben noto, fu avvocato dell’ambasciata tedesca e austriaca e dell’Istituto archeologico germanico di Roma. Il nonno paterno, Ercole, fu docente universitario di ginecologia e ginecologo della Casa Reale; poiché il padre morì prematuramente, il giovane Pasquali ebbe più contatti con il nonno. La madre, ultima discendente di una famiglia illustre, era nipote del cardinale Pietro Lasagni.
Grazie ai legami del padre, nell’autunno del 1903 Pasquali accedette, ancora studente, all’Istituto archeologico germanico, dove maturarono i primi contatti con studiosi tedeschi dell’antichità.
Già prima della fine dell’iter delle scuole medie (presso il liceo Mamiani di Roma) era nata la sua vocazione di studioso delle letterature classiche. Un forte stimolo gli venne dal contatto con Nicola Festa, allievo di Girolamo Vitelli e professore di letteratura greca all’Università di Roma: ancora studente di liceo, Pasquali si recò a un’esercitazione da lui tenuta, fece conoscenza con lui e ne ebbe consigli; fu Festa a indicargli come opera fondamentale per gli studi di letteratura greca l’Herakles di Euripide con il commento di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff.
Con Festa, Pasquali discusse (27 giugno 1907) la tesi di laurea su La commedia mitologica e i suoi precedenti nella letteratura greca. Già prima della laurea aveva iniziato a pubblicare articoli e numerose recensioni in varie riviste, per lo più in Atene e Roma e La cultura.
Nelle lettere a Paolo Emilio Pavolini, direttore di Atene e Roma, emerge il dissidio (non reso pubblico) con Benedetto Croce sul metodo filologico tedesco. Presto si dimostrò filologo maturo con l’edizione, presso la Teubner di Lipsia, dei Procli Diadochi in Platonis Cratylum commentaria (1908). Nello stesso anno realizzò il sogno di andare a studiare in Germania: vinto un concorso per il perfezionamento all’estero, si recò a Gottinga, dove seguì corsi nel semestre invernale del 1908-09; conservò per tutta la vita l’amore per quella città e l’ambiente operoso e festoso della sua università; non meno importante il soggiorno a Berlino, nella cui università studiò nel semestre estivo del 1909. A Gottinga accolse l’invito a collaborare con la Fondazione Wilamowitz, che aveva in programma l’edizione degli scrittori postniceni del IV secolo. Là iniziò a lavorare su Gregorio di Nissa, di cui nel 1925 pubblicò le Epistole.
Nella domanda per la venia legendi a Gottinga, Pasquali segnala i dotti di cui più ha subito l’influenza: Karl Julius Beloch, Emanuel Löwy, Eduard Schwartz, Friedrich Leo, Wilamowitz; degli italiani segnala solo, ma con grande rilievo, Vitelli. Colpisce l’assenza di Festa, con cui i rapporti erano diventati difficili.
Nel 1909 iniziò il suo travagliato iter dei concorsi per l’insegnamento universitario. Nell’aprile del 1910 conseguì la libera docenza in letteratura greca presso l’Università di Roma, dove insegnò per un anno. Nel 1911-12 fu supplente di letteratura greca presso l’Università di Messina. Nel semestre estivo del 1912 conseguì a Gottinga l’abilitazione all’insegnamento universitario in Germania e nel semestre invernale 1913-14 sostituì Leo nel seminario; per più semestri, sempre a Gottinga, tenne corsi di greco per giuristi. Lasciò Gottinga nell’autunno del 1914, dopo che da mesi era scoppiata la prima guerra mondiale; ma tornò in Germania, questa volta a Berlino, dove all’Università ricoprì mansioni di assistente dal 5 novembre 1914 al 1° aprile 1915.
Questo soggiorno a Berlino nella Germania in guerra è apparso strano ad alcuni. Max Pohlenz nel 1937 affermò che Pasquali si recò a Berlino perché invitato dal ministero degli Esteri tedesco come informatore, ma – come afferma C.J. Classen, che non crede a Pohlenz – l’affermazione non è dimostrabile (L’influsso di Giorgio Pasquali sulla filologia classica in Germania, in Giorgio Pasquali e la filologia classica…, 1988, pp. 143 s.).
Una svolta importante fu nel 1915: Vitelli lasciò l’insegnamento di letteratura greca presso l’Istituto di studi superiori di Firenze e, come successore, volle Pasquali, che assunse l’insegnamento come incaricato. Tale rimase dal 1915 al 1920; dal 1918 al 1920 tenne anche l’insegnamento di lingua e letteratura tedesca. In due concorsi per un posto di ruolo di letteratura greca, il primo chiesto dall’Università di Catania, e svoltosi nel 1909, il secondo chiesto dall’Accademia scientifico-letteraria di Milano e svoltosi nel 1914, Pasquali, nonostante il sostegno deciso e tenace di Vitelli, non entrò nella terna dei vincitori; vinse però nel 1920 il concorso chiesto dall’università di Messina, dove quindi per un anno (1920-21) tornò a insegnare.
In quel periodo sposò Maria Nosei, maestra elementare di Empoli, che fu sua compagna per tutta la vita.
Tornò presto a Firenze come professore di ruolo di letteratura greca, e quella fu la sua università fino alla morte; ma a partire dal 1924 il titolo della cattedra fu filologia classica: i corsi di letteratura greca si alternarono con corsi di letteratura latina (stesso compito per Ettore Bignone, l’altro titolare di filologia classica). A partire dal 1931, per iniziativa di Giovanni Gentile, Pasquali tenne seminari di filologia classica, sia greca sia latina, presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.
Anche questi seminari durarono fino alla morte, ma dal 1943 al 1946, a causa di una grave malattia, non tenne i corsi a Firenze né i seminari a Pisa, dove riprese l’insegnamento solo nel 1947. Per tutta la vita durarono i contatti con la Germania, che amò non meno dell’Italia, e mantenne rapporti epistolari con colleghi e amici che insegnavano in università tedesche e della Svizzera tedesca (come Gunther Jachmann, Hermann Fränkel, Eduard Fraenkel).
Nel 1928 fu Gastprofessor presso l’Università di Kiel; nello stesso anno diventò socio dell’Accademia di Monaco e poi dell’Accademia di Gottinga. Quando, nel 1937, si celebrò il giubileo per i duecento anni dell’Università di Gottinga, la facoltà di lettere, fra altre lauree honoris causa propose quella in filologia classica e la conferì a Pasquali. Ma il ministero del Reich per la Scienza, l’educazione e la cultura popolare, su pressione di quello degli Affari Esteri, richiese che la laurea fosse conferita a un altro italiano, Gino Funaioli. La facoltà di Gottinga non si piegò, ma alla fine dovette conferire due lauree, l’una a Pasquali, accompagnata dalla relativa motivazione, e l’altra a Funaioli, senza motivazione, redatta poi in sede ministeriale.
In Italia Pasquali ebbe contatti, in alcuni casi di profonda amicizia, sia con studiosi dell’antichità, sia con letterati: Manara Valgimigli, Giacomo Devoto, Luigi Castiglioni, Gianfranco Contini, Riccardo Bacchelli; frequenti, e talvolta affettuosi, i contatti con i numerosi discepoli. Benché immerso negli studi e nell’insegnamento, Pasquali non fu un intellettuale sedentario: durante uno degli insegnamenti a Messina visitò la Sicilia; nel 1933 viaggiò in Grecia e visitò Atene, Olimpia, Delfi; ma i viaggi più frequenti avevano come meta la Germania, la Svizzera tedesca e, per le vacanze estive, le Alpi.
Durante un viaggio morì, il 9 luglio 1952, a Belluno in un incidente stradale.
Nella tesi di laurea, come detto, Pasquali si era occupato di commedia greca; prima della laurea aveva pubblicato una rassegna di Studi recenti sulla commedia attica (in Atene e Roma, IX (1906), pp. 191-98): molto probabile l’influenza di Ettore Romagnoli, allora nella fase più felice dei suoi studi.
L’attenzione di Pasquali si rivolge anche all’età ellenistica: è del 1907 uno studio in cui dimostra che i mimiambi di Eroda/Eronda erano destinati alla lettura, non alla scena. Per allora Pasquali non andò lontano su questa via, ma affrontò con più impegno studi sulla commedia greca e romana nei primi anni dell’insegnamento a Firenze (1915-19): nella rivista Atene e Roma dal 1917 al 1918 pubblicò gli Studi sul dramma attico, che vertevano su Menandro. Tornò poi a interpretare Plauto e Terenzio: notevoli lo studio su un monologo dei Captivi di Plauto del 1927 e quello su due scene dell’Eunuchus di Terenzio del 1936. Gli studi sulla commedia arcaica latina furono stimolati da opere di suoi amici-filologi tedeschi di grande prestigio, Eduard Fraenkel e Gunther Jachmann, con cui Pasquali si confronta senza asprezza; aspra, invece, fu la polemica con Croce su Terenzio (1936-37). Gli studi sul teatro greco e romano interessano come ricerca filologica e analisi letteraria, ma anche di più per la conoscenza dei problemi e degli orientamenti etici di Pasquali: egli amava Menandro e Terenzio per la loro apertura alla comprensione e all’amore degli uomini (non a caso ricorrono in questi studi richiami a Henrik Ibsen; e Pasquali, che amava Gotthold E. Lessing, in occasione di una rappresentazione a Firenze, nel 1941, della Minna von Barnhelm analizzò il tessuto etico e poetico del dramma).
Non durò invece a lungo l’interesse, ereditato da Vitelli e Festa, per testi greci della tarda antichità, dopo l’edizione del commento di Proclo al Cratilo di Platone e l’impegno per l’edizione delle epistole di Gregorio di Nissa. Questa vide la luce solo nel 1925, ma era già pronta prima della guerra; alle ragioni del ritardo (prima la guerra e poi le difficoltà della Germania) si aggiunse una grave malattia di Pasquali nel 1924. Separatamente uscì, nello stesso 1925, un saggio su Le lettere di Gregorio di Nissa, che traccia un ottimo ritratto del santo e ne rievoca l’ambiente, analizzando felicemente i rapporti fra cultura cristiana e cultura pagana. Un altro testo greco tardoantico studiato con impegno fu la Vita Costantini di Eusebio da Cesarea.
Un orientamento più duraturo e fecondo maturò specialmente sotto l’influenza dei seminari di Gottinga. Nella domanda della venia legendi (1912) Pasquali si dice impegnato in un commento agli Inni di Callimaco: non scrisse quel commento, ma gli anni passati in Germania fino all’inizio della guerra furono fecondi di studi sulla poesia ellenistica; l’opera più impegnativa furono le Quaestiones Callimacheae (Gottingae 1913). Questi studi presuppongono la fioritura di lavori sull’ellenismo sviluppatasi specialmente in Germania nel secondo Ottocento e nei primi decenni del Novecento. La cultura ellenistica richiamò l’attenzione di Pasquali anche sotto altri aspetti: nel 1913 pubblicò in Hermes un’importante ricerca su Die schriftstellerische Form des Pausanias, in cui dà un quadro della letteratura periegetica di quell’età.
Gli studi sulla poesia ellenistica si allargarono presto a quella latina; sulla connessione fra le due letterature c’era in Germania un’intensa ricerca: i riferimenti erano Leo, Richard Heinze, Eduard Norden; andava attenuandosi la svalutazione (drastica, per esempio, in Theodor Mommsen) della letteratura latina come scialba imitazione di quella greca. Probabilmente l’influenza maggiore fu quella di Leo.
L’Orazio lirico fu pubblicato nel 1920, ma era in gran parte già scritto all’inizio della prima guerra mondiale. Negli studi sulla connessione della poesia latina con quella ellenistica Orazio, di cui era ben nota l’ispirazione dalla lirica greca arcaica, restò emarginato: Pasquali riprese anche i problemi relativi a questa ascendenza e ampliò decisamente la ricerca, analizzando connessioni con epigrammisti di età ellenistica. La vasta opera non dà un quadro organico della lirica di Orazio, ma offre molte analisi felici di singoli componimenti, cogliendo il giusto rapporto fra la tradizione assimilata da Orazio e la novità di tono e di stile, in alcuni casi il passaggio dal lusus alessandrino a un’austera meditazione sulla vita.
L’analisi era fondata su una concezione della poesia (come alimentata dalla cultura, non come intuizione pura) che presupponeva lo storicismo della filologia classica tedesca, diverso da quello del neoidealismo italiano, che collocava poesia e letteratura fuori dalla storia; l’Orazio lirico era, oltre che analisi fine della poesia, un quadro dell’assimilazione di cultura e gusto ellenistici nel mondo romano. Il contrasto con la critica letteraria allora corrente in Italia, spiega, almeno in parte, la difficoltà di una valutazione adeguata nel primo impatto. Pasquali stesso finì per perdere fiducia nella propria interpretazione di Orazio; ma più di venti anni dopo riprese un filo importante del suo metodo di analisi, mettendo a fuoco il procedimento dell’‘arte allusiva’, cioè il richiamo del poeta a un passo di un poeta precedente che induce il lettore al confronto, perché scopra da dove viene lo spunto e come il passo originario venga originalmente rielaborato. L’articolo Arte allusiva, uscito in una rivista poco nota (L’Italia che scrive, XXV (1942), pp. 11-20), ripubblicato nel 1951 in apertura di Stravaganze quarte e supreme, suscitò, come prevedibile, una nuova polemica con Croce, ma paradossalmente non si collocava lontano dallo storicismo idealista: lo storicismo di Pasquali aveva le sue radici nella concezione tedesca delle Geisteswissenschaften, ma nel suo iter tende ad accusare il distacco dall’eredità positivistica: il concetto di arte allusiva era vicino a quello idealistico di ‘imitazione creativa’.
In quegli anni Pasquali nutriva per Croce alta stima e ammirazione: entrato, alla fine del 1942, all’Accademia d’Italia, desiderava che un premio importante fosse assegnato al grande intellettuale napoletano: non andò così, ma la posizione di Pasquali è significativa.
Nel 1920 oltre all’Orazio lirico videro la luce altre due opere di Pasquali: l’una, Filologia e storia, d’importanza centrale, l’altra, Socialisti tedeschi, marginale.
Dei capi dei vari orientamenti del socialismo tedesco Pasquali si era interessato negli anni passati in Germania; tornato in Italia, ritenne utile farli conoscere al pubblico italiano. L’opera, che non è puramente informativa, non vuol essere una storia della socialdemocrazia tedesca dall’Ottocento fino alla prima guerra mondiale, ma piuttosto un’agile galleria di biografie e ritratti dei dirigenti più in vista. Le biografie, aliene da faziosità, mostrano chiaramente l’orientamento politico di Pasquali, ovvero la sua preferenza per un socialismo moderato, che non escludesse la borghesia dal potere, ma la migliorasse. Più volte affiora in Pasquali l’avversione ai teorici rigidi, come Karl Kautsky; più forte la condanna della demagogia tribunizia e netta quella del comunismo. In Socialisti tedeschi Pasquali appare, più che un socialdemocratico, un liberale con aperture socialdemocratiche, e tale apparve anche nei suoi ultimi anni, dopo la seconda guerra mondiale. Abbastanza chiara fu la sua avversione al fascismo, fino al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce (1° maggio 1925), che Pasquali firmò. L’avversione è documentata anche da alcune lettere. In una, del 7 maggio 1923, al cognato Angiolo Nosei Pasquali mette se stesso fra i docenti antifascisti dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze: Ludovico Limentani, Gaetano Salvemini, Romano (un docente non identificato), Luigi Foscolo Benedetto, Francesco De Sarlo, Vitelli; in un’altra lettera al cognato (3 novembre 1924) si dichiara un gentiliano non fascista e come non fascista o antifascista si mostra in lettere successive (22 novembre 1925, 31 marzo 1928).
Sui rapporti di Pasquali con il fascismo negli anni Venti e Trenta il suo epistolario potrà certamente essere fonte di più approfondite ricerche, ma si può ritenere probabile che negli anni Trenta vi fu in lui una tolleranza crescente e un calo dell’avversione. Molto deve aver pesato la lunga amicizia con Giovanni Gentile, e Pasquali del resto non fu mai animato da vivo impegno politico. L’avversione calò ulteriormente, e poi quasi del tutto, alla fine degli anni Trenta e nei primi Quaranta: la ragione principale fu il suo desiderio di entrare nell’Accademia d’Italia, dove fu cooptato il 2 dicembre 1942. Ebbe la notizia mentre si trovava alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Quel successo tanto agognato e che lo rese felice fu, invece, una sciagura: nel gennaio 1946, con decisione che a molti parve discutibile, fu radiato dall’Accademia dei Lincei e non vi rientrò nei pochi anni successivi di vita.
Per nessun periodo della sua vita si può parlare di una piena adesione al fascismo, ma mai, né per il fascismo né per il nazismo, si rese conto della gravità della malattia, delle radici storiche e delle conseguenze disastrose. Uno spiraglio di comprensione storica non superficiale si apre nel notevole scritto sul testamento di Mommsen (1951). Mommsen, infatti, constata con profonda amarezza che «il singolo tedesco, e sia pure il migliore, non trascende il servizio nei ranghi e il feticismo politico» (in Pagine stravaganti di un filologo, II, a cura di C.F. Russo, Firenze 1994, pp. 383-396): vale a dire che nel cittadino tedesco lo spirito di servizio non lascia sviluppare il bisogno di libertà e di democrazia.
Dopo il 1925, quando pubblicò le epistole di Gregorio di Nissa, mostrò la sua alacrità con studi di filologia, storia della filologia, linguistica. Nel 1929 cominciò una fitta collaborazione all’Enciclopedia Italiana; per anni non pubblicò libri, ma preparava la sua opera più importante, Storia della tradizione e critica del testo, pubblicata a Firenze nel 1934.
La critica del testo in quanto emendatio vi ha poco spazio; prevale di gran lunga l’interesse per la storia dei testi greci e latini. L’ampia ricerca traccia le vie di tradizione del testo che non passano attraverso l’archetipo medievale, la ricostruzione sulla base allo stemma codicum. Nella tradizione di autori importanti, come Omero, Platone, Demostene, Tucidide e, fra i latini, Orazio e Terenzio, le varianti risalgono a edizioni antiche; per gli autori greci aiutano i papiri. Il capitolo sulle varianti antiche offre anche contributi alla storia della filologia antica, specialmente alessandrina. Pasquali non si fonda su storie del testo da lui studiate, ma riesamina criticamente le ricostruzioni di altri, le discute, le modifica. In certi casi si può risalire più indietro, fino alle varianti d’autore (modifiche, o correzioni, introdotte dall’autore nel testo). Non tutti i casi hanno resistito alla critica: un esempio di particolare interesse fu la Storia ecclesiastica di Eusebio, la cui tradizione era stata tracciata da Schwarz, uno dei grandi maestri di Gottinga, il pioniere nel rinnovamento della storia del testo dopo Karl Lachmann, al quale molto deve Pasquali, che a lui e a Vitelli dedica la sua opera monumentale. La ricerca sulle varianti d’autore si estende a Petrarca e a Boccaccio; nell’area della letteratura italiana il grande pioniere era stato Michele Barbi, verso cui Pasquali nutrì alta stima e affetto. Un altro pilastro dell’opera è il principio recentiores non deteriores: Lachmann, non senza ragione, valorizzava i codici più antichi ed emarginava quelli più recenti, generalmente umanistici; Pasquali dimostra in più casi che buone lezioni si possono trovare nei recentiores, che possono essere copie di buoni codici perduti. Benché l’area dei problemi sia vasta, l’opera è una grande costruzione organica, una mirabile sintesi.
Gli anni Trenta segnano la piena maturità di Pasquali come interprete dell’antichità; dopo la Storia della tradizione scrisse le opere in cui realizzò la piena sintesi di filologia e storia teorizzata nel volumetto del 1920: la Preistoria della poesia romana (1936) e Le lettere di Platone (1938). Sono gradi diversi di quella sintesi: in prima istanza significa vedere ciascuna disciplina non nella sua sistematicità cartesiana, ma nel suo sviluppo storico (chiaro esempio la contrapposizione fra la Storia della tradizione e la Textkritik di Paul Maas). In seconda istanza è l’immersione del testo letterario o del documento storico nella storia della cultura, preminentemente intellettuale. Nel senso più pieno è la stretta collaborazione o fusione fra le discipline hermanniane e lachmanniane (grammatica, stilistica, metrica, storia del testo, critica del testo) con la ricostruzione della vita di un popolo, dunque anche della storia politica e sociale secondo un filone che percorre la filologia classica tedesca dell’Ottocento da Friedrich August Wolff (al quale Pasquali dedicò una voce nell’Enciclopedia Italiana, pubblicata nel 1937), attraverso August Böckh e Otfried Müller, fino a Wilamowitz: quest’ultimo è quello che ha realizzato meglio la sintesi.
Questa sintesi di filologia e storia è alla base della Preistoria della poesia romana. Pasquali fu nella prima metà del Novecento il massimo esperto di metrica antica, specialmente di metrica greca: partì dall’esperienza di Wilamowitz ed ebbe degni continuatori in Gennaro Perrotta, suo primo allievo, e in un allievo di Perrotta, Bruno Gentili. Nella Preistoria della poesia romana riprese la dibattuta questione sulla natura del verso saturnio: poesia metrica o accentuativa o altro? Partì dall’interpretazione di Leo, che sostenne la natura metrica, e collocò la nascita del saturnio nella Roma dei Tarquini, quando cioè, secondo l’interpretazione da lui sviluppata, sotto il dominio etrusco Roma ebbe contatti intensi con la civiltà e conobbe una grande fioritura economica e culturale. La breve e ricchissima opera fu frutto di splendida originalità; ma con il tempo si dimostrò debole il pilastro filologico, cioè l’interpretazione del saturnio come derivato da kola metrici greci (cfr. l’introduzione premessa alla seconda edizione (Firenze 1981) da un grande allievo di Pasquali, Sebastiano Timpanaro).
Più complessa la sintesi di filologia e storia nelle Lettere di Platone (Firenze 1938, 1967). La ricerca presuppone un lungo dibattito sull’autenticità di quelle lettere: anche Pasquali, come altri, le ritiene spurie in buona parte, ma sostiene l’autenticità delle lettere VI, VII, VIII (particolarmente impegnativa la sua analisi), XI. La sintesi di filologia e storia consiste qui nella piena collaborazione dell’analisi di lingua e stile con lo studio delle vicende politiche di Siracusa e dei rapporti di Platone con i tiranni.
Gli orientamenti fondamentali degli studi di Pasquali non esauriscono la ricchezza e la varietà dei suoi interessi. L’ampiezza del ventaglio si vede meglio dai quattro volumi di Pagine stravaganti. Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano 1933; Pagine meno stravaganti, Firenze 1935; Terze pagine stravaganti, Firenze 1942; Stravaganze quarte e supreme, Venezia 1951; ampliò la prima serie nelle Vecchie e nuove pagine stravaganti, Torino 1952.
Il titolo, felice e fortunato, si deve all’estro dell’amico Luigi Russo, il cui suggerimento fece cadere precedenti proposte piuttosto grigie. Ma il titolo non deve ingannare: alcuni pezzi storici aggiungono contributi molto utili alle opere principali. Un pezzo fondamentale per capire la concezione pasqualiana della storia, anzi di tutte le Geisteswissenschaften, è il saggio sulla Paleografia come scienza dello spirito. Non mancano contributi filologici impegnativi; con studi di questo genere, in cui opera per lo più la sintesi di filologia e storia, vanno bene le ricerche sulla lingua (etrusco, lingua latina dell’uso, indagini anche sull’italiano; ma molti studi sull’italiano, restati fuori, saranno poi raccolti altrove).
Le Pagine stravaganti appaiono a prima vista come una galleria di ritratti, in gran parte di filologi tedeschi e italiani, scritti in varie occasioni (necrologi, commemorazioni), ma anche senza occasione specifica. La prima serie si apre con i ritratti di Domenico Comparetti e di Ermenegildo Pistelli; vi spicca, poi, il contributo più importante, quello su Wilamowitz, il grande maestro molto ammirato, ma che non seppe apprezzare Pasquali.
Questi scritti sono un contributo alla storia della filologia classica, ma valgono anche per l’arte del ritratto, che Pasquali dimostra pure nel rievocare personaggi meno importanti. Egli trattò più volte con ironia l’estetica e la critica letteraria, talora persino con disprezzo; ma in alcuni casi, sempre facendo buon uso della filologia, si dimostrò anche un buon critico letterario.
Nelle Pagine stravaganti si riflette l’interesse costante di Pasquali per l’università e la scuola. L’opera più impegnativa si colloca all’inizio del suo insegnamento a Firenze come professore di ruolo, L’Università di domani (Foligno 1923), in collaborazione con Piero Calamandrei, ma l’interesse durò per tutta la vita. Il modello, criticamente rielaborato, era l’università tedesca, che da quasi un secolo godeva di alto prestigio nel mondo: assenza di esami speciali e importanza centrale del seminario piuttosto che della lezione cattedratica; studente responsabilmente libero nella scelta delle discipline; seminario come dialogo critico che, oltre a rispettare la libertà dello studente, lo stimoli alla ricerca.
È ben noto che a Firenze e presso la Scuola Normale a Pisa Pasquali fu un docente affascinante: nello svolgimento dei seminari i problemi pullulavano incessantemente e il tempo volava. Si interessò spesso anche dell’insegnamento medio, proponendo l’insegnamento come libero dialogo e cercando di sostituire l’interesse vivo per i problemi a regole e schemi invecchiati; si batté per eliminare dall’insegnamento del latino i residui di retorica, persistenti, per esempio, nella ‘versione in latino’. Tra gli articoli più brillanti quello sulla Coniunctivitas professoria.
Affronta sempre problemi delimitati e concreti, ma negli scritti sull’università e sulla scuola si avverte lo stesso vento fresco e purificante. Si può parlare di convergenza spontanea con Gentile, più che di influenza. Al tenace interesse per università e scuola si affianca quello per attività e istituzioni culturali, come l’edizione nazionale dei classici e le biblioteche. Infine le Pagine stravaganti danno spazio a ricordi e affetti privati: la rievocazione della vita universitaria di Gottinga, il ricordo di giovani o ragazzi morti prematuramente, come l’aviatore Francesco Brunetti o Cesarino Paoli, figlio del suo amico Ugo Enrico. Benché Pasquali passasse moltissimo tempo sui libri, chiuso ‘in un tubo’ (è la metafora da lui usata), nelle Pagine stravaganti appare come un uomo spesso in contatto con gli altri e aperto a molti affetti.
Prosatore sempre chiaro e scorrevole, Pasquali dà nelle Pagine stravaganti le sue prove migliori di scrittore: alieno da enfasi, da retorica, è sempre vivido e sapido, con aperture al sermo cotidianus che è, per lo più, quello della sua Firenze; anche quando la sua umanità è commossa, lo stile è frenato, di un’ammirevole misura, simile a quella della Toscana rinascimentale. Ancor più delle qualità dello scrittore emerge un aspetto fondamentale del suo metodo. Se un pilastro di esso è la collaborazione di varie discipline per risolvere un problema e, quindi, l’attenuazione dei confini fra le diverse discipline, l’altro principio è che da un singolo philologhema, che a prima vista appare isolato, una questione di critica del testo e di esegesi puntuale, si può o si deve arrivare a grandi problemi storici.
L’interesse per la lingua italiana, visto spuntare nelle Pagine stravaganti, fu frequente e produttivo negli anni Trenta, dopo la Storia della tradizione, e nei primi anni Quaranta. Se nell’iter di Pasquali è una gradevole novità, va ricordato che egli si era ovviamente interessato da molti anni di storia della lingua greca e latina. Tra i filologi classici italiani del suo tempo era il meglio attrezzato in glottologia (nell’anno accademico 1922-23 a Firenze tenne anche un corso di glottologia). Fu molto affezionato al suo maestro Jacob Wackernagel; stimava poco i filologi classici francesi del suo tempo, ma ammirava il grande glottologo indoeuropeista Antoine Meillet; in questo quadro si collocano anche le sue amicizie con Devoto, Bruno Migliorini, Clemente Merlo; molti dei suoi articoli videro la luce nella rivista fiorentina Lingua nostra. Anche in questa parte degli studi di Pasquali, che potrebbe sembrare frammentaria, opera la sintesi di filologia e storia: si vede specialmente da ricerche come quella su Apoforismèmi, il nome, proveniente dal greco moderno, di una setta risorgimentale e dal panorama su Mutamenti del paesaggio italiano. Si tratta non raramente di ricerche complesse, ma più spesso di note, sulla lingua italiana recente e contemporanea. Poco spazio ha la fonetica, molto il lessico, con qualche incursione nella toponomastica; fu Pasquali a proporre un nuovo grande vocabolario, un Thesaurus della lingua italiana, di un respiro analogo a quello del Thesaurus linguae latinae.
Importante nel quadro dell’opera di Pasquali la sua collaborazione all’Enciclopedia Italiana (dal 1929 al 1937), lavoro impegnativo e di alta qualità. Spicca la voce Omero, saggio lucido e profondo; innumerevoli le voci su autori antichi, molte quelle su studiosi dell’antichità (dunque ancora un contributo alla storia della filologia classica) e molte anche le voci di metrica greca.
Fonti e Bibl.: La biografia di Pasquali potrà arricchirsi con lo studio dell’epistolario. Circa 6000 lettere si trovano nel Fondo Giorgio Pasquali dell’Accademia della Crusca a Firenze (lavora al loro ordinamento D. De Martino): in massima parte sono lettere di corrispondenti, circa 120, quasi tutti italiani e tedeschi, e 321 lettere (dal 1906 al 1952) sono di Pasquali. Questo ricco materiale per poco non andò perduto: dopo la morte della moglie, nel marzo 1983, il mobile contenente l’epistolario, che si trovava presso un antiquario, fu recuperato fortunosamente da D. Pieraccioni (Ricomparso l’archivio Pasquali, in Belfagor, XLII (1987), pp. 481 s.). Altre lettere sono a Firenze presso il Gabinetto Viesseux e a Roma nell’Archivio storico dell’Enciclopedia Italiana Treccani, ora conservato dall’Archivio Centrale dello Stato; il carteggio di Pasquali con il cognato Angiolo Nosei è presso il Dipartimento di filologia classica dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma (lo studia Yorick Gomez Game, a cui si devono alcune delle informazioni descritte nel testo, si veda Atene e Roma, n.s., XLVII (2002), pp. 37-44). Altre lettere sono conservate presso i corrispondenti. Lettere di Pasquali furono pubblicate da Enrica Malcovati (in Saggi di umanesimo cristiano, marzo 1954). Del carteggio con Manara Valgimigli si è occupato D. Pieraccioni: Nuova antologia, settembre 1960, Atene e Roma, n.s., XXIII (1978), pp. 37-45; Atti del Seminario Valgimigliano, a cura di A. Borraro - P. Borraro, Milano 1980. Lettere giovanili furono pubblicate da G. Pascucci, Atene e Roma, n.s., XXXIII (1978), pp. 23-37. C.F. Russo ha pubblicato Lettere berlinesi (del dicembre 1914), Belfagor, XXXI (1976), pp. 738 s., una lettera a Valgimigli a proposito del poemetto latino di Pascoli sui fratelli Sosia, ibid., XXXIII (1978), pp. 86-92. Lettere sui rapporti con Gottinga in M. Gigante, Gottinga e P. in dieci lettere, in Studi italiani di filolologia classica, s. 3, III (1985), pp. 161-169. Lettere a Jachmann, in tedesco, dal 1932 al 1952, in S. Prete, Tra filologi e studiosi della nostra epoca, Pesaro 1984, pp. 95-107. Una lettera a Fortunato Pintor pubblicata in vari scritti di M. Raicich, in particolare P. in Accademia, Pintor a casa sua, in Belfagor, XXXVIII (1983), pp. 207-211. Più ampio è stato l’impegno di D. De Martino: P. e Bacchelli in Scritti in memoria di Dino Pieraccioni, a cura di M. Bandini - F.G. Pericoli, Firenze 1993, pp. 123-137; “Come il cane che ha perso il padrone”. Corrispondenza G. P. - Gianfranco Contini (1935-1952), in Strumenti critici, IX (1994), 3, pp. 387-439; “Il mio migliore amico, il mio Gönner”. Lettere di Giacomo Devoto a G. P. (1920-1942) nel volume miscellaneo Giacomo Devoto nel centenario della nascita, in Accademia toscana di scienze e lettere ‘La Colombaria’. Studi, LXXVIII (1999), pp. 153-187.
Le basi della bibliografia di Pasquali furono gettate da Eugenio Grassi, suo allievo di alte qualità, prematuramente scomparso, Studi italiani di filologia classica, n.s., XXVII-XXVIII (1956), pp. VII ss.; con aggiunte di S. Timpanaro quella bibliografia è stampata in Per G. P.: studi e testimonianze, a cura di L. Caretti, Pisa 1972. Ulteriori aggiunte in G. Palermo, Per la bibliografia di G. P., I, Studi e problemi di critica testuale, XI (ma VI) (1973), pp. 327-339. D. De Martino ha recuperato un breve testo della primavera del 1952 dal settimanale Epoca (in Belfagor, LIII (1998), pp. 313 s., 487-489) e altro si potrà scoprire ancora. Ci si limita a indicare le opere raccolte in libri: Quaestiones Callimacheae, Gottingae 1913; sui Caratteri di Teofrasto, Firenze 1919 (1956, a cura di V. De Falco); Orazio lirico, Firenze 1920 (1964, a cura di A. La Penna); Socialisti tedeschi, Bari 1920; L’Università di domani, in collaborazione con P. Calamandrei, Foligno 1923; Pagine stravaganti di un filologo, Lanciano 1933; Storia della tradizione e critica dei testi, Firenze 1934 (1952 con aggiunte); Pagine meno stravaganti, Firenze 1935; Preistoria della poesia romana, Firenze 1936 (1981 a cura di S. Timpanaro); D. Comparetti, Virgilio nel Medio Evo, a cura di G. P., I, Firenze 1937; Le lettere di Platone, Firenze 1938. Terze pagine stravaganti, Firenze 1942; Università e scuola, Firenze 1950; Gregorii Nisseni. Opera, VIII, 2, Epistulae, edizione di G. P., a cura di W. Jaeger, Leiden 1951; Stravaganze quarte e supreme, Venezia 1951; Vecchie e nuove pagine stravaganti di un filologo, Torino 1952 (contiene le prime Pagine stravaganti, con notevoli aggiunte); Storia dello spirito tedesco nelle memorie di un contemporaneo, Firenze 1953; Conversazioni sulla nostra lingua, Torino 1953. Le quattro serie delle Pagine stravaganti sono state ripubblicate a Firenze nel 1968 a cura di G. Pugliese Carratelli e nel 1994 a cura di C.F. Russo. Gli scritti sulla lingua italiana sono stati ripubblicati da G. Folena, Lingua nuova e antica, Firenze 1964. Le voci dell’Enciclopedia Italiana in Rapsodia sul classico: i contributi all’Enciclopedia Italiana, a cura di F. Bornmann - G. Pascucci - S. Timpanaro, Roma 1986.
Su Pasquali il saggio migliore scritto prima della sua morte è quello di G. Perrotta, Intelligenza di G. P., in Primato, IV (1943), pp. 5 s., ora in Quaderni urbinati, n.s., XXI (1985), 3, pp. 7-12. Molti gli interventi subito dopo la morte e negli anni successivi: La Fiera Letteraria, 27 luglio 1952; Nuovo corriere, 9 agosto 1952; seguirono studi più impegnativi, di colleghi, amici, allievi: Atene e Roma, n.s., VI (1952); G. Devoto in Belfagor, VIII (1953), pp. 172 ss.; N. Terzaghi, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere, XXII (1953), pp. 209-224; A. Ronconi, Rievocazione di G. P., Firenze 1953 (commemorazione presso l’Università di Firenze). Cfr. inoltre L. Caretti, Per G. P.: studi e testimonianze, Pisa 1972; A. Setti, G. P., dopo vent’anni, in Atene e Roma, n.s., XVII (1972), pp. 161-179; D. Pieraccioni, Incontri del mio tempo, Milano 1977; B. Bravo, G. P. e l’eredità del XIX secolo nell’opera miscellanea Philologie und Hermeneutik im 19. Jahrhundert, II, Göttingen 1983, pp. 339-373; E. Garin, P. cent’anni dopo, in Studi italiani di filologia classica, s. 3, III (1985), pp. 130-135. Il quadro d’insieme migliore in S. Timpanaro, Belfagor, XXVIII (1973), pp. 183-201; Letteratura. I critici, III, a cura di G. Grana, Milano 1969, pp. 1803-1830; G. Folena, L’insegnamento del P. e la sua esperienza linguistica, in G. P. e la filologia classica del Novecento. Atti del convegno… Firenze-Pisa, 1985, a cura di F. Bornmann, Firenze 1988.