PICCHI, Giorgio
PICCHI, Giorgio. – Nacque a Casteldurante (Urbania) intorno al 1555 (Moretti, 2005, p. 198) dal maiolicaro Angelo di Giorgio e da Giacoma Venanzi. Fece le prime esperienze nella bottega del padre, trasferitosi a Roma verso il 1565. Qui dovette compiersi la sua formazione artistica, a contatto con autorevoli maestri, in particolare Raffaellino da Reggio e Federico Zuccari (Arcangeli, 1979, p. 96).
Sia le Cronache di Flaminio Terzi (1617 circa) sia le testimonianze di un processo del 1601 intentato all’artista in seguito al tentativo fallito di sostituire con sue pitture affreschi più antichi in S. Chiara a Urbania attestano una sua intensa attività romana, negli anni dei pontificati di Gregorio XIII e di Sisto V. Oltretutto, un documento del 1575 riferisce di un disperso rame con Venere e Adone e di altre Storie di Perseo, anch’esse andate perdute, realizzati per il cardinale Ferdinando de’ Medici (Cecchi, 1999), abate commendatario di Casteldurante.
Tra il 1576 e il 1577 Picchi collaborò agli affreschi delle logge Gregoriane in Vaticano, dove potrebbe essere suo il riquadro con la Guarigione del lebbroso, prossimo alla «maniera morbida» di Raffaellino da Reggio, non a caso coinvolto nel medesimo cantiere con altri pittori come Giovan Battista Lombardelli, «il più vicino alla sensibilità del Picchi» (Moretti, 2005, p. 200). Nel 1578 partecipò alla realizzazione delle Storie di s. Francesco di Paola nel chiostro di Trinità dei Monti (ibid.; Morganti, 2008, pp. 139 s.). Inoltre, nel 1580 risulta iscritto alla Compagnia di S. Luca: prova che in questi anni esercitava liberamente la sua attività (Moretti, 2005, p. 201).
Due anni dopo, a Casteldurante, gli fu commissionata la tela con l’Immacolata per la chiesa di S. Francesco, contraddistinta da evidenti legami stilistici e compositivi con Federico Zuccari.
Nel 1585 il pittore risulta attivo a Piobbico nella sala Greca del palazzo del conte Antonio Brancaleoni, dove affrescò scene tratte dall’Iliade, particolarmente schematiche e legate a un uso del colore dato a secco e ai repertori decorativi delle maioliche metauresi («la volta [...] potrebbe leggersi come una maiolica figurata dilatata alle dimensioni di un ambiente», Arcangeli, 1989-90, p. 110).
In seguito, a Casteldurante, nel 1586, dipinse il Presepe per la cappella Filareti nella chiesa di S. Francesco, e l’Ultima Cena per la Confraternita del Corpus Domini, chiaramente desunta dall’affresco di Livio Agresti nell’oratorio del Gonfalone.
Qui, come osservato da Luciano Arcangeli, mostra di aver maturato un linguaggio personale, «interpretando la sfarfallante luce baroccesca in sciabolate che rendono spigolose le figure, caricando il gesticolare e l’espressione» (Arcangeli, 1989-90, p. 112).
L’anno dopo realizzò la Circoncisione per la chiesa di S. Francesco a Mercatello sul Metauro, permeata da suggestioni provenienti dal Barocci, specialmente per la dolcezza degli impasti e per i tipi fisici di alcune figure. In questi stessi anni, per la medesima località, potrebbe aver eseguito il Martirio di s. Caterina, ora nel Museo di S. Francesco (Arcangeli, 1979, p. 99), e, poco dopo, entro il nono decennio, il Martirio di s. Lucia della chiesa dei Morti di Urbania, in cui è stata rilevata una vicinanza a Cesare Nebbia (Id., 1992, p. 337), senz’altro conosciuto a Roma nei cantieri sistini. Negli anni 1587-88, infatti, il durantino dovette trovarsi nell’Urbe e partecipare alla decorazione della Scala Santa lateranense, dipingendo alcune scene ad affresco recentemente identificate: la Salita di Isacco e Abramo al monte per il sacrificio e, con ogni probabilità, il Sansone atterra le colonne del tempio di Dagon (Moretti, 2005, p. 206). Dopo una breve sosta prima a Casteldurante e poi a Rimini nel 1588, l’artista soggiornò di nuovo a Roma (1589), ove eseguì dipinti perduti raffiguranti Storie di s. Giovanni apostolo in S. Giovanni fuori Porta Latina e collaborò agli affreschi del Palazzo Lateranense e della Biblioteca Sistina in Vaticano.
In quest’ultimo contesto al pittore sono stati ricondotti il Concilio lionese II, la Cappella papale di S. Maria del Popolo e una porzione del Concilio lateranense I. Le pitture del Palazzo del Laterano hanno invece subito pesanti restauri, ma i modi di Picchi si osservano in una delle volte a padiglione nella loggia meridionale del piano nobile, nel ciclo dedicato a Giuditta (ibid.).
Grazie a monsignor Giovan Battista Santi, nel 1590 ebbe la commissione della Crocifissione per S. Michele a Mondaino; per la stessa chiesa due anni dopo eseguì l’Apparizione di s. Michele. Dovette essere il Santi ad introdurlo a Rimini, città in cui il prelato durantino aveva ottenuto il beneficio semplice di S. Biagio (Moretti, 2005, p. 207).
Prima di trasferirsi nel centro adriatico è probabile che Picchi avesse dipinto l’Invenzione della Croce per l’altare maggiore di S. Sebastiano a Mercatello sul Metauro, anch’essa pregna di cultura romana e con chiari agganci al linguaggio della sua maggiore impresa, vale a dire le quattro tele con le Storie di s. Marino nell’abside della chiesa lateranense dei Ss. Marino e Benedetto (ora S. Rita) a Rimini (1595), uno dei «grandi capolavori del manierismo visionario dell’ultimo Cinquecento» (Pasini, 2009, p. 47). In questo edificio Picchi dipinse anche gli affreschi del presbiterio – raffiguranti S. Martino in gloria al cospetto della Trinità nel catino absidale e le Virtù Teologali e Cardinali entro un complesso apparato decorativo nel registro inferiore e nelle lunette – e quelli frammentari da poco affiorati nella navata, dove compare anche una Natività (ibid.).
Il favore dei canonici lateranensi fu rinnovato di lì a poco, sul finire del 1595, con la commissione nella chiesa cremonese di S. Pietro al Po degli affreschi del presbiterio e quelli della cupola e della navata, questi ultimi però non eseguiti (Tanzi, 2004-05). L’artista, infatti, per ragioni di salute, rientrò nel luogo d’origine, dopo aver realizzato il solo ciclo dedicato ai Ss. Pietro e Paolo nel presbiterio.
In una seconda fase della sua carriera artistica il pittore fu particolarmente apprezzato a Urbino, dove gli viene attribuito un ciclo di affreschi con Storie della Croce nell’oratorio di S. Croce e quattro tele dedicate al tema del Trionfo della Morte nell’oratorio della Morte (Moretti, 2005, p. 209). Insieme ad Antonio Viviani, nel 1598, ricevette l’incarico di disegnare gli archi trionfali per il passaggio di Clemente VIII a Pesaro, diretto a Ferrara; per lo stesso evento Picchi fu chiamato a Cesena, dove realizzò persino alcune statue in stucco, perdute (ibid.).
In S. Chiara a Casteldurante, durante il badessato di suor Giulia Stefani, sua parente, gli furono affidati gli affreschi del monastero, di cui sopravvivono poche tracce, come per esempio una grande Crocifissione (Moretti, 2011). Le religiose gli consentirono di rifare le pitture del maggiore altare della chiesa, sostituendo gli affreschi di Giuliano Episcopi, il pittore più anziano e rispettato della città. Per aver violato la clausura del monastero, e per le polemiche insorte su un’iniziativa che apparve superflua, nel 1601 Picchi fu sottoposto a un processo, durante il quale alcuni testimoni elencarono i luoghi in cui l’artista si era distinto. Le più antiche decorazioni così non vennero rimpiazzate da quella che lo stesso Picchi definì sintomaticamente «una cosa più alegra» (Leonardi, 1985, p. 33; Moretti, 2005, p. 212).
Ai principi del XVII secolo datano altri interventi durantini, contraddistinti da un’involuzione verso soluzioni meno estrose e brillanti e un fare più convenzionale. Tra gli impegni maggiori vanno rammentati le residue lunette con Storie di s. Francesco del chiostro di S. Francesco (1600); i Rosari di S. Giorgio in Plano e della cattedrale, ora nel Museo diocesano (1602-03); il Paradiso, richiestogli da Francesco Maria II della Rovere per la cappella di famiglia in S. Francesco; la Natività di Maria per la cappella Scirri nella cattedrale (1603), dove l’utilizzo del lume notturno rinvia a contatti con la pittura lombarda, in ispecie con Antonio Campi (Moretti, 2004, pp. 197 s.).
Al 1604 risale l’ultimo soggiorno riminese, durante il quale eseguì alcune opere perdute e il S. Raimondo della chiesa di S. Cataldo (Ricci, 2005).
Opera estrema di Picchi furono gli affreschi (1604) con Storie mariane nell’oratorio del Carmine a Urbania (Moretti, 2005, p. 204).
Di molte sue composizioni si conservano disegni preparatori, spesso di notevole qualità, e quasi sempre improntati a un segno grafico «rapido e vibrante» e a un «ductus sciolto e irregolare» (Morganti, 2008, p. 140). Tra gli esempi più rilevanti vanno ricordati lo studio per l’Immacolata del 1582, conservato nella Biblioteca di Urbania (Bianchi, 1958); il Martirio di s. Caterina del Louvre, prima idea del quadro di Mercatello (Zavatta, 2009, pp. 53-57); la Crocifissione degli Uffizi e l’Apparizione di s. Michele del Louvre, collegati alle tele di Mondaino (Morganti, 2008, pp. 138 s.; Zavatta, 2009); la Circoncisione degli Uffizi, preparatoria della pala di Mercatello; lo Svenimento della falsa moglie di s. Marino, connesso a una delle tele riminesi, presso la Christ Church Picture Gallery di Oxford (Di Giampaolo, 1991).
Morì il 16 aprile 1605 a Casteldurante (Moretti, 2005, p. 214).
Fonti e Bibl.: F. Terzi, Cronache di Castel delle Ripe e della terra di Durante [1617 circa], in G. Colucci, Delle antichità picene, XXVII, Fermo 1796, p. 49; H. Voss, Die Malerei der Spätrenaissance in Rom und Florenz (Berlin 1920), trad. it. Roma 1994, p. 314; L. Serra, P. G., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, pp. 579 s.; L. Bianchi, Disegni inediti della Biblioteca comunale di Urbania (catal., Roma-Urbania), Roma 1958, pp. 39 s.; L. Arcangeli, Pittori nelle Marche tra ’500 e ’600. Aspetti dell’ultimo manierismo (catal.), Urbino 1979, pp. 96-102; C. Leonardi, Via Giustino Episcopi, in Quaderni di storia e di folclore urbaniesi, V (1985), pp. 7-35, in partic. pp. 27 s., 30-35; L. Arcangeli, Contributi per G. P., in Prospettiva, LVII-LX (1989-90), pp. 108-116; M. Di Giampaolo, Per G. P. disegnatore, in Nuove ricerche in margine alla mostra. Da Leonardo a Rembrandt. Disegni della Biblioteca Reale di Torino. Atti del Convegno... 1990, a cura di G.C. Sciolla, Torino 1991, pp. 177-186; L. Arcangeli, in Le Arti nelle Marche al tempo di Sisto V (catal., Ascoli Piceno), a cura di P. Dal Poggetto, Cinisello Balsamo 1992, pp. 336-338; A. Cecchi, La collezione di quadri di Villa Medici, in Villa Medici. Il sogno di un cardinale..., a cura di M. Hochmann, Roma 1999, pp. 60 s.; M. Cellini, Disegni della Biblioteca comunale di Urbania. La Collezione Ubaldini, I, Ancona 1999, pp. 15-17, 31-33, 170 s., 189-192; II, pp. 437, 449 s., 456; C. Leonardi - M. Moretti, I Picchi maiolicari da Casteldurante a Roma, Urbania 2002; M. Moretti, La celebrazione dei Della Rovere in due dipinti di G. P., in I Della Rovere nell’Italia delle corti, II, Luoghi e opere d’arte. Atti del convegno... Urbania 1999, a cura di B. Cleri, Urbino 2002, pp. 141-166; Id., Artisti e committenze roveresche nella Casteldurante di Francesco Maria II, in I Della Rovere. Piero della Francesca, Raffaello, Tiziano (catal., Senigallia-Urbino-Urbania), a cura di P. Dal Poggetto, Milano 2004, pp. 195-201, 466 s.; M. Tanzi, Siparietti cremonesi, in Prospettiva, CXIII-CXIV (2004-05), pp. 117-161, in partic. pp. 149-151; M. Cellini, Nel segno del maestro: considerazioni sul disegno baroccesco, in Nel segno di Barocci, a cura di A.M. Ambrosini Massari - M. Cellini, Roma 2005, p. 69; M. Moretti, G. P. da Casteldurante, ibid., pp. 198-219; M. Ricci, Novità documentarie su G. P. Opere e committenze riminesi del 1604, in Penelope. Arte storia archeologia, III (2005), pp. 45-64; F. De Carolis, G. P. a Mercatello sul Metauro, Fermignano 2007; D. Morganti, Disegni di G. P. nella Collezione Ubaldini della Biblioteca Comunale di Urbania, in La libraria di Francesco Maria II della Rovere a Casteldurante (catal., Urbania), a cura di M. Mei - F. Paoli, Urbino 2008, pp. 133-141; P.G. Pasini, La chiesa riminese dei Santi Bartolomeo e Marino detta di Santa Rita, Argelato 2009, pp. 47-63; G. Zavatta, Il disegno di G. P. per la Crocefissione di Mondaino, in Romagna arte e storia, LXXXV (2009), pp. 45-56; Id., Da Mercatello sul Metauro a Cremona. Aggiunte a G. P. disegnatore, in Commentari d’arte, XV (2009), pp. 53-61; G. Perini, Tra Urbino, Urbania e Palermo: un’invenzione francescana da G. P. a Giacomo Serpotta, in Notizie da Palazzo Albani, XXXIX (2010-11), pp. 107-118; M. Moretti, Il monastero di Santa Chiara di Urbania: una storia di lungo periodo. Continuità, strategie, sopravvivenze, in L’arte confiscata..., Ancona 2011, pp. 436-438.