PISANO, Giorgio
PISANÒ, Giorgio. – Nacque a Ferrara il 30 gennaio 1924, da Luigi e da Iolanda Cristiani. Primogenito dei cinque figli di un funzionario di prefettura di origine pugliese, i suoi studi e la sua attività politica giovanile si svolsero seguendo i trasferimenti paterni.
Nel 1942 divenne ufficiale della Gioventù italiana del littorio (GIL). Il 9 settembre 1943, a Pistoia, riaprì la sede del Partito fascista e aderì alla Repubblica sociale italiana. Volontario nel battaglione NP (Nuotatori Paracadutisti) della decima flottiglia MAS, venne destinato ai servizi speciali di sabotaggio e di informazione. Paracadutato oltre le linee, prima presso Roma, poi in Toscana, fu catturato due volte dai servizi di controspionaggio nemici, ma riuscì in entrambi i casi a fuggire e a tornare fortunosamente al Nord. Decorato della croce di ferro di seconda e di prima classe, due volte promosso per meriti di guerra, venne infine chiamato al quartiere generale del duce e assegnato ai servizi speciali del comando generale delle Brigate nere. Fu inviato in Valtellina al ‘Ridotto alpino’, ultima difesa del fascismo repubblicano. Catturato dai partigiani la sera del 28 aprile 1945 alla testa del suo reparto, fu rinchiuso nelle carceri di Sondrio, Milano, Spoleto, Firenze, Perugia e Pistoia, quindi internato fino alla fine del 1946 nei campi di Collescipoli presso Terni (campo R) e di Miramare a Rimini (375 POW), due dei tanti campi nei quali furono internati decine di migliaia di fascisti, prigionieri di guerra italiani, militari nazisti, uomini e donne sospettati di collaborazionismo, durante l’avanzata degli Alleati e dopo il 25 aprile 1945.
Terminata la prigionia, nel gennaio 1947, a Como, fu tra i fondatori del Movimento sociale italiano (MSI) e ne divenne anche il primo segretario della Federazione; successivamente ebbe importanti cariche in ambito giovanile.
La sua vocazione fu comunque il giornalismo d’inchiesta. Collaborò a Meridiano d’Italia, la prima testata neofascista di Milano fondata da Franco De Agazio, ucciso dalla Volante rossa nel febbraio 1947, con servizi sull’‘oro di Dongo’ e sulla eliminazione dei fascisti subito dopo il 25 aprile.
Nel 1954 divenne giornalista professionista e iniziò a collaborare al settimanale Oggi e successivamente a Gente di Edilio Rusconi, che lo incaricò di svolgere un’inchiesta a puntate sulla Resistenza.
Nel 1960 sposò Fanny Crespi con cui ebbe due figli, Alessandra (1961) e Alberto (1965). Tre anni dopo, nel 1963, fondò il settimanale Secolo XX, sulle cui pagine pubblicò un’inchiesta importante sulla morte di Enrico Mattei.
Sono di quegli anni anche diversi saggi di carattere storico: Sangue chiama sangue (Milano 1962); La generazione che non si è arresa (Milano 1964); Storia della guerra civile in Italia (I-III, Milano 1965), che fu la prima ricostruzione di parte fascista del biennio 1943-45: estremamente analitica e documentata, sia dal punto di vista testuale sia da quello fotografico, ha costituito la base per gli studi di Giampaolo Pansa sull’argomento, dagli anni Novanta in poi; Gli ultimi in grigioverde. Storia delle forze armate della Repubblica sociale italiana (1943-1945) (I-IV, Milano 1967).
Nel 1963 pubblicò una raccolta di articoli giornalistici sulle leggi razziali e sui rapporti tra fascismo e comunità ebraiche (Mussolini e gli ebrei, Milano 1967), per molto tempo l’unica analisi di parte neofascista della questione razziale, con una significativa presa di distanza dall’antisemitismo.
Nel 1968 fece rivivere Candido, la vecchia testata fondata nel 1945 da Giovannino Guareschi. Satirico, politico, ma soprattutto di denuncia, il settimanale acquistò notorietà seguendo vicende di cronaca, polemizzando e denunciando apertamente il leader socialista Giacomo Mancini, accusato di peculato, sostenendo la rivolta di Reggio Calabria, occupandosi di diversi scandali e vicende di corruzione politica-amministrativa-finanziaria: ANAS (Aziensa Nazionale Autonoma delle Strade) Italcasse, SIR (Società Italiana Resine), quello seguito al terremoto del Belice (1968), quello dei petroli.
Esempio di come Pisanò seppe perseguire con determinazione anche convinzioni ‘scomode’ è la vicenda della rivolta di Reggio Calabria: quando scoppiò, nel luglio 1970, l’MSI si dichiarò nettamente contrario a che le ragioni del localismo prevalessero su quelle dello Stato. Candido si adeguò a questa linea, ma successivamente, grazie a un’inchiesta condotta da Pisanò dedicata alle prime avvisaglie degli scandali che avrebbero coinvolto Mancini, il settimanale iniziò una dura campagna di stampa tesa a dimostrare che la rivolta di Reggio era contro la partitocrazia e non era sostenuta dalla Sinistra. Da quel momento l’MSI si spostò verso l’aperto sostegno alla rivolta, anche per sostituirsi al ruolo egemone che avevano guadagnato in quei moti formazioni della Destra extraparlamentare come il Fronte nazionale di Junio Valerio Borghese e Avanguardia nazionale di Stefano Delle Chiaie.
Le inchieste e le denunce cui si dedicò Pisanò in quegli anni ebbero per lui gravi implicazioni: al culmine della campagna contro Mancini fu sottoposto a cinque mesi di carcerazione preventiva (1971), prima di essere assolto da ogni imputazione dal tribunale di Roma il 14 luglio 1971; divenuto uno dei primi bersagli delle Brigate rosse (il primo attentato fu del 13 marzo 1972), subì due devastanti attentati alla redazione e agli impianti editoriali del Candido (2 settembre 1972 e 11 febbraio 1978). Accusato anche di calunnia nei confronti del leader socialista, nel maggio del 1985 venne infine assolto anche dal tribunale di Monza, perché il fatto non costituiva reato.
Senatore della Repubblica dal 1972 al 1992, Pisanò seguì fedelmente in Parlamento la linea di Giorgio Almirante. La sua attività di parlamentare fu segnata dall’interesse verso le grandi inchieste sulla mafia e sulla corruzione: partecipò alle commissioni Antimafia e sulla Loggia P2; inoltre fece parte della commissione parlamentare di Vigilanza sulla RAI e delle commissioni permanenti Difesa e Affari costituzionali. In quest’ultima intervenne più volte a favore della repubblica presidenziale, suo vecchio obiettivo fin dal 1963, quando ne aveva trattato per la prima volta sul Secolo XX, poi diventato uno dei propositi principali del MSI-Destra nazionale.
Con la morte di Almirante (1988), Pisanò si trovò isolato nel partito: seguendo il vecchio segretario, aveva sostenuto la candidatura di Gianfranco Fini nel 1987, tuttavia ben presto dovette ricredersi. L’anno successivo uscì dall’MSI e fondò Fascismo e libertà, un movimento che non esitava a richiamarsi al fascismo storico e che Pisanò rappresentò in Senato dopo avere aderito al Gruppo misto. Nel 1992 chiuse Candido.
Nel 1995, dopo la trasformazione dell’MSI in Alleanza nazionale, Pisanò appoggiò Pino Rauti e la Fiamma tricolore, il nuovo movimento che raccolse coloro che non avevano condiviso la svolta di Fiuggi. Intanto aveva ripreso l’attività pubblicistica: uscirono in quel periodo L’altra faccia del pianeta P2 (Milano 1984); L’omicidio Calvi (Milano 1985); la Storia del fascismo (I-III, Milano 1988-90); Il triangolo della morte. La politica della strage in Emilia durante e dopo la guerra civile (con il fratello Paolo, Milano 1992); Gli ultimi cinque secondi di Mussolini (Milano 1996); Io fascista (Milano 1997).
Morì a Milano il 17 ottobre 1997.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Pisanò è conservato dal fratello Paolo a Vizzolo Predabissi (Milano).
La sua figura non è stata finora studiata in modo approfondito; notizie si trovano in F. Germinario, Da Salò al governo. Immaginario e cultura politica nella destra italiana, Torino 2005, ad nomen; C. Baldassini, L’ombra di Mussolini. L’Italia moderata e la memoria del fascismo (1945-1960), Soveria Mannelli 2008, ad nomen; A. Carioti, Gli orfani di Salò. Il ‘sessantotto nero’ dei giovani neofascisti nel dopoguerra 1945-1951, Milano 2008, ad nomen; A. Baldoni, Storia della destra. Dal postfascismo al Popolo delle libertà, Firenze 2009, ad nomen; A. Carioti, I ragazzi della Fiamma. I giovani neofascisti e il progetto della grande destra 1952-1958, Milano 2011, ad nomen.