CARDONA, Giorgio Raimondo
Nacque a Roma il 7 gennaio del 1943, primogenito di Irma Ravenna Battistella (figlia di Gino Ravenna, intellettuale futurista e dannunziano) e di Giacinto, discendente da un’antica famiglia di origine catalana, con possedimenti nell’area di Atessa (Chieti). Qui la giovane famiglia si rifugiò qualche mese dopo la nascita di Giorgio e nel settembre Giacinto si diede alla macchia per organizzare, insieme con Raffaele Sciorilli Borrelli, una «guardia nazionale» contro l’occupazione tedesca; stabilì poi contatti con il Governo militare alleato (AMG) che lo nominò sindaco, carica che lasciò nella primavera del 1944.
Fin quasi all’età adulta di Giorgio, la vita familiare fu scandita ciclicamente tra la casa di Roma e quella di Atessa, dove la famiglia soggiornava da giugno a ottobre. Ad Atessa Giorgio godette di grande libertà, impiegata in poche attività ricorrenti: lettura, ascolto della radio, vita comune con i figli dei contadini e lunghe corse solitarie in bicicletta per le strade della campagna chietina.
Sia la madre (1919-99) sia il padre (1913-92) sopravvissero a Giorgio. Furono ricordati dai loro amici l’uno come un «comunista tolstojano» (anticipò la riforma agraria, donando dei terreni per favorire l’associazionismo contadino), l’altra come una «vera Signora». Nel 2016 un Largo del Comune di Atessa fu intitolato a Giacinto e Giorgio Cardona.
All’opposto di quella di Atessa, la vita nella casa di via Saliceto a Roma seguì il ritmo concitato della politica e della cultura italiana del dopoguerra. Giacinto vi organizzò incontri importanti per i progetti politici e culturali di area laica dagli anni Quaranta agli anni Ottanta, a partire dall’organizzazione del Partito d’Azione (Pd'A), in amicizia con Guido Calogero, del Partito socialista italiano (PSI, cui Giacinto aderì) e del Partito comunista italiano (PCI), in cui passò nel 1960. Giacinto e Irma si conobbero grazie alla comune amicizia con Giovanni Macchia; e furono amici di famiglia e frequentatori abituali di casa Cardona intellettuali, artisti e politici come Mario Alicata, Michelangelo Antonioni, Giorgio de Santillana, Antonio Giolitti, Renato Guttuso, Pietro Ingrao, Alberto Moravia, Elsa Morante, Giancarlo Pajetta, Gillo Pontecorvo, Giorgio Napolitano e Antonello Trombadori. In casa Cardona, Alberto M. Cirese conobbe Ernesto de Martino.
Irma animò la vita letteraria della capitale con le attività promosse per conto dell’Associazione culturale italiana. Fu amica di Gina Antonetto (fondatrice a Torino dell’Associazione insieme con la sorella Irma) e organizzò per suo incarico i «Martedì letterari a Roma», al teatro Eliseo. In queste occasioni, Giorgio poté incontrare altri intellettuali, come Rafael Alberti, Nazim Hikmet, Carlo Levi, Jean-Paul Sartre, Léopold Sédar Senghor e Andy Warhol. L’ambiente familiare gli facilitò l’apprendimento delle lingue straniere moderne: per i libri in francese, inglese e tedesco, in casa Cardona si preferiva non ricorrere alle traduzioni, tanto che Giorgio, già liceale, regalò alla «sorella piccola», Caterina, un classico delle letteratura inglese in traduzione italiana, con la dedica «nisi anglice…», “se non in inglese…” (Caterina Cardona diresse, alcuni decenni dopo, l’Istituto italiano di cultura di Londra).
Giorgio visse in disparte nel mondo di via Saliceto. S’isolò presto in occupazioni che assorbivano pressoché interamente le sue giornate, appassionandosi soprattutto alla musica (classica, folk e rock) e alle culture e alle lingue lontane nel tempo o nello spazio, non solo a quelle greche e latine praticate a scuola. All’età di quattordici anni, accompagnato dalla nonna materna, Gina Battistella, di origine friulana, visitò la chiesa e il monastero di S. Lazzaro degli Armeni a Venezia. Rapito da quell’oasi di perfezione, si avvicinò all’istante alla lingua armena (come era capitato quasi un secolo e mezzo prima a Lord Byron nello stesso luogo), che studiò prima nelle sue testimonianze letterarie classiche e poi nelle sue varietà moderne. Gli furono d’aiuto l’amicizia e le competenze di chi, in famiglia, veniva ricordato come «il prete armeno» del monastero veneziano. Si trattò in realtà di più «preti armeni», almeno tre, frequentati da Cardona sia a Venezia sia a Roma: p. Raphael Andonian, p. Nerses Der Nersessian (Berlino 16 novembre 1920 – Gyumri, Armenia, 24 dicembre 2006), all’epoca il massimo esperto della lingua armena classica e contemporanea, maestro di una generazione di monaci armenisti (come Sahak Gemgemian e Levon Zekiyan) e lo stesso p. Zekiyan. La vita schiva, pressoché solitaria che Giorgio condusse fin quasi all’età adulta fu favorita dall’attenzione ansiosa, fortemente protettiva, ricevuta dalla nonna che, rimasta vedova ancora giovane, pure visse nella casa di via Saliceto.
Compì gli studi ginnasiali e liceali (1958-62) al «Giulio Cesare», non lontano da via Saliceto, benché allora fosse egemonizzato dagli studenti di destra. Ebbe buoni insegnanti, ma quasi nessun amico.
L’ateismo militante del padre e l’inclinazione cattolica della madre non pregiudicarono l’intesa della coppia, che gli suggerì un modello di risoluzione del conflitto basato meno sull’esplicitazione e più sulla ricerca di autonomia.
Gli anni universitari presso la facoltà di lettere e filosofia di Roma «La Sapienza» (1961-65) introdussero Cardona alla varietà dei modi di vivere, tra cui trovarono posto anche leggerezza e divertimento. Strinse amicizie, destinate a durare, con alcuni studenti, attraverso cui prese contatto con discipline, non previste nel suo piano di studi, che divennero fondamentali nella sua ricerca (come storia delle religioni ed etnologia). L’incontro e poi l’amicizia con Alessandro Bausani furono decisivi: il poliglottismo e la visione unitaria dei fatti linguistici, culturali e religiosi dell’orientalista romano rimasero un modello di riferimento nella formazione e nella ricerca di Cardona.
Nei suoi ricordi, il viaggio in motocicletta da Roma a Firenze, per prestare soccorso dopo l’alluvione del novembre del 1966, acquistò valore simbolico di spartiacque tra una prima e una seconda fase della sua vita. Conobbe nel 1967 e sposò l’anno dopo Barbara Fiore, ricercatrice di etnologia, che ha insegnato nelle Università italiane a partire dal 1990. Nella loro casa si faceva esperienza, in allegria, delle reciprocità del sapere e dell’amicizia: Cardona aveva curiosità culturali talmente ampie che lo rendevano necessariamente maestro ma anche discepolo dei suoi amici, perfino di quelli che avevano poco da offrire e da dire. Condivise con la moglie una vita ricca di affetti e di esperienze felici ma, nella ricerca sul campo, solo alcuni giorni in Africa e in America.
Cardona si laureò nel 1965, discutendo una tesi in glottologia intitolata «Il lessico liturgico armeno», di cui fu relatore Walter Belardi. Le ricerche proseguirono in un primo momento secondo le consuetudini della linguistica storica più canonica, applicata alle lingue scritte orientali di area mediterranea e asiatica: etimologie, descrizione linguistica e in particolare fonologica, prestiti derivanti da situazioni di multilinguismo.
Divenuto assistente e professore incaricato di glottologia nel 1968, nell’Università che lo aveva visto studente, insegnò quindi lingua e letteratura armena nell’Istituto universitario orientale di Napoli dal 1968 fino al 1980, anno in cui fu nominato professore ordinario di glottologia nell’Università di Roma «La Sapienza», ove diresse il dipartimento di studi glottoantropologici dal 1985 al 1988.
Alla sua scomparsa, nell'estate del 1988, a soli 45 anni, la bibliografia di Cardona contava già oltre duecento titoli, scritti in poco più di due decenni: una decina di monografie, saggi, dizionari e voci di dizionari, edizioni curate, introdotte e commentate di testi antichi, traduzioni e presentazioni di importanti libri stranieri (alcuni in collane editoriali da lui dirette) e segnalazioni critiche di opere pubblicate in Italia e all’estero.
I suoi lavori, riconosciuti in ambito nazionale e internazionale, si dispongono lungo una linea ideale che vede da una parte lo studio della lingua nella sua autonomia formale e dall’altra nella sua connessione con i fatti culturali: quelli più originali riguardarono però il secondo versante, dove la riflessione sulla lingua e quella sulla cultura si fondono, anziché separarsi come di solito accadeva e accade nelle consuetudini disciplinari sia della linguistica sia dell’antropologia. Che esista una relazione tra lingua e cultura è cosa ovvia; il problema denunciato e affrontato da Cardona nei suoi lavori più originali consiste nel fatto che tale relazione non era considerata di pertinenza scientifica in ambito linguistico e, per molti versi, neanche in quello antropologico-culturale, soprattutto in Italia. Nella formulazione di questo problema Cardona trasse ispirazione non tanto dai linguisti, ma da alcuni antropologi d'inizio Novecento, che tra i primi si cimentarono nella ricerca sul campo (come Bronisław Malinowski e soprattutto Franz Boas).
Il precoce contatto con le lingue orali (v. Lista comparativa di vocaboli Yanoama, 1966) e particolarmente con quelle descritte attraverso indagini sul terreno, cominciate nel 1969 in Ghana (Phonologie descriptive et comparaison historique…, 1973; Una società guineana: gli Nzema, 1977), lo spinse a cimentarsi in modo sistematico crescente con il problema della relazione tra lingua e cultura. Per aprirsi la strada, si scelse interlocutori reali e ideali con cui discutere e polemizzare nei suoi scritti. Fu un modo per giustificare la rottura degli schemi disciplinari accademici e per controllare, con maggiore autocoscienza possibile, gli sconfinamenti dettati dal suo autonomo percorso di linguista e di antropologo. I bersagli critici di Cardona non risparmiarono i grandi nomi e le posizioni acquisite. Riguardarono sia il versante della linguistica storica o diacronica sia quello della linguistica sincronica. Cardona non accettò i «sacrifici» che i linguisti (e gli antropologi del secondo dopoguerra) andavano compiendo per legittimare la scientificità delle rispettive discipline: il mettere da parte il problema del significato, come coscienza e volontà di un’intenzione comunicativa, linguistica e simbolica, di soggetti storicamente, socialmente e geograficamente situati: «Per lungo tempo, e ancora oggi, la maggior parte dei linguisti ha considerato suo oggetto di studio precipuo, se non esclusivo, la lingua come sistema a sé stante, senza considerare la cultura che se ne serve e gli scopi a cui essa serve. Tutto ciò che non poteva essere enunciato in termini di fonologia, morfologia e sintassi era considerato “extralinguistico” e quindi fuori della competenza del linguista […]. In pratica, questo si traduceva in un modo asettico di considerare i dati linguistici: ai fini di un’analisi fonologica ogni sequenza di suoni può andar bene e non importa sapere che cosa significhi, come sia stata ottenuta, che informazioni dia su chi l’ha pronunciata, quali elementi culturali essa trasmetta» (Introduzione all'etnolinguistica, 1976, pp. 8 s.).
Il problema che Cardona sollevò è facile da riconoscere, indirettamente, se si pensa che uno specialista può produrre una buona descrizione di una lingua, nei suoi aspetti morfologici, fonologici e sintattici, collocarla con precisione nella sua «famiglia», senza capire quasi niente di ciò che i protagonisti hanno detto o hanno scritto e senza avere idea di ciò che hanno fatto e fanno con le parole (come forse sperimentò Cardona stesso in alcuni suoi lavori). Per lui, viceversa, lo studio della lingua divenne sempre più inseparabile dalla conoscenza di chi la utilizza. Con un saggio e con un libro (v, rispett. La linguistica antropologica, 1973, e Introduzione all'etnolinguistica, cit.), dischiuse un campo di applicazione di straordinaria importanza, che lo impegnò per il resto della vita. Si aprì un varco nell’articolazione di una questione intuitivamente ovvia e scientificamente pressoché inesplorata, che aveva caratterizzato parallelamente ma separatamente sia la linguistica sia l’antropologia nel tempo della loro formalizzazione accademica, tra XIX e XX secolo. Cardona conservò la fiducia nel sapere cumulativo ritenendo che la quantità delle informazioni disponibili, riguardanti ormai pressoché tutte le società del mondo, permettesse di porre su nuove basi l’antica discussione riguardante ciò che è relativo (per geografia, storia e società) e ciò che è universale nei fatti linguistici e culturali: la sua originalità consistette soprattutto nel fatto di accettare questa sfida senza rinunciare al problema del significato (e dunque del soggetto e della volontà individuale e collettiva), come invece accadeva nelle impostazioni strutturalistiche, che avevano dato vita al «matrimonio», allora considerato più riuscito, tra linguistica e antropologia.
Per esempio: nell’affrontare brevemente il motivo dell’imposizione dei nomi personali (cfr. Introduzione all'etnolinguistica, cit., pp. 133 ss.), illustrò svariate testimonianze di tradizione scritta e orale provenienti da tempi e luoghi diversi e lontani, usi linguistici tratti dall’Antico Testamento, dalla filosofia della Cina antica, dalla religione islamica classica e moderna, dalla Commedia di Dante, dalla cultura orale delle popolazioni Dogon e Akan dell’Africa subsahariana. Grazie a un’erudizione ispirata, Cardona mise in relazione i nomi personali con gli usi culturali, religiosi e sociali di chi li aveva portati e imposti, fornendo così un piccolo campione, suscettibile di essere accresciuto e idealmente completato, dei diversi modi possibili di realizzare una stessa intenzione sociale. Riferiti i nomi a ciò che la lingua da sola non dice, questi diventarono tutti effettivamente comparabili, anche in assenza di contatti storici tra le società considerate, perché spie dei processi simbolici di plasmazione dell’Io, cioè della concezione della persona, cui effettivamente nessuna società può dirsi estranea.
Nei lavori di Cardona, le soluzioni linguistiche, riferite alle costellazioni concettuali e culturali di pertinenza, fornirono sempre, direttamente o indirettamente, un diagramma ideale, predisposto per essere completato, dove le differenze tra le società furono organizzate, non tanto cronologicamente quanto logicamente, tra i due poli della prossimità e della lontananza, senza essere né enfatizzate né sottovalutate. Il metodo comparativo di Cardona si concretizza oggi agli occhi dei lettori come una sorta di viaggio ideale tra l’esperienza nota e quella aliena, dove il documento che a prima vista sembrava pura curiosità esotica, per la sua lontananza nel tempo o nello spazio, acquista valore problematico; e il documento che sembrava ovvio, per la vicinanza e l’abitudine, riprende ricchezza di significato per un effetto di straniamento e di distanziamento.
Scrivendo Introduzione all’Etnolinguistica balenarono forse agli occhi di Cardona percorsi di ricerca in cui dare ordine sistematico alle sue sterminate letture (che attraversarono quasi tutti i generi letterari e scientifici) e a quanto aveva già sperimentato, e che avrebbe continuato a sperimentare, nelle sue ricerche sul terreno in Ghana e in Costa d’Avorio (e poi in Niger, Somalia, Messico e Panama). Fatto è che il decennio seguente segnò un’esplosione creativa della sua ricerca, documentata da cinque monografie, dove l’esplorazione dei nessi tra lingua e cultura si collocò in ambiti logici e tematici sempre più stringenti, capaci di fare affiorare con sistematicità problemi ricorrenti ma rimasti per lo più impliciti nella lunga storia della riflessione linguistica e psico-gnoseologica occidentale, riflessione che Cardona arricchiva ricorrendo a una documentazione linguistica ed etnografica ciclopica.
Egli seppe porre ai documenti scritti le domande che aveva appreso a formulare nella ricerca sul terreno presso le società viventi: «Sì, dai libri sappiamo delle varie lingue: ma chi le parlava? e come se ne serviva? Le stesse domande ci si potrebbe porre per la scrittura. Ecco, ci rimangono le forme incise, scolpite, dipinte. Ma chi le scriveva? E per chi, con quale scopo?» (Antropologia della scrittura, 1981, p. 7). La riflessione sulla «scrittura» diventò allora per Cardona la riflessione sugli «aspetti antropologici e sociologici dell’uso dei sistemi di comunicazione grafica […] di quel che la scrittura significa per il singolo e per il gruppo, di come essa sia stata utilizzata, in breve di tutti gli aspetti al di fuori e all’intorno del sistema grafico vero e proprio» (ibid., pp. 7, 10). Considerò la scrittura alfabetica (dove i segni grafici rimandano a specifici elementi fonetici della lingua), identificata nel senso comune occidentale con la scrittura, come un potente ma non esclusivo sistema per esprimere in forma grafica determinate necessità comunicative.
La messa in ordine tipologica delle testimonianze grafiche del pensiero umano (dunque non solo di quelle che dipendono direttamente dalla lingua) seguì un criterio logico non coincidente con quello evoluzionistico, che considerava le scritture non alfabetiche come tentativi dapprima maldestri e poi sempre più efficaci per giungere alla scrittura alfabetica. Comprendere la logica e la storia delle varie tipologie significò piuttosto metterle in relazione con i loro usi sociali e simbolici, come per esempio quelli di produzione e di ostentazione delle ineguaglianze sociali (maschi e femmine, iniziati e non iniziati, dominanti e dominati).
Gli studi di Cardona sulla scrittura furono anche un’occasione per riflettere su nozioni sbrigativamente considerate acquisite, come per esempio quella dell’opposizione tra società della scrittura e società senza scrittura (una che si volle di dominio storiografico, l’altro etnografico): «In realtà, una società completamente priva di scrittura è piuttosto rara e dizioni come “popoli, civiltà senza scrittura” […] ricoprono più una distinzione di comodo, per scopi didattici, o una spartizione etnocentrica tra alfabetizzati e non alfabetizzati, che non una vera distinzione antropologica» (ibid., p. 135).
Le testimonianze grafiche considerate da Cardona andarono dagli archivi delle città mesopotamiche, concernenti testi lessicali databili al 3000 a.C., a rappresentazioni astratte, probabilmente di miti e di corpi, dipinte o incise su vari materiali, documentate presso popolazioni australiane contemporanee. Contrariamente alla storiografia e all’etnografia classiche, che usarono i documenti dei popoli «primitivi» contemporanei come fonti per la preistoria (la storia non cominciava con la scoperta della scrittura?), Cardona evidenziò il dinamismo interno tra le forme dell’oralità e le diverse forme di scrittura, un dinamismo il cui studio portò a una considerazione più graduata, non forzatamente oppositiva, della differenza tra le società dove prevale la scrittura e quelle dove prevale l’oralità: «In una società “grafica” lo strumento scritto non soppianta naturalmente, per lo meno non del tutto, i valori legati al parlato […]. Quando però un corpus di conoscenze (per esempio teologiche e mitologiche o giuridiche) “precipita” e si condensa in un testo scritto, cessa la possibilità della continua rielaborazione elastica possibile in una cultura orale e vi subentrano le specializzazioni del commento e della glossa» (ibid., p. 136).
Invitato in un’intervista a riassumere con semplicità i risultati della sua riflessione intorno a tali temi, Cardona precisò ulteriormente: «L’uso della scrittura non si è imposto soltanto come un qualsiasi espediente tecnico, per fissare informazioni che altrimenti sarebbero andate perdute. Questo è indubbiamente uno tra gli usi della scrittura, ma noi costantemente finiamo per considerarlo il principale perché siamo condizionati da una visione evoluzionistica, in senso tecnologico, della storia […]. In realtà, la scrittura ha sempre avuto, fin dal suo apparire, significati ben più profondi, magici, sacrali, legati a conoscenze iniziatiche e così via, mentre l’aspetto pratico era irrilevante, o ancora non aveva senso […]. Fin dove risalgono le nostre conoscenze del mondo mediterraneo antico troviamo che gli iniziati alla scrittura erano pochissimi, e mai gente comune ma sacerdoti, funzionari, persone insomma specializzate e investite di poteri civili e religiosi […]. Chi non possedeva la scrittura non poteva che venerare quei segni che, pure per lui incomprensibili, cifravano un contenuto solenne, come mostrano ampiamente le imitazioni della scrittura a fini magici o di appropriazioni di potere usate in ambienti non alfabetizzati» (Petrarca, 1985, pp. 161 s.).
Nello stesso anno, per Laterza, Cardona pubblicò due volumi (La foresta di piume. Manuale di etnoscienza e I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza, entrambi 1985). Il primo riguardò i modelli di conoscenza impliciti nei modi di nominare e classificare il mondo che dall’ambiente esterno colpisce i sensi, in particolare in rapporto ai campi più comuni come fauna, flora, visione del colore, corpo, mondo delle sensazioni. Qui Cardona sistemò e armonizzò vari risultati parziali del filone internazionale di studi sull’«etnoscienza» (sui saperi e sulle classificazioni di tipo «popolare» riferibili tanto alle società antiche quanto a quelle di interesse demologico ed etnologico), esplorando in proprio i dominî rimasti del tutto sguarniti, come quelli concernenti le sensazioni. Attraverso esempi concreti, documentati sul piano etnografico e storiografico, contribuì all’articolazione di problemi di rilevanza generale per ogni analisi comparativista, come quello posto dall’affinità tra soluzioni complesse attestate presso popolazioni lontane nel tempo e nello spazio, di cui è impossibile documentare un contatto. Cardona individuò, per esempio, un «universale conoscitivo» a proposito della «teoria dei quattro elementi» (La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, cit., pp. 67 ss.). Esaminò i principî della medicina tradizionale di area latino-americana riguardanti la sindrome detta del «caldo-freddo», una categorizzazione applicata sia al campo della medicina sia, per una tastiera di corrispondenze simboliche, ad altri campi, come quelli dello stato d’animo o anche del corpo sociale. Secondo tale categorizzazione, le malattie e in genere i disordini, essendo interpretati come alterazione dell’equilibrio tra i due elementi, vanno curati attraverso l’introduzione di cibi, bevande (e misure) pure classificati secondo la stessa opposizione tra caldo e freddo. Cardona riprese la questione dell’affinità di questo principio con quello della medicina classica, ippocratica e galenica, delle quattro qualità, considerate un’articolazione del principio binario di base dell’opposizione tra caldo e freddo.
Prima di Cardona, gli studiosi erano concordi nel ritenere che il modello della medicina classica, rielaborato dalla medicina araba, si fosse diffuso in Spagna durante la dominazione araba e poi nei territori americani conquistati dagli Spagnoli. Cardona notò invece che le stesse categorizzazioni si trovavano attestate anche in aree geografiche diverse, in società mai entrate in contatto (in Africa Occidentale, Australia, Nuova Guinea) e ne concluse: «La diffusione di questa costante (l’analisi del cosmo in due elementi fondamentali, che sono qualità e non sostanze, la nozione del loro equilibrio e dell’eventuale correzione) non può spiegarsi con un processo di diffusione. E poiché non è possibile questa spiegazione, si deve supporre che si tratti invece di un vero e proprio universale conoscitivo, basato su un principio elementarissimo di dialettica tra due opposti, così profondi da poter essere alla base di tutte le manifestazioni. Dove il sistema è a quattro termini, come nella Grecia arcaica e classica, gli altri due sembrano essere variabili legate a correzioni ambientali: è evidente che in un certo clima il secco si associa invariabilmente al caldo e l’umido al freddo» (ibid., p. 72).
Il secondo libro pubblicato da Cardona nel 1985 fu dedicato alla «visione linguistica del mondo», alla funzione che le lingue svolgono nel plasmare e ordinare i dati dell’esperienza sensibile, «nella perpetua, mutevole dialettica tra la variazione e la diversità dei modi culturali e le costrizioni che ad essi oppone l’immutabile condizione umana» (I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza, cit., p. 3), per quanto riguarda le categorie della lingua, dello spazio, del tempo e della memoria. Non fu un libro sull’ipotesi di Sapir-Whorf (secondo cui la lingua condizionerebbe la visione del mondo al punto che lingue diverse produrrebbero percezioni diverse di uno stesso mondo), bensì sui problemi sollevati e non affrontati dai due studiosi, che linguisti e antropologi avevano liquidato sbrigativamente.
A proposito, per esempio, del corpo come base preliminare e universale dei modellamenti linguistico-culturali dell’orientamento, Cardona scrisse: «Il detto greco “di tutte le cose è misura l’uomo” viene citato per solito per ricordarci il senso della relatività posseduto dai Greci […]. Ma forse raramente o mai si pensa che il detto vada preso innanzitutto alla lettera. L’uomo è effettivamente la misura di tutte le cose, nel senso corrente in cui oggi si dice “a misura d’uomo”, e questa logica sottostante traspare da innumerevoli indizi; le misure delle cose sono corporee (pêkhus ‘cubito’ [gomito]), il linguaggio è visto come un corpo articolato e perfino il tempo è analizzato a volte su un riferimento corporeo» (ibid., pp. 44 s.).
Passando in rassegna le scelte metaforiche relative al corpo di cui le lingue si servono (gli esempi presentati dimostrano un poliglottismo stupefacente), Cardona tracciò un inventario in cui il dato naturale e universale (il corpo e le sue parti) e i dati culturali della loro utilizzazione simbolica non si trovano né in una relazione necessaria o deterministica, né in una relazione casuale, ma piuttosto di probabilità, dipendente dall’intreccio tra la variabilità dei dati ambientali e storici e la limitatezza delle possibilità offerte dalla facoltà umana del linguaggio: «La categorizzazione delle parti del corpo non risponde rigorosamente agli stessi criteri nelle varie culture […]. Tanto basta per ricordarci che il corpo culturale è qualcosa di abbastanza diverso da quel che farebbe prevedere l’anatomia; ma, detto questo, ricordiamo invece che nel corpo, insieme di parti che forma un tutto unico, le più diverse culture hanno trovato un modello potente per cogliere le relazioni spaziali sia delle cose rispetto al soggetto, sia delle cose tra loro, sia di parti all’interno delle cose stesse» (ibid., p. 44).
Nelle ultime monografie pubblicate in vita (rispett.: Storia universale della scrittura, 1986, e Introduzione alla sociolinguistica, 1987) Cardona sintetizzò, nel genere più canonico del vero e proprio manuale, a fini anche didattici e divulgativi, le sue acquisizioni e quelle ereditate dalle tradizioni di studio cui si riferiva. Ma nella sua opera trovò spazio anche il suo violon d’Ingres, come lui diceva, la letteratura di viaggio: un Indice ragionato per il Milione di Marco Polo che basterebbe da solo a fare la fortuna di uno studioso (1975; ma v., per esempio, anche la Relazione del Reame di Congo di Antonio Pigafetta, 1978). Qui vedeva forse riflesse le emozioni del suo stesso percorso di ricerca: «I testi di viaggio sono testimonianza di una scoperta intellettuale, e dunque le “usanze” e le parole – quindi l’antropologia e la linguistica – hanno in essi un’importanza fondamentale; ed è del più grande interesse tentare di stabilire – dai due punti di vista – i sistemi di pensiero che la scoperta, e ancor più la verbalizzazione della scoperta, mette in opposizione e mescola» (I linguaggi del sapere, 1990, p. 372).
Cardona morì improvvisamente a Roma, per emorragia celebrale, il 14 agosto 1988.
Fu docente e maestro veramente generoso e fecondo con i suoi allievi, alcuni dei quali si sono affermati anche fuori d’Italia, e con chi lo incontrò anche solo occasionalmente, come studente o amico. Fu forte con i forti e debolissimo con i deboli, con quelli più giovani o meno fortunati, cui dispensava, come fosse una cosa normale, attenzione e riguardo senza risparmio di tempo, dentro e fuori gli ambiti istituzionali. L’ultimo suo scritto, pubblicato postumo, riguardò le Modalità linguistiche della preghiera interiore (in I linguaggi del sapere, cit., pp. 362-367), in cui colse i passaggi della «messa in forma linguistica del flusso di coscienza, di quella materia magmatica che attende di essere semioticamente organizzata e segmentata entro le maglie di un discorso» (ibid., p. 362). Rileggere le sue opere per chi lo ha conosciuto è come ridare forma linguistica organizzata a una memoria sintetica, interiorizzata come intenzione di verità e condivisione, lungo una tessitura di discorsi sempre interrotti e sempre ripresi a vantaggio di chi verrà.
Lista comparativa di vocaboli Yanoama, in Viaggi tra gli Indi, a cura di E. Biocca, III, Roma 1966, pp. 131-151; Phonologie descriptive et comparaison historique: remarques sur les liens entre Nzéma et Agni, in Annales de l'Université d'Abidjan, série H, 1973, 6, pp. 33-45; La linguistica antropologica, in Parole e metodi, VI (1973), pp. 255-280; Indice ragionato, in Marco Polo, Milione, ed. critica a cura di V. Bertolucci Pizzorusso, Milano 1975, pp. 487-759 (11ª ed., 1982); Introduzione all'etnolinguistica, Bologna 1976 (2ª ed., 1980; 3ª ed., 1985); Profilo della lingua Nzema, in Una società guineana: gli Nzema, I, I fondamenti della cultura, a cura di V. L. Grottanelli, Torino 1977, pp. 95-142; F. Pigafetta, Relazione del Reame di Congo, a cura di G.R. Cardona (nota al testo, introduzione, commento, bibliogr. e indici), Milano 1978; Antropologia della scrittura, Torino 1981 (2ª ed., 1987); La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, Roma-Bari 1985 (2ª ed., 1993); I sei lati del mondo. Linguaggio ed esperienza, ibid. 1985 (2ª ed. 1988); Intervista a G.R. C., in V. Petrarca, Demologia e scienze umane, prefaz. di G. Galasso, Napoli 1985, pp. 161-173; Storia universale della scrittura, Milano 1986 (2ª e 3ª ed., 1987); Introduzione alla sociolinguistica, Torino 1987; I linguaggi del sapere, a cura di C. Bologna, prefaz. di A. Asor Rosa, Roma-Bari 1990.
Una Bibliografia degli scritti di G.R. C., curata da Marco Mancini, si trova in G.R. Cardona, I linguaggi del sapere, cit., pp. 373-386; poi, aggiornata, in Ethnos, lingua e cultura. Scritti in memoria di G.R. C., Roma 1993, pp. 451-465, consultabile via internet: <http://rmcisadu.let.uniroma1.it/glotto/archivio/bibliografie/biblio_cardona.pdf>.
Un profilo autobiografico di C. è pubblicato in francese nel ricordo di Geneviève Calame-Griaule: G. C. (1943-1988), in Journal des africanistes, LVIII (1988), 2, pp. 119- 122 (trad. it., in I linguaggi del sapere, cit., pp. 269-372). Diverse commemorazioni sono apparse in quotidiani e riviste, tra cui: R. Minore, in Il Messaggero, 18 agosto 1988; S. Giovanardi, in la Repubblica, 19 agosto 1988; M. Gnerre, in l'Unità, 19 agosto 1988; T. Bolelli, in La Stampa, 20 agosto 1988; E. Bilardelli, in Il Corriere della sera, 22 agosto 1988; C. Bologna e A. Petrucci, in Il Manifesto, 28 agosto 1988; B. Bernardi, in Africa, XLIII (1988), 3, pp. 454-456; T. De Mauro, in Riforma della Scuola, X (1988), p. 69; C. Lisón Tolosana, in Anales de la Fundación Joaquín Costa, V (1988,), pp. 37-42; V. Petrarca, in Prospettive Settanta, X (1988), 2-4, pp. 236-240; G. Sanga, in La Ricerca folklorica, 1988, n. 18, p. 3; nota redazionale, in L'Uomo, n.s., I (1988), 1-2, pp. n.n.; M. Mancini, in Lettera dall'Italia, IV (1989), 14, p. 50; A.M. Mioni, in Rivista di linguistica, I (1989), 1, pp. 209-216; A. Asor Rosa, prefaz. in G.R. Cardona, I linguaggi del sapere, cit., pp. VII-X; F. Remotti, in L'Uomo, n.s., III (1990), 2, pp. 213-252. Altri ricordi si leggono negli scritti in memoriam: Ethnos, lingua e cultura. Scritti in memoria di G.R. C., cit.; Episteme. In ricordo di G.R. C., a cura di D. Poli, Quaderni linguistici e filologici, n. 4, Roma 1990; Scrittura e figura: studi di storia e antropologia della scrittura in memoria di G.R. C., a cura di A. Bartoli Langeli - G. Sanga, La ricerca folklorica, 1995, n. 31.