SANTI, Giorgio
– Figlio di Rutilio, giusdicente e maestro di scuola, e di Fillide Mattei, nacque a Montieri (Grosseto) il 7 (o il 9) aprile 1746 e fu educato a Pienza (Siena), città cui rimase sempre legato.
Dei dieci figli della coppia, quattro risultano in vita nel 1754, tra cui il fratello Francesco Pio (1740-1799), futuro vescovo di Sovana, e la sorella, badessa con il nome di Maria Angelica nel conservatorio di S. Carlo di Pienza, di cui Santi fu dal 1804 uno degli ‘operai’.
A Siena frequentò l’università grazie a una borsa di studio, laureandosi in filosofia e medicina l’11-12 agosto 1772. Figura principale, tra i suoi docenti senesi (Ottavio Nerucci, Domenico Bartaloni), fu il professore di storia naturale e chimica, Giuseppe Baldassarri, presidente dell’Accademia dei Fisiocritici tra il 1771 e il 1785, di cui serbò sempre grato il ricordo. Nel 1773 svolse il praticantato presso le scuole di chirurgia dell’arcispedale fiorentino di S. Maria nuova sotto la responsabilità di Angelo Nannoni. Vincitore di una borsa di studio, istituita dal 1724 a Siena per volere di Marcello Biringucci, per la specializzazione nelle discipline mediche, si trasferì a Parigi, forse dopo un soggiorno a Montpellier, dove visse dall’autunno del 1774 al 1782.
Nella capitale fu protagonista di un’intensa vita sociale, mondana e intellettuale. Ospite di Victor Riqueti de Mirabeau, che lo protesse, conobbe in casa sua Ruggero Giuseppe Boscovich, con cui mantenne anche in seguito rapporti cordiali. Esponente di punta del movimento fisiocratico, Mirabeau favorì l’avvio di una possibile carriera diplomatica di Santi, che poco prima del rientro in patria divenne corrispondente dell’ex fermiere milanese Antonio Greppi, del governatore della Lombardia austriaca, l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena, ed entrò in rapporti con Carl Frederik Scheffer, ministro di Gustavo III di Svezia, e con il margravio Carl Friedrich del Baden, che lo nominò incaricato d’affari alla corte di Versailles nel 1781.
L’accesso a corte era consentito a Santi dalla protezione del duca e della duchessa di Civrac, dai rapporti con la principessa Fortunata d’Este, sorella del duca di Modena Ercole III e consorte di Louis-François de Bourbon-Conti, e dalla benevolenza della zia del re, Marie-Louise-Thérèse de Bourbon, detta Madame Victoire. La fitta rete di relazioni internazionali di Santi è attestata dal suo epistolario, in larga misura edito, e rispecchia anche il contesto della legazione toscana a Parigi, dove l’abate Raimondo Niccoli e il suo successore, il nipote Francesco Favi, dispiegavano una coerente azione di promozione dell’immagine delle riforme leopoldine presso gli ambienti colti e di governo del regno, in parallelo all’impegno d’informazione e propaganda a favore degli ‘insorgenti’ americani. Non sorprende, quindi, l’adesione di Santi alla fisiocrazia e al disegno di una complessiva liberalizzazione dell’economia, destinata a restare in lui per la vita, unitamente al mito della bontà della natura e della fertilità della terra: ancora nel 1810, in una lettera a Giuseppe Raddi, ricorderà di essere stato «imbevuto» «di principi d’economia pubblica», cui si era «interamente dedicato» nell’ultimo tempo del soggiorno parigino (De Gregorio, 2014, II, p. 347).
A Parigi Santi perse interesse per la chirurgia e la medicina, e si volse alla storia naturale e alla chimica, allora in grande fermento. Della rivoluzione antiflogistista di Antoine-Laurent de Lavoisier e della nuova nomenclatura chimica sarà, dopo iniziali esitazioni, sostenitore e divulgatore, come suggeriscono le tre lettere a lui indirizzate di Vincenzo Dandolo (pp. 331 s.). Frequentatore del Jardin du Roi, retto da Georges-Louis Leclerc de Buffon sempre autorevole, ma esposto in misura crescente alle critiche dei naturalisti, fu discepolo del chimico Hilaire-Marin Rouelle e di Jean Darcet, attivo presso il Collège de France, conobbe il fisiologo Felice Fontana, direttore del Museo di fisica e di storia naturale di Firenze, e il suo collaboratore Giovanni Fabbroni, entrambi in viaggio d’istruzione in Francia e Inghilterra.
L’intensa amicizia con Fabbroni, che durò tutta la vita, trova conferma nella favorevole recensione di Santi ai Dei provvedimenti annonari (1804) dell’amico, programma liberista e filoproprietario edito nel difficile contesto politico del Regno d’Etruria, e nell’attenta collaborazione alle Réflexions sur l’état actuel de l’agriculture (Parigi 1780) del fiorentino, che Santi rivide e condusse alle stampe. Si colloca in questo contesto anche il progetto, non realizzato, di una traduzione italiana aggiornata del Dictionnaire de chimie di Pierre-Joseph Macquer (Parigi, 17782), cui Santi lavorò per qualche tempo. Ma l’esperienza acquisita e la fedeltà al riformismo leopoldino motiveranno soprattutto, nel 1782, la sua nomina a professore di storia naturale e chimica e prefetto dell’orto botanico dell’Università di Pisa, con un onorario di 400 scudi toscani annui: incarichi da tempo ambiti.
Come molti dotti e letterati dell’epoca, Santi fu membro attivo della parigina Loge des Neuf Soeurs, l’istituzione massonica e cosmopolita dedita dal 1776 alla diffusione del sapere e al progresso delle conoscenze. Vi conobbe, tra gli altri, il venerabile Antoine Court de Gébelin e il segretario dell’Accademia delle scienze, Marie-Jean-Antoine-Nicolas Caritat marchese di Condorcet, cui sottopose alcune proposte inedite per la riforma della medesima. Qualche notizia sulla vita della loggia e sui suoi conflitti con il Grande Oriente di Francia è in una lettera di Santi a Fabbroni, allora a Londra, del 1779. Ma la militanza massonica va intesa in primo luogo come volontà di miglioramento della condizione umana e di perseguimento dell’utile in vista della felicità pubblica, consentito dalle nuove tecniche, dalle macchine e dal possibile aumento della produttività agricola e manifatturiera: come suggerisce la descrizione del funzionamento della macchina a vapore di Matthew Boulton e James Watt (lettera ad Antonio Greppi, 17 luglio 1781, in De Gregorio, 2014, II, pp. 116 s.). Partecipe del mito settecentesco dell’utilità pratica e progressiva del sapere, prossimo ad ambienti illuministi e filoamericani (il duca di Louis-Alexandre de La Rochefoucault-d’Enville, il ministro degli Affari esteri Charles Gravier de Vergennes, l’ambasciatore imperiale Florimond-Claude Mercy d’Argenteau), Santi mantenne per contro un certo distacco dai philosophes, cui indirizzò anzi frecciate e sarcasmi: a Voltaire, «storico bugiardo» e «poeta senza regola e misura» (De Gregorio, 2014, I, p. 108 ), ma anche a Jean-Baptiste de Boyer marchese d’Argens, a Pierre-Louis Moreau de Maupertuis, a Claude-Adrien Helvétius e agli uomini attratti a Berlino da Federico II. Senza riserve fu invece il giudizio su Pietro Leopoldo, di cui Santi fu vera ‘creatura’, prima e dopo il rientro in Toscana.
Il rimpatrio segnò la chiusura definitiva della parte più vivace della vita di Santi. Lasciata Parigi il 26 febbraio 1782, giunse il 2 maggio a Firenze, dove si intrattenne con Pietro Leopoldo, che il 14 settembre ne decretò la nomina a professore a Pisa. Dal viaggio e dal lungo colloquio con il granduca Santi trasse un arioso diario in francese edito nel 1926-1927 (Simonelli, 1926 e 1927).
Giunto in Italia da Lione e traversate le «montagnes horribles» delle Alpi, sostò a Torino, Milano, Parma, Bologna, sempre accolto dalle élites culturali, politiche e mondane di quelle città. Un’escursione a Venezia gli permise di presenziare alle celebrazioni per il ritorno di Pio VI da Vienna e di assistere alla cerimonia dello Sposalizio del mare. A Padova visitò l’università e conobbe Simone Stratico, fratello del vescovo di Lesina, Giovanni Domenico, già suo docente a Siena, cui riteneva di dovere l’interesse per il mondo antico. A Milano, frattanto, era stato ospite di Greppi, già in rapporto con lui e con la legazione toscana a Parigi, che lo introdusse presso l’arciduca Ferdinando. Questi gli concesse una «audience particulière» e discusse con lui di politica e delle prospettive della fisiocrazia. Santi visitò il collegio ex gesuitico di Brera, l’ospedale Maggiore e le biblioteche, a principiare dall’Ambrosiana e dalla magnifica raccolta del plenipotenziario, Carlo Gottardo, conte di Firmian; alla Scala conobbe Giuseppe Parini, «d’un gout sevère [...] meprisant le vulgaire des écrivains, fort independant, peu fortuné et d’un santé foible» (Simonelli, 1926, p. 27). Immancabili le conversazioni con gli alti funzionari toscani al servizio di Giuseppe II (Nicolò Pecci, Bonaventura Spannocchi) e gli incontri con dotti ed esperti (Marsilio Landriani, Alfonso Longo, Pietro Moscati, Fulgenzio Wittman), mentre con Paolo Frisi si riappacificò dopo una disputa sui meriti di Ruggero Giuseppe Boscovich. Milano, «la ville d’Italie plus hospitalière», fu anche occasione di due visite a Pavia, avviata a «devenir une des meilleures Universités de l’Europe» (p. 23). Qui Gregorio Fontana gli mostrò la biblioteca e vi conobbe taluni dei migliori docenti, quali il conterraneo Luigi Cremani, il medico Samuel-Auguste Tissot, Giovanni Antonio Scopoli e Lazzaro Spallanzani, con cui mantenne un carteggio. Se a Bologna l’Istituto delle scienze gli apparve «bien au dessous de sa renommée» (Simonelli, 1927, p. 102), a Parma, per contro, si era entusiasmato per Giambattista Bodoni, «homme vraiment de génie dans son état» (Simonelli, 1926, p. 35), e aveva visitato l’orto botanico e la Biblioteca palatina sotto la guida di Paolo Maria Paciaudi.
Tornato in Toscana, Santi fu incaricato dal granduca di un’indagine sull’arcispedale senese di S. Maria della Scala, allora in via di riforma. Dal 9 novembre 1782 fu a Pisa dove riorganizzò e aggiornò l’orto botanico secondo la classificazione di Carlo Linneo, potenziando i contatti internazionali e la suppellettile libraria. Gli anni seguenti, impegnativi sul piano amministrativo e didattico, registrano un viaggio a Napoli e qualche presenza a Roma, ma furono soprattutto segnati dai ritorni a Pienza e dal matrimonio nel 1790 con Anna Simonelli, da cui non ebbe figli. L’attività storico-naturalistica si concretizzò nel saggio Analisi chimica delle acque dei Bagni pisani e dell’acqua acidula di Asciano (Pisa 1789, traduzioni inglese, Londra 1789, e tedesca, Lipsia 1793), e nei prolungati sopralluoghi nella provincia senese e nel Grossetano, cui resta legata la sua notorietà di studioso: il Primo viaggio al Monte Amiata (Pisa 1795, traduzione tedesca Dresda 1797), il Secondo viaggio per le due province senesi (Pisa 1798) e infine il Terzo viaggio per le due province senesi (Pisa 1806), testi editi in francese nel 1802 (Voyage au Montamiata et dans le Siennois..., I-II, Lyon).
Dal complesso dei viaggi, che toccavano l’Argentario e la Maremma senese, usciva confermata l’origine vulcanica del Monte Amiata, già sostenuta da Pier Antonio Micheli, mentre arricchite risultavano la raccolta e l’illustrazione di numerose specie botaniche, utili alla conoscenza del territorio anche in funzione della sua valorizzazione economica. Si trattava di uno degli obiettivi perseguiti con coerenza dalle istituzioni dotte toscane, dal fiorentino Regio Museo di fisica e storia naturale all’orto botanico pisano, dall’Accademia dei Fisiocritici e dall’Università di Siena sino ai proprietari innovatori dell’Accademia dei Georgofili. A segnalare l’apporto di Santi era, soprattutto, il rigoroso approccio osservativo e sperimentale ai dati naturali, basato sul ricorso all’analisi chimica di suoli, minerali e rocce ed evidente nell’attenzione per i ‘lagoni’ del Senese, in vista dell’impiego pratico dell’energia geotermica e per la produzione di borace, come avverrà nell’Ottocento con l’attività di Francesco de Larderel.
Non folta la produzione a stampa di Santi al di fuori dei Viaggi (un opuscolo, Delle qualità venefiche del lauro regio, apparve a Pisa nel 1793). Nella reazione del 1799, egli venne processato per simpatie filofrancesi, ma senza gravi conseguenze. Ebbe incarichi amministrativi di rilievo in età francese, quando fu nominato ispettore generale degli Studi (1810) e vicerettore dell’Accademia imperiale di Pisa, un compito cui si riferiscono alcuni rapporti sui seminari e le istituzioni educative dei dipartimenti del Mediterraneo e dell’Ombrone (De Gregorio, 2014, II, pp. 222-261). Mantenne con la Restaurazione la direzione del museo pisano, ma perse quella dell’orto (a favore di Gaetano Savi); Ferdinando III lo indennizzò con la nomina a provveditore onorario delle università toscane.
Morì a Pienza il 30 dicembre 1822.
Fonti e Bibl.: Lettere di Santi si rinvengono in diversi archivi e biblioteche. Il nucleo principale è conservato alla Biblioteca comunale degli Intronati di Siena (cfr. Inventario dei manoscritti della Biblioteca comunale di Siena, a cura di G. Garosi, Firenze 1978, ad ind.), ma anche presso la Biblioteca comunale, Autografi Porri, bb. 57-60 (lettere a Santi e minute di lui); Fondo Ciaccheri, Ms. D. VII.20 (lettere a G. Ciaccheri, parzialmente edite in De Gregorio, 2014, II, pp. 312-316). Si vedano inoltre: Filadelfia, American philosophical Society, Fabbroni papers, BF 113, n. 1 (lettere a G. Fabbroni e L. Pelli Fabbroni); Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Autografi Gonnelli, 182 (lettere a G. Raddi); Carteggi vari, 477 (una lettera di Santi da Firenze); Archivio di Stato di Firenze, Ceramelli Papiani, 7116, S.; Archivio Pelli Bencivenni, nn. 5878, 5893, 5894, 5895, 5907, 5908, 6313, 6438, 6439, 6524, 6529, 6534, 6684, 6713, 6740, 6771, 6835, 6871, 6878, 6882 (21 lettere dal 1786 al 1804; cfr. Lettere a Giuseppe Pelli Bencivenni, 1747-1808, a cura di M.A. Morelli Timpanaro, Roma 1976, ad ind.; Archivio Pelli Fabbroni, f. 470 (varie a G. Fabbroni et al.); Archivio Fabbroni, 9, ins. 83 (lettera di Santi a G. Fabbroni, Pienza, 2 febbraio 1809); Acquisti e doni, 95, ins. 221 (lettera a G. Perini, 11 maggio 1795). Lettere a L. Spallanzani in Edizione nazionale delle opere di Lazzaro Spallanzani, VII, Carteggi con Raimbert..., a cura di P. Di Pietro, Modena 1987, pp. 307 s.
Gran parte dei materiali relativi a Santi si rinvengono in M. De Gregorio, G. S. Un ‘savant’ tra riformismo e Restaurazione, I-II, Siena 2014, che utilizza anche inediti in mano privata. Essenziale resta V. Simonelli, Diario di un viaggio da Parigi a Firenze fatto nel 1782 dal prof. G. S., naturalista e diplomatico pientino, in Bullettino senese di storia patria, 1926, vol. 33, pp. 3-37; 1927, vol. 34, pp. 102-118. Sull’attività a Pisa: P. Corsi, La geologia, in Storia dell’Università di Pisa, II, t. 3, Pisa 2001, pp. 889-927 (in partic. pp. 889-892 e ad ind.); F. Garbari - A. Tosi, Tra orto e museo: la botanica e la storia naturale, ibid., pp. 929-940 (in partic. pp. 931 s., 934-936). Ulteriori spunti in M. Di Gregorio, Lettere a G. S. (1776-1822), in Nuncius. Annali di storia della scienza, IV (1989), pp. 165-245; R. Pasta, Scienza politica e rivoluzione. L’opera di Giovanni Fabbroni (1752-1822) intellettuale e funzionario al servizio dei Lorena, Firenze 1989, pp. 62-69 e passim; La politica della scienza. Toscana e stati italiani nel tardo Settecento, a cura di G. Barsanti - V. Becagli - R. Pasta, Firenze 1996, pp. 21, 97, 223, 239 e nota, 268, 271 s. e nota, 273, 276 s. e nota.