SCALI, Giorgio.
– Figlio di Francesco, nulla si sa della madre; nacque a Firenze probabilmente entro il terzo decennio del Trecento, se nel 1350 era già immatricolato nell’arte dei chiavaioli, ferratori e calderai, e nel 1351 era censito assieme a dei nepotes in un fuoco autonomo (Estimo, 306, c. 98r; Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241).
Secondo l’evidenza documentaria risiedette sempre nel quartiere di Santa Maria Novella, nel gonfalone dell’Unicorno, nel popolo di Santa Trinita. Qui dimorò in tre distinte abitazioni: nel 1369, in una casa in via delle Terme; nel 1371 invece in una casa – certamente di sua proprietà perché oggetto di lascito testamentario – posta lungo l’Arno, e nel 1382 in una casa confinante con il palazzo degli Spini (Capitano del Popolo e Difensore delle Arti, 1427, c. 35v; Notarile Antecosimiano, 6177, c. 49r; Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241).
Si ignora la sua attività professionale, e suscita perplessità l’immatricolazione (1350) nella già citata arte dei chiavaioli (di cui pure Scali fu console tra il 1354-55), per lo scarso prestigio sociale della corporazione, e tanto più alla luce delle sue buone, se non ottime, condizioni economiche, dimostrate – almeno all’apparenza – dalla notevole posta nell’estimo del 1351 e dalle alte prestanze richiestegli nel 1359 e nel 1369 (Estimo, 306, c. 98r; Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241). Si può pensare tuttavia che l’affiliazione a un’arte minore non fosse altro che un semplice escamotage per avere accesso agli uffici pubblici, come sembra facessero anche altri esponenti del patriziato cittadino (Mazzoni, 2010, p. 109).
A prescindere da ciò, Scali percorse un’ottima carriera politica – resa possibile dal depennamento del suo lignaggio dalle liste dei magnati nel 1343 –, partendo dai gradi più bassi della nomenclatura: ufficiale alle Stinche nel 1356, capitano della Lega di Cintoia nel 1359, ufficiale dei Beni dei ribelli nel 1360, statutario nel 1363, ambasciatore a Milano nel 1365, poi a Pistoia nel 1368 e in Ungheria nel 1371, ufficiale dei Regolatori nel 1374, nuovamente ambasciatore in Lombardia nel 1375 (Klapisch-Zuber, 2006, trad. it. 2009, ad ind.; Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241; Soldini, 1780, pp. 55 s., 58, 61). L’apice fu l’ufficio di gonfaloniere di Giustizia – la più alta carica dell’ordinamento fiorentino – da lui svolto negli ultimi due mesi del 1374, «il quale era il primo uficio che avesse mai avuto di Collegio, perocché [gli Scali] erano stati Grandi, e furono popolani al tempo della cacciata del Duca d’Atene» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, 1903-1955, p. 290).
Nell’occasione Scali dimostrò il proprio coinvolgimento nelle lotte politiche interne alla città: per vendicare un consorte, l’anno prima interdetto dai pubblici uffici di volontà dei capitani della Parte guelfa e con il concorso dei magnati Bardi e Buondelmonti, propose e fece approvare una legge che colpiva (soprattutto) i magnati vietando di possedere tenute fondiarie nelle zone in cui si esercitassero anche diritti signorili, e nel caso imponendone la vendita al Comune (Mazzoni, 2010, pp. 71, 221, Appendice IV, n. 4, c. 17v). Sebbene la legge rimanesse lettera morta senza essere mai applicata, e anzi venisse subito cassata dal priorato successivo, «l’esser tanto ardito e choroso gli nuoque», perché nel 1375 fu a sua volta interdetto dai pubblici uffici con un’ammonizione dei capitani di Parte guelfa (Mazzoni, 2010, Appendice IV, n. 4, c. 17v),
Ciò fece molto discutere perché «il detto Giorgio di progenie e stirpe guelfissima fu sempre, e già per gli Fiorentini e Parte Guelfa nelle guerre dei Fiorentini contro a’ Pisani e’ Ghibellini fu sempre gran maestro e confidente a’ Guelfi; ma per lo sdegno che ricevette contro del consorto che fu ammonito [...] esso Giorgio alquanto sparlava. Era uomo di grande ardire e di sottile ingegno e di gran vedere ed uomo scientifico» (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., pp. 294 s.).
L’ammonizione del 1375 interruppe il cursus honorum di Scali – in modo definitivo almeno per gli uffici di governo, nonostante i successivi rivolgimenti politici –; difatti nel febbraio del 1378, allorché fu estratto all’ufficio di priore delle Arti, la cedola recante il suo nome fu stracciata in quanto sospetto ghibellino (Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241).
La condizione di proscritto, comunque, durò solo pochi anni: nel giugno del 1378 l’azione decisa da Salvestro di Alamanno Medici, allora gonfaloniere di Giustizia, e la volontà comune della Signoria costrinsero gli oligarchi e guelfi massimalisti riuniti nella Parte guelfa prima alla fuga, e quindi all’esilio, mentre appena un mese dopo, in conseguenza del celebre tumulto, i Ciompi presero il potere in città. Nel pieno della rivolta la folla volle premiare molti degli ammoniti per ghibellinismo, cosicché il 20 luglio 1378 Scali venne insignito del titolo di cavaliere del Popolo nella piazza della Signoria, e il giorno successivo fu smonito, ossia ebbe legalmente cassata e annullata l’ammonizione del 1375 (Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., pp. 323 s.; Mazzoni, 2010, Appendice II, n. 241).
Come noto, il governo dei Ciompi durò meno di un mese e mezzo, e nel settembre 1378 si affermò il cosiddetto regime delle Arti, al potere sino al gennaio del 1382: un quadriennio particolarmente difficile e tormentato, per la pressione degli esuli e le forti tensioni interne, che alimentarono varie congiure. A dispetto dell’assenza di uffici di governo, furono questi gli anni di maggior potere di Scali.
Il cronista Marchionne di Coppo Stefani lo ricorda membro di una fazione di ex proscritti che dall’esterno era in grado di orientare scelte e decisioni della Signoria – e oltretutto un membro tanto importante da divenire l’obiettivo di una congiura degli esuli, sventata nel 1379 (Cronaca fiorentina, cit., pp. 344, 354). Il predominio di questa fazione era tale che la sua débâcle e la fine dei suoi aderenti coincisero con la caduta dello stesso regime delle Arti.
Nel dicembre del 1381 Scali ospitò alcuni compagni di fazione nella propria casa progettando gli omicidi una volta di alcuni loro accusatori, e un’altra degli elettori degli Otto di Guardia e Balìa – una magistratura incaricata del mantenimento dell’ordine pubblico – se non avessero seguito le loro indicazioni di voto; di seguito (gennaio 1382) istigò uno dei suoi sodali ad accusare falsamente uno dei gonfalonieri di Società dinanzi alla Signoria per aver riunito dei complici armati nella sua casa (Capitano del Popolo e Difensore delle Arti, 1427, cc. 35r-35v; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., p. 392). Alla cattura e successiva confessione del loro complice, Scali e i suoi compagni di fazione tentarono dapprima (invano) di ottenerne la liberazione dal capitano del Popolo, e successivamente penetrarono armati in Palazzo Vecchio e occuparono piazza della Signoria fino alla notte, allorché il sodale prigioniero venne infine rilasciato (Capitano del Popolo e Difensore delle Arti, 1427, c. 36r; Alle bocche della piazza, a cura di A. Molho - F. Sznura, 1986, p. 17; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, cit., pp. 392 s.). Ma la reazione della Signoria a questo vero e proprio colpo di Stato non si fece attendere: riuniti i vertici delle corporazioni artigiane e ottenutone il sostegno, reinsediò il Capitano (precedentemente dimessosi).
Costui «in sullo vespro mandò a casa messer Giorgio degli Scali, e preselo di subito. La Terra fu in bisbiglio, e quasi sotto l’arme: e lo secondo dì per tempo gli fece tagliare la testa in sul muro del cortile, e venti ore ebbe dalla presura alla morte, e quivi stette parecchie ore senza nullo adornamento di corpo, ma pure uno sciugatoio non ebbe al capo, anzi colla cioppa gli si tenne la testa, quando gli fu tagliata senza tappeto, o nulla altra cosa. Rimase la gente in arme, e lo Capitano cominciò a inquisire e sbandire. E fu tagliato il capo a messer Giorgio, venerdì a’ dì [17] di gennaio» (Marchionne di Coppo Stefani, p. 393; vedi anche Capitano del Popolo e Difensore delle Arti, 1427, c. 36r; Alle bocche della piazza, cit., pp. 17-19).
Quello stesso giorno Scali fu sepolto nella chiesa di S. Maria Novella, nella cappella familiare (Calzolai, 1980, p. 38; Richa, 1755, pp. 69 s.).
Del suo nucleo familiare si conoscono la moglie, Margherita di Ghino Rondinelli (morta nel 1381) – ma non la data del matrimonio, né se questo fu l’unico da lui contratto –, i tre figli Branca, Francesco, Ghino, e le due figlie Cecilia, monaca nel monastero di San Iacopo di Ripoli, e Sismonda, moglie di Michele Cerchi (Notarile Antecosimiano, 6177, c. 49r; Mazzoni, Appendice II, n. 241; Calzolai, 1980, p. 106).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Capitano del Popolo e Difensore delle Arti, 1427; Estimo, 306; Notarile Antecosimiano, 6177; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in RIS, XXX, 1, Città di Castello 1903-1955, pp. 290, 294 s., 323, 344, 354, 392-393 s.; Alle bocche della piazza. Diario di anonimo fiorentino (1382-1401), a cura di A. Molho - F. Sznura, Firenze 1986, pp. 17-19.
G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine divise ne’ suoi quartieri, III, Del quartiere di S. Ma. Novella, I, Firenze 1755, pp. 69 s.; F.M. Soldini, Delle eccellenze e grandezze della nazione fiorentina. Dissertazione storico-filosofica, Firenze 1780, pp. 55 s., 58, 61; C.C. Calzolai, Il «libro dei morti» di Santa Maria Novella (1290-1436), in Memorie domenicane, XI (1980), pp. 15-218 (in partic. pp. 38 e 106); Ch. Klapisch-Zuber, Retour à la cité. Les magnats de Florence 1340-1440, Paris 2006 (trad. it. Roma 2009, ad ind.); V. Mazzoni, Accusare e proscrivere il nemico politico. Legislazione antighibellina e persecuzione giudiziaria a Firenze (1347-1378), Pisa 2010, pp. 71, 109, 221, Appendice II, n. 241, Appendice IV, n. 4, c. 17v.