TABET, Giorgio
Nacque a Genova il 4 febbraio 1904 dall'ingegnere livornese Guido e dalla piemontese Luisa Treves, entrambi di ascendenza ebraica. Vero enfant prodige, a soli quattro anni manifestò una spiccata propensione per il disegno, tanto da indurre i genitori, quattro anni dopo, a iscriverlo alle lezioni private del pittore e illustratore Giuseppe Mazzoni.
La sua formazione artistica si sarebbe poi completata, diversi anni dopo, a Milano, dove si trasferì nel 1926. Qui, grazie anche alla mediazione dello zio Sabatino Lopez, frequentò lo studio del pittore Giuseppe Palanti e s’iscrisse a un corso di scenografia presso l’Accademia di Brera. Tuttavia la personalissima tecnica di Tabet si fondò quasi esclusivamente sull’apprendimento interiore (Pallottino, in Giorgio Tabet, 1997, p. 27) e sul costante confronto con le necessità illustrative che di volta in volta gli proponevano i suoi lavori. La sua è stata una produzione vasta ed eterogenea che, estendendosi lungo l’arco di circa sessant’anni, include opere di pittura, caricatura, fumetto e illustrazione, campo in cui raggiunse i risultati più notevoli.
Fondamentale per gli sviluppi della carriera di Tabet fu soprattutto il rapporto con la committenza. Nel corso della sua prolifica attività artistica egli collaborò infatti con diversi giornali e riviste e con molti editori italiani e stranieri.
Conclusi gli studi nel 1927, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università di Genova, passò a occuparsi prevalentemente della stampa periodica illustrata. L’esordio presso i lettori era già avvenuto nel 1925, quando, per Il Secolo XX, aveva realizzato una vignetta in bianco e nero a corredo della commedia in un atto unico Si lavora dello zio Lopez (ibid.). Tra il 1926 e il 1928 la sua firma comparve tra le pagine dell’elegante rivista da salotto Lidel. Negli anni a seguire si avviarono poi le prolifiche collaborazioni con L’Illustrazione italiana, L’Ambrosiano, la Domenica del Corriere, la Gazzetta dello sport e il Guerin Meschino, tra le cui pagine diede prova di un’inedita vena caricaturale (E. Balzaretti, in Giorgio Tabet, 1997, p. 89).
Il vero e proprio debutto di Tabet sulla scena editoriale va però ricondotto al suo rapporto con la Mondadori (La Ferla, in Giorgio Tabet, p. 62), che, iniziato formalmente nel 1935, sarebbe durato per circa vent’anni. Impegnato dapprima nelle illustrazioni per le collane Le Scie e I Gialli, dal 1937 avviò la produzione delle circa ottanta sovraccoperte per gli Omnibus, che gli offrirono l’occasione di sperimentare un modulo espressivo inusitato e una tipologia illustrativa ben lontana dalla sua più consueta «pittura di figure» (p. 64). Tra il 1935 e il 1941, parallelamente ai numerosi altri ingaggi, curò le copertine di oltre quaranta volumi de Il Romanzo mensile e si misurò con l’attività di cartellonista, curando le campagne pubblicitarie di Automobili Fiat, Impermeabili Lynx e Cognac Sarti, per citarne alcune.
Agli anni Trenta si data inoltre l’esordio di Tabet in ambito pittorico. Le sue prime prove, nonostante siano nate in pieno novecentismo, non manifestano influenze del 'ritorno all’ordine' (Ginex, in Giorgio Tabet, 1997, p. 73) e si mantengono piuttosto vicine alle più tipiche soluzioni compositive da egli stesso sperimentate in ambito illustrativo. Specializzatosi nella pittura di figura, Tabet effigiò alcuni dei personaggi più influenti del mondo teatrale e dell’alta società milanese e romana. Celebri ad esempio i suoi ritratti di Anna Magnani (1939; 1954) e di Carlo Ninchi (1943). Inserendosi nel solco del genere del ritratto di moda, fiorito nel secolo precedente con Giovanni Boldini, James Whistler e Mariano Fortuny, Tabet si misurò anche con le scene di conversazione, documentando con le sue opere i gusti estetici dei gruppi sociali che ne erano protagonisti (p. 78).
Dal 1940, con l’inasprirsi dei provvedimenti antiebraici, Tabet fu costretto a lasciare Milano e a trasferirsi dapprima a Bolgheri e poi a Castelluccio di Norcia, per giungere infine, nel 1944, a Roma. Qui avviò la collaborazione con Salani, che sarebbe durata fino al 1958, e con molti altri editori italiani ed esteri, tra cui l’Editoriale Romana, Tariffi Editore, Rizzoli, Garzanti e la svedese Niloe. Nello stesso 1944 convolò a nozze con Maria Fahringer, ballerina viennese dello spettacolo Wunderbar conosciuta a Milano nel 1931, che l’anno successivo lo avrebbe reso padre del suo primo e unico figlio, Guido.
Al 1947 risale l’avvio di uno dei più longevi progetti curati dall’illustratore, la serie dei Musicisti, caricature dal vivo che ben rivelano la sua passione per il mondo delle arti e la sua alta capacità di ritrattista.
Dopo aver illustrato nel 1967 la Storia d’Italia di Indro Montanelli, nell’anno successivo vinse, a coronamento della sua lunga attività, la seconda edizione del premio Illustrazione ed espose i suoi lavori in una mostra personale alla galleria Cavour di Milano (Pallottino, in Giorgio Tabet, 1997, p. 31).
Interrotta ogni forma di collaborazione editoriale, nei suoi ultimi anni si dedicò al ritratto, lavorando esclusivamente su commissione. Consolidando la sua fama di cronista mondano dell’alta società milanese, con il suo segno essenziale ed elegante e la sua inconsueta capacità di osservazione continuò a tracciare un profilo, a un tempo etereo e iperrealistico, di quel mondo di letterati e artisti cui egli stesso apparteneva.
Si spense all’età di novantotto anni a Cecina (Livorno) il 4 settembre 2002 (Lopez, 2002).
P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana, Bologna 1988, pp. 209, 299; G. T. Il fascino discreto dell’illustrazione (catal.), a cura di G. Ginex - G. Lopez - P. Pallottino, Milano 1997 (in partic. P. Pallottino, Domani è un altro giorno. Protagonisti e comparse sul set di G. T. illustratore, pp. 26-55; M. La Ferla, Il testo figurativo di G. T., pp. 56-69; G. Ginex, T. pittore, pp. 70-87); G. Lopez, Addio a T., illustratore della Milano che conta, in La Repubblica, 5 settembre 2002.