VACCARO, Giorgio
VACCARO, Giorgio. – Nacque il 12 ottobre 1892 a San Marzanotto d’Asti, luogo di residenza della madre, Teresa Vallegiani, una ‘agiata’ signora che aveva anche pubblicato poesie. Il padre Vico, romano, insegnava materie scientifiche nelle scuole medie; rientrato a Roma gestì una società, La Poligrafica, primo impiego di Giorgio dopo la smobilitazione.
Dopo gli studi medi l’esperienza decisiva fu infatti la Grande Guerra. Tenente di artiglieria, ottenne la medaglia d’argento al valor militare e due croci di guerra. Smobilitato, dalla relazione con Iride Amadrudo, giovane dattilografa dell’impresa paterna, nacque Vico, il 9 febbraio 1925. Nel frattempo, iscritto al Partito nazionale fascista (PNF) dal 1920, Vaccaro aveva scalato le gerarchie nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN), dove era entrato come ufficiale superiore per il suo pregresso servizio militare, raggiungendo il grado di console generale nel 1927 e successivamente quello di luogotenente generale.
Contemporaneamente al suo inserimento nel sistema fascista si realizzò quello nel mondo sportivo e associazionistico romano, dove strinse una serie di durature amicizie come quella con Olindo Binetti. Nel 1920 questi lo introdusse nel Circolo Aniene e due anni dopo nella Società podistica Lazio, che era stata eretta, con Regio decreto 6 giugno 1921, n. 907, in ente morale. In questi ambiti continuò a praticare sport amatoriali, tra cui pugilato, scherma e ciclismo, ma soprattutto sviluppò le prime esperienze dirigenziali.
Negli anni della stabilizzazione del regime fascista iniziò infatti ad assumere un ruolo tanto nel tessuto sportivo e nel sistema delle relazioni sociali romano, grazie anche a una probabile affiliazione massonica, quanto nel litigioso e conflittuale mondo del fascismo della capitale. Le polemiche sul disordine finanziario del Banco di Santo Spirto e della Banca Alhaique lo lambirono probabilmente in ordine alla liquidazione della tipografia di famiglia e al suo ruolo nella commissione disciplinare del PNF locale.
Emblematico di questa connessa e funzionale militanza fu il ruolo nel processo di razionalizzazione della geografia calcistica della capitale messo in opera nella primavera del 1927, per volontà ‘superiori’, da Italo Foschi, già segretario federale. Nominato vicepresidente della sezione calcio della Polisportiva Lazio, che offrì a Benito Mussolini l’affiliazione, formalizzata il 25 luglio, Vaccaro scongiurò di fatto – ed è una vicenda che gli garantisce ancora oggi un costante ricordo nella memorialistica della tifoseria laziale (cfr. www.laziowiki. org) – l’ingresso della Lazio nella AS Roma in via di costituzione per la confluenza delle altre squadre capitoline: Roman, Alba (che aveva assorbito l’Audace) e Fortitudo (che aveva assorbito la Pro-Roma). Seguì una pubblica polemica tra i due gerarchi sulle pagine del quotidiano fascista Tevere, in diverse puntate tra l’8 e il 15 giugno.
In quegli stessi mesi era in atto il processo di riforma della Federazione italiana giuoco calcio (FIGC), formalizzata nella cosiddetta Carta di Viareggio del 1926, nel processo di riassetto e di rafforzata istituzionalizzazione del sistema sportivo italiano che si stava realizzando in quegli stessi anni con la fascistizzazione del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), sotto la presidenza di Lando Ferretti, formalizzata con il nuovo statuto pubblicato il 2 marzo 1927. Si applicò alle istituzioni sportive un processo di centralizzazione e di controllo, oltre che di efficientamento amministrativo e di sostegno finanziario funzionale alla macchina del consenso. Vaccaro venne nominato consigliere nel Direttorio federale della FIGC.
All’impegno nell’ambito del calcio si affiancarono altri interessi e impegni dirigenziali. Nel settembre del 1928, grazie anche all’esperienza maturata nella sezione rugby della Polisportiva Lazio, assunse la presidenza della nuova Federazione, che tenne per il primo biennio di una storia che si dimostrò comunque ancora assai travagliata. Questo ruolo gli permise anche un’accresciuta presenza nell’ambito del CONI, il cui rafforzamento istituzionale passò attraverso le presidenze che si susseguirono, riproducendo anche la dialettica interna al PNF, senza esclusione di colpi. Liquidato Ferretti, il segretario del PNF Augusto Turati cumulò la presidenza dell’ente, ormai anche formalmente posto nell’ambito del partito. Vaccaro guidò la delegazione italiana ai giochi universitari di Parigi dell’agosto del 1928, dove si realizzò una sorta di anteprima della fortunata spedizione per i mondiali di calcio di dieci anni successiva con una significativa affermazione italiana, prima nel medagliere, puntualmente sfruttata dalla propaganda fascista, tanto più perché arrivata nonostante le manifestazioni antifasciste del pubblico francese.
Nel giugno del 1929 riemersero con virulenza i conflitti interni al fascismo romano e Vaccaro fu attaccato anche per la sua personale posizione familiare. Reagì regolarizzandola attraverso il matrimonio con Iride Amadrudo, celebrato a Roma il 1° luglio 1929. Non mancarono altre tensioni, come per il suo incarico di commissario straordinario del Consorzio irriguo della valle dell’Arda, nel Piacentino.
Chiamato alla presidenza del Circolo Aniene nel 1930, mantenne la carica nel direttivo della FIGC, il cui profilo istituzionale si accrebbe con la nuova soluzione di continuità alla guida del CONI. Sostituito Turati con Giovanni Giuriati come segretario nazionale del PNF, questi affidò per un anno il CONI al suo vice, Iti Bacci, finché il 13 dicembre 1931 il nuovo segretario Achille Starace nominò Leandro Arpinati, sottosegretario all’Interno, alla presidenza del CONI che cumulava con quella della FIGC (e della Federazione italiana nuoto), imprimendo accresciuto slancio al sistema calcio, con importanti investimenti in infrastrutture.
Posto a disposizione del comando generale della MVSN, senza incarichi operativi, Vaccaro si trovò così nella posizione ideale per assumere un ruolo di responsabilità nel sistema sportivo al momento della soluzione del conflitto politico e personale interno al PNF, che il 3 maggio 1933 privò Arpinati di tutte le cariche, politiche, istituzionali e sportive. Starace cumulò nuovamente la carica di segretario del PNF con la presidenza del CONI per la quale, già nel comunicato di insediamento, pubblicato sulla prima pagina del Littoriale del 5 maggio, indicò come «suoi diretti collaboratori» l’onorevole Marcello Diaz e il console generale Giorgio Vaccaro. Quest’ultimo venne nominato segretario generale del CONI e presidente della FIGC, riconfermando così in termini politicamente non ingombranti, ovvero di piena lealtà a Starace, il cumulo che aveva permesso ad Arpinati un’importante propulsione al sistema sportivo, con i successi alle Olimpiadi di Los Angeles, e in particolare al mondo del calcio, con importanti affermazioni internazionali e la candidatura all’organizzazione dei mondiali del 1934.
Da questi due posti chiave di fatto gestì il sistema sportivo italiano fino alla guerra. Lasciò la segreteria del CONI alla caduta di Starace, nel novembre del 1939, mantenendo la presidenza della FIGC fino al 1942. Chiedendo un’udienza di congedo a Mussolini, che gliela accordò, il 22 dicembre 1939, la definì «un premio all’attività che per oltre sette anni ritengo di avere svolto in favore di una delle più interessanti organizzazioni del Regime»: un’arguta e inedita definizione del CONI stesso.
Furono anni di grandi affermazioni sportive, pienamente funzionali e debitamente utilizzate nel processo di rafforzamento del regime fascista, sia sul piano interno sia su quello internazionale. Dopo la grande affermazione ai giochi di Los Angeles, con il secondo posto nel medagliere dopo i padroni di casa, anche nel 1936 l’Italia ottenne a Berlino un importante successo, terza assoluta nel medagliere, posizione tanto più rilevante perché incastonata tra i due titoli mondiali di calcio ottenuti nel 1934 e nel 1938.
Questi successi erano anche il frutto di un’articolata politica sportiva, che Vaccaro gestì con piglio forte e capacità organizzative, in un’ottica di continuità: proseguì la costruzione degli impianti avviata da Arpinati, proseguì nel sostegno finanziario e nella promozione delle discipline olimpiche meno praticate ma funzionali al medagliere, rafforzò il quotidiano ufficioso, Il Littoriale, che controllava personalmente, formò una leva di dirigenti, sia nell’ambito del CONI sia in particolare nel sistema calcio. In questo settore, valendosi di figure chiave, in particolare Ottorino Barassi, segretario generale, Giovanni Mauro, presidente degli arbitri e incaricato delle relazioni internazionali, e Vittorio Pozzo, confermato responsabile delle rappresentative nazionali, Vaccaro completò la razionalizzazione dei campionati, mentre si definiva un corpus normativo a proposito della gestione dei trasferimenti e dell’avvio del professionismo, e si cercava di sostenere la gracile struttura finanziaria delle società. Furono anni di un progressivo consolidamento, di rinnovati investimenti e di importanti successi sportivi: lo sport era pienamente inserito nel Regime e nelle sue retoriche.
Affermò Vaccaro al consiglio di presidenza del CONI il 20 dicembre 1933, all’inizio del suo mandato: «Correnti di simpatia e di sempre maggior desiderio di conoscere la nostra organizzazione si polarizzano sul DUCE e su ROMA, con visite sempre più frequenti di stranieri, anche per quanto si riferisce al settore sportivo. È di qualche mese fa l’elogio del Presidente del Cio sullo sport italiano» (citato da Forcellese, 2013, p. 111).
Defenestrato Renato Ricci dall’Opera nazionale balilla, ricondotta nella nuova Gioventù italiana del littorio, fu unificato e accentrato sotto l’autorità di Starace anche tutto il sistema sportivo: conseguentemente il ruolo di Vaccaro si accrebbe secondo un disegno coerente e il 23 febbraio 1939 delineò i tratti di una vera e propria ‘città sportiva’ sulle due rive del Tevere in vista della candidatura di Roma per i giochi olimpici del 1944.
Sanzione anche formale dei successi alla guida del sistema sportivo italiano fu la nomina di Vaccaro al Comitato internazionale olimpico (CIO), decisa dalla sessione di Londra, il 6 giugno 1939, quella stessa che affossò la rinnovata candidatura italiana. Vaccaro occupò il posto che era stato di Carlo Montù, che aveva rassegnato le dimissioni dopo avere pervicacemente mantenuto il seggio olimpico pur essendo stato emarginato dallo sport fascista. Sul quotidiano sportivo del CONI, Il Littoriale, Cesare Bonacossa il 7 giugno commentò: «tale nomina, che riempie di gioia sincera tutti gli sportivi italiani, era attesa anche in campo internazionale, poiché la fama di questo nostro gerarca sportivo, uomo di pensieri e costruttiva fattività, aveva ormai da lungo tempo varcato i confini». Insomma «questa nomina costituisce un simpaticissimo riconoscimento da parte del supremo consesso atletico internazionale del valore dello sport fascista». Ma più che un inizio, si trattò di un epilogo.
Poche settimane prima, con decreto dell’11 marzo 1939 Vaccaro era entrato a far parte della Camera dei fasci e delle corporazioni come esponente della Corporazione dello spettacolo in rappresentanza del PNF. Ma di fatto non esercitò alcun ruolo né a Montecitorio né nell’uno né nell’altro consesso. L’esperienza alla Camera dei fasci, dove non prese mai la parola, infatti si chiuse rapidamente, nonostante i suoi tentativi di cambiare seggio di designazione: con decreto 28 gennaio 1940 fu sostituito da Puccio Pucci, che era stato nominato al suo posto come segretario generale del CONI.
Più tormentata ed emblematica la vicenda al CIO. Dopo il 25 luglio 1943, assorbita la Milizia nelle forze armate, Vaccaro fu posto in congedo conservando il suo grado. Dopo l’armistizio non aderì alla Repubblica sociale italiana.
Arrestato nel luglio del 1945, uscì dal processo di epurazione completamente prosciolto, anche per la testimonianza del nuovo presidente del CONI, Giulio Onesti, peraltro socio dell’Aniene, che lo difese, sostenendo che: «il comportamento di Vaccaro fosse sempre andato contro qualsiasi interferenza politica nello sport» (citato da Sbetti, 2019, p. 378). Tuttavia Onesti, che pure valorizzò ai vertici personale della gestione Vaccaro, non aveva alcun interesse a mantenere nell’ambito CONI, come membro CIO, una personalità anche caratterialmente così ingombrante: in quanto privo di incarichi in patria Vaccaro fu dichiarato dal CONI al CIO «persona non grata». Partecipò, non invitato, a un’unica sessione del Comitato olimpico, a St. Moritz nel 1948. Ma furono necessari quattro anni per arrivare a quella che Sbetti ha definito «una epurazione sui generis», motivata cioè da considerazioni di «politica sportiva interna»: solo con l’approvazione di una nuova norma, la regola 11, votata nella sessione CIO di Copenaghen del 15-17 maggio 1950, fu infatti possibile il suo dimissionamento dal CIO, l’anno seguente, sostituito da Giorgio de Stefani.
Vaccaro proseguì la sua attività di dirigente nella SS Lazio e fu per un breve periodo, in una stagione travagliatissima, presidente della SS Lazio calcio, dal 29 ottobre 1964 al 4 agosto 1965. In precedenza, dal 1960 al 1964 era stato nominato nella Corte d’onore, poi Corte federale della FIGC.
Nel 1972 il presidente del CONI gli conferì la terza stella d’oro al merito sportivo, dopo quelle del 1935 e del 1936, gli anni dei grandi successi mondiali e olimpici. Un modo anche per fissare una linea di continuità.
Pochi mesi dopo essere stato acclamato presidente generale onorario della Polisportiva Lazio, che era stata istituzionalmente rivitalizzata, morì a Roma il 25 settembre 1983.
È sepolto nel piccolo cimitero di Finalborgo, una frazione di Finale Ligure.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 13, f. Vaccaro cav. uff. Giorgio Console MVSN; Roma, Archivio del CONI, Verbali della Giunta, 1936-1939; Il Littoriale, 1928-1944, anche on-line all’indirizzo http://dlib.coninet.it.
F. Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936, Roma-Firenze 1976, p. 63; M. Impiglia, Pionieri del calcio romano, Roma 2003, pp. 157, 173-184; F. Bonini, Le istituzioni sportive italiane: storia e politica, Torino 2006, p. 121; S. Martin, Calcio e fascismo. Lo sport nazionale sotto Mussolini, Milano 2006, pp. 240-247; M. Pennacchia, Il generale V. L’epopea dello sport italiano da lui guidato a vincere tutto, Roma 2008; T. Forcellese, L’Italia e i giochi olimpici. Un secolo di candidature: politica, istituzioni e diplomazia sportiva, Milano 2013, pp. 82-85, 143-163; E. Landoni, Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939, Milano-Udine 2016, pp. 165-167, 179-184, 201-217; N. Sbetti, Un’epurazione sui generis: i risvolti nazionali e internazionali dell’espulsione del generale V. dal CIO, in Hispania Nova. Revista de historia contemporanea, 2019, n. 17, pp. 372-391, http://www.uc3m.es/hispanianova (8 gennaio 2020).