GIORNALE e GIORNALISMO (XVII, p. 184; App. I, p. 673; II, 1, p. 1057)
Il giornalismo italiano dal 1949 a oggi. - Nelle complesse vicende del g. italiano nell'oltre il quarto di secolo che va dal 1949 all'inizio del 1976 si distinguono tre fasi. La prima, fino al 1956, in cui la stampa quotidiana e periodica esce dalla ristrettezza dell'immediato dopoguerra e trova un assetto nuovo, editoriale e politico. La seconda - fino al termine degli anni Sessanta - caratterizzata, soprattutto nel settore dei quotidiani, da rinnovamenti e da operazioni di rilancio, determinati sia da motivi editoriali (il principale è la concorrenza del nuovo e potente mezzo di comunicazione di massa, la televisione) sia dai mutamenti politici del quadro internazionale e di quello interno. Questa fase è, però, caratterizzata anche dai primi segni della crisi economica che colpisce la stampa quotidiana in vari paesi del mondo, compresa l'Italia. Nella terza fase - dal 1968-69 ad oggi - questa crisi si sviluppa e s'intreccia a operazioni di concentrazione editoriale, a mutamenti di proprietà di alcuni dei più diffusi quotidiani, a qualche novità editoriale e a trasformazioni in quel settore particolarmente attivo che è la stampa settimanale di attualità e di varietà. A questi fatti si accompagnano mutamenti dei rapporti all'interno delle aziende editoriali, che contribuiscono a influenzare e a modificare i rapporti fra i g. stessi e il potere.
Dal 1949 al 1956. - Il numero dei quotidiani è diminuito notevolmente rispetto all'eccezionale fioritura d'iniziative giornalistiche (la cifra primato è di 140 testate nel 1946) dell'immediato dopoguerra. La falcidia ha colpito soprattutto fogli di opinione e organi di partito, sia dopo il voto del 2 giugno 1946 (Referendum istituzionale e Costituente) sia dopo lo scontro elettorale del 18 aprile 1948 che aveva visto la netta affermazione della D.C. contro il Fronte socialcomunista. Nel 1949-50 si pubblicano 103 testate, a quattro pagine e, due volte alla settimana, a sei pagine, destinate ad aumentare abbastanza rapidamente. Anche il prezzo di vendita sale da 15 a 20 lire nel 1950, e a 25 lire nel 1951. La crescita dei costi e le scelte del pubblico accentuano la crisi di diffusione e di bilancio dei quotidiani di partito e favoriscono lo sviluppo di quelli d'informazione, i cui editori sono pronti ad accrescere i rispettivi impegni finanziari.
I comunisti chiudono alcuni g. fiancheggiatori (cioè senza l'esplicita qualifica di partito) alla cui nascita avevano partecipato, in molti casi, i socialisti; e ne rimpiazzano soltanto uno, La Repubblica di Roma, il cui posto viene preso, dal 1949, da Paese sera. La più nota di queste testate scomparse è Milano-sera (1954). Il PCI concentra i propri sforzi sulle quattro edizioni dell'organo ufficiale, l'Unità (Roma, Milano, Torino e Genova) potenziandone la diffusione domenicale e in particolari occasioni politiche, attraverso una speciale organizzazione di attivisti. I socialisti si arroccano sulle due edizioni dell'Avanti! (Roma e Milano) e su Il Lavoro di Genova. Scompaiono, invece, entro il gennaio 1950, i tre quotidiani del partito socialdemocratico (l'Umanità di Roma e di Milano, e Mondo nuovo di Torino). Nel 1949 chiude anche L'Italia socialista, il quotidiano di opinione nato a Roma dall'incontro di alcuni esponenti socialisti e dell'ormai disciolto Partito d'azione. La Voce repubblicana di Roma resta l'unico organo del PRI, mentre il PLI, dopo la chiusura del Risorgimento liberale (1948), non ha più un proprio organo ufficiale.
Anche gli organi periferici del partito democristiano subiscono la stessa sorte: entro pochi anni resta in vita soltanto l'edizione romana de Il Popolo. Ma occorre considerare che il partito democristiano, e anche quello liberale, possono contare sull'appoggio della stampa d'informazione, schierata su posizioni moderate ancora prima delle elezioni del 1948. Inoltre, la DC ha, praticamente, il controllo del più diffuso quotidiano del veneto, Il Gazzettino (dir. A. Tommasini, poi G. Longo), e dei due più diffusi g. delle regioni meridionali della penisola, Il Mattino di Napoli dir. G. Ansaldo) e la Gazzetta del Mezzogiorno di Bari (dir. L. De Secly), appartenenti a un istituto pubblico, il Banco di Napoli. Dal 1953 la DC avrà anche il sostegno della Gazzetta del Popolo di Torino, passata dalla sfera liberale (dir. M. Caputo) a quella democristiana (dir. F. Malgeri) con un'operazione di vendita che fa scalpore. Infine, allo scopo di accrescere l'influenza capillare del partiio, viene iniziata una catena di quotidiani minori attraverso l'acquisto di alcune testate in crisi, come Il Tempo di Milano e Il Momento di Roma, e la nascita di nuovi giornali. La catena viene sciolta dopo le elezioni del 7 giugno 1953
All'estrema destra si registrano due fatti nuovi. Il primo è la nascita,nel 1952, del quotidiano del Movimento Sociale Italiano, Il Secolo d'Italia, a coronamento di un'intensa attività pubblicistica di stampo neofascista compiuta, per mezzo di diversi periodici, da persone e gruppi che si richiamano al fascismo di Salò. L'altra novità è il coagularsi delle forze monarchiche attorno all'iniziativa politica dell'armatore A. Lauro e ai suoi quotidiani (il Roma di Napoli e, dal 1952, La Patria di Milano, che avrà breve vita).
Negli stessi anni si accentua la supremazia dei quotidiani d'informazione. L'aumento delle pagine consente di sviluppare i servizi dall'interno e dall'estero (i maggiori quotidiani hanno propri corrispondenti dagli Stati Uniti, da Londra, Parigi, Bonn, e presto anche da Mosca) e di ridare periodicità quotidiana alla tradizionale "terza pagina". I g. più diffusi e più ricchi si contendono le firme più note per i servizi d'inviato speciale e per le collaborazioni culturali. Inoltre, a mano a mano che la ricostruzione del paese si completa, ritorna quell'indispensabile mezzo di sostegno economico della stampa che è la pubblicità. E, siccome gl'inserzionisti hanno interesse a servirsi dei veicoli di comunicazione più diffusi, la pubblicità rafforza la supremazia dei quotidiani d'informazione e, tra questi, dei più forti.
A questo dominio della politica centrista e della stampa d'informazione contribuiscono non soltanto i vecchi proprietari dei g. ma anche esponenti dell'industria, a titolo personale o attraverso la loro potente organizzazione, la Confindustria. Questi interventi sono numerosi e si concentrano soprattutto nel biennio 1952-53.
Gl'imprenditori che avevano acquistato da una cooperativa di giornalisti il Giornale dell'Emilia (dal 1953 riprende la vecchia testata il Resto del Carlino, dir. G. Longo) comprano La Nazione, il quotidiano più diffuso della Toscana (dir. A. Russo). Il cementiere C. Pesenti fonda a Milano La Notte (dir. N. Nutrizio) che si contrappone, da posizioni di destra ma con una formula popolare, al Corriere d'Informazione, appartenente alla famiglia Crespi. La Confindustria riesce a entrare in possesso dei tre quotidiani economici: Il Sole e, più tardi, 24 ore, che si pubblicano a Milano, e Il Globo, che esce a Roma. E compra anche il vecchio quotidiano romano del pomeriggio Il Giornale d'Italia. Infine, per sorreggere i quotidiani di provincia che, in gran parte, appartengono alle Associazioni industriali locali o a singoli imprenditori, la Confindustria organizza l'AGA (Agenzia Giornali Associati) che fornisce a tutti gli aderenti il servizio di politica interna, quello economico e sindacale e articoli per la terza pagina.
Nonostante questi larghi impegni finanziari e tutti i fattori che concorrono al successo dei fogli d'informazione, la diffusione complessiva dei quotidiani non è soddisfacente. Non si conoscono dati ufficiali, perché gli editori, a differenza di quanto avviene in altri paesi, non li rendono pubblici; ma, in base a calcoli attendibili, si sa che la diffusione non supera le 100 copie ogni mille abitanti, un risultato che colloca l'Italia negli ultimi posti della graduatoria europea. Secondo gli stessi calcoli, le tirature dei maggiori quotidiani sono queste: Corriere della sera (dir. G. Emanuel, poi M. Missiroli) 350.000 copie; La Stampa (dir. G. De Benedetti) 200.000; Il Messaggero (dir. M. Missiroli, poi A. Perrone) 140.000; Il Tempo (dir. R. Angiolillo) 120.000. È evidente che il quotidiano d'informazione superate le ristrettezze dell'immediato dopoguerra, non ha saputo trovare nuovi spazi. Le diagnosi sul mancato allargamento dell'area dei lettori sono concordi: la formula del quotidiano è, sotto il profilo dei contenuti e del linguaggio, ancora troppo di élite, cioè riservata a coloro che hanno raggiunto un certo livello culturale; inoltre, sulla quantità e sulla qualità dell'informazione data ai lettori pesano i condizionamenti derivanti da scelte politiche sollecitate dal potere o decise dagli editori.
Di fronte a questa situazione della stampa quotidiana d'informazione, che ripete vecchie formule e soggiace ad antiche subordinazioni, e alle difficoltà in cui si dibattono i g. di partito, c'è il fenomeno dei settimanali in rotocalco, molti dei quali raggiungono punte notevoli di diffusione. Il fenomeno non riguarda soltanto i cosiddetti periodici popolari, quelli a "fumetti" e quelli per le donne, ma anche molti settimanali di "attualità, politica e varietà". Le ragioni di questi successi sono, quasi sempre, lo sfruttamento della passionalità politica, a cominciare dalle nostalgie monarchiche e, talvolta, del ventennio fascista, le costanti concessioni al g. di evasione, che si manifestano soprattutto dando largo spazio al divismo del cinema e dell'alta società; ma è anche vero che questi settimanali si occupano di molti fatti e problemi di cui la gente parla e che i quotidiani trascurano, che il loro linguaggio è semplice e più aderente a diversi strati sociali.
Tra il 1949 e il 1956 i settimanali - che hanno libertà di pagine e di prezzo - raddoppiano la loro tiratura: da 4 milioni e mezzo di copie a 9, e la cifra è destinata a salire. Nel gruppo dei periodici di attualità i primati appartengono sia a vecchie testate popolari, come la Domenica del Corriere (dir. E. Possenti), sia a testate uscite nell'immediato dopoguerra, come Oggi (dir. E. Rusconi) e Tempo (dir. A. Tofanelli), sia ad alcune nate in questo periodo, come Epoca (dir. A. Mondadori) e La Settimana Incom (dir. L. Barzini jr.). Per la loro formula particolare e per la loro posizione politica vanno ricordati L'Europeo fondato e diretto dal 1945 da A. Benedetti, e Il Mondo, fondato e diretto dal 1949 da M. Pannunzio. Il primo adotta uno stile giornalistico diretto, quasi impersonale, che dà immediatezza alle sue cronache politiche e di altro genere, sempre ricche di particolari inediti. La sua linea politica si può collocare nel filone della sinistra liberale. Allo stesso filone appartiene Il Mondo, che si dedica unicamente all'attualità politica e culturale. A differenza dell'Europeo, Il Mondo ha una diffusione limitata, ma la sua influenza, in un periodo di marcata polarizzazione delle forze politiche e dei giornali, è notevole per le sue scelte autonome rispetto ai due schieramenti principali e per i contributi dei suoi più autorevoli collaboratori (G. Salvemini; E. Rossi, G. Calogero, P. Calamandrei e altri).
Gli altri fatti rilevanti che completano il quadro di questo periodo sono: nel 1949 il varo di sovvenzioni governative, in cambio della diffusione di notiziari particolari in Italia e all'estero, all'ANSA, l'unica agenzia italiana a diffusione capillare, fondata nel gennaio 1945 dagli editori, associati in cooperativa; la ricomparsa a Trieste, restituita all'Italia il 26 ottobre 1954, del vecchio quotidiano nazionalista Il Piccolo; la nascita a Roma, nel 1955, del settimanale L'Espresso, diretto da A. Benedetti, il quale aveva lasciato L'Europeo poco dopo che l'editore G. Mazzocchi lo aveva venduto all'editore A. Rizzoli.
Dal 1956 al 1968. - Nei primi anni di questo periodo le vicende della stampa appaiono molto legate ai grandi eventi internazionali - la destalinizzazione, la distensione SUA-URSS, i mutamenti nella Chiesa cattolica - e all'evoluzione della situazione interna verso un governo di centro-sinistra e uno sviluppo economico di notevole portata.
Nel 1956, a Milano, nasce Il Giorno, fondato e diretto da G. Baldacci e di proprietà dell'Ente Nazionale Idrocarburi, presieduto da E. Mattei, e dell'editore C. Del Duca. Il Giorno rivoluziona gli schemi tecnici della stampa d'informazione (otto pagine stampate in rotativa sono accoppiate ad altre otto stampate in rotocalco) e assume una posizione di aperto sostegno a tutte le novità che maturano sulla scena politica, rompendo lo schieramento generalmente moderato o conservatore dei quotidiani d'informazione. Nel giro di pochi anni, Il Giorno, di cui nel frattempo l'ENI è rimasto l'unico proprietario, diventa uno dei g. più diffusi.
Il Corriere della sera (dir. dal 1961 A. Russo) stimolato dalla crescente concorrenza della Stampa e del Giorno (dir. dal 1960 I. Pietra), e dall'iniziativa dell'editore Rizzoli che si prepara a lanciare un nuovo quotidiano, Oggi, stampato contemporaneamente a Roma e a Milano, rinnova in parte i propri quadri e la propria formula, e conquista nuovo terreno, seguito a non lunga distanza dalla Stampa.
Neìlo stesso tempo, il Corriere della sera adotta un tono particolarmente battagliero contro le prospettive sempre più concrete dell'ingresso dei socialisti nel governo e guida la polemica di tutta la stampa padronale contro la nazionalizzazione dell'industria elettrica.
Novità legate all'evoluzione della situazione politica si registrano anche nei due maggiori gruppì della stampa di partito o di opinione. La stampa comunista subisce un grosso scossone politico nel 1956, in seguito alla pubblicazione del rapporto di Chruščëv sui crimini di Stalin e alla rivolta di Ungheria: la vittima più nota è il quotidiano fiancheggiatore di Firenze Il Nuovo Corriere; e l'anno dopo subisce uno scossone editoriale con la soppressione, per motivi finanziari, delle edizioni torinese e genovese dell'Unità. Il PCI reagisce nel 1962 rilanciando l'Unità ristrutturata più giornalisticamente, fondendo Il Paese nel Paese sera, che d'ora in poi esce anche al mattino, e trasformando il mensile ideologico Rinascita in settimanale.
In campo cattolico, l'azione innovatrice di papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II aprono nuovi spazi ai quotidiani e ai periodici legati alla gerarchia, e accrescono l'interesse dell'opinione pubblica verso i problemi e gli atteggiamenti della Chiesa. Tra i quotidiani L'Avvenire d'Italia di Bologna, diretto dal 1961 da R. La Valle, diventa l'interprete dello spirito innovatore del Concilio e l'assertore sia della collaborazione tra democristiani e socialisti per la realizzazione di un programma di riforme, sia della distensione internazionale e dell'urgenza di concludere la pace nel Vietnam. Ma il riflusso della politica vaticana su posizioni caute e moderate sotto il papato di Paolo VI mette in crisi il quotidiano bolognese. Nel 1967 La Valle si dimette, sostituito da G. Dore fino alla chiusura del giornale, l'anno dopo.
Sul piano editoriale, i primi anni di questo periodo sono pieni di speranze: infatti, è convinzione diffusa che lo sviluppo economico e le grandi trasformazioni sociali in atto nel paese incrementeranno la diffusione dei quotidiani. Ma l'aumento è molto lieve. All'inizio del 1960 - quando il prezzo del quotidiano è di 40 lire - circolano 104 copie ogni mille abitanti, con notevoli differenze tra il Mezzogiorno e le altre regioni: 145 per mille al nord, 155 al centro, 24 al sud e 41 nelle isole. Il numero delle testate è disceso a 96. Il lieve aumento delle vendite è andato a vantaggio soprattutto dei quotidiani più ricchi di mezzi, i cui capofila sono il Corriere della sera, La Stampa, Il Messaggero, e Il Giorno.
Entro pochi anni le speranze di un boom dell'editoria quotidiana sono bruscamente cancellate dalle prime manifestazioni di crisi, precedute da quelle registrate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Le difficoltà economiche, che non interrompono la modesta tendenza alla crescita delle testate più forti ma che cambiano i dati di fondo del problema, sono determinate dalla concorrenza della Tv e dalla crescita dei costi: quello della distribuzione, quello della carta, in conseguenza dell'aumento del numero delle pagine, e quelli di lavoro in seguito all'allargamento degli organici redazionali e tipografici e ai miglioramenti retributivi raggiunti dai giornalisti e dalle maestranze. La crescita dei costi non è compensata né dal nuovo prezzo di vendita (50 lire dal 1963 e 60 dal 1967) né dagl'introiti pubblicitari, inferiori alle previsioni a causa della forte concorrenza della pubblicità televisiva e radiofonica.
L'investimento necessario per lanciare un nuovo g. a diffusione nazionale è così elevato, e il mercato si rivela così pigro, da indurre un editore come Rizzoli a rinunciare al suo progetto. Il numero delle testate scende a 94 nel 1961 e a 86 nel 1965-66. In questo biennio scompaiono sette quotidiani (i più noti sono il Corriere lombardo e Il Sole, fusi con La Notte e con 24 ore) e tre settimanali, tra cui Il Mondo e La Settimana Incom; ed entra in una lunga crisi uno dei più antichi quotidiani, la Gazzetta del Popolo.
Contemporaneamente al manifestarsi della crisi, cominciano le operazioni di concentrazione. La prima è quella dell'imprenditore A. Monti (petrolio e altre attività) il quale acquista Il Resto del Carlino, La Nazione, il quotidiano sportivo di Bologna Stadio e, successivamente, Il Giornale d'Italia e Il Telegrafo di Livorno. In complesso, questi quotidiani vendono giornalmente circa 600.000 copie. La seconda concentrazione è opera dell'imprenditore chimico N. Rovelli il quale compra La Nuova Sardegna, Momento sera di Roma e poi diventa azionista di maggioranza dell'Unione sarda di Cagliari. In tale modo Rovelli riesce a controllare l'informazione stampata in Sardegna.
Le operazioni di concentrazione suscitano gravi preoccupazioni perché diventa ben presto evidente che il loro scopo non è quello di razionalizzare un settore in cui occorre applicare criteri più moderni di gestione e nuove tecnologie, ma è soprattutto politico. L'accentramento in poche mani dell'informazione, favorito dall'allargamento della situazione deficitaria di molte imprese editoriali, accresce la subordinazione dell'informazione stessa a interessi extraeditoriali.
Per la prima volta si apre un ampio dibattito sulle cause della crisi, sui pericoli delle concentrazioni e sui possibili rimedi. I giornalisti - che nel 1963 hanno ottenuto l'istituzione dell'Ordine professionale, destinato a suscitare perplessità e contrasti perché, se da un lato garantisce la qualificazione degl'iscritti, dall'altro alimenta l'antica tendenza corporativa del settore - cominciano a rendersi conto che il loro vero problema è la garanzia dell'autonomia e della responsabilizzazione professionali. La questione di fondo è messa a fuoco con precisione dalla rivista dei gesuiti, Civiltà cattolica (3 dicembre 1966): "C'è in Italia un'assoluta libertà di stampa; ma dov'è la stampa libera? Tutti i grandi organi di informazione... sono in Italia a servizio di colui o di coloro che li pagano, sono la "voce del padrone"... solo a queste condizioni essi possono vivere. Chi perciò rifiuta di essere la "voce del padrone" è destinato a condurre una vita grama e a morire di consunzione. Ma, in tal modo, sono gli stessi regimi democratici che si avviano al tramonto".
Dal 1968-69 ad oggi. - I primi anni sono caratterizzati dalla contestazione studentesca e dalle grandi lotte sindacali, ma anche dallo sviluppo delle trame eversive fasciste, con la lunga serie degli attentati dinamitardi, dal crescente logoramento della formula governativa di centro-sinistra e dal distacco più marcato fra la società politica e civile. In questo quadro, spesso fosco, si apre per la stampa un periodo molto movimentato in cui segni positivi si contrappongono a segni di riflusso e di pericolo.
Nel mondo editoriale si reagisce all'incalzare della crisi con qualche tentativo, in alcuni casi riuscito, di svecchiare il quotidiano attraverso un ricambio dei dirigenti giornalistici e amministrativi. Tra il febbraio 1968 e il marzo 1969 cinque importanti quotidiani d'informazione cambiano direttore: Corriere della sera (G. Spadolini), La Stampa (A. Ronchey), il Resto del Carlino (D. Bartoli), Il Secolo XIX (P. Ottone), Il Gazzettino (A. Cavallari). Quattro di questi direttori hanno meno di 45 anni. Alcuni editori medi e piccoli imboccano la strada delle innovazioni tecnologiche, passando dalla composizione a caldo, basata sul piombo, alla fotocomposizione e alla stampa in offset. Come è già accaduto in paesi più avanzati del nostro, queste trasformazioni (la prima è avvenuta al Messaggero veneto di Udine nel 1968) devono superare le resistenze dei sindacati in difesa dei livelli occupazionali.
Nello stesso periodo, cresce il numero dei giornalisti che, all'interno della FNSI (Federazione Nazionale della Stampa Italiana), attraverso i comitati di redazione e le associazioni regionali, e fuori, con la creazione del movimento dei giornalisti democratici, chiedono un mutamento della politica settoriale del sindacato ma soprattutto rivendicano una maggiore presenza nella gestione dell'informazione. Nel congresso della FNSI del 1970 i sostenitori di queste tesi conquistano la maggioranza, che manterranno e amplieranno nei congressi del 1972, del 1974 e del 1976. La piattaforma maggioritaria ha come obiettivo la realizzazione di una riforma globale dell'informazione, diretta ad assicurare l'autonomia della gestione dell'informazione stessa in seno alle aziende editoriali (compresa la RAI-TV) e, nello stesso tempo, capace di conseguire la pubblicità dei bilanci e delle proprietà editoriali, e un intervento dello stato, soprattutto a favore delle testate più deboli e di nuove iniziative a base cooperativa, sottratto alle discriminazioni di parte attraverso il controllo del Parlamento.
I giornalisti sostengono che una delle strade da battere per aumentare la diffusione dei quotidiani è quella di dare al pubblico, in genere scettico sulla credibilità della stampa, un'informazione più ampia e meno condizionata da interessi extraeditoriali. Il fatto che i maggiori quotidiani, diventati meno conformisti per merito di direttori e di redattori più impegnati e sotto la spinta, spesso vivace, dei comitati di redazione, abbiano aumentato la tiratura, appare una conferma di questa tesi. I dati disponibili (1971), che sono ufficiosi, danno questa graduatoria dei quotidiani più forti: Corriere della sera 603.703 copie di media giornaliera; La Stampa 504.352; Il Messaggero 325.804; Il Giorno 305.256. Ma la tiratura complessiva di tutti i quotidiani supera di poco i 6 milioni di copie: considerato l'aumento della popolazione, si vede che il rapporto copie-abitanti si è modificato troppo poco.
Il 1972, un anno particolarmente difficile nella politica interna per le elezioni anticipate, il ritorno a un governo centrista e la crescita dell'inflazione, è anche un anno di punta per la stampa perché maturano due fatti contrastanti. Il primo è rappresentato dall'atteggiamento di maggiore indipendenza che assumono alcuni quotidiani d'informazione, in particolare il Corriere della sera (dir. P. Ottone) e Il Messaggero. Il secondo fatto è l'aggravarsi della crisi del settore che investe anche aziende editoriali finora attive. La comparsa, o la minaccia, dei deficit mette in crisi, nel giro di pochi mesi, proprio le proprietà editoriali dei due quotidiani citati, che sono tra le pochissime a base famigliare. Nel maggio 1973, due dei tre proprietari dell'azienda del Corriere della sera (2 quotidiani, 4 settimanali, 1 mensile) passano la mano: le loro quote sono acquistate dalla FIAT e dal petroliere A. Moratti. L'ingresso di Agnelli nell'azienda milanese fa ritenere ormai prossima la formazione di una concentrazione molto vasta perché la FIAT, oltre alla proprietà della Stampa e di Stampa sera, ha la gestione della Gazzetta dello sport, il più diffuso quotidiano sportivo, e partecipazioni in altri due quotidiani e in diverse case editrici librarie. Ma la vicenda, nel giro di un anno, imbocca un'altra strada perché Agnelli, preoccupato dalle gravi ripercussioni della crisi petrolifera e di quella generale sull'industria automobilistica, dal difficile andamento dei rapporti col potere e dal deficit dell'azienda milanese, decide di ritirarsi. Si arriva così, nel giugno 1974, alla cessione totale dell'azienda del Corriere della sera all'editore A. Rizzoli, il quale effettuò la cospicua operazione finanziaria anche con le garanzie bancarie che gli fornisce l'allora presidente della Montedison, E. Cefis.
Una vicenda per alcuni versi analoga accade al Messaggero. Nel maggio 1973 una parte della famiglia Perrone, titolare del 50% del quotidiano romano e del Secolo XIX, vende le proprie quote all'editore E. Rusconi. L'altra parte della famiglia, guidata da A. Perrone, il quale è anche direttore dei due quotidiani, non accetta la decisione. A. Perrone e i redattori del Messaggero denunciano gli scopi politici dell'operazione di vendita, cioè riportare il maggior quotidiano della capitale su posizioni moderate, e si oppongono alla nomina di un nuovo direttore fatta da Rusconi. Questa situazione di estrema tensione dura anch'essa un anno. A maggio del 1974, quando si registra l'ampia vittoria dei sostenitori del divorzio nel referendum popolare, alla quale Il Messaggero aveva dato un forte appoggio, A. Perrone annuncia che anche il suo gruppo ha deciso di vendere. Il nuovo proprietario del Messaggero è la Montedison. Il Secolo XIX resta ad A. Perrone. Nuovo direttore del Messaggero è I. Pietra, il quale si era dimesso dal Giorno nel giugno 1972 (nuovo dir. G. Afeltra) dopo che R. Girotti aveva preso il posto di Cefis alla presidenza dell'ENI. Un anno dopo, nel giugno 1975, per dissensi sulla linea del g., Pietra si dimette. Nuovo direttore è L. Fossati.
L'ingresso del colosso della chimica e della finanza nell'editoria giornalistica, annunciato dal presidente Cefis agli azionisti nell'aprile 1974 e motivato dalla necessità di difendere la società dalle critiche e dagli attacchi degli avversari, muta notevolmente la mappa dell'editoria giornalistica. La partecipazione della Montedison, infatti, si estende in pochi mesi non in maniera diretta come nel caso Messaggero o, comunque, nota, come nell'operazione Rizzoli, ma in forma indiretta. Il canale di questi finanziamenti ai g. è una delle maggiori società concessionarie della pubblicità. Il 25 giugno 1974 esce a Milano il Giornale nuovo, fondato e diretto da I. Montanelli dopo il suo allontanamento dal Corriere della sera in seguito ai suoi dissensi, politici e giornalistici, con una parte della proprietà e con P. Ottone.
Il Giornale nuovo mira a staccare dal Corriere della sera i lettori più tradizionalisti per mentalità e per orientamento politico, i quali non condividono la nuova impostazione politica che ora caratterizza la centenaria testata milanese e anche altri quotidiani. Ma l'impresa ha un successo più politico che editoriale, che non danneggia il Corriere la cui diffusione è in crescita (intanto P. Ottone ha lasciato il Corriere, sostituito da F. Di Bella a partire dal 30 ottobre 1977).
Nel frattempo, un nuovo fattore ha contribuito ad aggravare maggiormente le difficoltà finanziarie della stampa: la vertiginosa crescita del prezzo della carta che raggiunge e supera le 300 lire al chilogrammo. Questo fatto ha determinato un forte aumento del prezzo dei quotidiani (da 100 a 150 lire dal 1° giugno 1974, a 200 lire dal 1° maggio 1977) con flessioni pesanti sulle vendite, specialmente nel settore dei quotidiani del pomeriggio (a Roma cesseranno le pubblicazioni il Giornale d'Italia e Momento sera), il cui ricupero si rivela più lento che in situazioni simili del passato.
In quanto alla stampa di tendenza e di opinione, in questo periodo si registra un fatto nuovo, peculiare del nostro paese, che nasce dai fermenti provocati dalla situazione internazionale e da quella interna nel settore dell'estrema sinistra: la pubblicazione, a partire dal 1971, dei quotidiani dei cosiddetti gruppi extraparlamentari o della nuova sinistra. Sono g. di quattro pagine, tutte dedicate ad argomenti politici, e realizzati con mezzi molto scarsi, che all'inizio vengono venduti a 50 lire quando il prezzo del quotidiano sta salendo da 70 a 80 e a 90 lire, e che si sorreggono con le sottoscrizioni degli aderenti e dei simpatizzanti. Il primo è Il Manifesto (28 aprile 1971, dir. L. Pintor) promosso a Roma dall'omonimo gruppo radiato dal PCI. Il secondo è Lotta Contimua (Roma, 11 aprile 1972, dir. A. Cambria) espressione di uno dei "gruppuscoli" più agguerriti e aggressivi. Il terzo è il Quotidiano dei Lavoratori (Milano, 26 novembre 1974, dir. S. Corvisieri), organo di Avanguardia operaia. Le vendite dei tre g., secondo indicazioni attendibili, oscillano fra le 25 e le 10.000 copie ciascuno. Il più diffuso, anche per la funzione di opinione che svolge fuori della cerchia dei militanti, è il Manifesto.
Nel settore della stampa cattolica c'è da registrare la decisione, attuata nel 1968, di chiudere L'Avvenire di Italia di Bologna e L'Italia di Milano, fondando nel capoluogo lombardo un quotidiano nuovo, Avvenire (dir. L. Valente, poi A. Narducci) che finisce per riflettere le più caute posizioni assunte dalla Chiesa dopo il concilio.
Un caso particolare, tra il 1974 e il 1975, è quello della Gazzetta del Popolo. Quando l'editore Caprotti, che aveva rilevato il quotidiano dalla gestione democristiana, decide di chiuderlo a causa del passivo, giornalisti e poligrafici reagiscono con l'occupazione dello stabilimento e con l'autogestione. La vertenza dura poco più di un anno e si chiude con l'affidamento della testata alla cooperativa dei redattori (nuovo dir. M. Torre) e della gestione editoriale a un nuovo editore (L. Bevilacqua).
Mutamenti sensibili avvengono anche nella mappa dei settimanali di attualità. Le testate che dall'inizio degli anni Cinquanta avevano raggiunto tirature elevate, superando in qualche caso il milione di copie, nell'ultima parte di questo periodo registrano flessioni anche cospicue, mentre si afferma, sull'esempio di periodici americani, francesi e tedeschi detti "di notizie", un tipo diverso di settimanale a piccolo formato. Il primo a realizzare un prodotto diretto a soddisfare la crescente domanda di un riassunto settimanale dei fatti di ogni genere, con la messa a fuoco dei principali e accompagnato dalle valutazioni e dalle opinioni del giornale e dei suoi columnists, è Panorama (dir. L. Sechi). Nel 1974 anche L'espresso (dir. L. Zanetti), che quattro anni prima si era rafforzato con la creazione di un supplemento economico coordinato da E. Scalfari, adotta il più moderno formato di Panorama, ottenendo anch'esso un particolare successo. L'esempio viene seguito, nel 1975, da Il Mondo (ricomparso alla fine del 1969 e poi acquistato dall'editore Rizzoli) ma con risultati modesti tanto che, nel maggio 1976, viene trasformato in un settimanale prevalentemente economico (dir. P. Panerai); la stessa scelta di formato viene fatta nel febbraio 1976 da Tempo (dir. C. Gregoretti), che, tuttavia, ebbe breve vita.
Nel campo dei quotidiani una novità interessante è l'uscita, il 14 gennaio 1976, de La Repubblica, fondato e diretto da E. Scalfari ed edito da una società in cui concorrono in parti uguali la Mondadori e il gruppo dell'Espresso. L'impostazione è nuova per il nostro paese perché il formato è tabloid (metà di quello tradizionale), le pagine sono 20 (cioè 10 normali) e il contenuto è quasi esclusivamente politico, economico-finanziario e culturale. La tiratura dichiarata si aggira sulle 135-140.000 copie giornaliere.
Conclusioni. - Nel triennio iniziato nel 1975 i g., o meglio tutto il settore dell'informazione perché è in corso l'attuazione, molto contrastata, della riforma radiotelevisiva, si trova in una situazione nuova e difficile, sia dal punto di vista generale che particolare. La formula di centro-sinistra si esaurisce del tutto. Le elezioni amministrative del 15 giugno 1975, confermando la crisi della DC e una forte avanzata del PCI, sono lo specchio di una situazione politica mutata, nel contesto di una crisi economica che si sviluppa in termini più gravi del previsto. Nuove tensioni si determinano, quindi, nel paese, mentre il dibattito politico si concentra sul problema della partecipazione o no del partito comunista al governo o alla maggioranza governativa; un problema che l'esito del voto nelle elezioni politiche del 20 giugno 1976 accentua.
Sui giornali quotidiani pesa un deficit globale molto elevato: per il 1975 si parla di circa 90 miliardi. Questo fatto spinge governo e parlamento a predisporre e a votare, d'urgenza e all'unanimità, una legge (6 giugno 1975, n. 172), che prevede cospicui aiuti all'editoria giornalistica (circa 45 miliardi all'anno per un biennio, destinati in prevalenza a sovvenzioni sul prezzo della carta) e che, praticamente, insabbia i progetti di riforma dell'informazione sollecitati dai sindacati del settore e, in un primo tempo, caldeggiati anche da diverse forze politiche. L'aggravarsi del deficit dà, inoltre, una nuova spinta a operazioni di concentrazione, intrecciate a manovre politiche, delle quali è protagonista Rizzoli. Questa situazione suscita inquietanti interrogativi sul futuro e reale assetto editoriale dei quotidiani e sui condizionamenti che restringono i loro spazi d'indipendenza. E li suscita proprio nel momento in cui, anche sulla base delle recenti esperienze che abbiamo ricordato, è più marcata l'esigenza sia di rendere più liberi e autonomi dal potere politico e da quello economico, più aderenti alle aspettative della società e più rispettosi del diritto dei cittadini all'informazione; sia di risanare i bilanci delle aziende; sia, infine, di creare condizioni oggettive che permettano un più articolato pluralismo delle voci.
Bibl.: I. Wiess, Politica dell'informazione, Milano 1961; M. Monicelli, Il giornalista, Firenze 1964; I. Weiss, Il potere di carta, Torino 1965; G. Mottana, Il mestiere del giornalista, Milano 1967; A. Del Boca, Giornali in crisi, Torino 1968; Il potere nei giornali, Atti del Convegno UCSI 1969, Padova s.d.; Annuario dei giornalisti 1971-1972, a cura del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti, Roma 1971; V. Capecchi, M. Livolsi, La stampa quotidiana in Italia, Milano 1972; G. Bechelloni, Informazione e potere, Roma 1974; R. Fiengo, Libertà di stampa: anno zero, Firenze 1974; P. Murialdi, La stampa italiana del dopoguerra 1943-1972, Roma-Bari 19743; G. Fusaroli, Giornali in Italia, Parma 1974; F. Borio, C. Granata, S. Ronchetti, Giornali nella tempesta, Torino 1975.