GIORNALE e GIORNALISMO
(XVII, p. 184; App. I, p. 675; II, I, p. 1057; IV, II, p. 78)
La stampa italiana dal 1978 al 1992. − Grandi cambiamenti sono avvenuti nel sistema italiano dei mass media nel periodo intercorso tra la situazione che tracciammo nella IV Appendice e quella del 1992. Questa volta cambiamenti di natura radicale hanno riguardato anche il settore della stampa, la cui dinamicità era stata finora molto inferiore a quella del settore televisivo.
I giornali oggi. - Il fatto nuovo, nel corso degli anni Ottanta, è stata la vitalità che ha caratterizzato i g. quotidiani: in buona parte, sono usciti sia dalla pesante crisi finanziaria che li aveva colpiti negli anni Settanta, sia dalla sostanziale e deprimente stagnazione delle vendite. Tuttavia, già nel corso del 1991 si è verificata una battuta d'arresto. La recessione economica sta provocando una forte riduzione degli investimenti pubblicitari sui quotidiani e sui periodici.
Per dare un'idea della crescita della diffusione ricordiamo la media giornaliera del 1980 (5.341.970 copie vendute) e quella del 1988 (6.792.608 copie). Nonostante questo sensibile progresso, resta ancora forte il divario fra le zone più sviluppate della penisola e quelle del Sud e delle isole, e siamo ancora lontani dai livelli raggiunti dai paesi europei più avanzati. Infatti nel 1990 l'obbiettivo dei 7 milioni di copie vendute giornalmente è stato mancato, e nel 1991 si sono manifestati segni di ristagno.
Anche i quotidiani sono dunque entrati in quelle logiche di mercato nelle quali molti settimanali e non pochi mensili di vario genere continuano a prosperare. Il fatto va considerato positivamente − beninteso a condizione che non stravolga i contenuti dei g. e al di là delle valutazioni che possono suscitare le lotterie − perché la buona salute finanziaria delle imprese dei media, grandi o piccoli, è una premessa non determinante ma necessaria per garantirne l'indipendenza. Tuttavia, è altrettanto vero che ai condizionamenti che derivano dal tipo di proprietà si sommano la necessità di realizzare elevati introiti pubblicitari e le influenze che esercita una politica spinta di marketing.
Un altro aspetto importante della situazione odierna − nuovo non in sé ma nelle proporzioni che ha assunto − è rappresentato dagli sbocchi del processo di concentrazione dei media, ora in buona parte nelle mani di pochi grandi imprenditori, i cui interessi prevalenti e molteplici non sono quelli editoriali. Il fenomeno riguarda tutte le zone più sviluppate del globo, dove la tendenza è di realizzare intrecci multimediali e sovranazionali. In Italia il fenomeno si è accentuato, con la formazione di due grandi gruppi editoriali (il Gruppo RCS, cioè Rizzoli-Corriere della Sera, e il Gruppo Mondadori-Espresso) e di due poli che dominano il settore televisivo: uno pubblico, la Rai, e uno privato, la Fininvest di S. Berlusconi. Un nuovo rimescolamento delle carte è avvenuto, come vedremo nei particolari, nella primavera del 1991.
I fattori principali del grande cambiamento sono stati la rivoluzione tecnologica, che ha il suo fulcro nell'impiego del computer, e lo sviluppo economico e sociale del paese che ha consentito, tra l'altro, l'eccezionale crescita degli investimenti pubblicitari più che decuplicati in un decennio, con beneficio prevalente per le televisioni private e per quella pubblica.
Le vicende e i problemi più interessanti, che ricapitoliamo, si possono suddividere in due momenti, caratterizzati da differenze sensibili. Il primo va dal 1977-78 al 1984, l'anno del definitivo salvataggio dal crac del Gruppo Rizzoli-Corriere della Sera e del completamento dell'''impero'' televisivo di Berlusconi. Il secondo arriva al 1991, che vede in primo piano la costituzione di un altro maxigruppo poi spartito fra Berlusconi e C. De Benedetti.
L'avventura di Rizzoli e l'ascesa de ''la Repubblica''. - Nella seconda metà degli anni Settanta, il primato diffusionale detenuto dal Corriere della Sera (circa mezzo milione di copie al giorno) non è minacciato né dalla tradizionale rivale, La Stampa, né dai nuovi venuti, Il Giornale fondato da I. Montanelli (1974) e la Repubblica fondata da E. Scalfari (1976). Anzi, il successore di P. Ottone alla direzione del Corriere della Sera, F. Di Bella, ottiene un lieve aumento delle vendite vivacizzando i contenuti di varietà.
I problemi reali del Gruppo sono altri: la ricerca dei finanziamenti necessari per sostenere la scelta dell'espansione editoriale, annunciata da A. Rizzoli jr. fin dal 1976 (lo stesso anno in cui compare la Repubblica di Scalfari, dichiaratamente orientata a sinistra), e le strutture da dare alla concentrazione che sta costruendo. La scelta si traduce nel potenziamento del Corriere della Sera (prima l'edizione romana e poi due supplementi, uno economico e finanziario e l'altro in rotocalco e destinato, con varianti locali, a tutti i quotidiani del Gruppo), nell'acquisizione di testate, nei tentativi d'inserirsi nell'attività televisiva e, infine, nel lancio di un quotidiano popolare.
Rizzoli sfrutta sia le condizioni critiche in cui versano parecchie aziende sia gli interessi di diversi partiti (compreso quello comunista nella prima fase) pronti a ''entrare'' nel campo dei mass media. Ma Rizzoli si presenta anche come editore aperto e generoso.
Nel giro di un anno il giovane editore ottiene la gestione de Il Mattino di Napoli (a mezzadria con l'Affidavit, società della DC) e della Gazzetta dello Sport, e acquista l'Alto Adige di Bolzano e Il Piccolo di Trieste. Più tardi rileva Il Lavoro di Genova, l'organo del Partito socialista che naviga in pessime acque, e prende iniziative editoriali in Veneto e in Trentino, d'intesa con esponenti della Democrazia cristiana. Da editore ''puro'' − o, per meglio dire, ''professionale'' − Rizzoli sta diventando un editore ''di servizio''. Ma più gravi delle relazioni intrecciate con alcuni leaders politici si riveleranno le alleanze che stipula assieme al suo aiutante in prima, B. Tassan Din, per ottenere finanziamenti.
Una prima ricapitalizzazione del Gruppo avviene nel luglio 1977. Si saprà più tardi che è stata opera del presidente del Banco Ambrosiano, R. Calvi, d'intesa con L. Gelli, gran maestro della Loggia coperta P2, e con mons. P. Marcinkus, amministratore delle finanze vaticane. L'influenza della loggia massonica P2 si fa sentire subito nella scelta del nuovo direttore del Corriere della Sera, Di Bella, come dichiarerà il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta. E si fa sentire in altri frangenti, soprattutto attraverso alcuni interventi di carattere economico; e culmina, almeno apertamente, nell'intervista del 5 ottobre 1980 sul Corriere della Sera, nella quale Gelli espone le sue tesi per la normalizzazione della situazione politica.
Nello stesso periodo in cui comincia l'espansione del Gruppo milanese, l'esistenza de la Repubblica, il tabloid basato esclusivamente su politica, economia e cultura, appare ancora insicura anche se fra il 1976 e il 1977 la vendita media è salita da 80.000 a circa 100.000 copie.
Dopo aver puntato sui giovani che popolano la nebulosa della contestazione più radicale − i quali, però, danno uno scarso sostegno concreto persino ai fogli della sinistra extraparlamentare, come Lotta continua e il manifesto- Scalfari concentra l'attenzione del giornale sull'area comunista. Si fa sostenitore dell'ingresso pieno del PCI, guidato da E. Berlinguer e reso più forte dai successi elettorali del 1975 e del 1976, nel sistema liberaldemocratico e, quindi, del suo riconoscimento come potenziale partito di governo da parte degli altri partiti. La decisione giova a la Repubblica perché il giornale e il suo direttore finiscono per svolgere un ruolo di attori e di interpreti diretti nella difficile situazione che il paese sta attraversando. Una situazione dominata da una grave crisi economica e dal terrorismo di matrice nera e di matrice rossa, che richiede un impegno comune di tutte le forze che intendono difendere il sistema democratico nonostante tutte le sue gravi carenze.
Il terrorismo rosso crea una condizione di emergenza. Tra il giugno 1977 e il maggio 1980 vengono uccisi due giornalisti − C. Casalegno, vicedirettore de La Stampa, dalle Brigate rosse, e W. Tobagi, inviato del Corriere della Sera e presidente dell'Associazione lombarda dei giornalisti, da un altro gruppo terroristico − e 7 altri vengono feriti, tra i quali I. Montanelli.
Le azioni e la propaganda terroristica pongono ai media e ai giornalisti problemi di natura etica, politica e professionale. Per non breve tempo, in molte redazioni le convinzioni politiche e ideologiche impediscono di riconoscere l'autenticità della matrice rossa di questa ondata di crimini e di valutare in pieno i pericoli che il paese corre.
Il lungo sequestro di A. Moro (1978), presidente della Democrazia cristiana, mette in evidenza i rischi che i media facciano da cassa di risonanza della propaganda sovversiva e che, inoltre − diffondendo voci non controllate o non controllabili e ipotesi spesso campate per aria − contribuiscano ad alimentare pericolose psicosi. Nelle discussioni se pubblicare tutto il materiale diffuso dai terroristi, oppure autocensurarsi, prevale la scelta basata sul diritto dei cittadini a essere informati, accomunato però al dovere di non fare gli altoparlanti del terrorismo. E di fronte al drammatico quesito se cedere o non cedere ai ricatti, la maggior parte dei g. condivide la linea della fermezza. Quest'ultimo caso si presenta in modo diretto ai g. nel dicembre 1980, con il sequestro di un magistrato, perché per il suo rilascio le Brigate rosse chiedono la pubblicazione di alcuni proclami. Soltanto cinque testate accolgono la richiesta. Dopo più di un mese il magistrato viene rilasciato.
La tragedia Moro, la conseguente partecipazione del PCI alla maggioranza di governo per fronteggiare l'emergenza, e la consonanza con la presenza carismatica di S. Pertini alla presidenza della Repubblica, accrescono in ogni ceto l'interesse per il giornale di Scalfari. Nel maggio 1978 la diffusione de la Repubblica arriva a 134.000 copie e sale a 145.000 nel gennaio successivo.
Questa avanzata sembra non impensierire i maggiori quotidiani che, tuttavia, sottovalutano un aspetto importante: i conti dell'impresa creata dall'Editoriale L'Espresso e dalla Mondadori sono già in pareggio e, per di più, l'impresa è giovane e ricca di energie. Da questo momento, infatti, la Repubblica può intraprendere un nuovo sforzo: arricchendosi di giornalisti molto seguiti (G. Pansa e B. Valli hanno lasciato il Corriere della Sera dopo l'uscita di P. Ottone) e intensificando la ''settimanalizzazione'' attraverso inserti specializzati e la penetrazione a Roma e a Milano con l'avvio di edizioni locali.
La buona salute economica possono vantarla pochissimi altri quotidiani, tutti di portata media e piccola. Anche i grandi, infatti, sono in difficoltà. Il deficit globale cresce a vista d'occhio: 120 miliardi nel 1977, 153 miliardi nel 1979, oltre i 200 miliardi dopo il 1980. L'allargarsi della voragine induce tutti gli editori a condividere la necessità di un intervento legislativo che, a giustificazione di una massiccia erogazione di denaro pubblico a fondo perduto e a incentivi per la ristrutturazione delle imprese e per le nuove tecnologie, preveda norme dirette a rendere trasparenti i bilanci e i finanziamenti e a porre limiti alle concentrazioni delle testate.
L'elaborazione della legge 416 del 5 agosto 1981 è lunga e accidentata. Al centro dei confronti e delle manovre dei partiti ci sono gli interessi contrastanti del maxigruppo Rizzoli che ha superato la soglia del 20% della tiratura globale dei quotidiani, considerata da un'ampia maggioranza irrinunciabile come limite antitrust, ma ha anche un forte bisogno di danaro. Viene imbastita, a quest'ultimo scopo, una manovra condivisa dagli editori e da tutti i partiti, eccetto il Partito radicale, per varare all'ultimo momento una sanatoria generale dei debiti delle imprese editrici. Una tempestiva e pubblica denuncia, nel novembre 1979, sventa questo grave tentativo.
A questo punto Rizzoli e Tassan Din si sono già imbarcati nelle ultime due imprese temerarie e costose: L'Occhio, il tabloid con il quale si vorrebbe conquistare ''i non lettori'', e il telegiornale nazionale (a mezzo cassette) intitolato Contatto e diretto da M. Costanzo. Dopo un certo successo iniziale L'Occhio crolla sotto le 100.000 copie e divora enormità di danaro, a conferma che i non lettori di quotidiani consumano altri tipi di giornali o guardano soltanto la TV. Contatto è bloccato dalla magistratura perché la diffusione di informazioni a mezzo TV in diretta per ora è circoscritta all'ambito locale. L'unica via di uscita è ancora R. Calvi il quale, questa volta, finanzia una forte ricapitalizzazione alla luce del sole per assicurarsi uno scudo protettivo. Ma ormai il banchiere è troppo compromesso. Il 20 maggio 1981 viene arrestato sotto l'accusa di esportazione illegale di capitali.
La stessa sera, il presidente del Consiglio, il democristiano A. Forlani, si decide a rendere noto l'elenco degli iscritti alla loggia massonica P2, trovato nell'archivio del fuggiasco Gelli e sul quale circolavano già varie indiscrezioni. Vi compaiono 28 giornalisti, 4 editori (uno è A. Rizzoli) e 7 dirigenti editoriali, tutti del maxigruppo e capitanati da Tassan Din. Fra i 28 giornalisti i direttori sono 7. Di questi, 4 dirigono testate Rizzoli, a cominciare da Di Bella.
L'eco è enorme. Il Corriere della Sera appare screditato e perde copie. Si calcola che l'emorragia sia stata, in tre anni, di quasi 100.000 copie. Se ne avvantaggia soprattutto la Repubblica che non ha perso occasione per denunciare i coinvolgimenti ''piduisti'' del quotidiano milanese. Scalfari comincia a considerare il Corriere un rivale che si può insidiare e forse battere; per questo allargherà alla cronaca e allo sport (con l'apporto di G. Brera) i contenuti del suo giornale.
Alcuni giornalisti noti − E. Biagi, A. Ronchey, G. Scardocchia − passano dal Corriere a la Repubblica. Il 13 giugno se ne va il direttore Di Bella. Rizzoli e Tassan Din scelgono come successore A. Cavallari, corrispondente da Parigi e neppure sfiorato dalle trame della P2.
Il Gruppo milanese resta, però, in una situazione molto critica. Le spericolate peripezie di Calvi finiscono con la sua misteriosa morte a Londra, il 18 giugno 1982. I tentativi di vendita del Gruppo fatti da Rizzoli falliscono non per mancanza di acquirenti, ma per i veti incrociati dei socialisti e dei democristiani sia contro l'accoppiata B. Visentini-C. De Benedetti sia contro G. Cabassi.
Per sfuggire al baratro vengono chiusi L'Occhio, il Corriere d'informazione, i supplementi settimanali e la rete televisiva; inoltre vengono ceduti Il Piccolo (lo compra A. Monti, editore de il Resto del Carlino e de La Nazione), l'Alto Adige e Il Lavoro e le carature di maggioranza del redditizio settimanale Sorrisi e canzoni TV. Ma non basta. Per evitare il naufragio bisogna ricorrere all'amministrazione controllata che il Tribunale di Milano accorda nell'ottobre 1982 e che dura due anni. Rizzoli e Tassan Din conoscono anche il carcere.
La chiusura dei g. senza contraccolpi di natura sociale è resa possibile dalla nuova legge per l'editoria, che prevede per i poligrafici e per i giornalisti una speciale cassa integrazione. Nello stesso tempo la chiusura e le cessioni portano la tiratura dei quotidiani del Gruppo sotto quel 20% che la legge ha fissato.
Questa legge (per cui v. anche editoria: Disciplina giuridica, in questa Appendice), così importante, è molto farraginosa perché è il frutto di tanti compromessi, e la sua applicazione è lenta e richiede altri interventi legislativi. Ciò nonostante la sua efficacia sulla condizione di molte imprese è notevole perché consente di ridurre il numero dei poligrafici (19% in meno complessivamente) e le riconversioni tecnologiche. I costi di produzione si riducono sensibilmente. In definitiva, sono quasi mille i miliardi erogati dallo stato in cinque anni.
Le novità garantistiche della legge sono le norme per la pubblicità delle proprietà e dei finanziamenti, che danno risultati positivi, quelle antitrust che, come vedremo, susciteranno forti obiezioni, e la nomina di un Garante per l'attuazione della legge, che dev'essere un ex alto magistrato, con un mandato quinquennale e con il compito di riferire due volte all'anno al Parlamento. Il primo Garante è M. Sinopoli; gli succede dal 1987 G. Santaniello.
Non tutto il merito dell'inversione di tendenza che registra la maggior parte delle aziende va attribuito alle provvidenze della legge. È anche il risultato di un risveglio dei quotidiani, che diventano più vivaci e più vari trovando nuovi lettori, e della rapida crescita degli investimenti pubblicitari, determinata soprattutto dall'intraprendenza di Berlusconi. Proprio in questo periodo − tra il 1981 e il 1984 − l'imprenditore lombardo sta costruendo il suo impero televisivo ed è anche entrato nell'editoria giornalistica con il popolarissimo settimanale Sorrisi e canzoni TV e con una partecipazione ne Il Giornale di Montanelli, che in breve tempo diventa maggioritaria. Però sono le televisioni, nazionali e locali, a fare la parte del leone assorbendo più del 50% degli investimenti pubblicitari destinati ai media.
A guidare il rialzo della diffusione sono alcuni tipi di quotidiani. In primo luogo quelli sportivi, sull'onda dell'entusiasmo suscitato dalla vittoria dei calciatori italiani ai mondiali del 1982 in Spagna. La Gazzetta dello Sport che, con i suoi titoli forti e bizzarri, anticipa l'applicazione ai quotidiani delle caratteristiche dell'informazione-spettacolo, supera il Corriere della Sera, che era il più diffuso dal 1904. La tiratura media della ''rosea'' è, nel 1984, di 725.048 copie, quella del Corriere di 613.000 copie. Terzo è il Corriere dello Sport.
Anche i maggiori quotidiani d'informazione e di opinione vanno bene. Li favorisce la possibilità tecnica di teletrasmettere le pagine e quindi di stampare in varie parti della penisola e ottenere una distribuzione più tempestiva. Il Corriere della Sera riguadagna un po' di copie, La Stampa cresce, ma il giornale che ha i maggiori incrementi è la Repubblica: dalle 222.180 copie vendute di media nel 1981 sale a 372.940 copie nel 1985.
A questi dati si possono affiancare quelli eccezionali de Il Sole-24 Ore. Il quotidiano economico milanese non è più uno strumento di lavoro per pochi operatori e d'intervento per la Confindustria, che ne è proprietaria, ma un foglio d'informazione e di opinione ricco di servizi e di collaborazioni, sul modello del londinese The Financial Times, tanto più che la domanda di notizie finanziarie ed economiche si è ampliata notevolmente. Le 90.371 copie vendute in media nel 1976 da Il Sole-24 Ore sono diventate 170.624 nel 1984.
Molti quotidiani e i newsmagazines - Panorama e L'Espresso - aumentano lo spazio dedicato all'economia e alla finanza. Il Corriere della Sera e la Repubblica escono con un supplemento settimanale specializzato in questo settore. E l'Unità, di fronte all'evidenza, deve decidersi a pubblicare il listino di Borsa.
Un terzo fattore di sviluppo viene dal settore dei quotidiani locali, nel quale emergono due catene impostate, tecnicamente, sui sistemi più avanzati e, politicamente, su criteri di apertura alle diverse realtà sociali emerse nel paese. La prima catena era stata iniziata nel 1977 da C. Caracciolo, principale azionista dell'Editoriale l'Espresso, ed è cresciuta con la regia del giornalista M. Lenzi. Alla metà degli anni Ottanta i tabloid della catena sono 7; alcuni escono in centri che non avevano un quotidiano, come Padova e Pescara. Un'unica redazione romana fornisce i servizi nazionali, ma il nerbo di questi agili giornali è costituito dall'alto numero di pagine dedicate alle città e alle province delle rispettive testate.
In maniera analoga è strutturata la catena delle Gazzette create dalla Mondadori nel 1981. Le testate sono 4 e la capofila è una delle più antiche, La Gazzetta di Mantova.
Accanto a questi fattori positivi ce ne sono anche di negativi. Alcune testate scompaiono − le più note sono la Gazzetta del Popolo di Torino e il Roma di Napoli, rispettivamente fondate nel 1848 e nel 1862 − altre continuano ad accumulare passivi rilevanti, come Il Tempo, Il Giorno, Paese Sera e gli organi di partito, compresa l'Unità. In complesso, tuttavia, si può parlare fin dal 1984 di un'inversione di tendenza nell'editoria dei quotidiani. Su 62 imprese che editano 72 testate, 36 chiudono i bilanci in attivo e 26 in perdita. Se si considera qual era la situazione di partenza e l'accaparramento pubblicitario operato dalle televisioni, si tratta di un buon risultato.
Il campo dei settimanali non è più rigoglioso come un tempo anche per la concorrenza che proviene loro dai quotidiani, sempre più arricchiti di inserti, supplementi e pagine speciali. Le testate più forti e agguerrite continuano tuttavia a dare utili cospicui. In molti si è accentuata la tendenza alla commercializzazione, anche attraverso intrecci con la pubblicità, che insidiano e in certi casi stravolgono il ruolo dei giornalisti.
Nei newsmagazines la gara fra L'Espresso (diretto da L. Zanetti, poi da G. Valentini e, dal giugno 1991, da C. Rinaldi) e Panorama (diretto da C. Rognoni, poi da C. Rinaldi e da A. Monti) vede in testa quest'ultimo. Nel gruppo dei settimanali ''familiari'' il più diffuso è Famiglia cristiana, seguito da Oggi e Gente. La maggiore novità è rappresentata dal lancio di vari mensili destinati a pubblici con interessi particolari. Oltre a quelli sul divismo della finanza (prima Capital e più tardi Class) i più noti riguardano la natura, i viaggi, la casa, il giardinaggio, la fotografia, la gastronomia. Un caso di rilievo è Airone (G. Mondadori Associati), un mensile dedicato alla natura e all'ecologia, che nel 1985 ha avuto una diffusione media di 246.998 copie.
Nel 1984, per il Gruppo Rizzoli-Corriere della Sera arriva la svolta. L'amministrazione controllata ha recato un po' di sollievo ai dipendenti, reduci da tante illusioni, ma non ha frenato le manovre per conquistare i pezzi migliori del Gruppo. S'intrecciano molte voci su questa o quella ''cordata'' di salvataggio e sulle sponsorizzazioni politiche, socialista oppure democristiana. Alla fine di settembre, quando è scaduto il mandato di Cavallari al Corriere della Sera, sostituito da P. Ostellino, la ''cordata vincente'' risulta quella formata da Fiat, Pirelli, Mediobanca, Montedison e da un gruppetto di imprenditori di area cattolica. In definitiva, è la finanziaria Gemina, nella quale la Fiat è magna pars, a detenere la maggioranza relativa del Gruppo che d'ora in avanti si chiama RCS-Editore S.p.A.
Le grandi concentrazioni (1984-89). − Così facendo, G. Agnelli e la Fiat, oltre che essere tornati ad avere una posizione di grande rilevanza nella carta stampata, hanno acquisito il merito di aver salvato dal fallimento il quotidiano più famoso della storia d'Italia. Ma, tenendo conto della presenza nella ''cordata'' della Montedison, proprietaria de Il Messaggero, si può anche affermare che si è formata in tal modo una catena di quotidiani forti che va da Torino a Napoli passando per Milano e Roma. A tal riguardo, tuttavia, il primo ricorso per violazione delle norme antitrust della recente legge per l'editoria è respinto dal Tribunale civile.
Sempre nel 1984, Berlusconi diventa il padrone di tutte le reti TV private nazionali. Infatti, dopo aver acquistato Italia 1 dall'editore E. Rusconi, rileva Retequattro che sta compromettendo seriamente le finanze della Mondadori. Questo fatto si riflette sulla stessa situazione dell'editoria giornalistica. La disavventura di Retequattro, infatti, è all'origine dell'ingresso nella Mondadori di C. De Benedetti − già divenuto socio dell'Editoriale L'Espresso − e di Berlusconi stesso. La duplice presenza dà a De Benedetti una posizione di tutto rispetto nella società editrice de la Repubblica.
A metà del decennio il trend positivo nella diffusione dei quotidiani continua a un ritmo che arriva al 5% annuo. Nel 1985 la vendita media supera il tetto dei 6 milioni di copie che pareva invalicabile.
Le novità che fanno più colpo sono il rapido risanamento finanziario del Gruppo RCS e l'ascesa de la Repubblica. Nel 1986 l'attivo del Gruppo RCS passa da 29 a 55 miliardi. Dal dicembre dell'anno precedente − dopo aver ceduto la gestione de Il Mattino per non coabitare con la società di un partito − la finanziaria Gemina ha acquisito la maggioranza assoluta della RCS Editore. Ma, in tal modo, sommando alla tiratura dei quotidiani del Gruppo anche quella de La Stampa e di Stampa sera, il limite del 20% è superato. Questa volta il ricorso per violazione delle norme antitrust è presentato anche dal Garante della legge per l'editoria, in base alle specificazioni contenute nella nuova legge (entrata in vigore il 10 marzo 1987); la questione viene sottoposta al vaglio della Corte costituzionale e, alla fine, il Gruppo RCS la spunta perché le nuove norme non possono avere effetti retroattivi.
Per il Corriere della Sera le minacce più consistenti ora vengono da la Repubblica, la cui diffusione è in continua crescita nel 1986, alimentata com'è dai supplementi in rotocalco gratuiti per il decennale del g. e dal corposo inserto del venerdì Affari & Finanza, che è diretto da G. Turani e sul quale scrive sovente lo stesso Scalfari.
La diffusione del Corriere della Sera, che sta attraversando una fase d'immobilismo editoriale, è stagnante: non supera il mezzo milione di copie. In questo contesto avviene il sorpasso. Lo annuncia Scalfari nel dicembre 1986, fornendo queste cifre (relative a novembre): 515.000 copie la Repubblica, 487.000 copie il Corriere della Sera, 405.000 La Stampa.
Il successo de la Repubblica appare il frutto di intuizioni e di prove di talento sia giornalistiche sia imprenditoriali delle quali è capace, in primo luogo, lo stesso Scalfari. L'intuizione basilare resta quella iniziale: a metà degli anni Settanta si è formato un mercato di lettura che riflette i mutamenti sociali e di mentalità che si stanno affermando e, quindi, c'era concretamente posto per un quotidiano d'informazione e di opinione orientato a sinistra e impostato diversamente da quelli tradizionali e a costi ridotti.
Il segnale palese e immediato della validità di questa intuizione è l'accettazione da parte di altre testate del formato tabloid che era estraneo alle abitudini italiane ed era stato rifiutato in precedenti occasioni. A oltre 15 anni dall'uscita de la Repubblica, circa un terzo delle testate esce in questa veste; e altri quotidiani − prima Il Giornale e il manifesto, successivamente La Stampa - hanno ridotto parzialmente il formato. La Stampa, diretta da G. Scardocchia, adotta la struttura a fascicoli separati che, però, non incontra il favore del pubblico. Scardocchia lascia la direzione che è affidata a P. Mieli, affiancato da E. Mauro come condirettore.
Tornando al caso la Repubblica, il formato tabloid si è rivelato adatto alla miscela dei contenuti e a una titolazione molto vivace che però spesso induce a forzature. Quanto poi alle diverse scelte politiche compiute da Scalfari, evidentemente hanno sconcertato soltanto una minoranza di lettori. La maggioranza non le ha sentite come un motivo di rottura oppure le considera un aspetto legato al ruolo attivo che Scalfari cerca di svolgere nel gioco politico attraverso il giornale. Infine, l'allargamento dei contenuti iniziali del g. − politica, economia e cultura − alla cronaca nazionale e locale, allo sport e ad argomenti vari con i supplementi e gli inserti, è stata la via per trasformare la Repubblica da quotidiano minoritario, o di seconda lettura, in maggioritario.
Da questa sommaria diagnosi sulle fortune del foglio di Scalfari non va disgiunta la gravissima crisi attraversata dal Corriere della Sera, seguita da quella fase d'immobilismo che ha favorito il concorrente.
La crescita della diffusione, infine, è legata a una novità sorprendente, se si pensa a quella che è stata l'immagine dei quotidiani nella tradizione italiana: i giochi a premio. Questi tipi di giochi erano stati usati all'inizio del 20° secolo ma soltanto per le campagne di abbonamento, e non erano mai stati offerti quotidianamente ai lettori, a differenza di quanto facevano e fanno i settimanali.
Cominciano alcuni quotidiani piccoli e medi con il Bingo, una specie di tombola che furoreggia da anni negli Stati Uniti. Gli esiti sono positivi. Nel gennaio 1987, invece, è un grande giornale, la Repubblica, che balza nel campo giochi. Lo fa con Portfolio, un gioco inventato in Inghilterra, basato sulla combinazione di quotazioni borsistiche e dotato di ricchi premi. Ad arricciare il naso di fronte a questa novità, oltre ai giornalisti, sono alcuni lettori, ma non molti. Infatti, come era accaduto anche al celebrato The Times di Londra, il successo de la Repubblica è enorme: in tre mesi guadagna sulle 180.000 copie arrivando così a una diffusione media di circa 690.000 copie giornaliere. Reagisce il Corriere della Sera. La prima mossa è il cambio del direttore. Per dare lustro al vecchio blasone viene scelto, come successore di P. Ostellino, uno dei più bravi e dei più vecchi corrieristi, U. Stille, corrispondente dagli Stati Uniti fin dall'immediato dopoguerra. Ma il rinnovamento del giornale e la ricerca di buone ''firme'' si rivelano operazioni lente. Inoltre, le complicazioni della situazione politica italiana inducono il nuovo direttore alla cautela e a scelte sostanzialmente filo-governative.
La sveglia arriva con alcune decisioni di marketing. La prima è di lanciare un magazine a colori da vendere con il numero del sabato a prezzo lievemente aumentato. È la scelta che da alcuni anni pratica con successo il parigino Le Figaro. In Italia un'iniziativa simile l'ha presa, poco prima del Corriere, il gruppo editoriale Monti, ma con un supplemento mensile. Il primo numero di ''7'', del Corriere, esce il 12 settembre 1987 ed è di 122 pagine. La tiratura è di 912.700 copie. Le vendite vanno bene. Ma quel che più conta all'interno del Gruppo RCS è di aver preceduto, una volta tanto, l'insidioso rivale.
La Repubblica risponde con Il Venerdì, che esce il 16 ottobre. Vendita dichiarata del ''pacco'' (costituito dal giornale, dal magazine e dal supplemento Affari & Finanza, per la somma di 1200 lire), 1.030.000 copie. Il foglio di Scalfari conserva la posizione di testa.
Questa concorrenza a colpi di rotocalco produce qualche risultato nella raccolta pubblicitaria oltre che nelle vendite. Ma è molto costosa. Tanto è vero che, anni dopo, i conti di questi sgargianti supplementi sono ancora in rosso.
Per prendersi la rivincita anche il Corriere della Sera deve saltare nel campo giochi. Il 14 gennaio 1989 viene lanciato Replay, che ogni giorno premia, con 10 milioni complessivi, 4 biglietti non vincenti delle più recenti Lotterie nazionali. Il successo è fulmineo e di proporzioni eccezionali. In molti centri le vendite risultano persino triplicate. Per varie settimane si mantengono su una media di poco superiore al milione di copie. Il Corriere è di nuovo in testa.
L'effetto ''Replay'' logicamente scema col tempo: tuttavia la media della tiratura dichiarata del Corriere nel corso dell'estate 1989 supera le 800.000 copie. Ma la Repubblica ha ripreso a salire senza nuovi incentivi speciali e, nello stesso periodo, denuncia anch'essa una tiratura superiore alle 800.000 copie.
Frattanto, nell'editoria giornalistica è entrato un comprimario che dispone di una considerevole forza finanziaria e industriale: è R. Gardini, che guida il gruppo Ferruzzi di Ravenna. Conquistando, alla fine del 1987, il controllo della Montedison, Gardini eredita da M. Schimberni la proprietà de Il Messaggero, che è il quotidiano più diffuso a Roma e nell'Italia centrale, e il 21,5% del Corriere della Sera e delle altre testate del Gruppo RCS. Inoltre la Ferruzzi è già presente nel gruppo Monti (il Resto del Carlino, La Nazione, Il Piccolo, Il Telegrafo e il Corriere di Pordenone) e, sia pure in misura limitata, anche nel gruppo Espresso.
Nel luglio 1988 Gardini compie un altro passo, questa volta molto discusso, ma di scarso peso diffusionale: compra l'80% di Italia Oggi, che è un nuovo quotidiano economico-finanziario. Lo aveva lanciato in grande l'IPSOA il 19 novembre 1986 − un tabloid composto di 4 fascicoli − con l'obiettivo d'insidiare il dominio del quotidiano della Confindustria, Il Sole-24 Ore.
La risposta del pubblico è modesta e tale resta nonostante i rilanci. D'altra parte il quotidiano della Confindustria, arricchito dall'edizione del lunedì e da una fortunata collana di libri, sembra aver colmato il mercato, perché tra vendite e abbonamenti supera le 230.000 copie giornaliere.
Più commisurato alle effettive potenzialità della richiesta specializzata appare il settimanale del sabato Milano Finanza, che, creato dal giornalista P. Panerai nel novembre 1986, viene integrato, dall'aprile 1989, da MF (Mercati Finanziari), un tabloid di bassa foliazione che esce dal martedì al venerdì. Nel gruppo di Panerai finisce anche Italia Oggi dopo l'uscita di Gardini dalla Ferruzzi-Montedison.
Nel campo delle iniziative minori sono da ricordare inoltre tre catene di quotidiani locali che fanno capo agli imprenditori E. Longarini, E. Buontempo e G. Ciarrapico. Ma le vendite di questi fogli restano molto basse.
Con l'impiego su vasta scala del computer e i primi sviluppi della telematica (l'incrocio fra le telecomunicazioni e l'informatica) è cresciuto anche il ruolo delle agenzie di stampa, che ora sono in grado di trasmettere direttamente all'ordinatore delle testate abbonate i rispettivi notiziari. Le agenzie a diffusione nazionale, riconosciute in base alla legge per l'editoria del 1987, sono 4: l'ANSA, cooperativa fra gli editori, l'AGI (Agenzia Giornalistica Italia) di proprietà dell'Eni, l'ADN KRONOS e l'ASCA. La più importante e diffusa è l'ANSA, che da alcuni anni mette a disposizione dei clienti anche un proprio archivio elettronico di notizie.
Chiude il panorama di questi anni la costituzione del secondo grande gruppo annunciata il 10 aprile 1989 e avvenuta con l'incorporazione dell'Editoriale L'Espresso nella A. Mondadori Editore.
C. De Benedetti aveva lanciato l'idea nel 1986, ma M. Formenton, presidente della Mondadori, l'aveva considerata prematura. La sua improvvisa scomparsa, il 29 marzo 1987, mette a repentaglio l'accordo tra i diversi eredi di A. Mondadori, che finisce per spezzarsi pochi mesi dopo. Da una parte i Formenton, alleati di De Benedetti, il quale nel frattempo ha accresciuto la propria partecipazione azionaria; dall'altra Mimma Mondadori e suo figlio Leonardo, alleati di Berlusconi. I primi hanno la maggioranza della società finanziaria, la AMEF, che controlla la Mondadori.
La proposta di unire il gruppo milanese e quello romano torna in discussione nel 1988. Dopo varie tergiversazioni e riserve espresse anche pubblicamente, i due principali azionisti dell'Editoriale L'Espresso, Caracciolo e Scalfari, accettano la richiesta di De Benedetti. "Non siamo più abbastanza piccoli e non siamo abbastanza grandi", replica il fondatore de la Repubblica a coloro che esprimono stupore e contrarietà per la decisione di vendere.
Il primo segnale dell'operazione è l'accordo per fondere in un'unica società i quotidiani locali dei due gruppi: in tutto sono 12 testate. Poi, il 10 aprile 1989, l'annuncio che la Mondadori ha acquistato l'altro 50% de la Repubblica e dei quotidiani locali, il settimanale L'Espresso e le altre pubblicazioni minori. C. Caracciolo è il nuovo presidente della Mondadori, vice presidente è L. Formenton, amministratore delegato è confermato E. Fossati. È previsto che anche Scalfari entri nel Consiglio di amministrazione.
Così, nel 1984 e nel 1989, si sono formati i due grandi gruppi italiani della carta stampata. Mettendo a confronto le vendite di g. di ciascun gruppo, il quadro, a metà del 1989, è il seguente: Mondadori, quotidiani 1.032.600 copie; settimanali 2.713.960 copie; mensili 1.419.900 copie. RCS Editori: quotidiani 1.213.000 copie (a parte La Stampa e Stampa Sera); settimanali 2.317.650 copie; mensili 1.503.900 copie.
La competizione tra i grandi gruppi si estende anche al di là delle frontiere. Berlusconi partecipa da tempo a una rete televisiva francese e ha compiuto analoghi passi in Spagna, mentre RCS ha stipulato un accordo con l'editore francese Hachette.
Due eventi scuotono il mondo dei media fra il 1° dicembre 1989 e l'estate 1990: il cambio di alleanze nell'azionariato del Gruppo Mondadori e il laborioso varo della legge sul sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che si attendeva ormai da 14 anni.
La contesa fra il nuovo schieramento, formato da Berlusconi e le famiglie Formenton e Mondadori, e la Cir di De Benedetti è molto aspra. Nella posta in gioco, infatti, c'è il controllo de la Repubblica e dei settimanali L'Espresso e Panorama, vale a dire le voci più forti di opposizione al governo.
Le prime pronunce dei magistrati sono favorevoli alla nuova alleanza e Berlusconi in persona assume la presidenza della Mondadori. Però, dopo breve tempo, deve lasciarla, per alcune sentenze favorevoli a De Benedetti. Agli inizi del 1991 avviene un nuovo cambiamento e si riaccende la polemica di Scalfari contro Berlusconi. Dopo una nuova ondata di aspre polemiche prevale l'opportunità della spartizione del maxigruppo, patrocinata dal presidente del Consiglio G. Andreotti. È, infatti, un suo messo − l'imprenditore G. Ciarrapico − che il 30 aprile 1991 riesce a mettere d'accordo i due contendenti. A Berlusconi va la vecchia Mondadori, di cui diventa l'indiscusso proprietario; a De Benedetti restano la Repubblica, L'Espresso e la catena dei quotidiani locali. Berlusconi esce molto rafforzato come imprenditore dell'informazione e dell'intrattenimento; De Benedetti, Scalfari e Rinaldi (nuovo direttore de L'Espresso con G. Pansa condirettore) possono gestire il ruolo di critici del governo.
L'affare Mondadori si è intrecciato per alcuni mesi con il dibattito parlamentare sulla legge Mammì (dal nome del ministro delle Poste e Telecomunicazioni), approvata dopo diverse votazioni di fiducia, chieste dal Psi, e un rimpasto governativo per le sopravvenute dimissioni dei ministri appartenenti alla sinistra della DC.
La l. 6 agosto 1990 n. 223 sancisce l'esistenza del duopolio televisivo − tre reti Rai e tre reti Berlusconi − e pone limiti alle concentrazioni di TV e quotidiani (non dei periodici). Così Berlusconi dovrà rinunciare a Il Giornale. In compenso, oltre al riconoscimento giuridico delle sue tre reti televisive nazionali, può aprire, primo in Italia, la via della televisione a pagamento.
A partire dalla fine del 1989, l'editoria giornalistica entra in quella fase di difficoltà alla quale abbiamo accennato: forte calo (dal 6 all'8%) degli introiti pubblicitari all'inizio del 1992 e ristagno delle vendite per varie testate. Nel corso di una recessione economica le imprese concentrano gli investimenti sulla TV pubblica e su quelle private che da tempo fanno una concorrenza spregiudicata ai giornali. È, invece, soprattutto di origine politica, legata agli sconvolgimenti dei sistemi comunisti, la crisi che colpisce la stampa dell'ex PCI. L'Unità è in calo, il settimanale Rinascita è stato chiuso. Dai traumi del ''popolo comunista'' trae un po' di vantaggi diffusionali il manifesto, diretto dal 22 novembre 1991 da L. Pintor.
Tra i quotidiani d'informazione va citata, infine, la crisi di formula e di direzione che si è manifestata già a febbraio 1992 nel nuovo quotidiano milanese L'Indipendente, uscito a metà novembre 1991 con l'intento di essere un foglio autonomo, pacato, senza concessioni al sensazionalismo, e attualmente diretto da V. Feltri. Nel settembre 1992, inoltre, P. Mieli è passato dalla direzione de La Stampa a quella del Corriere della Sera, succedendo a U. Stille, mentre alla direzione del quotidiano torinese è subentrato il già vicedirettore E. Mauro.
In testa alla graduatoria delle vendite dei quotidiani restano il Corriere della Sera e la Repubblica, che si contendono il primato, mentre al terzo posto si trova La Stampa.
Giornalismo oggi. - Le vicende e le tendenze che abbiamo ricordato hanno avuto conseguenze sul giornalismo e sui giornalisti, come categoria e individualmente.
In primo luogo, lo sviluppo della stampa, della TV e della radio ha determinato una forte crescita del numero dei giornalisti. Le redazioni dei maggiori quotidiani contano ormai tra i 200 e i 250 membri, mentre alla Rai lavorano più di 1300 giornalisti. Gli iscritti all'elenco dei professionisti dell'Ordine (istituito con legge del 1963; prevede l'obbligatorietà dell'iscrizione per esercitare la professione, unico caso della Comunità Europea) sono più di diecimila.
Ma la liberalizzazione, sia pure parziale, delle trasmissioni TV ha determinato la formazione di una schiera nutrita di persone che esercitano di fatto la professione giornalistica senza tuttavia poter ottenere il riconoscimento ufficiale sia perché in certi casi la legge lo vieta, sia perché le piccole imprese sovente non possono assumere gli impegni imposti dal legame tra le norme dell'Ordine e il contratto nazionale di lavoro giornalistico. Quanti siano questi giornalisti non contrattualizzati non si sa di preciso. Sono però qualche migliaio.
In secondo luogo, l'impiego dei computer nelle redazioni e di altre straordinarie innovazioni tecniche (fino alla videoimpaginazione) hanno radicalmente mutato il modo di lavorare del giornalista e l'organizzazione del lavoro collettivo, con problemi delicati e non facili da risolvere in breve tempo.
A queste conseguenze vanno aggiunte le influenze che la tendenza alle concentrazioni, i cambiamenti di proprietà e la concorrenza tra i media stampati e quelli elettronici hanno sul giornalismo. Gli aspetti preminenti e quelli sui quali oggi si discute di più sono l'informazione-spettacolo, i condizionamenti dei media e la professionalità e la correttezza dei giornalisti. Le spinte a conferire all'informazione caratteristiche sempre più spettacolari si manifestano soprattutto nelle trasmissioni televisive. Ma i casi più clamorosi degli ultimi anni sono apparsi spesso discutibili e talvolta sconcertanti sotto il profilo degli effetti, dello stile e della violazione di diritti basilari come la privacy. Nella carta stampata la spettacolarità si manifesta con la costruzione di un evento o di un caso e, più spesso, con l'impiego delle immagini e la titolazione.
Tra i condizionamenti, i più significativi sono quelli derivanti dalle proprietà dei media e dal peso della pubblicità nei bilanci delle imprese, di cui abbiamo già parlato.
La presenza, più marcata di una volta, di esponenti di primo piano del mondo industriale e di quello finanziario nelle proprietà dei mass media ha fatto aumentare i casi in cui il giornalista s'imbatte in uno dei tanti interessi di diversa natura del proprio editore. In casi del genere quasi sempre scatta nel giornalista l'autocensura, che è più diffusa di quanto si creda in una fase politica ed economica come quella che attraversa il nostro paese all'inizio del decennio Novanta e che rappresenta un'inversione di tendenza rispetto alle invadenze di natura ideologica del periodo precedente. Nel servizio pubblico radiotelevisivo, invece, i condizionamenti estesi e determinanti sono quelli che derivano dalla lottizzazione partitica.
Gli antidoti migliori appaiono il rafforzamento concreto del diritto di tutti i cittadini a un'informazione completa e corretta, come recita la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, votata nel 1948 dalle Nazioni Unite, e il riconoscimento del grado di autonomia che devono avere i media e i giornalisti nelle società libere. Ma se è facile ripetere i richiami a questi e ad altri principi, molto difficile è tradurli in pratica in una misura soddisfacente, soprattutto ora che i media sono diventati uno dei terreni privilegiati degli scontri per il potere politico e per quello economico. E non soltanto in Italia.
Infine, il problema importante e permanente che ciascun giornalista, i giovani in particolare, ha di fronte è quello della competenza professionale, all'altezza dei compiti sempre più complessi che il mestiere impone, e dell'onestà. L'amaro pamphlet pubblicato da G. Pansa nel 1986, Carte false, è una requisitoria dura e talvolta veemente; ma mette a nudo o indica piaghe e difetti del giornalismo di casa nostra, dalla corruzione all'incompetenza. Che tra i giornalisti stessi si avverta la necessità di discutere sull'etica dell'informazione e sulla deontologia, lo si può dedurre da una recente e nutrita raccolta di opinioni promossa dall'Ordine dei giornalisti e pubblicata sotto il titolo Il dover essere del giornalista oggi (1989).
Un'iniziativa particolare è quella presa dalla redazione del quotidiano economico e finanziario Il Sole-24 Ore con l'approvazione all'unanimità di un codice di autodisciplina (5 marzo 1987), che tuttavia non prevede sanzioni.
In quanto al problema della preparazione e dell'aggiornamento culturale, si sta facendo strada, anche all'interno delle strutture corporative della categoria, la convinzione che occorra cambiare l'accesso alla professione e istituire scuole di giornalismo. Tanto più da quando lo scandalo dei candidati raccomandati, ai primi di novembre 1991, ha provocato critiche severe all'Ordine professionale obbligatorio. Il talento è indispensabile per riuscire, ma una buona parte del mestiere si può imparare con lo studio. Insomma, sta tramontando quel seducente detto ''giornalisti si nasce'', che ha imperato per anni. Nel frattempo il ministero della Pubblica Istruzione ha dato il via ai primi corsi di laurea in scienze della comunicazione.
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