Giornali
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Il futuro dei giornali
di Paolo Serventi Longhi
15 gennaio
Secondo i dati presentati dalla FIEG (Federazione italiana editori giornali) nella relazione La stampa in Italia (2000-2003) nel 2002 i quotidiani hanno registrato una riduzione dell'8,4% dei ricavi pubblicitari e del 4,1% del numero di copie vendute. Sebbene le promozioni e l'aumento del prezzo di vendita abbiano consentito di far fronte a tale congiuntura e il calo delle vendite sembri essersi arrestato nel 2003, la situazione in cui versa la stampa periodica rimane critica, ponendosi l'Italia agli ultimi posti in Europa in quanto a diffusione di giornali.
Analisi dei dati
I giornali hanno un futuro, chiaro e riconoscibile, anche in Italia e nonostante gli effetti della crisi economica mondiale. Nell'era delle reti interconnesse, del digitale, dei satelliti, un'affermazione simile, così categorica, può apparire azzardata, oppure indimostrabile.
Certo, gli esperti di marketing delle principali aziende editoriali sono sempre più preoccupati di fronte alle caratteristiche ben definite dell'acquirente tipo di quotidiani indicate dai risultati delle ricerche di mercato: maschio, 40-50 anni, istruzione di livello medio-superiore, reddito non inferiore ai 2000-3000 euro al mese.
Se la personalità politica che oggi in Italia detiene il maggiore livello di potere istituzionale, economico e mediatico ritiene che il giornale sia uno strumento di informazione in decadenza, che non può produrre reddito e profitti, allora vuol dire che i pregiudizi sulla materia sono davvero radicati. È quindi utile fare chiarezza, utilizzando dati e analisi certificati, su una materia difficile e delicata, sapendo che le tendenze possono divergere da paese a paese, da continente a continente, in un mercato globale condizionato dalla lingua, dallo sviluppo economico e culturale, dalle abitudini dei cittadini.
Una prima analisi della situazione internazionale dell'editoria quotidiana, con riferimento al numero delle copie diffuse, vede l'Italia in una posizione di netta arretratezza nei confronti dei paesi più industrializzati ed evoluti. L'Italia, con 101 copie vendute ogni 1000 abitanti, si colloca decisamente indietro rispetto al resto dell'Europa occidentale e settentrionale. Se si pensa che, per es., in Svezia nel 2002 il rapporto è stato di 412 copie su 1000 abitanti, in Gran Bretagna di 317, in Germania di 289, in Francia di 134 e in Spagna di 107, e anche che molte nazioni entrate nell'Unione Europea nel maggio del 2004, come l'Estonia, la Slovenia, la Lettonia, la Repubblica Ceca e l'Ungheria si attestano tra le 160 e le 200 copie vendute, si comprende quanto sia sconfortante la situazione nel nostro paese.
Sempre a proposito della situazione internazionale, occorre rilevare una generalizzata tendenza al ribasso nel numero delle copie diffuse. Tra il 2001 e il 2002, solo la Gran Bretagna tra i grandi paesi occidentali ha registrato un aumento di 17 unità ogni 1000 abitanti. In Svizzera, Germania, Danimarca, Olanda, Ungheria e, soprattutto, in Francia il trend è negativo. Il mercato negli Stati Uniti negli ultimi dieci anni mostra un andamento oscillante, con una tendenza al calo dei grandi quotidiani diffusi negli Stati guida (New York, Washington, Illinois, California) e un corrispondente, lieve, aumento registrato mediamente dai quotidiani delle piccole città e degli Stati di confine. L'evoluzione della situazione USA è interessante perché negli ultimi trent'anni ha anticipato l'andamento in Europa e nel resto del mondo. Inoltre, gli Stati Uniti sono stati il paese in cui si è diffusa prima la televisione digitale, satellitare, terrestre oppure via cavo, e dove la diffusione dei computer, e quindi dell'informazione in rete via Internet, è stata più ampia e rapida. L'evoluzione della vendita dei quotidiani negli Stati Uniti ha visto tra il 2001 e il 2002 una riduzione media di una copia ogni 1000 abitanti (da 198 a 197), con un mercato che rimane quindi sostanzialmente stabile.
L'influenza di vari fattori
Le diverse abitudini di vita, le risorse economiche disponibili, il costo sono tutti elementi che incidono fortemente sull'acquisto dei giornali.
Appaiono significativi i dati a livello mondiale relativi alle percentuali di diffusione dei quotidiani in abbonamento. La consegna della copia del giornale con il sistema del porta a porta rappresenta un importante strumento diffusionale. Se si pensa che in Giappone ben 94 copie di quotidiano su 100 sono vendute in abbonamento, negli Stati Uniti 81 su 100, in Colombia e in Germania 64 su 100 e che in Italia il numero è solo 9 su 100, si può rilevare come da noi tale forma capillare di distribuzione sia totalmente marginale. Analogamente in Spagna, Portogallo e Grecia la vendita dei quotidiani, e anche dei news magazines o di altri periodici, avviene sostanzialmente nelle edicole o comunque al di fuori del porta a porta. Il sistema adottato nei singoli paesi è conseguenza anche di un diverso approccio culturale: il giornale è un'abitudine del mattino, che precede l'inizio dell'attività lavorativa in Giappone, negli USA e nel Nord Europa, mentre nel Sud Europa prevale una lettura meno affrettata, riflessiva, che fa discutere, ma anche meno estesa.
Sul problema della distribuzione insistono da molto tempo gli editori europei, ma anche i giornalisti e tutti coloro che sostengono la carta stampata. L'ENPA (European newspapers publishers association) ha più volte sollecitato le istituzioni europee, la commissione di Bruxelles, il Parlamento di Strasburgo ad adottare risoluzioni che consentano sgravi fiscali e servizi a basso costo per la diffusione capillare dei giornali. In Italia il decreto legislativo sperimentale che autorizzava il commercio in punti di vendita alternativi accanto al sistema delle edicole non ha prodotto risultati apprezzabili. In assenza di dati ufficiali, non resta che prendere per buone le osservazioni della FIEG, che afferma la necessità di proseguire ed estendere la sperimentazione, ma ammette che finora il tentativo di allargare la distribuzione non ha dato gli esiti auspicati. Supermercati, tabaccherie, bar, stazioni di servizio non hanno creduto nella vendita dei giornali oppure hanno avuto timore dei gravami burocratici e dei costi. Insomma, per il sistema del commercio al minuto la vendita dei giornali non è stato un business, ma anzi un onere rifiutato o mal sopportato. C'è anche da chiedersi quanto gli stessi editori italiani abbiano creduto nella sperimentazione da loro richiesta al sistema politico. Per alcuni si è trattato di un costo aggiuntivo nella distribuzione e di un aumento delle cosiddette rese che le edicole controllano meglio. D'altra parte anche il sistema delle edicole ha compreso tardi la necessità di arricchire l'offerta commerciale e di razionalizzare la vendita. Tale insieme di circostanze ha oggettivamente determinato un blocco dell'allargamento delle vendite, che sembrerebbe potersi risolvere soprattutto favorendo il porta a porta e gli abbonamenti, oltre che sostenendo e rafforzando la tradizionale distribuzione nelle edicole, ben accetta agli italiani.
In Italia alla riduzione del numero di copie vendute si collegano, determinando oscillazioni e tendenze non positive, la situazione economica generale e gli indici relativi all'andamento del costo della vita, accanto alla sostanziale stagnazione dei livelli di sviluppo demografico. D'altra parte in tutto il mondo la congiuntura sfavorevole della fine degli anni Novanta e dell'inizio del nuovo millennio, conseguente anche alla contrazione dei consumi seguita agli attentati dell'11 settembre 2001, ha influito negativamente su tutto il sistema della produzione e della commercializzazione dell'editoria. Paradossalmente nel periodo in cui più forte è stata l'esigenza di tenersi al corrente, e in particolare di approfondire e comprendere quanto accadeva nel mondo, anche per le ricadute sulla propria vita quotidiana, si è avuta la maggiore crisi nella diffusione della carta stampata.
Certamente una delle ragioni principali sta nel fatto che la 'fame' di notizie è soddisfatta da strumenti poco costosi e fruibili in tempo reale da milioni di cittadini. Alla televisione, che continua a essere lo strumento principale di informazione, e alla radio, rilanciata dal consumo musicale che ne fanno i giovani, si somma oggi il grande serbatoio costituito dalla rete globale Internet, con centinaia di motori di ricerca e milioni di siti consultabili. A ciò si aggiunge la possibilità di utilizzare anche a fine di informazione la telefonia mobile. Insomma a livello mondiale, e italiano in particolare, la televisione, la radio, il personal computer, i cellulari sono strumenti irrinunciabili. L'incidenza del loro utilizzo sulla contrazione del consumo della carta stampata è determinata prevalentemente dalla facilità di disporre di un'informazione ridotta in pillole, immediata e poco approfondita, anche se spesso realizzata con approssimazione e con contenuti di bassa qualità.
In un'era nella quale il prodotto culturale comunque si espande, in una realtà mondiale nella quale libri, teatro, cinema vivono un grande rilancio, i giornali segnano il passo. Rappresentano un costo individuale quotidiano a cui si ritiene si possa rinunciare di fronte all'aumento del costo della vita e al lievitare dei prezzi. Le analisi collegano le oscillazioni nella vendita dei giornali ai periodi di incertezza economica, con la conseguenza che alla crescita culturale delle popolazioni non corrisponde un aumento del numero dei lettori dei giornali.
Nell'Occidente industrializzato, e quindi anche in Italia, gli indicatori economici (andamento del PIL reale e nominale, riduzione del tasso di inflazione e disoccupazione, riduzione dell'indebitamento globale e ripresa dell'andamento dell'avanzo primario in percentuale sul PIL) prospettano una ripresa possibile, che il sistema della carta stampata può e deve sfruttare positivamente, al contrario di quanto finora è avvenuto. Tra il 1995 e il 2002 in Europa occidentale la spesa per le comunicazioni è più che raddoppiata, quella per TV e computer è aumentata del 90%, quella per le vacanze organizzate del 40% (con una lieve riduzione negli ultimi tre anni) e quella dell'istruzione del 10%. La spesa per i giornali, in Italia, nel 1995 corrispondeva a 11.712 milioni di euro, nel 2002 si è attestata sulla cifra di 11.891 milioni di euro: considerando che in quest'ultimo dato è compresa la vendita di libri, complessivamente essa appare, sia pure di poco, diminuita.
La peculiarità italiana
Abbandonando l'analisi della situazione globale, soffermiamoci ora sulla peculiarità italiana, per molti versi distante e talora contrastante con gli andamenti nel resto del mondo e in Europa. Dati significativi per un esame oggettivo del sistema dell'informazione, e dei giornali in particolare, possono essere ricavati dalla relazione annuale sull'attività svolta e sui programmi di lavoro dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e nella relazione della FIEG.
Negli ultimi dieci anni, dal 1994 al 2003, il numero delle copie vendute quotidianamente è sceso da 6.208.000 a 5.812.000, mentre le tirature si sono ridotte di quasi 1.000.000 di copie al giorno. Nel settore dei quotidiani provinciali (i dati sono al 2001) il numero di copie vendute all'anno è passato da 234.000.000 a 233.000.000, con una sostanziale tenuta. Tra i regionali si è invece avuto, tra il 1990 e il 2001, un calo da 373.000.000 a 312.000.000 copie all'anno. Ancora più pesante è la riduzione nei quotidiani pluriregionali scesi, nello stesso lasso di tempo, di 91.000.000 di copie all'anno (da 396.000.000 a 305.000.000). Del tutto opposto l'andamento dei quotidiani nazionali la cui vendita è passata da 690.000.000 di copie all'anno nel 1990 a 768.000.000 nel 2001, con un aumento dell'11%.
Tra i generi di quotidiani, gli economici hanno incrementato la vendita annua del 71,2% (da 104.000.000 di copie nel 1990 a 178.000.000), gli sportivi hanno subito una fortissima riduzione (da 380.000.000 nel 1990 a 302.000.000 nel 2001) e i politici un crollo verticale, da 93.000.000 nel 1990 a 38.200.000 nel 2001. Questi dati relativi alla vendita dei quotidiani dimostrano come la stampa nazionale, con elevati standard qualitativi, con forti investimenti sul prodotto, sui gadget e sulla promozione, nell'ultimo decennio ha potuto reggere bene, avanzando anzi in maniera consistente e realizzando un boom nella raccolta pubblicitaria, che tra il 1990 e il 2001 ha visto crescere le risorse rastrellate sul mercato addirittura dell'88,2%. L'aumento si è però sostanzialmente fermato negli ultimi due anni e mezzo. Sono andati bene, come si è detto, anche i quotidiani provinciali, più vicini agli interessi locali dei lettori, radicati in territori limitati, con bassi costi di produzione e di distribuzione. Regionali e interregionali non hanno invece tenuto il passo dei grandi, a causa di scarsi investimenti sulla qualità del prodotto, uniformità e perdita di identità, utilizzo eccessivo di services per l'informazione nazionale e di strutture sinergiche, il tutto non supportato da promozioni adeguate alla competizione con i nazionali.
Gli effetti della difficile situazione economica si sono riflessi con particolare intensità sulla stampa periodica, per quanto concerne sia le vendite sia la pubblicità. Complessivamente, considerando le testate rilevate dall'Accertamento diffusione stampa (ADS), il numero dei settimanali diffusi si è ridotto da 13.400.000 del 1999 a 13.000.000 del 2002. I più venduti, pur registrando un forte calo, restano quelli contenenti i programmi televisivi, tengono i settimanali di attualità e, con qualche difficoltà, i femminili, mentre sono in negativo i settimanali di informazione e quelli sui motori e sui bambini. Complessivamente perdono i settimanali specializzati e anche quelli per i giovani.
Per i mensili, considerati nella loro totalità, la situazione risulta migliore: la rilevazione ADS indica nel 2002, rispetto all'anno precedente, un incremento della diffusione pari all'8% e del numero di testate da 135 a 142. In questo campo è forte la presenza dei femminili, la cui diffusione è passata da 2.639.000 copie medie nel 2000 a 2.704.000 nel 2002, ma soprattutto è sensibile l'aumento delle vendite dei mensili di automobilismo e motociclismo e di turismo. Singolare il crollo dei mensili di gastronomia.
Talvolta tra quotidiani e periodici si determina una combinazione che consente di sostenere, attraverso il rastrellamento di notevoli risorse pubblicitarie, i gruppi editoriali, specie quelli più forti. La combinazione del dato caratterizzante i periodici, e cioè l'elevato grado di specializzazione, segmentazione e duttilità del prodotto, al quale si aggiunge una struttura organizzativa leggera, con quello della diffusione giornaliera dei quotidiani ha dato risultati complessivamente positivi ma dall'andamento oscillante. I gruppi L'Espresso-La Repubblica e RCS-Corriere della sera hanno sfruttato bene questa combinazione realizzando entrambi sia un settimanale femminile sia uno di attualità settimanale. I dati più recenti, relativi al 2001 sul 2000, riferiscono di una sostanziale tenuta dei quattro periodici, con qualche difficoltà in più per quelli di attualità.
L'andamento è incerto anche per quanto riguarda i quotidiani e i periodici con presenza on line, che hanno registrato una lieve, ma significativa, flessione. Secondo indagini svolte dall'ISPE (Istituto di studio per la programmazione economica) a fine 2002 erano censiti 102 siti Internet di giornali italiani, tre in meno rispetto all'anno precedente. La crisi che ha colpito in generale il settore dell'editoria quotidiana in seguito al ciclo negativo della pubblicità e, soprattutto, il ridimensionamento del commercio on line hanno indotto i maggiori gruppi editoriali a tagliare gli investimenti nella rete. Tale riduzione, talvolta drastica, ha comportato la contrazione degli organici, il ritiro da progetti commerciali e il mantenimento soltanto dell'attività relativa all'offerta di informazione. Ben otto pubblicazioni on line sono state sospese e ha subito un sensibile calo la produzione autonoma di notizie.
In controtendenza, risulta in crescita l'andamento dei servizi di informazione su rete mobile. Secondo indagini ISPO-AIE (Istituto per gli studi sulla pubblica opinione-Associazione italiana editori) il 14% degli italiani in possesso di un telefono cellulare dichiara di utilizzarlo per accedere alle notizie, soprattutto quelle sportive. Appare in aumento, quindi, il consumo di aggiornamenti in tempo reale con informazioni flash, sintetiche ma immediate.
Il mercato pubblicitario
Tenendo conto che la gran parte delle risorse della carta stampata, ma anche degli altri mezzi di comunicazione, proviene dalla pubblicità, nella riflessione che stiamo conducendo è di grande rilevanza accertare l'andamento del mercato pubblicitario nel nostro paese in confronto con il contesto internazionale.
Si stima che nel 2002 nel mondo sia stata raccolta pubblicità per quasi 250 miliardi di dollari, con un lieve incremento rispetto al 2001 (+1,6%), che a sua volta si era chiuso con una flessione del 4,2% rispetto al 2000. Questa leggera ripresa potrebbe segnare un'inversione di tendenza, dopo la crisi economica seguita all'11 settembre 2001, e potrebbe avere un seguito anche in Italia. Gli editori dei giornali, ma anche gli osservatori indipendenti, fanno però presente il grave squilibrio che nel nostro paese si registra in questo ambito. Nel 2002 il complesso della stampa quotidiana e periodica ha raccolto, secondo stime FIEG, 2917 milioni di euro, di cui 1764 milioni dai quotidiani e 1153 dai periodici. La televisione (stima UPA, Utenti pubblicità associati) ha raccolto complessivamente 4159 milioni di euro, la radio (UPA-Nielsen) 432 milioni, il sistema delle affissioni e della pubblicità stradale 807 milioni, il cinema 68 milioni.
L'andamento del mercato negli ultimi otto-dieci anni a livello nazionale ha seguito sostanzialmente quello dei principali paesi occidentali: tra il 1995 e il 2000 si è registrato un boom dei ricavi pubblicitari, che sono aumentati di quasi il 45% rispetto al decennio precedente. I tre anni dal 1998 al 2000 sono stati i più 'caldi' e redditizi, e la 'torta pubblicitaria' ha potuto distribuire risorse su tutti i media, consentendo anche lo sviluppo e il rafforzamento della carta stampata. La brusca frenata del 2001 ha rappresentato uno shock che gli editori fanno fatica a superare. Dopo che nel 2000 si era ottenuto un aumento addirittura del 14,2%, nel 2001, specie nei quotidiani, si è riscontrata una limitata tendenza negativa, seguita nel 2002 da un calo dell'8%, particolarmente accentuato nei periodici, che ha bloccato gli entusiasmi e riaperto la crisi.
Il ritorno nel 2003 e nei primi due mesi del 2004 al segno positivo (+2,7%) non significa che la crisi sia stata superata.
Nel 2002 tutto il sistema ha perso quote di mercato, a eccezione delle televisioni che hanno registrato una crescita della raccolta pubblicitaria dello 0,5%. Alle emittenti radiotelevisive nazionali e analogiche, RAI e Mediaset, è andato complessivamente quasi il 60% delle risorse pubblicitarie disponibili (circa il 95% delle risorse pubblicitarie dell'intero sistema radiotelevisivo). Questa situazione di grande squilibrio rischia di aggravarsi con l'introduzione delle nuove norme previste dalla legge Gasparri, che aboliscono i limiti orari sulle televendite e sulle telepromozioni e introducono un sistema integrato delle comunicazioni per il calcolo dei limiti alle concentrazioni, e con le direttive europee relative allo split screen advertising (la possibilità di ripartire il video in due parti, una dedicata al programma e l'altra alla pubblicità) e al virtual advertising (la possibilità di trasmettere un programma tenendo sullo sfondo una scritta pubblicitaria virtuale). Si accentua dunque una sorta di concentrazione nella raccolta della pubblicità da parte dei due grandi operatori televisivi, che, lungi dal perdere quote di mercato, le aumentano indefinitamente dando luogo a una situazione assolutamente anomala nell'intero sistema della comunicazione mondiale.
I dati del 2003 e del primo bimestre del 2004 (fonte Nielsen) parlano di un aumento della pubblicità della TV dell'8,9%, un risultato eccezionale nell'attuale recessione economica, che è andato a vantaggio dei due maggiori network, in particolare di Mediaset (la RAI ha sostanzialmente tenuto le posizioni). Sempre nel 2003, la quota di mercato pubblicitario detenuta dalla carta stampata è scesa dal 39,4 al 37,1%, mentre quella televisiva è cresciuta quasi al 55%. Mediaset prende da sola il 36,5%, quasi quanto l'intero comparto della carta stampata.
Un confronto con la situazione degli altri paesi mostra con evidenza la discrasia della situazione italiana. Secondo dati FIEG, nel 2003 la televisione in Germania ha assorbito il 23% del mercato pubblicitario, in Francia il 29,5%, negli Stati Uniti il 32%, in Grecia il 42%, in Olanda il 43% e in Portogallo il 53,4%. Vale la pena sottolineare che la crescita dei ricavi televisivi è fenomeno che si è sviluppato negli ultimi dieci anni: se nel 1990 le televisioni rastrellavano il 45,20% della pubblicità contro un 49,60% della carta stampata, già nel 2000 le TV ricavavano il 51,60% della pubblicità contro il 40,50% della stampa. Perché si verifichi un'inversione di tendenza rispetto alla situazione attuale occorrerà un'interpretazione delle normative che consenta davvero l'espansione del pluralismo.
La crisi attuale e le possibilità di ripresa
A causa del mantenimento degli squilibri che abbiamo descritto e del panorama di sostanziale stagnazione, il quadro economico e finanziario della carta stampata non può che restare precario. È difficile definire un complesso di interventi che consenta una vera ripresa dello sviluppo dell'editoria, ma è certo che, accanto ai provvedimenti contro le concentrazioni soprattutto nel sistema televisivo e a normative sulla raccolta pubblicitaria che consentano a tutti i soggetti di essere presenti in maniera paritaria sul mercato, sono necessari interventi editoriali che soddisfino le esigenze manifestate dall'opinione pubblica. Occorre cioè fare i conti con la domanda.
Le 5.812.037 copie vendute in media ogni giorno nel 2003, se da una parte preoccupano in confronto alla situazione negli altri paesi sviluppati, rappresentano comunque una risorsa da non disperdere, tanto più che l'approfondimento, il commento, la lettura sono elementi essenziali alla formazione delle coscienze individuali e di un popolo. Dalle rilevazioni sulla lettura dei giornali quotidiani e periodici condotte dall'Audipress risulta che nel 2003 quelle 5.812.037 copie sono state lette da 19.697.000 italiani, con un aumento dell'1,1% rispetto al 2002 e una penetrazione pari al 39,3% della popolazione, cresciuta dello 0,4%. Questi dati appaiono ancor più significativi se si rileva che, mentre al Nord e al Centro i lettori medi giornalieri si sono mantenuti sostanzialmente invariati, nel Sud si è registrato un incremento del 5,1% con una penetrazione nella popolazione del 27,3% (26% nel 2002). Si è trattato di una crescita quasi travolgente in Campania (+11,7%), in Puglia (+9,6%) e in Calabria (+7,9%).
A fronte di questi dati appare dunque molto importante che il sistema delle imprese editoriali punti con decisione alla qualità dei contenuti giornalistici e, quindi, del prodotto. Rimuovere le cause di difficoltà che sono di chiara natura strutturale non dipende dagli editori, né dai giornalisti, né dagli altri lavoratori della carta stampata. Bisogna però sottolineare che solo una parte degli utili che, nonostante la congiuntura, molte aziende continuano a realizzare è reinvestita nella qualità e nell'indipendenza dei giornali. I gruppi maggiori hanno spostato gli investimenti promozionali sul fronte degli abbinamenti di tipo culturale, in particolare nella diffusione di enciclopedie, romanzi, antologie di poesia, libri d'arte: una decisione intelligente che non a caso ha riscosso grande successo in un'Italia che, con fatica, cresce culturalmente. Ma è il prodotto 'informazione' che deve essere sviluppato ulteriormente. Investire sugli abbinamenti non può significare disinvestire sul prodotto giornalistico. Anzi, è proprio vero il contrario. Come abbiamo visto, perdono copie i giornali che appiattiscono l'informazione, che puntano al risparmio omogeneizzando quotidiani una volta concorrenti tra loro, che cancellano o riducono le pagine locali o l'autonomia dell'informazione nazionale.
La strada dell'integrazione tra i prodotti non può essere percorsa in maniera episodica e scarsamente determinata. Ogni anno cresce il numero di navigatori in Internet e con esso quello dei lettori di giornali on line realizzati su iniziativa di quotidiani, periodici e agenzie di stampa: si calcola che oltre il 40% degli italiani che navigano in rete apra ogni giorno una pagina di un sito Internet prodotto da aziende editoriali del nostro paese. Altri milioni di concittadini cercano sui telefoni mobili notizie utili per la vita quotidiana e per lo svago. Molti si stanno abituando a usare il digitale per collegarsi a canali radiotelevisivi di carattere nazionale. Sono tutte strade che le nuove norme consentono e che gli editori della carta stampata, con il prestigio e la credibilità rimasti appannaggio dei giornali, dovrebbero perseguire garantendo il massimo della qualità dei prodotti.
Il mercato della carta stampata ha la possibilità di definire strategie innovative, capacità e professionalità in grado di rispondere alle esigenze di un pubblico sempre più complesso. Ciò dipende certamente dall'attitudine a sostenere il pluralismo da parte del Governo e del Parlamento, ma anche da una forte azione di politica industriale che trovi forme non assistenziali ma efficaci per dare nuovo slancio alle imprese. Il credito agevolato sugli investimenti e sull'acquisto di carta non è sufficiente e non può rivelarsi episodico.
La salvaguardia del pluralismo dell'informazione richiede l'impegno di tutti i soggetti, tanto più in un momento nel quale si scorgono più ombre che luci nelle scelte delle istituzioni. Abbiamo già detto che la legge Gasparri sul riassetto del sistema televisivo comporta gravi rischi di ulteriore concentrazione delle risorse in mano a pochi operatori della comunicazione, di riduzione della competitività dei giornali, di allargamento indefinito del sistema integrato dei media. È tuttavia possibile costruire le condizioni per guardare positivamente al futuro. L'approvazione della riforma dell'editoria può aiutare il sistema delle imprese a far fronte alle attuali difficoltà. Occorrerà rendere più razionali gli investimenti puntando sulla qualità, organizzare meglio le strutture commerciali e produttive, puntare sull'integrazione dei prodotti. L'editoria italiana, su queste basi, può affrontare le ulteriori sfide della competitività globale e confermare la sua vocazione di offrire al pubblico dei lettori prodotti che informino correttamente e aiutino la formazione di libere opinioni.
repertorio
La storia del giornale
I primordi
Il giornale e il giornalismo sono espressioni e fenomeni propri dell'età moderna, ma se si considera l'esigenza che è alla radice della loro esistenza - quella cioè di comunicare qualche cosa che serva agli altri - allora le loro origini risalgono nei secoli e si perdono nella notte dei tempi. Gli antecedenti storici vengono comunque ormai concordemente identificati con gli acta populi o diurna, istituiti nel 59 a.C. da Giulio Cesare: si trattava di brevi avvisi che venivano affissi nei luoghi più frequentati per divulgare agli abitanti di Roma e delle province notizie di comune interesse; alla loro redazione provvedevano actuarii, notarii, subrostrani.
Nel Medioevo le notizie importanti e gli eventi memorabili erano divulgati attraverso le cronache, i diari e le lettere, redatti da cronisti e diaristi solitari che lo facevano per passione, ma anche da cronisti veri e propri, al servizio di mercanti, banchieri, governanti che traevano vantaggi politici ed economici dalle notizie ricevute. Venne così a costituirsi una sorta di trama di lettere pubbliche, o che comunque sarebbero diventate tali, che si infittì con l'intensificarsi dei traffici e dei viaggi per terra e per mare, verso cui si volgeva la curiosità di un numero sempre maggiore di persone. Da tale trama emerge la storia di alcuni secoli con le guerre, i trattati, gli accordi commerciali, i matrimoni dei vari principi, nonché l'organizzazione politica, sociale e privata.
Nel Cinquecento le notizie erano diffuse attraverso avvisi, gazzette, notizie e fogli alla mano, pagine contenenti paragrafi di poche righe, senza titolo o intestazione, con la sola indicazione di data e luogo di provenienza. I redattori, già corporazione d'interessi non priva di forza, si chiamavano menanti, gazzettanti, scarsellanti, corrieri o novellisti secondo i vari luoghi.
Questi fogli continuarono ad avere diffusione anche durante il 17° secolo (in Inghilterra erano chiamati Mercury o Newes papers), nonostante l'invenzione della stampa. L'Aviso-Relation oder Zeitung, settimanale pubblicato ad Augusta nel 1609 da Johann Carolus, è considerato il primo giornale a stampa, seguito nel 1610 da un settimanale a Basilea, nel 1615 da uno a Francoforte e nel 1616 da un altro ad Anversa. Il primo giornale di Londra fu The Weekly Newese che nacque nel 1622, mentre a Parigi, nel 1631, Th. Renaudot, considerato il padre del giornalismo francese, fondò la Gazette, un settimanale di varietà stampato su quattro pagine (formato 22x16 cm) a una colonna. In Italia le prime gazzette apparvero a Venezia, edite per conto della Serenissima; nel 1636 se ne pubblicava una a Firenze, nel 1640 una a Roma, nel 1642 una a Genova.
I primi quotidiani
Nella seconda metà del Seicento, grazie all'utilizzo ormai invalso della stampa che rendeva accessibili su carta informazioni aggiornate quotidianamente, vi fu in tutta Europa una vera fioritura di giornali. Nel 1660 nacque il primo quotidiano, Leipziger Zeitung. Dopo i controlli cui il giornalismo era stato sottoposto nei suoi primi decenni di vita, perché considerato dai governanti uno strumento pericoloso di conoscenza e possibile emancipazione per il popolo, nel Settecento, in uno scenario sociale e culturale che si apriva a idee più illuminate e rivoluzionarie, esso cominciò gradualmente a guadagnare consapevolezza della propria forza.
Fu in Inghilterra che i giornali iniziarono ad affrontare battaglie per la libertà e l'autonomia della stampa. Il primo quotidiano fu The Daily Courant (1702). Nel 1704 Daniel Defoe fondò il trisettimanale The Review (1704), nel quale apparvero i primi 'editoriali' politici e i primi racconti a puntate. Richard Steele nel 1709 diede vita al periodico The Tatler, di cui erano collaboratori Jonathan Swift e Joseph Addison. I due nel 1711 fondarono The Spectator, che si proponeva di "travasare l'intelligenza dalla testa degli scrittori nella testa dei lettori". Il giornale ebbe un enorme successo, se ne fece anche un'edizione francese e in Italia costituì il modello per La Gazzetta veneta (1760), la Frusta letteraria (1763) e Il Caffè (1764). Durante la prima metà del Settecento, il Parlamento e la corona britannici, preoccupati del crescente potere della stampa, tentarono di soffocarne la voce, gravando i giornali di tasse e tributi, sicché i meno forti cessarono le pubblicazioni e gli altri si appoggiarono ai partiti politici dei Whigs e dei Tories che si alternavano al potere. Nel 1785 John Walter I fondò il quotidiano London Daily Universal Register, di indirizzo commerciale, che nel 1788 diventò The Times, trasformandosi in un giornale politico, già attivo e presente durante la Rivoluzione francese con i suoi corrispondenti in Francia. Sotto la direzione di John Walter II e dei suoi successori e con una maggiore indipendenza politica, il Times arrivò a essere il più autorevole quotidiano del mondo anche se di non grande tiratura, avvalendosi di collaboratori prestigiosi e di una tecnologia sempre all'avanguardia.
La stampa francese ebbe nell'ultimo scorcio del Settecento uno sviluppo straordinario. Se il primo quotidiano, il Journal de Paris, vide la luce solo nel 1777 e prima della Rivoluzione esistevano 14 giornali politici, dal luglio 1789 all'agosto del 1792 ne nacquero 1400. Poi durante l'età napoleonica la stampa fu costretta a muoversi in un clima di censura che ne limitò le libertà e lo sviluppo. La situazione non migliorò, caduto Napoleone, con la restaurazione. Fino al 1848 in Francia, come peraltro in tutta l'Europa continentale, non vi fu una vera stampa politica, anche se nacquero importanti giornali e vi furono innovazioni tecnologiche di rilievo. Vanno ricordati il Conservateur di François-René Chateaubriand (1818), Le Globe su cui scrivevano François Guizot e Charles-Augustin Sainte-Beuve, il Constitutionnel (1826), il primo Le Figaro e La Presse (1836), fondata e diretta da Emile de Girardin, promotore del moderno giornalismo francese. La Presse fu il primo quotidiano a pubblicare i feuilletons, che costituirono in Francia e fuori uno dei maggiori elementi di diffusione dei giornali dell'Ottocento.
Il giornale tedesco più importante del Settecento fu l'Hamburgischer Correspondent (1774). Nel 1798, a Lipsia, iniziò la pubblicazione il quotidiano Neueste Weltkunde, divenuto poi Allgemeine Zeitung.
Il primo giornale italiano risale al 1664: fu la Gazzetta di Mantova, divenuta più tardi quotidiano e tuttora edita. A Venezia, nel 1710, apparve il Giornale de' letterati d'Italia, che si fregiava di firme illustri come quelle di Apostolo Zeno, Scipione Maffei, Ludovico Muratori; a Parma, nel 1735, uscì la Gazzetta di Parma, che da settimanale si trasformò in trisettimanale e poi in quotidiano. Il primo quotidiano italiano, il Diario Veneto, apparve nel 1765 a Venezia, dove successivamente furono pubblicati anche il Giornale Veneto, che ebbe vita molto breve, e il Novellista Veneto, che invece durò per due anni. La Gazzetta di Venezia, nata nel 1787 e divenuta quotidiana nel 1789, continuò le pubblicazioni fino agli anni della Seconda guerra mondiale. Nel gennaio 1797, lo stampatore Onorato De Rossi fece uscire a Torino il primo numero della Gazzetta Piemontese, settimanale di otto pagine in piccolo formato, che si trasformò poi in quotidiano e, nel corso dell'Ottocento, attraverso varie vicende, divenne La Stampa.
Negli altri paesi i primi quotidiani furono: in Austria il Wienerisches Diarium (da cui provenne la Wiener Zeitung, durate fino a tempi recenti), nel 1703; in Svizzera la Feuille d'avis de Neuchâtel, nel 1728; in Danimarca il Berlingske Tidende, nel 1749; in Norvegia il Trondjems Adresseavis, nel 1767; in Svezia il Nya Dagligt Allehanda, nel 1769; in Polonia la Gazeta Warszawska, nel 1774. Negli Stati Uniti il primo giornale fu The Boston News-Letter, del 1704, mentre il primo a diventare quotidiano fu The Pennsylvania Packet and General Advertiser di Filadelfia (1784).
Nell'Ottocento due scoperte agevolarono il progresso tecnico del giornale: il telegrafo elettrico di Morse (1844) e la prima rotativa (1846), cui va aggiunto il procedimento per la fabbricazione della carta dalla pasta di legno a opera del tedesco F. Keller (1845). Altra tappa fondamentale del giornalismo moderno fu la nascita delle prime agenzie di notizie: la parigina Garnier, fondata nel 1811, continuata poi dall'Havas; la Harbor News Association (1848), negli Stati Uniti, divenuta, per successive trasformazioni, la New York Associated Press (oggi universalmente nota con la sigla AP); il Wollfs Telegraphisches Büro (WTB) in Germania, nel 1849; la Reuter's Telegram Company a Londra nel 1852; la Stefani, fondata a Torino nel 1853, e poi trasferita a Roma capitale (e durata fino alla fine della Seconda guerra mondiale).
I giornali italiani dal Risorgimento ai primi decenni del Novecento
In Italia, prima del 1847, i giornali ufficiali erano rigidamente conservatori, mentre quelli cosiddetti rivoluzionari, mazziniani, liberali, erano clandestini e per lo più, dal 1832 (anno in cui uscì a Marsiglia la Giovine Italia di Mazzini) al 1847, scritti e stampati in paesi stranieri da esuli e patrioti.
Tra il 1847 e il 1848, grazie all'editto di Pio IX del 15 marzo 1847, alla legge toscana del 6 maggio, all'editto piemontese del 30 ottobre e al decreto di Ferdinando II del 29 gennaio 1848, che limitavano la censura preventiva, il giornalismo italiano cominciò ad avere nuova vita. Sorsero nuove testate: Il Risorgimento (1847), organo della corrente liberale-moderata fondato da Cavour; La Concordia (1848), del gruppo giobertiano; la Gazzetta del popolo; L'Armonia della religione colla civiltà, di parte cattolica; L'Italia del popolo, quotidiano cui collaborò anche Mazzini; La Voce del popolo e L'Operaio, di ispirazione socialista. Si possono ancora ricordare: a Venezia La Gazzetta veneta, organo di Manin; a Firenze, La Patria e Il Lampione, il più popolare di quei giornali satirici che cominciarono a moltiplicarsi, alleggerendo, con il loro piglio arguto e vivace, il tono compassato tipico del giornalismo italiano di quel periodo; a Napoli Il Nazionale di S. Spaventa, Il Tempo di C. Troya, R. Bonghi e altri.
Ben presto - tranne che nel Regno di Sardegna - la reazione soffocò queste libere voci che solo dopo un decennio, con l'unità, poterono riprendersi, segnando l'inizio della vera stampa italiana. Dal 1859 sino alla fine del secolo nacquero centinaia di quotidiani, taluni di breve durata, spesso organi personali di uomini politici, di gruppi parlamentari o industriali. Fra quelli che riuscirono ad affermarsi si ricordano: a Venezia Il Gazzettino (1887); a Bologna Il Resto del carlino (1885); a Trieste Il Piccolo, fondato nel 1881 da T. Mayer e divenuto un focolaio d'italianità; a Firenze La Nazione (1859) e Il Fanfulla (1870), notevole soprattutto per la parte letteraria; a Genova Il Caffaro (1875) e Il Secolo XIX (1886); a Torino La Stampa (1895); a Milano, La Perseveranza (1860), L'Osservatore cattolico (1864), Il Sole (1865), economico-finanziario, Il Secolo (1866) e il Corriere della sera (1876) che, specialmente sotto la direzione di L. Albertini, conquistò il primato del giornalismo italiano; a Napoli Il Pungolo (1860), Il Mattino (1892), divenuto sotto la direzione di E. Scarfoglio e dei suoi figli uno dei quotidiani più importanti d'Italia; a Palermo Il Giornale di Sicilia (1860). Roma, dove nel 1861 era stato fondato L'Osservatore romano, espressione del pensiero del Vaticano, divenuta capitale del regno vide nascere moltissimi altri giornali: Il Popolo romano (1873), Il Messaggero (1878), Il Capitan Fracassa (1880) di L.A. Vassallo (Gandolin), cui collaborarono il giovane D'Annunzio, E. Scarfoglio e M. Serao, La Tribuna (1883), ricco di informazioni e articoli a firma di giornalisti e scrittori di grande livello, il Don Chisciotte della Mancia (1887), l'Avanti! (1896), primo giornale socialista, che ebbe inizialmente per direttore L. Bissolati.
Dopo il 1900 apparvero numerose nuove testate, fra le quali: a Roma Il Giornale d'Italia (1901), diretto da A. Bergamini, che si contrapponeva alla Tribuna giolittiana; a Genova Il Lavoro (1903), socialista riformista; a Firenze Il Nuovo giornale (1906), liberale; a Roma Il Corriere d'Italia (1906), organo del partito parlamentare cattolico; a Milano Il Popolo d'Italia (1914), di Benito Mussolini, divenuto poi organo capitale del fascismo; a Torino Ordine nuovo (1919), comunista; a Roma Il Mondo (1922), democratico; a Milano L'Ambrosiano (1922). Aveva nel frattempo avuto largo sviluppo anche la stampa sportiva e La Gazzetta dello sport, fondata a Milano nel 1896 e divenuta quotidiano nel 1919, si pose ai primi posti per diffusione.
I giornali italiani dal dopoguerra agli anni Novanta
Negli anni del fascismo, fra il 1925 e il 1943, fu abolita la libertà di stampa e scomparvero i giornali di partito, come l'Avanti!, l'Unità, La Voce repubblicana, Il Popolo, e molti giornali politici minori, radicali, liberali, socialisteggianti che dopo il 1861 erano nati nelle varie province. La dittatura s'impadronì degli altri quotidiani e li ridusse al più rigido conformismo, solo nei particolari distinguibili l'uno dall'altro, mentre venivano pubblicati nuovi giornali, diretti spesso da gerarchi, come, per fare qualche esempio, Il Regime fascista, Il Tevere, il Corriere padano, L'Impero.
Il 25 luglio 1943, vecchi direttori di giornale che avevano avversato il regime, ora che questo era caduto ed era possibile nuovamente esprimere le proprie opinioni nonostante la censura imposta da Badoglio, tornarono al loro posto. Ma dopo l'armistizio dell'8 settembre vennero, con la reazione nazista, repressioni e persecuzioni. Si sviluppò intanto, con la Resistenza, tutta una stampa clandestina, sia di partito, sia propriamente connessa con l'azione partigiana, costituita cioè da fogli e giornali delle varie formazioni armate. Il problema della stampa, quale sarebbe dovuta essere dopo la liberazione, fu tra i primi a essere considerato dagli uomini politici della Resistenza. Alcuni volevano che ci fosse un giornale per ogni partito e nessun giornale che non fosse di partito, altri che ogni partito avesse il suo giornale e quelli d'informazione fossero sotto il controllo dei comitati di liberazione. Via via che il territorio nazionale veniva liberato, il problema fu risolto in modo non univoco, secondo le situazioni e gli interessi politici ed economici locali. In genere prevalse il criterio di dar libero corso alle testate fino allora clandestine, di partito o no, e di vietare gli organi di stampa tradizionali e, a maggior ragione, quelli nati sotto il fascismo. Si ebbero così Il Popolo della Democrazia cristiana, l'Italia libera del Partito d'azione, l'Avanti! socialista, l'Unità comunista, il Risorgimento liberale del Partito liberale, Ricostruzione del Partito democratico del lavoro, La Voce repubblicana del Partito repubblicano, L'Italia Nuova, unico giornale ufficialmente monarchico (fino al 1948), Il Lavoro, ispirato dalla CGIL, e molti altri che ebbero vita più o meno effimera perché scarsi di mezzi finanziari o privi di un gruppo politico che li sorreggesse. Breve ma vasta diffusione ebbe l'Uomo qualunque, settimanale del Movimento qualunquista di G. Giannini, che si trasformò, senza fortuna, in quotidiano con il titolo Il Buonsenso. Nel 1946 Roma annoverava ben 29 quotidiani, Milano 16, Genova 7, Torino 9.
Accanto ad alcune delle vecchie testate, che riapparvero tra il 1945 e il 1946 grazie a una sanatoria per la stampa compromessa, si affermarono anche alcuni giornali nuovi come: a Roma, Il Tempo, Il Momento (assorbito poi dalla sua edizione pomeridiana Momento-sera), Il Paese e Paese sera, Il Quotidiano, organo dell'Azione cattolica, Il Globo, economico-finanziario; a Milano, il Corriere lombardo (nel 1966 si fuse con La Notte, uscita in un secondo tempo), Milanosera e 24 ore (nel 1965 si fuse con Il Sole, dando vita a Il Sole-24 ore); a Firenze Il Nuovo Corriere; a Napoli Il Giornale. Alcuni di questi quotidiani, specie quelli con edizioni pomeridiane e serali, anche nel tentativo di stare al passo con i mezzi radiotelevisivi cominciarono a dare al giornalismo italiano una nuova impronta: una maggiore immediatezza dell'informazione e una grafica più suggestiva soprattutto nella titolazione e nell'impaginazione.
All'inizio degli anni Cinquanta i quotidiani di informazione tornarono a prevalere su quelli di opinione e di partito, aumentando considerevolmente il numero di pagine, sviluppando i servizi dall'interno e dall'estero, ripristinando la tradizionale 'terza pagina' e rafforzando ulteriormente la loro supremazia grazie ai fondi riversati sulla stampa dalla pubblicità. Ai vecchi proprietari si affiancarono sempre più attivamente a sostegno di questo o quel giornale gli esponenti del mondo industriale, sia a titolo individuale, sia in gruppi o attraverso la Confindustria, elemento che condizionò la qualità e la quantità dell'informazione. Tuttavia la diffusione dei quotidiani rimase in genere piuttosto bassa e tra i più importanti quotidiani d'informazione solo il Corriere della sera superava le 200.000 copie di tiratura. In questi stessi anni, invece, ebbero notevole sviluppo i settimanali in rotocalco, come Domenica del Corriere, Oggi, Tempo, Epoca. L'Europeo, L'Espresso, Il Mondo si distinsero per una nuova formula editoriale culturalmente più impegnata e per la posizione politica di sinistra liberale. Soprattutto Il Mondo, fondato da Mario Pannunzio, cui collaborarono e presso cui si formarono noti giornalisti come Eugenio Scalfari, Indro Montanelli e tanti altri, pur non superando mai le 300.000 copie, ebbe notevole influenza negli ambienti alti della politica, della cultura e dell'economia.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta, caratterizzati da una notevole espansione economica e da un certo dinamismo politico, la stampa quotidiana italiana ebbe un sensibile sviluppo. Nel 1956 Enrico Mattei, presidente dell'ENI, insieme all'editore Cino Del Duca diede vita a Milano a un nuovo giornale, che si fece interprete di tutte le novità che maturavano sulla scena politica, Il Giorno. Nel 1961 L'Avvenire d'Italia di Bologna, sotto la nuova direzione di Raniero La Valle, diede spazio e sostegno al nuovo cattolicesimo conciliare, alla collaborazione tra democristiani e socialisti per la realizzazione di un programma di riforme e alla distensione internazionale. Tuttavia già tra il 1963 e il 1964 cominciarono ad apparire i primi segni della crisi nel settore dell'editoria, che si sarebbero presto accentuati, conseguenza della più ampia crisi economica del paese e delle tensioni in politica internazionale (guerra in Vietnam e nel Vicino Oriente). La continua crescita dei costi (carta, distribuzione, lavoro), in un mercato asfittico, portò presto alla chiusura di testate e a fenomeni di concentrazione editoriale, i più vistosi dei quali furono la costituzione della catena del petroliere Attilio Monti (Il Resto del carlino, La Nazione, Stadio, Il Giornale d'Italia, Il Telegrafo) e di quella dell'imprenditore petrolchimico Nino Rovelli (La Nuova Sardegna, Momento-sera, L'Unione sarda). Nell'ambito della stampa cattolica, nel 1968 L'Avvenire d'Italia e L'Italia si fusero nel nuovo quotidiano Avvenire (con sede a Milano), che rifletteva le nuove posizioni moderate della Chiesa.
Durante gli anni Settanta, caratterizzati da forti tensioni e inquietudini sociali (lotte studentesche, vicende economiche e politiche complesse, rivendicazioni e illusioni populiste, terrorismo ecc.), la stampa rivelò forti contraddizioni: alcuni giornali si schierarono su posizioni extraparlamentari, mentre i quotidiani di informazione si sentivano minacciati nella loro autonomia e tentavano di mantenere una distanza dai centri di potere politico ed economico, che in quel periodo procedettero a una lottizzazione più o meno aperta della carta stampata. Le difficoltà del momento politico ebbero riflesso anche su testate importanti come il Corriere della sera, La Stampa e Il Messaggero. In questo scenario nacquero due nuovi quotidiani di colore opposto, che raggiunsero rapidamente un'alta tiratura: Il Giornale nuovo (1974), conservatore, diretto da Indro Montanelli e che ricalcava formato e grafica tradizionali; e la Repubblica (gennaio 1976), diretta da Eugenio Scalfari, rivolta a un pubblico progressista e caratterizzata dal cambiamento del formato (tabloid), da una linea editoriale più ricettiva verso i temi di politica, economia, cultura e costume, e anche da uno stile giornalistico dai toni più marcati e aggressivi. Si distinsero per una nuova veste grafica anche due settimanali di successo, Panorama e L'Espresso, che adottarono il piccolo formato, secondo i modelli americano, francese e tedesco.
Fra le novità degli anni Settanta ci furono anche la concentrazione delle cartiere, con il conseguente aumento vertiginoso del prezzo della carta, e importanti innovazioni tecnologiche come la fotocomposizione, la stampa in offset e il metodo della teletrasmissione dei giornali che consentì di superare le difficoltà della distribuzione a distanza, abbreviando i tempi della diffusione dei quotidiani su scala nazionale. I primi quotidiani ad adottare questo metodo furono, tra la fine del 1973 e i primi mesi del 1974, Avvenire, La Stampa e Il Manifesto, seguiti a breve distanza dal Corriere della sera e da Il Globo.
Durante gli anni Ottanta i quotidiani attraversarono una fase di grande vitalità che li portò, nel 1990, a sfiorare il tetto dei 7 milioni di copie vendute ogni giorno, grazie allo sviluppo economico e sociale del paese e alla crescita degli investimenti pubblicitari. In questi anni la scena italiana fu dominata dalla concorrenza fra RCS, cioè il gruppo Rizzoli-Corriere della sera, e l'Editoriale l'Espresso-Repubblica. La RCS, dopo una fase d'espansione tumultuosa promossa da Angelo Rizzoli e sfociata in gravi vicende giudiziarie, nel 1984 fu acquistata dalla cordata composta da Fiat, Pirelli, Mediobanca e Montedison, che salvò il gruppo, ormai sull'orlo del collasso. Il Corriere, pur riprendendosi dalla crisi succeduta alla proprietà Rizzoli, dovette però fare i conti con la diffusione ormai conclamata di la Repubblica che nel 1986 vendeva 515.000 copie contro le 487.000 del Corriere e le 405.000 della Stampa. Così il Corriere cambiò direttore (a Piero Ostellino subentrò Ugo Stille), introdusse il gioco 'Replay' (con generosi premi ai biglietti non vincenti delle lotterie nazionali) in risposta al 'Portfolio' (d'importazione inglese, basato sulla combinazione delle quotazioni di borsa) proposto da la Repubblica e giunse a superare il milione di copie. Successivamente, la diffusione del quotidiano milanese diminuì, mentre si riprese la Repubblica, finché entrambi i giornali (che nel frattempo si erano dotati di due riviste settimanali a colori) si attestarono su una diffusione di oltre 800.000 copie.
Nell'aprile 1989 l'Editoriale l'Espresso fu incorporato dalla Mondadori. Ne scaturì un forte conflitto legale che oppose la maggioranza del gruppo, guidata da Carlo De Benedetti, alla minoranza di Silvio Berlusconi, Leonardo Mondadori e della famiglia Formenton. Alla fine il dissidio fu sedato con il passaggio di Panorama a Mondadori mentre la Repubblica e l'Espresso restavano a De Benedetti. Nel frattempo, conquistando nel 1987 il controllo della Montedison, Raul Gardini si assicurò Il Messaggero; cercò di estendere il gruppo con Italia oggi, un quotidiano economico-finanziario che non mise però mai in pericolo la leadership del Sole-24 ore. In quello stesso periodo si ebbe inoltre una costante crescita delle agenzie di stampa. L'Ansa continuò a dominare, per serietà e documentazione, il panorama italiano e a occupare un posto ragguardevole nel panorama internazionale. La seguiva da vicino l'AGI, mentre l'ASCA si concentrava sulla politica e l'ADN Kronos sceglieva servizi monografici esclusivi, adatti anche ai periodici.
A partire dai primi anni Novanta l'editoria giornalistica entrò in una fase di grave difficoltà, registrando un forte calo (tra il 6 e l'8%) degli introiti pubblicitari, che confluivano in maniera sempre più cospicua nel settore televisivo, e dal 1992 una diminuzione dei lettori. Nel 1991 il giornalista di origine uruguayana Ricardo Franco Levi fondò un nuovo quotidiano milanese a diffusione nazionale, L'Indipendente, che però entrò rapidamente in crisi e, nonostante un periodo di ripresa sotto la direzione di Vittorio Feltri, nel 1996 fu costretto a chiudere. Nello stesso anno Giuliano Ferrara fondò Il Foglio, raccogliendo un discreto numero di lettori. Nel 1992 furono chiusi i quotidiani del pomeriggio L'Ora di Palermo, Stampa sera e Paese sera e nel 1995 anche La Notte. La decisione di Berlusconi di presentarsi alle elezioni politiche del marzo 1994 spinse Montanelli a lasciare la direzione de Il Giornale, di cui Berlusconi era editore, e a dar vita al nuovo quotidiano La Voce che durò solo un anno. Il Tempo era in passivo e perse prestigio; furono venduti La Gazzetta del Mezzogiorno e Il Mattino, quest'ultimo passato nel 1996 a Francesco Gaetano Caltagirone, che aveva già acquistato Il Messaggero. La privatizzazione dell'ENI coinvolse Il Giorno che, venduto alla Poligrafici Editoriale di Andrea Riffeser Monti (1997), con Il Resto del carlino e La Nazione costituì un terzo polo editoriale.
Le cifre dei quotidiani italiani nel Duemila
Nel Duemila il settore della stampa è colpito pesantemente dalla crisi del mercato pubblicitario. Nel biennio 2001-2002 subisce un decremento di introiti pubblicitari pari al 10,2%, che si traduce in una perdita di risorse pari a 329 milioni di euro. Sono proprio i quotidiani a subire la maggiore flessione in termini relativi, il 13,9%, pari a 281 milioni di euro di minori ricavi, mentre i periodici dimostrano una tenuta maggiore, subendo una flessione in termini relativi solo del 3,9% , pari a 48 milioni di euro di minori ricavi. Se nel 2003, soprattutto nella seconda metà dell'anno, la tendenza negativa va generalmente diminuendo, i quotidiani subiscono un ulteriore arretramento, sia pure minimo, pari all'1,3%.
Il Rapporto 2003 sull'industria dei quotidiani registra un calo del 2,8% della diffusione media e segnala che meno del 40% degli italiani adulti leggono il giornale tutti i giorni, con la minima concentrazione di lettori (24%) in Puglia e la maggiore (57%) in Emilia. Il 10% della popolazione adulta dichiara di non leggere mai un quotidiano e, dal 1997 al 2003, la lettura giornaliera nelle città con più di 250.000 abitanti registra una diminuzione di 1.000.000 di lettori. Fra le molteplici motivazioni addotte per spiegare il calo nel livello di lettura dei giornali tradizionali - problemi legati alla distribuzione, pochi abbonamenti, scarsa scolarizzazione di ancora ampie fasce di popolazione, aumento dei prezzi ecc. - emerge come una delle possibili concause la diffusione della stampa gratuita. Il fenomeno ha inizio verso la fine degli anni Novanta e oggi si calcola che vengano riversate sul mercato circa 2.000.000 di copie al giorno di quotidiani gratuiti, mentre quelli a pagamento vendono ben 300.000 copie in meno.
I grandi giornali esteri
Come si è detto, la maggior parte dei grandi giornali esteri vide la luce verso la fine del Settecento, spesso su uno sfondo politico-sociale legato alle lotte che ciascun paese conduceva per conquistare le proprie libertà. Nacquero via via testate di vario orientamento che gradualmente si svincolarono dai finanziamenti del potere e guadagnarono un'autonomia sempre maggiore grazie all'autofinanziamento attraverso la pubblicità.
In Francia si pubblicano soprattutto giornali d'informazione, per lo più indipendenti da legami con partiti politici, e giornali d'opinione con tendenze politiche definite. I quotidiani più autorevoli continuano a essere Le Figaro (1826), conservatore, Le Monde (1944), il più prestigioso giornale francese in cui i redattori sono anche proprietari e al quale si affianca il mensile di politica internazionale Le Monde diplomatique, e Libération (1973), quotidiano di informazione politica e di opinione. Hanno anche grande diffusione testate come Le Parisien (1944), France Soir (1941) e L'Humanité (1904), organo del partito comunista francese, mentre i quotidiani economici più significativi sono Les Echos (1908) e La Tribune (1992). Tra i provinciali il più venduto in assoluto è Ouest-France (1944), soprattutto nel Nord-Ovest, seguito da La voix du nord (1944) e da Nice-Matin (1944) che ha una grande diffusione nel Sud del paese.
In Gran Bretagna la stampa, finanziariamente sempre indipendente dai partiti politici, ha visto da una parte i giornali di qualità e dall'altra i giornali tabloid a diffusione popolare. Tra le testate autorevoli The Times (1785) rimane certamente il più prestigioso quotidiano inglese, seguito da The Guardian (1921), che stampa un'edizione europea a Francoforte, The Daily Telegraph (1855), espressione della destra storica inglese, The Independent (1986), e The Financial Times (1888), di stampo economico-finanziario. Tra i popolari tabloid ricordiamo: Daily Mail (1896), Daily Mirror (1903), Daily Express (1900), The Sun (1964), che vende ogni giorno circa 3 milioni di copie, e il Daily Star (1978). Importanti e diffusi in Inghilterra i cosiddetti 'giornali della domenica', tra i quali The Observer (1791), The Sunday Times (1822), Sunday Express (1918), Sunday Mirror (1963), The Mail on Sunday (1982) e The Independent on Sunday (1990).
Il quotidiano più venduto in Germania, con 4 milioni di copie, è Bild Zeitung (1953), testata popolare spesso a carattere scandalistico. Di maggiore prestigio sono invece Süddeutsche Zeitung (1945), di orientamento liberal-progressista, e Frankfurter allgemeine Zeitung (1949), liberal-conservatore. Vanno segnalati anche il Frankfurter Rundschau (1945), liberale di sinistra, il Westdeutsche allgemeine Zeitung (1948), il Die Welt (1946), di centro-destra e nell'ex Germania Est, Berliner Zeitung (1945).
In Spagna, dopo la scomparsa di Franco (1975), si è avuto un vasto rinnovamento della stampa quotidiana. La riconquistata piena libertà di espressione ha reso possibile la nascita di varie nuove testate, delle quali le più significative sono El País, giornale di orientamento progressista fondato nel 1975 e divenuto in breve il più diffuso, e il più recente El Mundo (1989). Sono da segnalare ancora ABC (1905), di stampo conservatore, e La Vanguardia (1881), indipendente della Catalogna.
In Portogallo, dove nel 1976 è stata garantita la libertà di stampa, sono da ricordare Diáro de notícias (1864) e Público (1990). In Grecia il quotidiano più autorevole è il conservatore Kathimerinì (1919, "Ogni giorno"), mentre i più diffusi sono Ethnos (1981, "Nazione") e i giornali della sera Ta Nea (1944, "La notizia") e Avriani (1980, "Domani"). Nel resto dell'Europa le testate che maggiormente si distinguono sia per la loro storia sia per la capacità di dar voce agli umori e alle idee del loro paese sono in Bosnia il quotidiano Oslobodjenje (1943, "Liberazione", pubblicato a Sarajevo anche durante la guerra iniziata nel 1992) e, in Serbia, Naèa Borba (1995, "La nostra lotta") quotidiano indipendente di Belgrado, dove si stampa anche Politika (1904). Nella Repubblica Ceca il quotidiano a maggiore tiratura è il Mladá fronta dnes (1990, "Fronte della gioventù oggi"), ma sono considerati giornali più autorevoli il Lidové noviny (1893, rifondato nel 1990, "Giornale popolare") e il Právo ("Diritto"), fondato nel 1920 come Rudé Právo nella ex Cecoslovacchia, che ha cambiato titolo nel 1995. In Slovacchia sono tre i giornali più importanti: la Pravda (1920, "Verità"), quotidiano di riferimento degli ex comunisti, lo Sme (1993, "Noi siamo"), giornale di opposizione, e Slovenská Republika (1994, "Repubblica slovacca"), vicino alle posizioni del governo. Nei Paesi Bassi il quotidiano più diffuso è il De Telegraaf (1893); in Austria i più prestigiosi sono il conservatore Die Presse (1848), il liberale Der Standard (1988) e il Salzburger Nachrichten (1945), mentre più diffusi e a carattere popolare sono il Neue Kronenzeitung (1900) e il Kurier (1954). In Belgio, tra i giornali a maggiore diffusione sono da ricordare il fiammingo Het Laatste Nieuws (1833) e Le Soir (1887) in lingua francese. Per i paesi nordici si segnala in Norvegia l'Aftenposten (1860, "La posta della sera"), indipendente e conservatore, e in Svezia Dagens Nyheter (1864, "Le notizie del giorno"), quotidiano indipendente, e Svenska Dagbladet (1884, "Quotidiano svedese"), conservatore.
Per quanto riguarda la Russia, nel dicembre 1991, con lo scioglimento dell'URSS, la stampa dell'ex Unione Sovietica, costretta dalla censura, si è trasformata: molte vecchie testate si sono rinnovate in senso democratico e molte altre sono nate, procedendo con alterne fortune. I quotidiani più diffusi sono la Komsomolskaja Pravda (1925, "La verità del Komsomol") e il Moskovskij Komsomolec (1919, "Il militante del Komsomol di Mosca"), che vendono entrambi più di un milione di copie; seguono Trud (1921, "Lavoro"), un tempo giornale dei sindacati ma oggi di proprietà dei redattori, e Izvestija (1917, "Notizie"). Si segnalano inoltre la Rossijskaja Gazeta (1990, "Giornale russo"), organo ufficiale del governo e la Nezavisimaja Gazeta (1990, "Giornale indipendente"), uno dei primi esperimenti editoriali del postcomunismo. La Pravda (1912), ancora vicina ai comunisti, resiste all'usura del tempo pur con basse tirature.
Negli Stati Uniti, ai numerosi giornali locali (spesso di qualità) si affiancano alcuni quotidiani di levatura internazionale. The New York Times (1851), che è considerato il più autorevole, nel 1997 ha avviato notevoli cambiamenti nella grafica e nell'impaginazione. The Wall Street Journal (1920) è considerato il primo giornale economico-finanziario a livello mondiale. Giornali di prestigio sono inoltre il Washington Post (1877), il Los Angeles Times (1881), il Chicago Tribune (1847), The Boston Globe (1872), The Miami Herald (1910) e il più recente Usa Today (1982). L'International Herald Tribune (1887, con questo titolo dal 1967), invece, si stampa a Parigi e pubblica articoli del New York Times e del Washington Post.
Nel mondo arabo una delle voci più autorevoli è al-Eayat ("La vita"), finanziato da capitali sauditi, seguito da al-Earq al Awoat (1978, "Medio Oriente"), che si stampa a Londra e ha carattere internazionale, mentre a Gerusalemme si stampa al-Quds al-Arabi (1968, "Gerusalemme araba"). Si segnala anche al-Ahram (1875, "Le piramidi"), giornale egiziano pubblicato al Cairo, che vanta anche un'edizione in Germania. In Israele il quotidiano più venduto è Yedioth Ahronoth (1939, "Ultime notizie"), indipendente, seguito, tra le altre testate, dal liberale Ha'aretz (1919, "La Terra"), Ma'ariv (1948, "Preghiera della sera") e The Jerusalem Post (1932), in lingua inglese.
Il Giappone, che registra una notevole diffusione di quotidiani, offre ai lettori più di un'edizione al giorno, lo Yomiuri shimbun (1874), indipendente e finanziato da privati, vende 12 milioni di copie, mentre l'Asahi shimbun (1879) raggiunge i 10 milioni. In Cina il più letto è il Renmin ribao (1948), organo del Partito comunista cinese, che vende 4 milioni di copie. Oltre al Guangming ribao (1949), che si distingue per l'impegno culturale e politico, si segnala, tra gli altri, il China Daily (1981), in lingua inglese, che ha un'edizione anche a Hong Kong.