ACQUAVIVA, Giosia
Figlio di Andrea Matteo, uomo politico, militare, nato alla fine del sec. XIV, successe al fratello Antonio e fu il quinto duca di Atri. Nel 1419 presenziava all'incoronazione di Giovanna II a Napoli; il 16 sett. 1420 era fatto prigioniero ad Aversa da Muzio Attendolo Sforza, che parteggiava per Luigi III d'Angiò. Nel 1430 acquistava da Iacopo Caldora i castelli di Montesisto, Castiglione, Buccia e Casalitto. Nel 1433 doveva essere assunto come condottiero da Alfonso d'Aragona per combattere Iacopo Caldora, ma non se ne fece poi nulla; nello stesso anno presidiava Iesi contro Francesco Sforza. Alla morte di Braccio, gli esuli di Teramo chiesero a Giosia di aiutarli a rientrare in città, offrendogliene la signoria. L'A., che reggeva il ducato d'Atri per il secondo nipote Andrea Matteo, accettò e, appoggiandosi alla famiglia dei Melatini, il 10 giugno 1424 occupò Teramo, tranne la cittadella che ebbe il 18 giugno, in seguito ad ordine della regina Giovanna II. Fu confermato da Giovanna governatore a vita di Teramo. Fautore degli Aragonesi nella lotta tra Renato d'Angiò ed Alfonso d'Aragona, il 3 ag. 1435 partecipò alla battaglia tra Alfonso d'Aragona e i Genovesi e vi fu preso prigioniero. Tradotto a Milano vi strinse amicizia con Filippo Maria Visconti, dal quale venne liberato contemporaneamente al re Alfonso (1435, autunno). Tornato in Abruzzo, fautore degli Aragonesi, nel febbr. 1436 ebbe danaro da Alfonso per molestare Iacopo Caldora, di cui era parente e con cui poi si collegò per il sacco di Penne (giugno 1436); dal duca di Milano, Filippo Maria Visconti, aveva poi l'incarico di molestare Francesco Sforza, che mirava ad estendere e consolidare il suo potere nelle Marche (lettera di F. M. Visconti del 15 luglio 1437).
Intanto l'A., con Francesco d'Aquino, Francesco Piccinino e Sebastiano dell'Aquila, riusciva a cogliere di sorpresa Iacopo Caldora nei suoi accampamenti di Pescara, infliggendogli una severa sconfitta ed ottenendo che Chieti e Sulmona si dichiarassero per Alfonso d'Aragona. Fulcro della opposizione a Iacopo Caldora stesso e, nelle Marche, a Francesco Sforza, in appoggio alle richieste di Filippo Maria otteneva anche l'intervento d'Alfonso d'Aragona. Non riuscendo però ad opporsi allo Sforza fece poi un accordo con Iacopo Caldora (1437), rimanendo contro lo Sforza in Abruzzo, al confine con le Marche, anche quando Iacopo andò via. Alla fine d'ottobre l'A. aveva, con gli altri capitani, realizzato notevoli progressi, quando, stipulata la pace tra Filippo Maria e lo Sforza, che era stato richiamato in Toscana dai Fiorentini contro i Lucchesi, fu costretto ad interrompere le operazioni. Ma, conclusa la pace tra Fiorentini e Lucchesi, Francesco Sforza, libero, tornò nelle Marche a combattere l'A. e Alfonso d'Aragona. Alfonso si mosse verso l'Abruzzo, mentre l'A. sosteneva il primo urto dello Sforza, che gli tolse tutti i feudi di là dal Tronto, occupando Amatrice, Accumoli, Castel S. Flaviano e perfino Teramo, cittadella dell'A., che fu costretto a ritirarsi di fronte allo Sforza (1438). Rimasto tuttavia fedele ad Alfonso, che vanamente cercò con accordi di togliere allo Sforza, almeno in parte, i feudi dell'A., lo accompagnò con le sue truppe nell'assedio di Napoli, ove era certamente nell'aprile 1439. Raggiunto qui da ambasciatori sulmonesi, che cercavano il suo aiuto contro gli Aquilani protetti da Iacopo Caldora, l'A., che personalmente non era in grado di dare alcun soccorso, ottenne allora l'aiuto d'Alfonso, che nel settembre 1439 riuscì a smuovere Iacopo dall'Aquila, mentre nel 1440 Amatrice era già tornata all'Acquaviva. Durante le operazioni d'Alfonso d'Aragona in Abruzzo, l'A. prese parte alla battaglia del 5luglio 1441 sotto le mura di Chieti; attaccato da Alessandro Sforza e battuto, si salvò rifugiandosi in Chieti.
Fedele agli Aragonesi dopo la vittoria definitiva d'Alfonso, gli fu a fianco nella riconquista dei territori in Abruzzo, già occupati da Francesco Sforza; ma non avendo ottenuto dal re il dominio su Teramo, con improvviso rovesciamento di alleanze (1443), fidando nell'appoggio d'un cospicuo gruppo di suoi fautori in Teramo, chiese l'appoggio dello Sforza e pose l'assedio a Teramo, in ciò aiutato anche da un corpo d'armati mandatigli dallo Sforza al comando di Antonio Trivulzio e Bastiano da Canosa (maggio 1443), che furono tuttavia richiamati nell'agosto successivo, lasciando così solo l'Acquaviva. Questi, sempre intento all'assedio di Teramo, avendo saputo che il re Alfonso mandava per soccorrere la città un esercito agli ordini di Giovanni Antonio Orsini, con rapida manovra andò ad affrontarlo nei pressi di Bozza (Atri), infliggendogli una severa sconfitta (primavera del 1446).
Divenuta allora pericolosa la situazione per il re Alfonso, questi decise di assumere personalmente il comando delle operazioni, dirigendosi su Chieti, città fedelissima alla monarchia; prima, però, di iniziare l'attacco, per l'intervento di autorevoli intermediari fu possibile raggiungere tra il re Alfonso e l'A. un accordo (22 luglio 1446), per cui gli veniva concessa in feudo Atri con tutto il dominio (tolto al nipote dell'A., cioè Andrea Matteo II, ribelle al re ed alleato sicuro dello Sforza).
Rimasto tranquillo fino alla morte di Alfonso d'Aragona (1458),l'A. profittò dei torbidi avvenuti in occasione dell'ascesa al trono di Ferrante per fare un nuovo tentativo d'impadronirsi di Teramo: uccise infatti i messaggeri della città che si recavano dal re per dichiarargli obbedienza e cercò di entrare in città con un colpo di mano, che però falli. Tenace nel suo proposito, l'A. si alleò allora con Giovanni Antonio Orsini, suocero del figlio Giulio Antonio, contro il re, che, con abile mossa politica, riuscì a svuotare l'opposizione dell'A., dandogli Teramo, malgrado ogni precedente promessa e la chiara ostilità dei Teramani: così l'A. riotteneva la città, dominio dei suoi avi, entrandovi il 18 maggio 1459. Malgrado ciò, poco dopo, si ribellava di nuovo a Ferrante, in occasione della venuta nel regno di Giovanni d'Angiò, per conto del re Renato (ottobre 1459).
Caposaldo del partito angioino in Abruzzo, l'A. riuscì a resistere alla pressione aragonese fino alla primavera del 1460, quando dalle Romagne accorse in suo aiuto Niccolò Piccinino: insieme mossero contro Chieti, tenuta da Matteo di Capua, condottiero fedelissimo a Ferrante. Di lì mossero ancora contro Federico da Montefeltro ed Alessandro Sforza, che entravano in Abruzzo per appoggiare Ferrante. Lo scontro fra i due eserciti, avvenuto presso Castel S. Flaviano (possesso dell'A.), si risolse nella vittoria del Piccinino (24-27 luglio 1460), che tuttavia non riuscì nei mesi successivi ad ottenere il dominio dell'Abruzzo, restando Chieti in mano a Matteo di Capua.
Nell'anno successivo, però, l'A., rimasto solo per la partenza del Piccinino, richiamato da Giovanni Antonio Orsini, si trovò a fronteggiare l'offensiva di Matteo di Capua, che ricevuti rinforzi uscì da Chieti, rioccupando le terre dell'Acquaviva. Questi, vedendo di non poter resistere alle forze nemiche, anche per la ribellione dei sudditi malcontenti (e ciò in special modo a Teramo, che si diede a Matteo il 18 nov. 1461), dopo un tentativo di resistenza, vittoriosa ma inutile, presso Basciano, si ritirò nella sua fortezza di Cellino, ove morì di peste il 22 ag. 1462, mentre valorosamente resisteva.
Bibl.: Non esistendo monografie su G. A. si è costretti a rinviare ad opere generali di storia abruzzese, che gli dedicano ampia attenzione. Si ricorda in particolare M. De' Mutii, Della Storia di Teramo dialoghi sette, con note ed aggiunte di G. Pannella, Teramo 1893 (ma l'opera risale alla fine del sec. XVI), pp. 111-171; inoltre: A.L. Antinori, Raccolta di memorie istoriche delle tre Province degli Abruzzi, III, Napoli 1782, pp. 359-362,399, 419, 421-425, 431, 449-451, 456; V. Bindi, Castel S. Flaviano, II, Napoli 1880, pp. 140-193; O. Benadduci, Della signoria di Francesco Sforza nella Marca e peculiarmente in Tolentino, Tolentino 1892, pp. 16 ss., 83 ss., 91, 93, 95 ss., 99, 101, 103, 118, 172, 174, 187 ss., 192, 318, 328, 332, 395; F. Savini, Il comune di Teramo nella sua vita intima e pubblica, Roma 1895, pp. 234 ss.; Id., Le lettere di Filippo Maria Visconti a Giosia di Acquaviva, in Arch. stor. ital., s. 5, XX(1897), pp. 369-379; N.F. Faraglia, Storia della regina Giovanna II d'Angiò, Lanciano 1904, pp. 151, 170 n. 5, 185,398; Id., Storia della lotta tra Alfonso V d'Aragona e Renato d'Angiò, Lanciano 1908, pp. 32, 35, 55, 71 ss., 96, 98 ss., 128, 130, 132, 134, 136, 138 ss., 152, 188 ss., 207, 241, 371, 374, 383, 389, 401, 416; Corpus Nummorum Italicorum, XVIII, Roma 1939, pp. 111 ss. e tav. V, n. 1, per le monete di G. Acquaviva.