BORSI, Giosuè
Nacque a Livorno il 1º giugno 1888 da Averardo e da Verdiana (Diana) Fabbri, originari entrambi di Castagneto in Maremma. Il padre, pugnace giornalista di tendenze radicali, autore anche di qualche dramma, divenne alcuni anni dopo proprietario e direttore del quotidiano Il Telegrafo;era amico del Carducci, il quale fu padrino, per procura, al battesimo del B., che ne portò il nome.
Dotato di precoce talento, il B., ancora adolescente, fece le prime prove di scrittore mandando al fratello minore Gino, in collegio, a capitoli e con figure a penna, un romanzetto, una specie di parodia delle avventure dei Tre moschettieri.
Il racconto fu ripreso posteriormente e pubblicato postumo, con prefazione di L. Bertelli (Vamba): Ilcapitano Spavento, romanzo cavalleresco, illustrato con sessanta disegni dall'autore, Firenze 1917; ebbe successo, con più ristampe.
Compiuto il liceo a Livorno nel novembre 1905, per desiderio del padre il B. s'iscrisse alla facoltà di giurisprudenza a Pisa, passando nel marzo 1907 alla università di Roma, dove nel gennaio la famiglia si era trasferita, perché Averardo intendeva dare più sicuro orientamento politico al suo giornale (sulla fine del 1909 acquistò anche Il Nuovo Giornale di Firenze, del quale poté liquidare le pendenze con l'aiuto del governo). La casa del B. era frequentata da scrittori, giornalisti, uomini di cultura, parecchi dei quali gli divennero amici. Accolto nei salotti per le brillanti qualità personali, fece vita mondana e anche dissipata, da cui traeva alti e bassi di umore e di salute e conseguente mancanza di laboriosità e spreco di energie.
Poetò prestissimo. I suoi primi versi stampati furono "A mia sorella Laura nel giorno della sua prima, comunione", 13 dic. 1900, ma soltanto alcuni anni dopo pubblicò la sua più antica raccoltina, Versi (Livorno 1905). Tra l'estate e l'autunno del 1906, trascorsi nella villa del Gabbiano presso Pistoia, compose la raccolta poetica Primus fons, pubblicata nella primavera del 1907 dallo Zanichelli di Bologna, atto di nascita del B. nel mondo della poesia contemporanea. Del periodo posteriore, poeticamente intenso, è il secondo canzoniere, Scruta obsoleta, che apparve tra il settembre e l'ottobre 1910 (Bologna). Dopo non scrisse quasi più poesia: sulla fine del 1912, stampò due Carmi nuziali, per circostanza; e, tra l'aprile 1911 e l'ottobre 1913, lavorò a un poemetto in ottava rima, l'Orcheide, rimasto incompiuto. Stimò, con evidenza, chiusa la sua opera poetica, poiché ne preparò egli stesso la raccolta definitiva, che si pubblicò postuma, nel 1922 a Firenze (Versi, 1905-1912). Questo volume, diviso in cinque libri, riproduce sostanzialmente i due canzonieri, con parecchie omissioni, in specie di poesie di Primus fons. Mancano o risultano minime le varianti in confronto alle prime stampe; s'introducono invece, utilmente, le date di molte composizioni. Di nuovo, oltre i Carmi nuziali posteriori al 1910, si presentano i frammenti del poema La nube, cominciato nel 1905, interrotto e ripreso più volte fino al settembre 1907: inediti quelli intitolati L'acqua,L'uomo,La foglia di castagno, e stampato separatamente, nel 1906, l'Inno alla madre.
La produzione, abbastanza ristretta e che s'iscrive in un'età tutta giovanile, colpisce ancora oggi per certa felice vena e per un avvisato gusto, formato dal lungo e avido studio dei classici. Il titolo stesso del secondo canzoniere, "disusati ciarpami" secondo la versione dell'autore, pur nell'intenzione polemica di mostrare che "le anticaglie scovate ne' ripostigli di casa nostra son sempre più fresche degli stracci con cui ci camuffiamo all'uso forestiero", sta a segnare sostanzialmente il carattere e i limiti riconosciuti di esperimenti metrici imitativi. Ma i risultati non sono soltanto di abilità, e l'operazione non è fatta sempre a freddo, dall'esterno. Quello che può essere, in partenza, un puro giuoco di tecnica impegna talvolta il B. fino al fondo, e produce in alcuni momenti l'abbandono lirico del canto. La mimesi, allora, in parte si riscatta, assumendo il poeta la natura del modello quasi come propria.
Nel processo innovatore che caratterizza la poesia italiana del quindicennio precedente la prima guerra mondiale, con larghe aperture a esperienze straniere, la posizione del B. fu già ritenuta da alcuni suoi contemporanei attardata in forme tradizionali, fortemente classicheggianti. Quando anche venga ora riconosciuta l'esattezza sostanziale del giudizio, si dovrà dare a questo giovane, che poetò fino a poco più di vent'anni, una parte maggiore di quella abitualmente fattagli nel momento, isolando ciò che fu suo originale, tra il "ciarpame" del quale a lui stesso piacque parlare con disprezzo.
Il "Congedo" di Scruta obsoleta che segna quasi il commiato esterno con la poesia è stato datato: Pracchia, 2 settembre 1909. Furono il luogo e il tempo del primo incontro del B. con Giulia, la donna che dominò e determinò il corso nuovo della sua vita. L'anno dopo, a Roma, germinò l'idea d'una vasta opera, intitolata a lei con l'epiteto che volle darle per eccellenza, La Gentile. Dopo la morte del padre, avvenuta il 23 dic. 1910 a Firenze, il B. ne raccolse la successione come direttore comproprietario de Il Nuovo Giornale. Ma per la sua scarsa capacità al maneggio politico dovette lasciarne la direzione a distanza di poco più di un anno. Accettò, però, l'incarico di critico letterario, artistico e musicale, ricavando da questa collaborazione il provento principale per il mantenimento della famiglia.
Il B. aveva iniziato la sua attività giornalistica a Livorno, con lo pseudonimo di "Corallina", come cronista mondano del Telegrafo, al quale inviò corrispondenze da Roma e da Messina, da dove fornì servizi sul terremoto. Nella primavera 1910, da Venezia, inviò al Nuovo sette od otto articoli sulla Biennale d'arte, ricordati per la vivacità e l'intelligenza di alcuni giudizi: tra gli altri, fece un coraggioso elogio del quasi ignoto Felice Casorati, esaltò Adolphe Monticelli, specialmente come colorista (ma si mostrò freddo per Renoir e avverso al viennese Gustav Klimt). Collaborò anche a diverse riviste: alle Cronache letterarie, fondate a Firenze da Vincenzo Morello, all'Acropoli, fondata dal Romagnoli a Firenze nel 1911, e a Myricae.
Agli studi letterari si connette la sua attività d'interprete di Dante e di conferenziere. Per la "Lectura" di Or San Michele in Firenze, illustrò il canto XXXII del Paradiso, il 6 marzo 1913 (Giornale dantesco, XXI [1913], pp. 244-257), e il XIII dell'Inferno, il 4 marzo 1915. Apprezzato dicitore, fu chiamato a leggere in Certaldo, nel 1913, per il sesto centenario della nascita del Boccaccio. Nell'anno stesso tenne un discorso su Verdi, a Pistoia.
Poco dopo lo colpì la morte della sorella Laura, il 18 luglio 1912. Il B. cercò distrazione viaggiando in compagnia di un'amica; ma il 3 settembre, a Pracchia, rivide Giulia, che salutò entro di sé come un'apparizione celeste; nel dicembre egli visitò la donna a Roma due volte, e le mandò poi una Barcarola e i Carmi nuziali, senza averne riscontro. Il 3 dic. 1912, a Firenze, aprì il libro segreto a lei destinato, e che porterà il titolo di Confessioni a Giulia.
L'incompiuta opera La Gentile, cominciata a scrivere il 5 luglio 1910 a Forte dei Marmi, avrebbe dovuto narrare tutta la sua vita di sentimento e le ingannevoli esperienze d'amore. Vi lavorò con foga straordinaria; nell'aprile 1911 era giunto al quattordicesimo capitolo, su una quarantina disegnati, e un anno dopo, come informava in una lettera, al ventesimo (il manoscritto, in realtà, si arresta al quindicesimo). Il complesso romanzo autobiografico, o poema, che doveva comprendere prosa e versi, s'interrompe con l'annunzio del terremoto calabro-siculo.
Dal 5 dic. 1912 al 27 genn. 1913 scrisse, quotidianamente 54 colloqui segreti con Giulia (Confessioni a Giulia):il contenuto è fornito dal mondo dei pensieri, delle sollecitudini, delle pene che alimenta quest'unico vero amore. Il confronto di Giulia con le altre donne conosciute la innalza sopra tutte, con una trasfigurazione ideale e mistica che si compie in termini religiosi: ella diventa, a un certo punto, mediatrice e arbitra della salvezza del suo fedele, che sente per lei la capacità di compiere cose grandi e inosate. Stilisticamente, una turgida abbondanza deforma parecchie di queste pagine, rimaste senza revisione. Il problema fondamentale rimane quello della sincerità umana e letteraria del libro, che resta con i Colloqui il piùnoto del Borsi. Per un momento egli pensò di stamparlo, come si deduce da una lettera dell'ottobre 1913, pensando a titoli come "La Vigilia" o "Initium sapientiae". Ciò non basta a giudicare il testo puramente letterario, e nel fatto troppe cose intime, che non toccavano soltanto lui, lo trattennero dal darlo alle stampe. Nelle ultime disposizioni, ordinò che i tre quaderni fossero consegnati a Giulia.
Laureatosi in legge nel dicembre 1912, il B. si rivolse alacremente all'attività letteraria. Mise anche a profitto notevoli qualità naturali di attore, recitando nelle rappresentazioni classiche promosse da Ettore Romagnoli, in varie città d'Italia negli anni 1912-1914. Durante una di queste assenze da Firenze fu così sconvolto dalla notizia della morte del nipotino Dino di sei anni, orfano di Laura (12-13 marzo 1913), che cercò di gettarsi dalla finestra.
Del molto che scrisse in questo tempo, solo alcune cose stampò, o furono pubblicate postume. L'opera vagheggiata come maggiore aveva intercalati anche alcuni racconti; il B. pensò di farne un libro separato, con il titolo Crisomiti, o novelle d'oro, che sarebbero state dieci, prima serie di cento, nuovo Decameròn. Ma quasi subito interruppe il lavoro, riprendendolo poi tra il giugno e l'agosto 1913. Il libro, annunziato da lui più volte come compiuto fino al settembre 1914, rimase manoscritto. La preparazione dei racconti, di ambiente esotico e storico, era minuziosa, per la parte erudita e linguistica. L'edizione postuma, pubblicata nel 1921, ne contiene cinque, con questa successione: La vita di san Cristoforo (dedicata al Chiesa), Fiorrancino,La camicia di Nesso,Il fumo,Il Camardella.
Della produzione narrativa disegnata rimangono altri titoli: due novellette, tradotte o rifatte dal francese, Le sigarette e L'agganciascarpe, rimaste manoscritte, e alquanto maliziose, che il B. amò forse per la scioltezza narrativa. Dal francese prese a tradurre Les contes drolatiques del Balzac, per l'editore Formiggini, che intendeva pubblicarli nella sua collezione "I classici del ridere". Del lavoro, assunto specialmente come prova linguistica, per rendere in forma boccaccesca il testo, cominciò a parlare in una lettera scritta nel marzo del 1913; e lo portò avanti faticosamente almeno fino all'ottobre 1914, traducendo soltanto le due prime novelle, La bella Imperia e Il peccato veniale, pubblicate postume.
Tra il 1911 e il 1913 rivolse anche vivo interesse a composizioni teatrali. Prima fu Il diadestè (1911), commediola o apologo in versi, in un atto, rappresentata con un certo successo. Pensò e diede, in lettere, i titoli di altri, vari di maniera e di ambiente. Di quattro orientali, sul genere del primo, ne pubblicò uno, Avatar, ne La lettura del dicembre 1914. Ma scrisse anche una commedia, La natta del Grasso, rimasta inedita, e un'altra, Lisa inferma, che distrusse. Pensò una commedia, Damone e Pizia, avente per scena la corte di Dionisio il Giovane, e una tragedia, Valverde, che avrebbe avuto protagonista il prete spagnolo ordinante la strage degli inermi Incas. I saggi, anche ristretti, valgono a confermare la sua versatile abilità.Ai colpi subiti con le disgrazie domestiche egli parve reggere dapprima con una certa baldanza. Ma, progressivamente, pensieri più gravi si aprirono in lui, non estranei a qualche sentimento religioso. In lettere scritte tra il maggio e il novembre 1913 si va cogliendo l'insinuarsi di un disgusto per gli umani interessi e la noia di "tutte le ridicolaggini della vita". Lo studio che fece in questo tempo della dottrina cattolica, leggendo in particolare Pascal e Manzoni, gliene fece ammirare il rigore logico. Ritornò alla pratica dei sacramenti nel luglio '14. Prima della fine dell'anno (25 novembre) redasse un singolare documento, nelle forme proprie di un testamento, alla fine di legare agli amici le sterminate ricchezze spirituali delle quali sentì d'essere entrato in possesso.
In questo periodo decise di andare in guerra, quando fosse scoppiata con l'Austria, volontario. E intanto, nel maggio 1915, iniziò a scrivere i Colloqui.
Nel quaderno iniziato il 4 maggio e poi nel secondo, fino all'8 giugno, l'autore mantenne l'impegno di scrivere, per trentasei giorni. Alcuni motivi dominano, le pagine di questi Colloqui: la ripugnanza del mondo, nel senso evangelico del termine, con l'orrore di ciò che egli era stato quando aveva appartenuto ad esso. Faticava a vivere e perfino a parlare con gli uomini; nella morte corporale vedeva l'introduzione alla vera vita, quella eterna. Per il primo si chiedeva tuttavia se questo tedio della vita presente mascherasse la viltà e lo scoraggiamento: per concludere che ciò non era, ma che desiderava la morte come una liberazione dalla condizione terrena. La guerra, nella quale l'Italia entrava proprio in quei giorni, gli appariva un terribile flagello, dal quale pur potevano derivare beni di ordine morale, come la concordia e il sacrificio; condivideva, inoltre, le motivazioni ideali dell'intervento.
Nominato sottotenente, il 30 agosto ricevette la destinazione per la zona di guerra. Passò la vigilia e la giornata nello scrivere il testamento e parecchie lettere di congedo agli amici, tra le altre quella al Bontempelli con le disposizioni per la sua eredità letteraria.
A Plava, sull'alto Isonzo, uno dei settori più sanguinosi, raggiunse il suo reggimento, il 125º fanteria, il 2 settembre, e gli fu assegnato il comando di un plotone. Per ventisei giorni restò sulla linea del fuoco, lungo il fiume, compiendo gesta di ardimento. Alla fine di settembre il reggimento ebbe l'avvicendamento, e si attendò su una desolata collina di Craoretto di Dolegna, per tre settimane. Il 29 settembre il B. riprese a scrivere i Colloqui incominciando il terzo quaderno, e li continuò fino al 16 ottobre; il 19 ritornò in prima linea, a Zapotok, lungo lo Iudrio; il 21 scrisse la lettera alla madre, destinata ad essere consegnata solo dopo la sua morte: il testo, diventato famoso, è certo il suo più alto; il 28 inviò l'estremo saluto a Giulia. Nel pomeriggio del 10 nov. 1915 il suo plotone saltò dai ripari per espugnare una delle case dell'abitato di Zagora, oltre l'Isonzo: da più narrazioni, alquanto confuse, risulta che nello spingersi in avanti, incitando i suoi uomini, il B. fu colpito mortalmente alla tempia sinistra. Il corpo rimase insepolto per qualche giorno, e fu poi portato nel piccolo cimitero militare di Plava, arato dalle artiglierie, sicché scomparve per sempre.
Opere: Il Testamento spirituale fu stampato sulla fine del 1915 a Firenze e a Pistoia. Anteriormente al maggio 1916 fu pubbl. L'ultima lettera di B. a sua madre, con pref. di I. Dei Lungo (Firenze), che ebbe varie ristampe separate, anche con il titolo di Lettera d'oltretomba. Nell'agosto 1916 a Torino furono pubblicate centoventisette Lettere dal fronte (agosto-novembre 1915), a cura di M. Bontempelli. I Colloqui, quaderno primo e secondo, furono pubblicati a metà settembre 1916, a Torino, con pref. di G. Giovannozzi. I colloqui scritti al fronte, terzo quaderno, con pref. di E. Magri (Torino 1918), sono riuniti ai primi, nelle edizioni successive: Milano 1933, con pref. di G. Berzero; Milano 1965 con pref. di N. Vian, ecc. Le confessioni a Giulia furono pubblicate, per la prima volta, nel 1920 a Roma, con intr. di P. Misciattelli; ebbero diverse ristampe delle quali una nel 1933 a Milano, con introd. di D. Provenzal, e la più recente nel 1965 a Milano, con pref. di N. Vian.
Fonti eBibl.: Per la biogr. e l'opera è importante l'epistol. (225 lettere, 1902-1915) pubblicato da F. Palazzi: Lettere scelte, Milano 1940. La letteratura sul B. è abbondante, ma in prevalenza agiografica. Una prima bibliografia delle opere del B. e sul B. in A. Mazzotti, Repertorio bibliografico aggiunto ai "Contemporanei", Milano 1964, pp. 62 s.; cfr. inoltre: B. Galbiati, G. B., in Vita e pensiero, 10 dic. 1915; M. Bontempelli, Meditazioni intorno alla guerra d'Italia e d'Europa, Milano 1917, pp. 143-158; F. Paolieri, Liberi, Roma 1917, pp. 29-80; P. Misciattelli, Polifilo e la Gentile nel romanzo inedito di G. B., in Vita e pensiero, 20 ott. 1920; E. Romagnoli, Commemorazione di G. B., Firenze 1921; M. Vaussard, L'intelligence catholique dans l'Italie du XX siècle, Paris 1921, pp. 257-302; G. Prezzolini, Uomini 22 e Città 3, Firenze 1923, pp. 271-283; A. Lenzoni, G. B. e Umberto Fioravanti, in Liburni civitas, I (1928), pp. 149-165; F. Fattorello, Eroi e poeti, Udine 1930, pp. 87-121; V. G. Galati, G. B., Firenze 1930; R. Mazzucconi, G.B., Roma-Milano 1931; A. Marpicati, Ritratti e racconti di guerra, Bologna 1932, pp. 109-118; G. Berzero, Vita di G. B., Milano 1933; Id., Nuove pagine di critica, Chiavari 1933, pp. 199-212; G. Fanciulli, Gente nostra, Torino 1933, pp. 259-272; S. Attal, G. B. terziario di S. Francesco, in Miscellanea francescana, XXXIV (1934), pp. 232-247; Id., Un eroe francescano,G. B., Roma 1936; A. Galletti, Il Novecento, Milano 1935, pp. 474-476, 518; G. Cantini, In odore di santità,G. B., Torino 1938; G. G. Bascapè, G. B., Milano 1940; L. Bracaloni, Ilcapolavoro di G. B.: la sua vita (conversazioni con la mamma), Vicenza 1941; P. Bargellini, pref. alle pagine del B., Dante e Boccaccio, Vicenza 1942; A. Cojazzi, G. B., Torino 1944; G. Aliprandi, Studi sulla grafia, Padova 1945, pp. 12-20; A. Marpicati, Questi nostri occhi, Torino 1953, pp. 185-199; C. D'Angelantonio, Confidenze d'avvocato, Torino 1955, pp. 27-33; L. Bracaloni, Il soggiorno romano di G. B., in L'Osservatore romano, 8 giugno 1962; G. Prezzolini, L'Italiano inutile, Firenze 1964, pp. 218-36; G. B. Testimonianze, racc. da Gino Borsi e N. Vian, Brescia 1965; C. Bo, B.,Serra e Slataper. La natura dei loro testamenti. in Corriere della Sera, 17 genn. 1965; A. Petrucci, Quasi un diario, in L'Osservatore romano, 27 genn. 1965; L. Bracaloni, Roma nelle confessioni di G. B.,ibid., 14 marzo 1965; E. Falqui, G. B., in Il Tempo, 10nov. 1965; C. D'Angelantonio, G. B. e Roma, in Strenna dei romanisti, 1966, pp. 127-134; N. Vian, Un inedito di G. B. Testamento per M. Bontempelli, in L'Osservatore romano, 6 dic. 1967; L. Bracaloni, I cimeli di G. B. sulla collina di Montughi,ibid., 20 dic. 1967; V. G. Galati, La madre di G. B.,ibid., 29 sett. 1968.