MARTELLI, Giovambattista
– Nacque a Firenze il 16 ott. 1514 da Alessandro di Francesco e da Adriana di Bartolomeo Ridolfi, ultimo di quattro fratelli, con Baccio, Domenico e Vincenzo.
Sugli anni della giovinezza del M., rimasto orfano precocemente, e sull’educazione da lui ricevuta non si hanno notizie. Caduta la Repubblica fiorentina nel 1530, e tornati al potere i Medici, si mosse al seguito dei fratelli nell’ambiente degli esuli fiorentini alla ricerca di una dignitosa fonte di sostentamento.
Attratto probabilmente dai successi del fratello Baccio, avviatosi a una brillante carriera militare al servizio del re di Francia Francesco I, il M. decise anch’egli di recarsi Oltralpe, ma non riuscì tuttavia a ottenere il ruolo desiderato. Rientrato quindi in Italia offrì i suoi servigi al papa Paolo III Farnese e nel 1543 fu nominato governatore di Città di Castello. Nel 1546 il M. si spostò a Venezia, dove erano stati accolti alcuni fra i principali fuoriusciti toscani tra i quali vari esponenti della famiglia Strozzi e Lorenzino de’ Medici, l’uccisore del duca Alessandro. A Venezia frequentò un altro esule fiorentino, il letterato Paolo Del Rosso, uomo di fiducia di Leone Strozzi, che alcuni anni prima, alla corte di Napoli, aveva stretto legami con il fratello Vincenzo.
Notizie sull’attività del M. in questo periodo si possono trarre da un importante processo tenuto a Firenze nel 1553 contro Del Rosso, coinvolto in una congiura ai danni di Cosimo I de’ Medici. Sottoposto a tortura, Del Rosso rivelò notizie sulle trame di diversi oppositori repubblicani, fra i quali il M., che gli aveva confidato di essere stato incaricato da Leone Strozzi di disegnare le piante delle fortezze italiane e in particolare di quelle toscane. A tale scopo si sarebbe avvalso di un abile disegnatore vicentino. Cosimo si era mostrato molto interessato a tali informazioni, che confermavano i suoi sospetti sul ruolo non marginale svolto dal M. nella congiura e sul suo forte legame con la famiglia Strozzi, dalla quale probabilmente riceveva aiuti economici.
A Venezia il M. era al fianco di Lorenzino de’ Medici, con il compito di proteggerlo dai sicari del duca Cosimo I. Secondo quanto scrisse Francesco da Bibbona, uno dei due sicari giunti a Venezia per uccidere il Medici, il 26 febbraio di quell’anno Lorenzino uscì dal suo palazzo scortato dal M. – «che stava alla guardia e alla difesa di esso Lorenzo colla spada» (Mazzucconi) – e dallo zio Alessandro Soderini. I tre, dopo una breve sosta nella chiesa di S. Polo, si separarono: Lorenzino si allontanò insieme con lo zio e poco dopo fu assalito e ucciso dai due sicari, mentre il M., che si era fermato in chiesa, sfuggì fortunosamente all’agguato.
Intanto la mutata situazione politica, che faceva sperare, tra la fine del 1550 e i primi mesi del 1551, in una possibile riconciliazione tra Piero Strozzi e Cosimo, mutò il clima tra gli esuli fiorentini: angustiati da difficoltà economiche e ormai sfiduciati sull’esito di un’eventuale rivolta politica, molti decisero di cogliere l’occasione propizia per tornare in patria. Fra loro anche il M. e suo fratello Baccio, che avrebbero avuto anche importanti motivi personali per rientrare a Firenze: nel gennaio del 1551 era morto il fratello Vincenzo, lasciandoli eredi delle sue sostanze. Baccio, forte del suo prestigio militare, prese contatti con l’ambasciatore mediceo in Francia Luigi Capponi per perorare la sua causa e quella del fratello, per il quale ottenne una lettera di raccomandazione da parte della regina Caterina de’ Medici. Capponi sosteneva apertamente la richiesta dei Martelli, desideroso di poter convincere finalmente Baccio a tornare al servizio della città natale; il M. dal canto suo si appellava alla magnanimità del duca, dichiarandosi suo fedele servitore.
Rientrato a Firenze, il M. fu invece, poco dopo, arrestato e imprigionato nel carcere delle Stinche.
A questa vicenda ancora oscura si accenna indirettamente nel Trattato di agricoltura, di Girolamo Gatteschi da Firenzuola, opera composta nel settembre del 1552, mentre l’autore si trovava alle Stinche. Nel proemio si racconta come l’idea del trattato fosse stata suggerita proprio dal M., che con lui condivideva la prigionia e che lo invitò «a scrivere et porre in nota quelle sperienze fatte alla villa […] delle quali più volte insieme ne abbiamo discorso» (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnam, 538, cc. 1-2).
La prigionia del M., secondo quanto si desume dal manoscritto, non durò a lungo: nel settembre del 1552 egli si trasferì nei possedimenti di famiglia a Montespertoli, dove condusse per un certo periodo vita da privato cittadino, pur mantenendo assidui contatti con il fratello Baccio. La mancanza di valide prospettive e forse anche la diffidenza e il sospetto con cui era considerato da Cosimo, lo spinsero nuovamente a partire. Nel 1555 era a Fermo come luogotenente vicario del governatore della città, Baldovino Del Monte, fratello del papa Giulio III. Riprese allora i contatti con Cosimo, che progettava il matrimonio di sua figlia Lucrezia con un nipote del papa, ma il papa morì nel marzo di quell’anno. Una lettera del M. al duca, del 10 apr. 1555, testimonia un positivo mutamento di rapporti tra i due, dovuto probabilmente anche alle buone relazioni intercorse tra il papa e Cosimo I. A quest’ultimo il M. si rivolse affinché, con la sua influenza, evitasse un possibile passaggio di truppe imperiali attraverso i territori circostanti Fermo. Rientrato infine a Firenze, probabilmente insieme col fratello Baccio, passato nel 1560 al servizio dello Stato mediceo, il M. fu insignito da Cosimo I del grado di capitano.
L’11 febbr. 1551 aveva sposato, con contratto rogato da Niccolò da Pratovecchio, Elisabetta di Bernardo da Castiglione, che portava in dote la consistente somma di 1570 scudi. Appartenente a una antichissima famiglia fiorentina, nota per i suoi sentimenti repubblicani e quindi apertamente schierata contro il regime mediceo, Elisabetta dette al M. due figli: Cosimo e Alessandro. Il primo, cavaliere di S. Stefano dal 1571, fu coinvolto in un drammatico fatto di sangue, l’omicidio del giovane Pagolantonio di Pagolantonio Valori. Fu accusato di averlo pugnalato per conto di un ignoto e influente personaggio la sera del 4 apr. 1580, mentre lo stava accompagnando a casa. Riconosciuto colpevole restò in prigione per circa vent’anni, afflitto da pazzia. L’altro figlio, Alessandro, si distinse invece tra i cavalieri di Malta, il cui titolo gli fu conferito nell’aprile del 1576.
Il M. morì probabilmente nel 1563, forse nella sua dimora di Montespertoli, dove aveva acquistato dagli eredi Ridolfi terreni e immobili per la somma di 2000 scudi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Ce-ramelli Papiani, 3030, cc. n.n.; Raccolta Sebregondi, 3364/a, cc. n.n.; Archivio Martelli, filza 1, ins. 29, c. 373, ins. 34: C. Benassai, Origine e Storia della famiglia Martelli, cc. 105, 170-171; Carte Strozziane, Serie I, 95, cc. 221-222; Notarile antecosimiano, 15124, cc. 273, 291v-292r; 16332, cc. 324-327 (testamento di Vincenzo Martelli); Mediceo del principato, 22, c. 18; 445, c. 298; 4593, cc. 78r-79r (lettera di L. Capponi a Cosimo I); Firenze, Arch. dell’Opera di S. Maria del Fiore, Battesimi, reg. 8, c. 93; Arch. di Stato di Pisa, Ordine dei cavalieri di S. Stefano, filza 24, ins. 7, cc. n.n. (notizie sulla famiglia); L.A. Ferrai, Lorenzino de’ Medici e la società cortigiana del Cinquecento, Milano 1891, p. 383; R. Mazzucconi, Lorenzaccio, Milano 1937, p. 246; M. De’ Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 41, 297; P. Simoncelli, Il cavaliere dimezzato. Paolo Del Rosso «fiorentino e letterato», Milano 1990, pp. 66, 133, 135, 212, 214; Id., Fuoriuscitismo repubblicano fiorentino, I, 1530-1537, Milano 2006, ad ind.; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, IV, s.v. Martelli di Firenze, tav. II.