ARMENINI, Giovan Battista
Figlio di Pier Paolo, nacque a Faenza nel 1530 e fu pittore e letterato. In gioventù viaggiò molto per l'Italia; fu a lungo a Roma (1555-1556) - dove pare eseguisse copie di monumenti e di opere d'arte destinate a Filippo II di Spagna -, poi a Milano con Bernardino Campi. Nel 1564 vestì l'abito ecclesiastico, costretto, egli dice, da chi di lui poteva disporre; nel 1566 era già rettore della chiesa di S. Tommaso in Faenza ed ivi rimase almeno sino al 1603. Il 27 giugno 1605 fece testamento (Cappi, p. 159); morì il 13 maggio 1609. Ci sono conservate sue poesie scritte negli anni 1547-1564 (alcune sono pubblicate nell'edizione del Dolce in data di Venezia, Giolito, 1556); nella Pinacoteca di Faenza è conservata una sua Assunzione (con il relativo bozzetto) con l'iscrizione: "Ioh. Bapt. Armenini primitiae", ma certo né a questa né a quelle si deve la fama dell'A., la quale è esclusivamente legata al suo trattato in tre libri De' veri precetti della pittura,Ravenna 1587 (altre edizioni: Venezia 1678; Milano 1820, a cura di S. Ticozzi; Pisa 1823, a cura di G. Rosini; Venezia 1839 in Ammaestramenti per la pittura tratti da vari scrittori).In esso l'autore si propone soprattutto di esporre con "chiarezza et brevità" quanto possa aiutare i giovani pittori a farsi una "bella, dotta e gratiosa maniera" (ma l'opera si rivolge anche, più generalmente, ai principianti, agli studiosi e agli amatori delle belle arti), ripromettendosi così di contribuire, per quanto possibile, a ristabilire, nella generale decadenza, "il buon'uso e lo studio di far pitture, c'habbi forma di verità".
Troviamo in questa opera rispecchiata la vasta cultura figurativa dell'A., il quale, prima di comporla, aveva avuto modo, nei suoi viaggi per l'Italia, di fare osservazioni sulle opere d'arte e di trarre ammaestramenti dai più celebri artisti, e da questi viaggi aveva ricavato la capacità di apprezzare in grado notevole anche opere di cultura figurativa assai diversa da quel manierismo tosco-rornano che egli stesso andava propugnando. È però errato quanto, mal interpretando lo Schlosser, afferma L. Bertini (in Encicl. Ital.),che cioè per l'A. il colore debba "tenere il primato sul disegno tosco-romano"; Roma, infatti, rimane per l'A. "veramente la luce di queste arti del dissegno" e "il centro unico e indiscusso di ogni vera arte" (Schlosser, p. 384).L'orientamento teorico dell'A. è antinaturalista: egli dichiara di ridersi "di coloro che approvano ogni natural per buono quasi che la natura non erri d'intorno le bellezze sue". L'"imitatione" per lui non èaffatto la pura e semplice copia della realtà naturale; si richiede, infatti, sempre, e soprattutto, la "maniera buona". Secondo lui, dipingere consiste nel congiungere, per mezzo del "giudicio", "l'arte perfetta" alla natura. Questo spiega anche la sua osservazione che "quanto più gli huomini sono stati profondi nel dissegno, essi tanto meno han saputo fare i ritratti", "onde il più delle volte i ritratti, i quali son fatti per mano de gli eccellenti, si trovano essere con miglior maniera et con più perfettion dipinti, che non son gli altri, ma le più volte men somiglianti". Sullo stesso piano è la sua distinzione tra la "convenientia ragionevole" del soggetto, apprezzata dagli eruditi, e la perfezione delle pitture, la "forma mirabile" dell'arte, che meglio può essere capita dagli intenditori. Per quanto riguarda la definizione dei concetti di "disegno", di "idea" e la concezione della pittura quale "poesia muta", i Veri precetti pare che abbiano rapporti (Panofsky) col trattato del Lomazzo (1584)e quasi certamente con quello di Romano Alberti (1585),mentre costituiscono in qualche modo un ponte alle più tarde opere di G. B. Paggi (1591)e F. Zuccari (1607). A parte la teoria, l'opera dell'A. è importante anche per altri aspetti: per esempio è interessante, per l'evoluzione del gusto negli anni posteriori alla morte di Michelangelo, quanto egli a più riprese consiglia a proposito delle pitture che, "se stanno in luogo sacro, debbano essere in modo, che tirino il più che si può alla purità, et all'honesto" (pp.142, 143, 145, 167); egli fornisce inoltre ampi ragguagli sulla tecnica e sulla pratica delle botteghe manieriste, mentre, citandone le opere a mo' d'esempio o riportando episodi della loro vita, dà notevoli giudizi e rare notizie su moltissimi artisti dei primo e del più tardo manierismo (Beccafumi, Sebastiano del Piombo, Pordenone, Daniele da Volterra, Giulio Romano, Perin del Vaga, Polidoro da Caravaggio, Taddeo Zuccari, Francesco Salviati, ecc.).
Bibl.: A. Cappi, Prose artistiche e letterarie, Rimini 1846, pp. 159-165; G. Gargani, De' Veri Precetti della Pittura / di / M. G. B. A. / da Faenza / Quinta edizione illustrata e corretta sull'originale / citato dalla Crusca / ed aggiuntevi le Rime e la Vita dell'Autore (Firenze, Bibl. Naz., ms. datato 15 apr. 1863, II, IV, 731, pronto per la stampa; manca la Vita dell'Autore);G. Ballardini, Per la biografia di tre pittori faentini dello scorcio del 1500, in Riv. d'arte, V(1907), pp. 59-62 (con bibl.); L. Grassi, G. B. A. e alcuni motivi della storiografia artistica del Cinquecento, in L'Arte, n. s., XVII (1948), pp. 40-45; E. Panofsky, Idea, contributo alla storia dell'estetica, Firenze 1952, pp. 55, 143, 144, 147 s.; J. Schlosser Magnino, La letteratura artistica,Firenze-Wien 1956, pp. 383-385, 400; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, II, p. 116; Encicl. ital., IV, p. 458.