BIBLIA, Giovan Battista
Nato a Catanzaro intorno al 1570, apparteneva a una numerosa famiglia mercantile di estrazione popolare, ma arricchita coi traffici e gli arrendamenti.
Al cadere del '500un Giovanni Antonio appare a Napoli uomo di leggi e autore di una De variis causarum turis cogitationibus amicabilis disputatio (Vico Equense 1596). Priva di fondamento è la voce popolare, certo comune contro gli esosi gabellieri e raccolta dal Campanella (che aveva buone ragioni per detestare il B.), secondo la quale i Biblia sarebbero stati "di razza di Giudei". Capo del casato sembra che fosse un fratello del B., Marcantonio, già sostituto-percettore e poi, dal febbraio 1595, esattore generale o "credenzero" della gabella della seta di Catanzaro, ufficio lucroso, data l'ingente produzione ed esportazione serica della regione.
Ciononostante, ai primi di agosto 1599 il B. se ne stava rifugiato per debiti, sfruttando l'immunità assicurata al luogo sacro, nel convento dei minori osservanti della sua città, in compagnia di Fabio Di Lauro, un ex frate ventenne ricoverato per la stessa causa. Là entrambi furono avvicinati da fra' Dionisio Ponzio, il più acceso animatore della congiura calabrese contro il dominio spagnolo, che allora si veniva intessendo e che riconosceva in Tommaso Campanella il proprio condottiero e profeta; con l'imprudenza irruente che gli era propria e che impiegava per guadagnare alla sua causa fuorusciti, malcontenti e illusi d'ogni sorta, il Ponzio ebbe coi due ripetuti colloqui, scrisse lettere, partecipò a compromettenti convegni. Fin da principio il Di Lauro e il B. avevano deciso di trarre il loro vantaggio non già dal successo della congiura, cui fingevano di aderire, bensì dalla sua rovina.
Il 10 agosto si presentarono infatti in segreto all'avvocato fiscale Luis de Xarava e rilasciarono una circostanziata e perfino amplificata denuncia contro i congiurati, svelando "in servizio di Dio e del Re nostro signore" ogni filo della trama, promettendo di restare alle vedette per scoprire altro terreno, nonostante il "grandissimo pericolo di essere uccisi fin nelle nostre case", dichiarandosi pronti a "spargere il sangue" per far nota al mondo la loro fedeltà, ma non tacendo che si aspettavano dal re "grazia e guiderdone". Tre giorni dopo, scrivendo per maggior sicurezza al viceré conte di Lemos, essi chiedevano a chiare lettere "competente rimunerazione di tale e tanto servigio".
La denuncia determinò fulminei e severi provvedimenti repressivi, arresti in massa e processi: chiamati a deporre a Squillace il 31 agosto, il Di Lauro e il B. fornivano agli inquirenti altre informazioni minuziose; il 20 settembre il viceré raccomandava a Madrid i due delatori per un degno compenso, dato che avevano "rinnegato parenti e amici" e non potevano più risiedere nella loro città per tema di vendette. Ai primi d'ottobre li si trova infatti rifugiati in Napoli, ma il mese successivo Marcantonio Biblia pagò con la vita il gesto del fratello, perché venne ucciso di pugnale in Catanzaro da certi Giovanni e Scipione Giovino, fratelli di un congiurato. Il B. non dovette rammaricarsene oltre misura, perché, dopo aver ancora deposto nel corso dei processi napoletani, al cadere dell'anno rimpatriò e il 16 dic. 1600 ottenne di succedere al defunto nell'ufficio di "perceptore della seta"; il 12 giugno 1602, grazie all'attestato conclusivo della gratitudine regia, venne ascritto alla nobiltà con titolo trasmissibile ai discendenti. Poco poté goderne, perché un documento del 26 maggio 1611 lo nomina come già defunto e il 17 sett. 1620 le patenti di nobiltà furono trasferite a un altro ramo del casato, nelle persone di un omonimo Giovan Battista e di suo fratello Fabrizio Biblia, noto agli economisti per un suo saggio del 1621 sulla moneta del Regno.
Negli scritti autobiografici del Campanella il B. è ricordato con accenti di rancoroso dispregio: sullo sfondo della società calabrese del suo tempo, profondamente immorale e crudele ad ogni livello, egli appare in realtà come un uomo di sodo senso pratico, che sposò la retorica fedeltà al re con il concreto interesse e agì con spietato calcolo per cogliere quella che gli parve un'accasione propizia per il personale vantaggio. Gli Spagnuoli, che lo premiarono come suddito ligio, i ribelli, che lo esecrarono come spia e traditore, caddero entrambi nell'errore di attribuire al suo gesto un significato etico, ch'egli era stato in realtà incapace non solo di affermare, ma financo di comprendere.
Bibl.: G. C. Capaccio,Il Forastiero, Napoli, 1630, p. 504; L. Amabile,Fra T. Campanella e la sua congiura…, Napoli, 1882, I, pp. 208, 226-9, 295-6, 309, 368-9; II, pp. 61, 113-4; III, pp. 15-18, 33, 93, 120 s., 160; Id., Fra T. Campanella ne' castelli di Napoli…, II, Napoli 1887, pp. 386, 388 s.; T. Campanella, Tutte le opere, a cura di L. Firpo, II, Milano, 1967, pp. 106, 117-9, 129.