BURAGNA, Giovan Battista
Nato negli ultimi anni del sec. XVI da Marcantonio, facoltoso patrizio algherese, compì gli studi di filosofia e di legge al termine dei quali esercitò l'avvocatura in Cagliari. Parallelamente fu adoperato dal governo spagnolo dell'isola in molti e delicati compiti, nell'espletamento dei quali dimostrò uno zelo fuori dell'ordinario.
Nel 1633 fu nominato commissario in una campagna di repressione del banditismo e della delinquenza che affliggevano il paese e subito dopo nell'inchiesta condotta dal reggente Bernat - durante il viceregno del marchese di Almonazir - contro gli assassini d'un suo stretto collaboratore e contro i responsabili di gravi e continuate frodi ai danni del patrimonio regio. Nel 1636 fu inviato a Iglesias per sedare tumulti popolari ivi scoppiati e due anni più tardi, al fianco del visitatore generale Ascon, condusse una severa inchiesta sull'amministrazione del tesoriere generale del Regno di Sardegna, con Antonio de Balestega, con metodi e risultati che fecero molto scalpore. Fu pure, nel 1640, provveditore e commissario generale dell'isola, arrecando con la sua attività notevoli benefici alle casse dello Stato. Nel corso di tali anni fu sempre membro delle municipalità di Alghero e di Cagliari, intervenendo nei pubblici consigli e nei parlamenti ove, invariabilmente, sosteneva la causa dell'ordine, del rigore amministrativo e dell'assoluta lealtà alla corona. Così nel 1642, sindaco di Alghero e avvocato di Cagliari, rappresentò le due città al Parlamento convocato in quell'anno e contribuì in misura rilevante all'adozione delle risoluzioni più rispondenti al volere del sovrano. Ancora, nel 1645, curò che ogni sorta di aiuti giungesse dalla Sardegna alle truppe spagnole impegnate in Catalogna, secondo l'esplicita richiesta di Filippo IV. Ma il carattere duro e spigoloso, la severità spesso eccessiva con cui aveva assolto a determinati mandati, lo stesso ruolo da lui assunto di strenuo difensore degli interessi spagnoli nel governo dell'isola - con l'inevitabile strascico di risentimenti e rancori suscitati nei suoi stessi conterranei - uniti, probabilmente, all'invidia per la vertiginosa ascesa di cui s'era reso protagonista finirono per causare al B. grossi fastidi. Attaccato da ogni parte e pesantemente accusato (persino l'arcivescovo di Cagliari s'era lagnato direttamente col re per il comportamento intransigente e brutale del B.), divenne oggetto d'una furiosa persecuzione culminata nella pena del carcere comminatagli per ordine del viceré, duca di Montalto. Dalla prigione, comunque, il B. riuscì a evadere con abile stratagemma e si rifugiò, in un primo momento, a Roma trovando autorevole protezione presso l'ambasciatore di Spagna, conte di Oñate.
Anche in circostanze così precarie, svolse alcune missioni segrete tra Roma e Napoli, ove infuriava la rivolta di Masaniello, in cui - a suo dire - rischiò la vita per sostenere la causa spagnola. Al seguito del suo protettore, nominato frattanto viceré di Napoli, si stabilì nella capitale e fu incaricato dal principe di Satriano di organizzare l'invio da basi calabresi di soccorsi e viveri alle truppe spagnole impegnate nella repressione dei moti. Dopo il '48, negli anni in cui l'Oñate realizzava la normalizzazione della società napoletana sconvolta dai moti appena domati restaurando l'autorità e il potere della Spagna, egli fece parte dell'entourage del viceré divenendo una figura d'un certo rilievo nel panorama politico e culturale della città.
Aiutato dal Dexart, illustre giureconsulto cagliaritano che trapiantato a Napoli era pervenuto agli alti gradi delle magistrature locali, riprese la professione forense divenendo avvocato e consultore della città e quindi giudice della "grassa" (annona). Anche in Napoli, però, nonostante la più che decorosa posizione raggiunta e la maggiore tranquillità di cui poteva godere, lontano dai suoi irriducibili avversari e confortato dall'affetto dei familiari, che aveva potuto riunire a sé facendoli venire dalla Sardegna, il B. andò incontro a seri guai. Per le pressioni del duca di Montalto, stizzito dall'atteggiamento provocatorio mantenuto dal B. nei confronti suoi e di quelli che l'avevano accusato pochi anni prima, il viceré Oñate privò il B. del suo favore facendolo nuovamente imprigionare e costringendolo ad una lunga detenzione. Fu solo a partire dal 1654, essendo ormai subentrato all'Oñate il conte di Castrillo, che il B. poté riprendere la sua attività e vide riaprirsi la strada dei pubblici impieghi.
Inviato a Catanzaro come uditore della provincia di Calabria Ultra, il B. dové fronteggiare una situazione estremamente deteriorata: corruzione dilagante, miseria e banditismo, disprezzo per la giustizia ed i pubblici poteri, equivoche collusioni tra funzionari governativi e organizzazioni criminali. In tre anni circa di permanenza in quella difficile sede individuò e colpì un ingente numero di delinquenti; portò a termine tutte le cause trovate in sospeso formando, coi rei, un'intera squadra di rematori che avviò sulle galere napoletane; intervenne nella questione del pane che veniva venduto a caro prezzo ed era di qualità scadente; organizzò una lotta senza quartiere ai banditi che terrorizzavano la zona dando un apporto decisivo alla liquidazione delle bande guidate dai famigerati Momo Comito e Matteo Catizone; difese la giurisdizione regia dalle inframettenze e dagli abusi dei baroni ed apprestò le difese in alcune località costiere, lasciate sguarnite per colpevole incuria, in vista d'un attacco francese al Regno.
Ai primi del 1656 gli giunse la nomina ad avvocato fiscale in Calabria Citra (Cosenza) e dovendo per legge assoggettarsi al "sindacato" relativo all'ufficio che lasciava, quanti erano stati da lui in qualunque modo colpiti - soprattutto alcuni baroni di casa Sanseverino - imbastirono una violentissima campagna scandalistica e intimidatoria contro di lui, costruendo ad arte una serie di testimonianze e denunce e accusandolo dinanzi al reggente Escalera incaricato di raccoglierne il sindacato. La macchinazione fu smantellata punto per punto dall'accorto Escalera e una volta tanto il B. uscì indenne dalle mani dei suoi avversari.
Ancor prima di iniziare concretamente la nuova attività in Cosenza, venne incaricato di svolgere indagini a Bisignano ove erano state segnalati gravi abusi in danno dei meno abbienti e frodi continuate contro il fisco e il patrimonio regio. Nel settembre del 1657 si trovò invischiato in una grossa lite tra la provincia di Calabria Citra e la comunità di Albanesi del casale di San Giorgio, soggetta alla giurisdizione del duca di Corigliano, di casa Saluzzo. La causa si trasformò in uno scontro diretto tra il B. ed il duca, senza esclusione di colpi: il Corigliano denunziò il B. al Consiglio collaterale di Napoli per malversazione, abuso di potere, falso e altri gravi reati.
Fu ordinata un'inchiesta affidata al consigliere Ortiz che, recatosi in Calabria, accertò la correttezza del B. e la malafede del duca. Ma l'ennesimo episodio di insofferenza nei confronti della sua persona e dei suoi metodi umiliò e amareggiò profondamente il B., il quale, appena pochi mesi prima, aveva svolto un'intensa azione a favore dei suoi amministrati, e particolarmente in occasione della peste che aveva colpito la città s'era prodigato oltre ogni dire. Tra l'altro, egli aveva retto praticamente da solo il peso dell'amministrazione della giustizia, per la forzata inerzia del tribunale, impedendo che malintenzionati profittassero dello stato d'emergenza imposto dal contagio. Superata infine anche l'ultima contrarietà (s'era difeso con orgoglio affermando: "Buraña fui y Buraña soy, martillo de delinquentes y abogado de virtuosos", motto che ben compendia l'uomo e la sua attività), fu chiamato all'Udienza provinciale di Lecce ove rimase quattro anni prima di ritirarsi, stanco e malato, dalla vita pubblica.
Dalle nozze con Maria Cavada ebbe un figlio, Carlo, letterato assai stimato dai contemporanei. Morì a Napoli nel 1670.
Tra le opere del B. figurano alcuni scritti di carattere religioso, riuniti nel Ramillete espiritual (pubbl. Napoli 1662). La Batalla peregrina entre amor y fidelidad... (in Mantoa Carpentana 1651), dedicata a Filippo IV e in forma di dialogo, narra gli avvenimenti del 1648 di cui era stato spettatore, aprendo spiragli sulle vicende della propria irrequieta esistenza. L'opera è anche importante per l'interpretazione che della rivolta vien data, alquanto discorde dalla tesi "ufficiale" che attribuiva pesanti responsabilità ai nobili; il B., invece, imputa i fatti al volgo plebeo forestiero sobillato dai Francesi e mette in risalto il ruolo dei ministri regi nella restaurazione. ElMinistro Acrizolado (s.n.t.) è la storia della sua esperienza cosentina ed insieme l'appassionata difesa di se stesso. Mise pure a stampa, in Cosenza nel 1657, la Resulta del sindicado y residencia del doctor D. Juan Bauptista Buraña, imperniata sull'episodio del sindacato positivamente reso al termine del triennio nella Calabria Ultra. Importante, infine, è una memoria a stampa (s.n.t.) dal titolo Serbicios que el doctor D. Juan Bauptista Buraña tiene hechos a su Magestad.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2423; P. Tola, Diz. biogr. degli uomini ill. di Sardegna, I, Torino 1837, pp. 145-48; F. E. De Tejada-G. Percopo, Nápoleshispánico, Sevilla 1964, V, pp. 373-75; G. Galasso, Napoli nel viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia diNapoli, Napoli 1970, VI, 1, p. 100.