Busini, Giovan Battista
Nato a Firenze il 22 febbraio 1501 da Bernardo e Lucrezia della Fioraia, fu mandato giovinetto alla scuola di ser Guasparri Mariscotti da Marradi, dove apprese le lettere latine e greche e conobbe Benedetto Varchi. Trascorse quegli anni nella casa vicino al ponte alle Grazie, in regime repubblicano e in un ambiente sociale sensibile ai valori della predicazione di Girolamo Savonarola; ma dopo il 1512 il padre, fino allora ricco e onorato, dovette adattarsi a sopravvivere facendo lo scrivano. Della gioventù di B. nient’altro sappiamo, se non che ebbe una condanna penale: un suo parente, Giovanni, tentò di far violenza a una ragazza, mentre B. intratteneva la donna incaricata della custodia; la sentenza degli Otto (24 maggio 1524) lo confinò per tre mesi fuori Firenze. Forse in relazione alla parte avuta nella vicenda, B. ebbe il soprannome di Gano. Negli anni seguenti partecipò alle vicissitudini della città: dopo la nuova cacciata dei Medici, nel 1527, sarebbe stato vicino a M. nei suoi ultimi giorni, come risulta dalla lettera a Varchi del 23 gennaio 1549, in cui rievoca in modo icastico l’ostilità e la diffidenza che avevano circondato il Segretario nella città natale tornata in mano ai repubblicani:
L’universale per conto del Principe l’odiava: ai ricchi pareva che quel suo Principe fosse stato un documento da insegnare al Duca tôr loro tutta la roba, a’ poveri tutta la libertà. Ai Piagnoni pareva che e’ fosse eretico, ai buoni disonesto, ai tristi più tristo o più valente di loro; talché ognuno l’odiava (Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, 1861, p. 84).
Nella stessa lettera B. si fa inoltre portavoce di giudizi confidenziali di M., in particolare della sua insofferenza verso Clemente VII, con il quale «si doleva avere impacciatosi» (p. 85; anche altrove avrebbe dichiarato allo stesso B. che il papa «donava quello che non era suo», p. 9); e poco più avanti si ha il primo accenno a «quel tanto celebrato sogno» che M. avrebbe raccontato in punto di morte «a Filippo [Strozzi], a Francesco del Nero ed a Iacopo Nardi, e ad altri, e così si morì malissimo contento, burlando» (pp. 84-85): il M.-Margutte di B. chiude dunque la sua parabola esistenziale con uno sberleffo, il cui contenuto non è riferito nella lettera, ma è noto da altre fonti e dalla posteriore tradizione antimachiavellica europea (su cui Sasso 1988): si tratta di una visione in cui M. avrebbe espresso una blasfema preferenza per un inferno popolato da filosofi, uomini di Stato e capitani, rispetto a un paradiso di eremiti macilenti e donnette devote (→ ‘sogno’ di Machiavelli).
B. fu in buoni rapporti con gli esponenti della seconda Repubblica fiorentina, anche se non ne condivise gli eccessi; in particolare fu profondamente colpito dall’esecuzione di Iacopino Alamanni, frutto dell’inasprimento della politica del gonfaloniere Niccolò Capponi contro gli Arrabbiati, e pur condividendo il progetto di distruggere con il fuoco il palazzo dei Medici ne temeva le conseguenze. Il clima stabilitosi nella città dopo la disfatta di Francesco Ferrucci fu tale da fargli aspettare il confino quasi come una liberazione, il che si verificò nel novembre 1530, con destinazione Benevento. Tuttavia, considerando che i seguaci di Capponi erano stati oggetto di un atteggiamento persecutorio particolarmente pesante («perché Ruberto [Acciaiuoli], messer Francesco [Guicciardini], il Vettori e simili odiavano noi e non chi voleva ristringere il governo popolare»: Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, cit., p. 190), testimoniato dal rinnovo dell’esilio in sedi più difficili, B. non ottemperò all’ingiunzione, stabilendosi non nella sede prevista, ma a Ferrara. Qui con Zanobi Bartolini escogitò vari piani per contrastare lo Stato di Firenze e Clemente VII: nel 1532, sapendo che l’imperatore Carlo V sarebbe passato per Mantova, cercò di convincere i fuorusciti in Ferrara, Modena, Venezia, Pesaro a mandargli un’ambasciata; inoltre, collaborò a un piano per far ribellare Arezzo e prendere Bologna: tutti progetti falliti o perché gli altri fuorusciti non erano d’accordo o perché le difficoltà erano troppo grandi. Fu invece papa Clemente VII a indurre il duca Alessandro a una convenzione con il duca di Ferrara Alfonso d’Este per cui questi si impegnava a espellere dal suo dominio i fuorusciti fiorentini, la maggior parte dei quali scelse di rifugiarsi a Venezia. B. venne successivamente mandato anche a Milano, dove per quattro mesi operò, invano, a che il duca Alessandro non venisse accettato nella lega imperiale; alla fine fece una relazione del proprio operato ad Antonio Berardi da Ferrara.
Qui egli si trovava ancora l’anno seguente (B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 1843-1844, p. 98). Fu poi a Roma in occasione della riunione dei fuorusciti, convocata dai cardinali Giovanni Salviati, Niccolò Ridolfi e Niccolò Gaddi per eleggere loro rappresentanti che favorissero le manovre di Ippolito de’ Medici: B., indotto da Zanobi Bartolini, si oppose a tale proposta. Fu anche a Napoli, nel dicembre 1535, quando i fuorusciti si recarono dall’imperatore Carlo V per chiedergli l’osservanza dei capitoli della resa di Firenze.
Dopo l’uccisione del duca Alessandro, l’elezione di Cosimo e la vittoria di quest’ultimo a Montemurlo (1537), B. era ancora tra Ferrara e Venezia: a Ferrara rimase almeno fino al 1539, prima di trasferirsi per un periodo a Roma (B. a Varchi, 13 luglio 1539, copia a Firenze, ASF, Carte Strozziane, serie 3, XCV, c. 277). Tuttavia, un viaggio di B. da Roma a Padova in quell’anno sembra testimoniato da un poscritto di una lettera di Annibale Caro a Varchi del 22 novembre 1539: «le lettere a gli Alamanni padre e figlioli si son date subito [...]. Hovvi mandate certe lor lettere per le mani del Busino» (A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, 1957, pp. 164 e segg.). In seguito, per quasi un decennio mancano notizie della vita di B.: nel 1547 il duca Cosimo fece dare dagli Otto di guardia grazie generali, ma B. non vedeva in patria «facultà da potersi vivere e stare da pari suo», come dirà in una supplica posteriore (G. Milanesi, in Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, cit., p. VIII).
A Roma, nell’agosto 1548, B. apparve molto più sereno che per il passato: «io sono più sano che mai fussi e gagliardo e più quieto che da dieci anni in qua» (p. 4). A Varchi, che, tornato a Firenze nel 1541, per incarico del duca stava componendo la Storia fiorentina e per questa ricercava dovunque documenti e testimonianze, B. cominciò a comunicare i suoi ricordi. Presso di sé aveva una lista dei cittadini confinati del Trenta, dei morti e – subito copiato di suo pugno – il testo degli accordi tra Malatesta Baglioni e papa Clemente VII: un documento che voleva conservare per i suoi eredi. Per l’amico, interpellava altri protagonisti: Antonio da Barberino, Francesco del Nero e soprattutto Salvestro Aldobrandini, il quale possedeva sacchi di documenti che B. fece copiare per Varchi. Le sue lettere a quest’ultimo, scritte solitamente di sabato, narrano i fatti dal 1527 in poi con gran ricchezza di particolari, molti dei quali recano testimonianze de visu, e con gran ricchezza di valutazioni personali e sincere che avrebbero potuto compromettere l’autore se fossero andate in mano altrui. Perciò sono in principio scritte in cifra, con nomi fittizi, e destinate alla distruzione (pp. 210 e 230); risultano però conservate, almeno in copie, in numero di ventiquattro.
Nel 1550-51 troviamo B. tra Roma e Fermo, presso il vescovo Lorenzo Lenzi, già allievo di Varchi; nel maggio 1551, attraverso il vescovo di Marsiglia Giovan Battista Cybo, B. presentò al duca Cosimo un memoriale dove affermava di dimorare («grave d’età et impedito assai del vedere») a Ferrara in casa di Bartolomeo Cavalcanti (→), e chiedeva d’esser riammesso in patria (G. Milanesi, in Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, cit., pp. V-VII): il duca glielo concesse, ma non poté rientrare dovendosi procacciare da vivere insegnando ai gentiluomini a Venezia (dove si trovava all’inizio del 1552) e a Ferrara, dove rimase probabilmente fino alla morte, nonostante un’altra supplica indirizzata a Cosimo con il medesimo intento della precedente.
Nella città estense continuò a coltivare i suoi studi e il carteggio epistolare (e anche poetico) con Varchi, alla morte del quale, nel 1565, ne redasse la biografia (La vita di Benedetto Varchi, a cura di G. Milanesi, 1864; cfr. Lo Re 1998), di cui sono pervenute due redazioni. L’ultima lettera pubblicata da G. Milanesi reca la data del 1564 (Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, cit., p. 278), e l’ultimo documento attinente a B. è dell’aprile-maggio 1566 (da Ferrara scrive a Lorenzo Ridolfi, chiedendogli di fargli sapere «quando il signor Ruberto Strozzi verrà in Italia per andare a Roma et se farà la via di Toscana o di Romagna», e poi, avuta la risposta, per ringraziare (ASF, Acquisti e doni, 67, inserto 1, cc. 11 e 12): nell’assenza di altre notizie, la morte sarà dunque da collocare posteriormente a quest’ultima data.
Bibliografia: Lettere [...] a Benedetto Varchi sopra l’assedio di Firenze, a cura di G. Milanesi, Firenze 1861; La vita di Benedetto Varchi, a cura di G. Milanesi, «Il Borghini», 1864, 2, pp. 347-61, poi Firenze 1864. Si vedano inoltre: B. Varchi, Storia fiorentina, con aggiunte e correzioni tratte dagli autografi e corredate di note per cura e opera di L. Arbib, Firenze 1843-1844; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, 1° vol., Firenze 1957.
Per gli studi critici si vedano: M. Lupo Gentile, Studi sulla storiografia fiorentina alla corte di Cosimo I de’ Medici, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», 1906, 19, pp. 106 e segg.; R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Roma 1954, Firenze 19787, pp. 389, 427, 594; G. Sasso, Il «celebrato sogno» di Machiavelli, in Id., Machiavelli e gli antichi e altri saggi, 3° vol., Milano-Napoli 1988, pp. 211-300; S. Lo Re, Biografie e biografi di Benedetto Varchi: Giambattista Busini e Baccio Valori, «Archivio storico italiano», 1998, 156, pp. 671-736 (alle pp. 706-26 una nuova ed. della vita di Varchi).