CAPRANICA, Giovan Battista (Flavius Panthagatus)
Nacque forse a Roma, nella prima metà del sec. XV, da Antonio; fu fratello di Nicolò e di Girolamo. Poche sono le notizie sugli inizi della sua carriera curiale: secondo il De Angelis sarebbe stato canonico della basilica di S. Maria Maggiore e protonotario apostolico, ma ciò non trova conferma nel repertorio di W. Hofmann (Forschungen zur Geschichte der Kurialen Behörden, Rom 1914); le notizie cominciano a diventare abbondanti dal 1473, anno in cui il C. fu professore di diritto nello Studio di Roma, incarico che gli fu confermato - a quanto risulta - anche per il successivo 1474.
Ma la notizia che lo inserisce in una conclusa prospettiva e più serve a chiarire la sua personalità è del 1475, o di un lasso di tempo molto vicino, quando il suo nome compare per tre volte con il titolo di "Sacerdos Achademiae romanae" ed il nome umanistico di "Panthagatus" nelle catacombe di S. Callisto, che gli amici di Pomponio Leto erano soliti visitare, insieme con quello di altri "unanimes perscrutatores antiquitatis" (cfr. Lumbroso). Si definisce in tal modo in maniera precisa la figura di quest'uomo che nella tradizione della sua famiglia inserisce i fermenti, in gran parte irrisolti e contraddittori, della più avanzata cultura quattrocentesca, con le insofferenze, le insoddisfazioni e le ambiguità sociali di molti suoi compagni; non sorprende così il violento epigramma (ed. in Dionisotti) che il C. scrisse per la morte di Galeazzo Maria Sforza, riecheggiando il Boccaccio: "Occubuit sacra mactatus in aede tyrannus / hostia non potuit gratior esse Deo" (cfr. De casibus virorumillustrium, II, 5: "Quum nulla fere sit deo adceptor hostia tyranni sanguine").
Il 27 luglio 1478 il C. fu nominato vescovo di Fermo, diocesi che per lunga tradizione era appannaggio della sua famiglia; nella bolla d'elezione Sisto IV ricordava il C. come "notarium nostrum in Diaconatus ordine et aetate legitime constitutum, litterarum scientia praeditum" (Catalani, p. 388). Dell'elezione è ricordo anche negli anonimi Annali di Fermo (p. 214): "La peste in quest'anno [1478] fu crudelissima... In Roma morse il nostro vescovo Girolamo Capranica di peste, e li successe Gio. B. Capranica suo fratello [sic! in realtà cugino], il quale del mese di agosto fece l'entrate se bene la peste lavorasse..."; e nelle Obligationes dell'Arch. Segr. Vat. (Obl. 83, f. 82r, edita in U. Cameli, Il monastero di S. Bartolomeo, "da Campo Fullonum" e i prelati di casa Capranica, in Studia Picena, XI[1935], p. 101).
In quell'occasione il C. rinunciò, con l'elezione a vescovo, alla commenda sul monastero cisterciense di S. Maria di Senigallia, e ottenne invece il "monasterium Sancti Bartholomei de Campofelone" vacante per la morte del cardinale Angelo Capranica, che però il 20 agosto dello stesso anno fu trasferito a Maurizio Capranica (ibid., p. 88); nello stesso anno ottenne il beneficio della chiesa parrocchiale di S. Salvatore di Fermo, a cui aveva rinunziato Luchino Trotti (Arch. Segr. Vat., Reg. Lat. 808ª, ff. 3v-5); dalla stessa fonte sappiamo che il C. aveva intenzione di riparare la chiesa, quasi distrutta, ed il priorato di S. Pietro Vetere fuori le Mura (vedi anche Ibid., Intr. et Ex. 503, f 86v).
L'anno successivo il C. ricevette dal pontefice l'incarico di compiere, insieme con Pomponio Leto e con l'aiuto del legato pontificio in Germania Ansa de Podio, vescovo di Monreale, un viaggio in Germania e Sarmazia per cercare codici da far trascrivere per la Biblioteca Vaticana; il Pomponio ricorda questo incarico in una lettera a Tommaso James vescovo di Saint-Pol-de-Léon e castellano di S. Angelo ("...cum e Germanis et Sarmatis rediero, ad quos verus Panthagati anucitia me volentem ducit") mentre il breve pontificio esplicitava il permesso di "...bibliothecas ipsas ingredi et libros ipsos, quos voluerint, ex illis describi faciant" (Catalani, p. 388; Lumbroso, pp. 234 s.). I risultati di questo viaggio non sono noti. Ai primi mesi del 1480 il C. era di ritorno in Italia e prendeva definitivamente cura della sua diocesi, come ricordano gli Annali di Fermo (p. 214):" Nel mese di maggio cantò la messa novella il vescovo Capranica e dalla città fu convitato locotenente, auditore, tesoriero, marchese de Mantova, conte de Montorio, la città dell'Aquila, Colonnella, Todi, Fuligno, Spoleto, Norcia, Cascia, Visso e tutte le città, Terre della Marca, tutte spesate dalla città...", Ma l'incontro con la città di Fermo, iniziato in maniera così splendida, a conferma della tradizione che voleva la città strettamente legata ai Capranica, si trasformò per ragioni non sufficientemente chiare, abbastanza rapidamente, in uno scontro; non basta infatti, a spiegazione, l'impatto tra una realtà provinciale e l'irrequieta e scaltrita dimensione del vescovo del circolo di Pomponio. Così il popolo di Fermo, riunito in pubblica cernita il 27 marzo del 1482, con l'intervento di molti oratori, chiedeva che venissero inviati ambasciatori al papa, per ottenere la rimozione del C. e prospettare a Sisto IV una drammatica alternativa, senza alcuna soluzione intermedia: "si velit haric civitatem, an Iohannem Baptistam episcopum".
Tra gli altri si distinse per particolare violenza il discorso di Giovanni Aceto, uno dei consultori, che accusò il C. di un crescendo di infamie: pessima condotta di vita, lascivia, perversione, lussuria, arroganza, irosità, simonia, spoliazione delle chiese, sodomia ed inoltre "laevitate sensus, malignitate animi et inhonesta conversatione" per concludere, senza avere escluso l'adulterio e l'omicidio, che il C. "omne aliud vitium semper in civitate et comitatu docuit et exercuit" (Annali, p. 285). Sorprende in un simile atto di accusa la mancanza di un qualsiasi riferimento preciso nella assoluta genericità delle colpe che vengono rimproverate al C., e questo potrebbe far pensare ad uno scontro di mentalità differenti, come potrebbe dissimulare nel vago delle accuse più concrete ostilità reciproche.
Di fronte a una tale situazione, il pontefice - che pure aveva continuato a beneficare il C. (beneficio del monastero di S. Pietro Vetere fuori le Mura: 1º luglio 1480, Reg. Lat. 801, ff. 2-39-240 e vedi anche Intr. et Ex. 500, f. 24) - fu costretto, dopo aver cercato di prendere tempo, a nominare amministratore per la diocesi di Fermo il cardinale F. Todeschini Piccolomini, pur dopo aver formalmente assolto da ogni accusa il C. (14 giugno 1483, Arch. Segr. Vat., Arm. XXXIX, 15, ff. 320-22).
Nello stesso documento il pontefice assicura che in seguito alle frequenti lamentele del Fermani è stata fatta un'inchiesta sull'operato del vescovo, direttamente interrogato; sono state ascoltate le testimonianze dei suoi amici e, tenuto conto dei meriti della famiglia, "episcopum, multis suadentibus causis, ab accusatione liberavimus" e quindi ha deciso di "ab omni accusatione absolvere ac penitus liberare et in pristinam gratiam nostram ac sedis, nec non in priorem suum statum restituire..." il Capranica. Le accuse degli abitanti di Fermo avevano ottenuto dunque qualcosa, come sembra di capire dalle ultime parole del documento: forse una temporanea sospensione ed in ogni caso la nomina di un amministratore nella diocesi "ne forte ob reditum episcopi odia et rancores hinc inde recrudescerent", e dovevano contenere pur qualcosa di oggettivamente vero, se il pontefice per dissipare ogni accusa è costretto a ricordare i meriti della famiglia del Capranica.
La facile profezia del papa e l'implicito invito di non recarsi a Fermo sembrano aver consigliato al C. un maggiore impegno culturale: nel febbraio del 1483"eleganter oravit" in S. Pietro, come dice il Gherardi; una seconda orazione tenne quando venne deciso di dare a Fausto Andrelini la laurea poetica che, - rinviata per quell'anno, gli fu conferita nel 1484(Dionisotti, p. 280); alla fine dell'anno prese in prestito dalla Biblioteca Vaticana la Storia fiorentina di Leonardo Bruni.
Il giorno delle Ceneri (3 marzo) 1484 il C., tornato a Fermo, cadeva vittima degli odi e dei rancori temuti dal pontefice: "seguì la morte di Gio. Battista Capranica vescovo, buttato dalla finestra del suo palazzo dalli figlioli de Battista Adami et altri suoi parenti per cause di donne, sebene il vescovo era innocente, ma dicono che un bastardo di casa sua che fu trovato in casa, e morto, fosse stato il colpevole" (Annali, p. 216).
La data della morte è confermata dall'accenno che si fa al fatto in un'elegia del Lampridio e in un carme anonimo, ambedue relativi alle celebrazioni del Natale di Roma del 21aprile del 1484(cfr. Sola, pp. 183-90; Tournoy-Thoen, p. 222): perciò la nota "restituit die XVIII iulii 1484" apposta dal custode della Vaticana accanto alla registrazione del prestito fatto al C. si riferirà alla restituzione effettuata da qualche familiare. Altre notizie relative al delitto (Annali, p. 285) ne precisano in Bernardino Adami e in Gabriele Cristofori gli esecutori materiali, e sembrano sempre circoscrivere il caso a una vendetta di famiglia, trovando inoltre una conferma in Raffaele Volaterrano, che precisa meglio i tempi dell'episodio nel racconto del C. sorpreso con una donna ed espulso da Fermo "cumque aliquandiu exularet, tandem inexplorato redire ausus, interfectus domi a populo fuit". In ogni caso aspetti e tensioni e violenza da faida familiare l'episodio acquistò in seguito con il ferimento e l'uccisione, da parte dei Capranica, degli ambasciatori di Fermo in viaggio per Roma (Infessura, pp. 189 s.).
La morte violenta del C. provocò nel mondo culturale romano una vasta risonanza, di cui l'eco più attenta, e come sempre puntuale, è nelle parole del De hominibus doctis di Paolo Cortesi, che avverte dietro all'omicidio le tensioni di mondi a confronto, e suggerisce il raffronto tra la furia bestiale del popolo ed il nobile comportamento dell'umanista di fronte alla morte: "inimicorum crudelitati se praebuit lacerandum". Rimane il rimpianto, dice il Cortesia di quanto avrebbe potuto fare: "Erat is poeta acutus, et quibusdam aculeis facetus. Erat in lacessendo et in respondendo tanta ingenii celeritate, quantam in nullo unquam cognoverim", ma accanto a queste qualità il Cortesi non può in concreto ricordare che una biografia di Traiano "utilem illam quidem et nobilem", di cui conosciamo l'esistenza anche da una lettera del Gherardi che la chiedeva in visione e inviava insieme la copia di una epigrafe sullo stesso imperatore; mentre nel più tardo De cardinalatu lo stesso Cortesi citava del C. l'intervento di revisione su un Commentarium isagogicum de Pontificato maximo administrando, scritto dallo zio Domenico Capranica. È, impossibile verificare oggi il valore dell'opera del C., che è tutta perduta, tranne che per pochi versi: quelli violenti e cupi già citati per la morte di Galeazzo Maria Sforza e quelli mesti e di maniera dei due componimenti per la morte di Alessandro Cinuzio (Vat. lat. 3352, f. 142v; e vedi Patetta, p. 159); mentre la consapevolezza della sua inserzione nel mondo culturale romano e della molteplicità dei suoi rapporti l'abbiamo dai molti versi a lui dedicati o in cui è ricordato.
Così E. Buccabella lo ricordava "Livio eunti Romam" insieme con il Platina, Pomponio e P. Marsi (Ott. lat. 2280, f. 116; Lumbroso, p. 223); F. Callimaco gli dedicò alcuni versi (Vat. lat. 2869, ff. 76v-77; Della Torre, p. 118 n. 1); l'Altieri nei Nuptiali lo ricorda con E. Buccabella; e non manca all'elenco il Porcellio. A lui poi Pomponio dedicava il De magistratibus romanis (Zabughin, p. 195), a conferma di una "sodalitas" che dovette essere sempre viva. In occasione della morte del C. scriveva invece Elio Lampridio un'elegia in cui chiedeva di non sospendere la festa del Natale di Roma in cui avrebbe dovuto essere laureato poeta (a cura di G. N. Sola, in Arch. stor. per la Dalmazia, XIX [1193], pp. 183-190), ed ancora menzione del C. ("Infelix etiam non aequa sorte peremptus / Panthagatus") è nel Carmen anonymum in urbis Romae natalem celebratum die 21 mensis Aprilis 1484 cui si è accennato.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vaticana, Vat. lat. 7971:P. L. Galletti, Notizie di famiglie, f. 9; Annali di Fermo d'autore anonimo, in Cronache della città di Fermo, a cura di G. De Minicis, Firenze 1870, pp. 216, 285 s.; M.A. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, ad Indicem; S. Infessura, Diario della città di Roma, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, pp. 189 s.; I. Gherardi, Diario Romano, in Rer. Ital. Script., 2 ed., XXIII, 3, a cura di E. Carusi, ad Indicem; I. Burchardi Liber notarum,ibid., XXXII, 1, a cura di E. Celani, pp. 393 s.; I due primi registri di prestitito della Bibl. Apost. Vaticana, a cura di M. Bertola, Città del Vaticano 1942, ad Indices; P. Cortesi, De cardinalatu, [in Castro Cortesio 1510], c. XXXVIIIIr; P. De Angelis, Basilicae S. Mariae Maioris de Urbe... descrittio et delineatio, Romae 1621, p. 43; P. Cortesi, Dehominibus doctis, Florentiae 1734, p. 51; M. Catalani, De Ecclesia Firmana eiusque episcopis et archiep. commentarius, Firmi 1783, pp. 260-63, 388; G. Lumbroso, Gli Accademici nelle catacombe, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, XII (1889), pp. 223, 233-35; F. Patetta, Di una raccolta di componimenti e di una medaglia in memoria di A. Cinuzzi Senese..., in Bull. senese, VI (1899), pp. 158-61; A. Della Torre, P.Marsi da Pescina, Rocca San Casciano 1903, ad Indicem; C. Stornaiolo, Il Giovanni Battista ed il Pantagato compagni di Pomponio Leto..., in Nuovo Bull. di archeol. cristiana, XII (1906), pp. 67-76; V. Laurenza, Poeti e oratori del Quattrocento in una elegia ined. del Porcellio, in Atti della R. Acc. di archit., lettere e belle arti di Napoli, XXIV (1906), p. 226; V. Zabughin, Giulio Pomponio Leto, II, Roma 1912, p. 195; C. Dionisotti, Unamiscell. Braidense, in Giorn. stor. della letter. ital., CX (1937), pp. 272-75; L. v. Pastor, Storia dei papi, II, Roma 1961, pp. 309 s., 323, 631; G. Tournoy-Thoen, La laurea poetica del 1484 all'Accademia romana, in Bullettin de l'Institut historique belge de Rome, XLII (1972), pp. 211-234.