GIULIARI, Giovan Battista Carlo
Nacque a Verona il 22 apr. 1810 dal conte Girolamo e dalla contessa Giulia Torri. Incoraggiato dalle tradizioni della sua famiglia che vantava una ricca biblioteca e una rinomata tipografia, il G. manifestò una precoce attitudine agli studi. Intrapresa la carriera ecclesiastica, nel 1829 si trasferì a Roma per studiare teologia presso il Collegio romano, ove, oltre a essere condiscepolo di Gioacchino Pecci, il futuro pontefice Leone XIII, strinse una duratura amicizia con A. Rosmini Serbati. Tornato a Verona nel 1832, vi completò gli studi teologici e fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1834.
Nel 1836 divenne membro del comitato per gli orfani istituito a seguito dell'epidemia di colera scoppiata in quello stesso anno. L'iniziativa, patrocinata dal vescovo di Verona mons. G. Grasser, si affiancava agli interventi pedagogici e assistenziali già avviati con intenti laici in Europa sulla base degli orientamenti di R. Owen, promotore in Scozia nel 1816 del primo di questi istituti.
Con una lettera del 23 sett. 1836 il G. suggerì a mons. Grasser di fondare anche a Verona analoghe istituzioni, attenendosi però ai sistemi pedagogici essenzialmente religiosi di F. Aporti, fondatore a Cremona nel 1828 della prima scuola infantile italiana. I validi argomenti del G. fecero leva sullo spirito filantropico di mons. Grasser, che il 22 nov. 1836 costituì la commissione per gli asili d'infanzia, della quale il G. fu segretario fino al 1845 e membro fino al 1863. Il 5 marzo 1837 fu inaugurata a Verona, nella parrocchia di S. Zeno, la prima "casa di asilo per l'infanzia", cui fecero seguito gli asili di S. Maria in Organo e del Duomo, nonché la scuola di adolescenza. Su tale attività e sul suo andamento riferì poi il G. nel suo Stato della beneficienza ed istruzione in Verona nel 1838 (Verona 1838), relazione storico-statistica dedicata all'imperatore Ferdinando I, giunto a Verona in quell'anno e recatosi, fra l'altro, a visitare la scuola infantile del Duomo.
I dissensi suscitati dal diffondersi delle scuole infantili di carità furono alimentati da una circolare (10 ag. 1837) in cui il cardinal vicario di Roma C. Odescalchi rendeva noto il divieto del S. Uffizio di introdurre nello Stato pontificio gli asili aportiani in quanto non conformi ai principî educativi cattolici. Il provvedimento, benché limitato allo Stato della Chiesa, allarmò il G. che, chieste spiegazioni all'Odescalchi (lettera del 25 ott. 1837), fu da questo rassicurato e invitato a continuare la sua opera desumendo dalla circolare stessa quali fossero gli istituti proibiti.
Nominato curato della parrocchia di S. Maria in Organo, il G. rinunciò al progetto di diventare missionario, rivolgendo il suo impegno pastorale anche in favore dei detenuti e delle truppe italiane arruolate nell'esercito austriaco. Intanto, amico del Rosmini e in confidenza con A. Aleardi e S. Pellico, il G. seguiva con attenzione la crescita del movimento nazionale in Italia: il che, nel 1848, gli costò un mese di detenzione inflittogli come semplice sospetto per ordine del maresciallo J.J.F.K. Radetzky.
Nel 1857 il G., eletto canonico della cattedrale di Verona, fu chiamato a dirigere la Biblioteca capitolare della città, dedicandosi definitivamente agli studi ma senza rinunciare a esprimersi sull'obiettivo dell'unificazione nazionale, che lo vedeva favorevole a patto che la propaganda patriottica perdesse il carattere anticlericale. Avendo tradotto dal francese I principii dell'89 e la dottrina cattolica (Milano 1864) dell'abate L. Godard, opera intesa ad affermare l'essenziale analogia tra la morale cristiana e i principî del liberalismo, il G. venne sospeso dalla predicazione e dall'esercizio della confessione.
L'orazione L'Italia francata a libertà ed a nazione (Verona 1866), pronunciata dal G. a seguito del plebiscito che sanciva l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, fu giudicata da L'Unità cattolica (1867, n. 34) "degna di Garibaldi". Il G., dopo tale asserzione, inviò il discorso al generale, ma nella lettera allegata (28 febbr. 1867) condannò lo spirito anticlericale dei patrioti. Sempre nel 1867 il G. pubblicò su Il Messaggiere (3 marzo) una lettera sulle future elezioni dei deputati al Parlamento italiano, esortando il clero a esprimersi prudentemente, ma in modo esplicito sul dovere di votare. Per ribadire il proprio orientamento rosminiano, il G. avrebbe voluto premettere a I nuovi apostoli in Verona (in Rivista universale, 1868), opuscolo di protesta contro alcuni propagandisti protestanti, una dedica ad A. Manzoni, incontrato nel 1850 a Stresa. Dato il rifiuto del Manzoni, il lavoro fu dedicato a G. Capponi.
Persino in opere di argomento filologico e linguistico il G. sottolineò le sue posizioni politiche. È il caso delle edizioni del Trattato dei ritmi volgari dell'autore trecentesco Gidino da Sommacampagna, e de Il libro di Theodolo (entrambe nella collana "Scelta di curiosità letterarie", Bologna 1870), rispettivamente dedicate alla contessa Maria Teresa Serego Alighieri e, con la data significativa del 20 sett. 1870, a G. Capponi. Tuttavia le due opere appena ricordate, cui seguì l'edizione delle Prose di Buonaccorso da Montemagno (ancora in "Scelta di curiosità letterarie", ibid. 1874) sono degne di nota soprattutto nel panorama delle ricerche sull'antico dialetto veronese, inaugurate dallo stesso G. che, insieme con l'altro canonico veronese L. Gaiter e ancor lungi dalla vera e propria analisi linguistica, tendeva a individuare le origini della parlata locale. Il G. intendeva fornire trascrizioni fedeli ai manoscritti, ma, benché si ispirasse alla lezione filologica di G. Galvani, le sue scelte in materia furono giudicate discutibili, come rivelano alcune emendazioni al Libro di Theodolo propostegli da A. Mussafia (lettera del marzo 1871, cit. in Il canonico veronese conte G.B.C. G.…, pp. 31 s.), già recensore dell'edizione del Trattato di Gidino.
Tra i successivi apporti del G. alle indagini sul dialetto figurano: Proposta di una bibliografia de' dialetti italiani (in Il Propugnatore, 1872), contenente una bibliografia del dialetto veronese; Documenti dell'antico dialetto veronese, in quattro volumi, relativi ai secoli XIV e XV (Verona 1878-79); Le epigrafi veronesi in volgare (ibid. 1880).
Sempre dalla Capitolare, cui è dedicato il saggio La Capitolare Biblioteca di Verona (in Archivio veneto, 1875-88: cfr. Indice generale dell'"Archivio veneto", 1871-1930, Venezia 1935, I, p. 124, e Marchi; ristampa anastatica, Verona 1993), riguardante la storia monumentale e letteraria della biblioteca, il G. trasse materia per altre pubblicazioni di interesse letterario ed erudito, fra cui: Memoria bibliografica dantesca veronese (in Albo dantesco veronese, Milano 1865); Dei veronesi cultori delle lingue orientali (in Rivista orientale, 1867); Della tipografia veronese (Verona 1871), in cui bibliografia e bibliofilia si intrecciano alle vicende della famiglia e della stamperia Giuliari; La letteratura veronese al cadere del sec. XV (in Il Propugnatore, 1872-75); l'edizione dei Sermones di s. Zeno (Veronae 1883), che rivalutò la figura del patrono della città; i repertori bibliografici La pseudonimia veronese e Gli anonimi veronesi (in Archivio storico veronese, 1881 e 1884); la Bibliografia maffeiana (Verona 1885), parziale risultato della poderosa disamina condotta dal G. sulla produzione di S. Maffei.
Tra il 1863 e il 1868 il G., realizzando il progetto di cui aveva dato notizia ne La biblioteca veronese (ibid. 1858), donò alla Biblioteca comunale circa cinquecento opere manoscritte e più di cinquemila volumi a stampa relativi alla storia e alla letteratura della città. Oltre all'amicizia con studiosi stranieri, fra cui Th. Mommsen, l'attività svolta presso la Capitolare valse al G. la nomina a membro dell'Accademia delle scienze di Berlino (1867) e della Regia Deputazione veneta di storia patria (1873), che per un triennio lo ebbe come vicepresidente.
Negli ultimi anni di vita il G., non più entusiasta della soluzione unitaria e impreparato a misurarsi con il recente assetto politico e religioso a cui la Chiesa reagiva isolando gli elementi liberali e rosminiani del movimento cattolico, si trovò in difficoltà. Lo dimostrano il suo memoriale sul caso Rosmini, inviato nel 1882 all'arcivescovo di Torino L. Gastaldi, e la polemica cui si espose mandando al giornale veronese L'Adige (30 genn. 1884) una lettera in cui giustificava la propria adesione alla condanna del Vaticano regio (1883) di C.M. Curci, il gesuita che, passato su posizioni cattolico-liberali, auspicava una conciliazione fra il Papato e lo Stato italiano, nonché la partecipazione dei cattolici alla vita politica. Il G. vi si diceva sempre fedele ai principî liberali, ma, ritenendone esasperata l'applicazione da parte del Curci, preferiva schierarsi con il papa; replicandogli, l'Adige lo accusava di opportunismo insieme con gli altri religiosi veronesi firmatari della protesta.
Il G. morì a Verona, dopo una lunga malattia, il 24 febbr. 1892.
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