CARUSO, Giovan Battista
Nacque a Polizzi Generosa (Palermo) il 27 dic. 1673, da Placido, barone di Xiureni (o Xireni e anche Fioreni), e da Anna Maria Alimena dei marchesi di Alimena.
Dopo la morte del padre, deceduto a Polizzi il 13 nov. 1679, prese stabile dimora a Palermo con la famiglia, che, appartenente a un antico ceppo trapiantatosi da Napoli in Sicilia nel Trecento e ben presto nobilitato, doveva essere fornita di doviziosa fortuna se l'avo di Giovan Battista, Giuseppe, agli inizi del Seicento aveva potuto comprare la baronia di Xiureni e il primogenito di Placido, Giuseppe Antonio, nel 1689 fu poi in grado di comprare il titolo di principe di Santa Domenica.
A Palermo il C., gracile e malaticcio ma di ingegno vivace e incline allo studio, cominciò poco più che settenne nel collegio dei gesuiti, frequentato allora prevalentemente dai giovani della nobiltà, a seguire un regolare corso scolastico, che concluse ottenendo la laurea in filosofia e teologia. Entrò nello stato clericale (ma non fu mai sacerdote) continuando a vivere nel secolo; approfondiva intanto gli studi di filosofia sotto la guida di un aristocratico, il barone di Musulmone Orlando Sortino. Questi gli aveva suggerito la lettura delle opere di Bacone, di Cartesio e di Gassendi, e il C. ne trasse, insieme con una prima giovanile tendenza verso orientamenti di pensiero scettici e naturalistici, un duraturo e deciso atteggiamento antiscolastico e la profonda convinzione della necessità di sottoporre ogni questione agli strumenti del raziocinio.
L'efficacia di questi primi stimoli e insieme il superamento delle convinzioni filosofiche giovanili, il successivo profondo impegno del C. nella ricerca storica, furono favoriti dalle condizioni economiche e dall'apertura culturale della famiglia - anche il fratello minore Francesco, sacerdote, e le sorelle Caterina ed Aloisia si erano dedicati agli studi -, dal legame con altre famiglie patrizie siciliane, dalle relazioni con diversi ambienti intellettuali italiani; circostanze, queste, che gli consentirono di compiere l'esperienza fondamentale e determinante per la sua vocazione di studioso, un lungo viaggio di istruzione attraverso l'Italia e la Francia sino a Parigi, effettuato in compagnia di due nobili amici siciliani fra il 1700 ed il 1701. A Roma conobbe probabilmente il siciliano Giuseppe Maria Tomasi dei duchi di Palma e principi di Lampedusa, non ancora cardinale, ma ormai studioso di fama europea; in Francia ebbe relazioni con i benedettini della Congregazione di S. Mauro, specialmente con Giovanni Mabillon, che gli suggerì di dedicarsi allo studio della storia siciliana abbandonando i vecchi metodi degli eruditi locali e avvalendosi dei moderni criteri storiografici praticati dalla scuola maurina. Al ritorno dal lungo viaggio, un rinnovato fervore intellettuale e una profonda ansia di ricerca animavano il C., che per oltre un ventennio dedicò ogni sua energia allo studio di molteplici aspetti della storia e della cultura dell'isola.
L'influenza decisiva esercitata dai metodi del Tomasi e del Mabillon sull'attività del C. si palesa soprattutto nelle sue opere di storia ecclesiastica, concepite essenzialmente come raccolte di testi e di documenti piuttosto che come utilizzazione per una distesa narrazione storica di fonti ancora insufficienti e comunque da sottoporre anzitutto al rigoroso vaglio della critica. Queste caratteristiche presenta, ad esempio, il Codex canonum et statutorum Ecclesiae Siculae (manoscritto, Palermo, Biblioteca comunale, Qq. F. 43-44), monumentale raccolta inedita di testi giuridici concernenti la disciplina della Chiesa siciliana e correlati a quelli riguardanti la disciplina della Chiesa universale, i cui criteri di compilazione egli volle illustrare in un Apparatus ad Codicem sacrum Ecclesiae Siculae (manoscritto, Ibid., Qq. F. 42), anch'esso inedito, che accanto a squarci ed estratti da opere di altri scrittori contiene alcune dissertazioni critiche dello stesso Caruso.
I criteri di compilazione adottati nel Codex e illustrati nell'Apparatus, accanto alla scelta del metodo storiografico, palesano altresì con chiarezza l'atteggiamento religioso del C.: se infatti il peculiare rilievo accordato nel Codex alla legislazione conciliare generale e particolare e la rigida esclusione delle decretali pontificie ricalcano vecchi temi anticurialisti e antiromani, già da tempo diffusi nella cultura siciliana a causa dell'assetto quasi gallicano assunto dalla Chiesa locale in virtù dell'istituto dell'Apostolica Legazia, l'Apparatus vi aggiunge nuovi motivi derivanti dall'esperienza giansenista, come dimostra il frequente ricorso all'autorità di scrittori quali L.-E. Dupin e P. Quesnel, invocati proprio per quelle opere che erano state condannate come infette di giansenismo. Alla necessità di un rinnovamento anche negli studi teologici, del resto, il C. alluderà in termini espliciti più tardi, in un Discorso del metodo pratticato nello studio della teologia (manoscritto, Ibid., Qq. F. 7, n. 8), recitato nella palermitana Accademia del Buon Gusto dopo il 1718, dove l'esame dei metodi adottati nelle diverse scuole lo indurrà a proporre la fondazione di un indirizzo siciliano ispirato agli insegnamenti del cardinal Tomasi - anch'egli, com'è noto, accusato di simpatie gianseniste -, additato fra i moderni come l'interprete più fedele dell'antico spirito del cristianesimo, della sua primitiva purezza.
Gli orientamenti religiosi del C. e il suo atteggiamento nei confronti della S. Sede appaiono limpidamente espressi ed efficacemente sintetizzati in uno scritto che egli elaborò nel 1714 per ordine del nuovo re di Sicilia, Vittorio Amedeo II di Savoia. Durante la controversia in merito all'Apostolica Legazia insorta fra il governo siciliano e la Curia romana a seguito del noto episodio liparitano, il monarca commise al francese L.-E. Dupin, scrittore gallicano e giansenista, una difesa del privilegio; per elaborare la sua Défense de la monarchie de Sicile (s. l, 1716), il Dupin si avvalse di due scritti all'uopo inviatigli da Vittorio Amedeo, che aveva dato incarico di stenderli a due personalità siciliane di primo piano, al marchese di Giarratana Girolamo Settimo, nestore degli eruditi siciliani del tempo, ed al Caruso. Mentre l'opera del Settimo (Della sovranità de' serenissimi re dell'isola di Sicilia, edita più tardi negli Opuscoli di autori siciliani, XV, Palermo 1774-, pp. 195 ss.) era diretta a rivendicare l'indipendenza politica del Regno di Sicilia dal preteso dominio eminente della S. Sede, il Discorso istorico-apologetico della monarchia di Sicilia approntato per l'occasione dal C. (edito poi a cura di G. M. Mira, Palermo 1863) fu invece volto a dimostrare il fondamento storico e la legittimità dell'antico privilegio siciliano dell'Apostolica Legazia.
Il Discorso istorico-apologetico, pur rimanendo manoscritto, ebbe larghissima diffusione e rappresentò un fatto nuovo nella cultura storico-giuridica e religiosa siciliana: sia perché inteso a modificare la.tradizionale configurazione dell'Apostolica Legazia, staccandola in definitiva dalla concessione pontificia e rappresentandola invece come diritto proprio di ogni sovrano in armonia con l'originaria disciplina dei rapporti fra potere civile ed ecclesiastico; sia perché un rinnovato spirito religioso pervade le vecchie tesi gallicane esposte, sorrette ora anche dal richiamo alla recentissima letteratura di ispirazione giansenizzante, dalle opere di N. Alexandre a quelle del cardinale E. Noris, a quelle di P. Quesnel ripetutamente condannate, da ultimo con la bolla Unigenitus del 1713, eppur qui richiamate in merito agli effetti delle scomuniche ingiustamente irrogate dall'autorità ecclesiastica ed all'azione della grazia divina.
Gli anni della dominazione sabauda (1713-1718) furono il periodo in cui il C. - antispagnolo e favorevole a Vittorio Amedeo II, che considerava un restauratore dell'indipendenza politica del Regno di Sicilia ed un rinnovatore della cultura e della vita civile dell'isola -, pur continuando ad operare nell'ambito degli studi, palesò il proprio impegno politico svolgendo con gli strumenti della cultura una decisa opera di fiancheggiamento delle posizioni assunte dal nuovo monarca. La fine della dominazione sabauda e l'avvento degli Austriaci allontanarono definitivamente il C. dalla vita pubblica, tornando a concentrame le energie in prevalenza nell'attività di storico, peraltro mai interrotta. La compilazione del Codex canonum e l'elaborazione del Discorso istorico-apologetico - opera, quest'ultima, anch'essa condotta sulla base di una documentazione rigorosamente controllata al vaglio della critica sebbene ricca di pathos politico e religioso - avevano già in parte assolto l'impegno, sollecitato dal Mabillon, di dedicarsi allo studio della storia siciliana. Ma fin dal momento del ritorno in Sicilia dopo la fondamentale esperienza del viaggio in Francia il C. aveva cominciato a maturare il disegno di scrivere una storia generale dellisola dall'antichità all'epoca contemporanea e si era ben presto messo all'opera paziente di raccolta del materiale e di stesura del testo. Il lavoro, condotto a rilento e spesso interrotto per le malferme condizioni di salute e per il volgersi degli interessi culturali del C. anche verso altre direzioni, lo impegnò fino al 1716 e diede il primo frutto con la pubblicazione a Palermo di un volume di Memorie istoriche di quanto è accaduto in Sicilia dal tempo de' suoi primi abitatori sino alla coronazione del re Vittorio Amedeo, condotte con criteri meramente cronologici ed ispirate all'esempio di Tommaso Fazello.
Sull'opera un giudizio assai duro espresse più tardi Rosario Gregorio (Introduzione allo studio del dritto pubblico siciliano, Palermo 1794, pp. 43 s.), sottolineando la piattezza della narrazione pur non disgiunta da un avveduto giudizio storico; ma lo stesso C. doveva, in verità, aveme avvertito pienamente i difetti, se abbandonò la revisione e la pubblicazione degli altri quattro volumi delle Memorie istoriche, già scritti quasi per intero, che videro la luce postumi fra il 1737 e il 1745 a Palermo, per volontà del fratello Francesco e dell'Accademia del Buon Gusto. Le ragioni dell'interruzione dell'opera vanno infatti ravvisate nell'insoddisfazione - progressivamente maturata nella coscienza del C. anche con l'accostarsi alla personalità di L. A. Muratori, col quale fu in corrispondenza - nei confronti di una narrazione storica condotta senza lo ausilio di fonti sufficienti e criticamente attendibili, e nel proposito di apprestare gli strumenti indispensabili al definitivo superamento dei modelli tradizionali offerti dagli scrittori siciliani, generalmente alieni da ogni seria preoccupazione di rigore filologico. All'attuazione di questo proposito egli dedicò l'ultimo decennio della propria vita.
Già nel 1711 l'abate Michele Del Giudice, uno dei suoi più intimi collaboratori, aveva annunciato di avere approntato una raccolta di fonti, in parte inedite, concernenti la storia siciliana, e di essere alla ricerca di un mecenate disposto ad assumersi le spese della stampa (Giornale de' letterati d'Italia, t. VI [1711] pp. 514-519). L'appello dell'abate Del Giudice era rimasto senza risposta, nonostante fosse stato ospitato da un autorevolissimo periodico ed avallato dall'autorità di Apostolo Zeno; frattanto, però, il C. aveva fatto proprio il proposito dell'amico, tramutandolo nel piano di un'opera più organica, e cioè della raccolta sistematica di cronache e narrazioni riguardanti la Sicilia dall'epoca della dominazione saracena fino all'aragonese. Nel 1718, infatti, il Giornale de' letterati d'Italia (t. XXIX [1717], pp. 396-397) era in grado di annunciare come prossima la pubblicazione della tanto desiderata ed attesa raccolta, di cui il C. si era assunta la responsabilità, mentre nel 1720 vedevano la luce a Palermo gli Historiae Saracenico-Siculae varia monumenta, frutto della collaborazione con lo stesso Del Giudice, nei quali accanto a testi già in precedenza editi ma ora sottoposti a un più rigoroso controllo filologico veniva pubblicata una rara primizia, la cronaca di Cambridge nel testo originale arabo. procurato agli studiosi siciliani dall'inglese Thomas Hobart, rivisto e tradotto in latino con l'aiuto del celebre orientalista Giuseppe Simonio Assemani. Sempre a Palermo, nel 1721, vedevano infine la luce i due volumi della Bibliotheca historica Regni Siciliae, nei quali il C., ancora con la collaborazione dell'abate Del Giudice, di Giacomo Longo, di Giovanni Filingeri e di Girolamo Giustiniani, oltre al materiale già stampato nel 1720, pubblicava le cronache concernenti i periodi normanno e svevo, manifestando altresì il proposito di stampare in successivi volumi le cronache angioine ed aragonesi per passare da ultimo alla preparazione della Bibliotheca historica Siciliae veteris, raccolta di storici greci e latini.
La pubblicazione delle due raccolté - salutate subito con favore dal Muratori (pp. 239 s.), che se ne servì ampiamente per la redazione delle sue opere (Bertelli, pp. 291 s., 303, 315 s.); recensite entusiasticamente dagli Acta Eruditorum Lipsiensium (1724, p. 7); divenute una delle fonti principali di Pietro Giannone (G. Ricuperati, p. 334) - costituì un avvenimento culturale di rilievo europeo: esse rappresentavano invero - come osservò Rosario Gregorio (pp. 45 s.) - uno sforzo assai notevole rispetto alla precedente storiografia siciliana sia nella pubblicazione dell'inedito che nel tentativo di raggiungere un alto livello di correttezza del testo. Le due opere infatti, pur rifacendosi anche ad esempi locali come quelli di Antonino Amico e di Rocco Pirri, si inserivano nella tradizione siciliana portandovi le nuove tecniche della scuola di Saint-Maur, uscendo così dal chiuso mondo culturale dell'isola, obbedendo al criterio, additato da Scipione Maffei e dal Muratori, dell'obbligo di dar fuori i testi barbarici nell'idioma originario, rispondendo agli incitamenti del Muratori a portare alla luce i tesori nascosti negli archivi, specialmente napoletani e siciliani.
Il disegno di ampliare la Bibliotheca historica fino a renderla un organico corpus di fonti abbracciante la storia siciliana dall'epoca della colonizzazione greca sino al regno aragonese doveva tuttavia restare inattuato per la morte del Caruso. Negli ultimi anni i suoi interessi si erano venuti rivolgendo in direzioni molteplici e la sua febbrile attività si era quasi dispersa in troppo numerose iniziative culturali di vario genere. Nel 1717, insieme con Vincenzo Ventimiglia e con Girolamo Settimo, aveva ristampato a Palermo in due volumi l'Antica Siracusa illustrata di Giacomo Bonanni, originariamente pubblicata nel 1624 ed ora aggiornata, arricchita di carte topografiche e di riproduzioni, e corredata di testi storici e letterari. Sempre nel 1717 aveva divisato di condurre in porto la stampa del Pamphyton Siculum del botanico siciliano Francesco Cupani, interrotta nel 1710 dalla morte dell'autore; ma nel 1719 dovette abbandonare l'impresa per la morte di Antonio Bonanno, lo studioso di botanica cui aveva affidato la revisione scientifica dell'opera. Nel 1718, con Girolamo Settimo, Giacomo Longo, Agostino Pantò e Michele Del Giudice, aveva fondato a Palermo l'Accademia del Buon Gusto per la trattazione di temi di erudizione, di eloquenza e di filosofia, e nell'anno 1722 l'Accademia Giustinianea che si prefiggeva lo studio del diritto, ambedue di ispirazione muratoriana, dettandone gli statuti dopo averli concordati col Muratori e svolgendovi un'intensa attività: all'attuazione dell'ideale e del programma del "buon gusto" muratoriano ispirò infatti una raccolta di poesie di accademici siciliani del XVI e XVII sec. (Rime degli Accademici Accesi, I-II, Palermo-Venezia 1726), stampata postuma e lodata dal Muratori in una lettera ad Agostino Pantò (Epistolario, a cura di M. Campori, Modena 1901-1922, VII, p. 2678); l'inedita Historia literaria sicula (manoscritto, Palermo, Biblioteca comunale, Qq. F. 48-49), revisione della nota Bibliotheca sicula di Antonino Mongitore; il proposito, rimasto inattuato, di dare alle stampe una Raccolta di orazioni e altre prose di celebri autori siciliani;una trattazione della storia civile, ecclesiastica ed artistica della natia Polizzi, elaborata in collaborazione col fratello Francesco (Notizie varie appartenenti alla città di Polizzi, manoscritta, Ibid., Qq. F. 45-46). Una così intensa e molteplice attività, mentre aveva ritardato il lavoro per la Bibliotheca historica, aveva finito di fiaccare la già debole salute del C., che l'8 marzo 1723, in una seduta dell'Accademia del Buon Gusto, non fu in grado di recitare di persona l'orazione funebre per Girolamo Settimo, scritta non solo per celebrare la figura del mecenate ed amico scomparso, ma soprattutto al fine di ribadire, giusta le giovanili premesse cartesiane mai abbandonate, la propria fiducia nel valore del lavoro intellettuale e nella virtù della mente umana, la propria dedizione alla ricerca storica (Ilmuseo de' letterati siciliani. Sogno accademico in occasione della morte di D. Girolamo di Settimo, Palermo 1728). Alla morte del fratello maggiore Giuseppe, deceduto a Palermo il 16 giugno 1724, gli successe nel titolo di barone di Xiureni; ma trovò risibili, per le proprie condizioni di salute e soprattutto per le proprie abitudini di vita quasi ascetiche di studioso, le sollecitazioni di quanti tentavano di indurlo al matrimonio al fine di dare una continuazione alla famiglia che veniva ad estinguersi, e volle destinare la forte somma necessaria alle nozze di un aristocratico all'incremento della propria biblioteca, divenuta frattanto una delle più importanti della Sicilia. Recatosi a Polizzi per accudire a negozi domestici e nella speranza di ritemprare le proprie forze, vi morì l'8 ott. 1724 e fu sepolto nell'oratorio di S. Giuseppe. Il monumento sepolcrale fu in seguito rimosso e ricomposto nella chiesa matrice di Maria SS. Assunta.
Il fratello minore Francesco, nato a Polizzi nel 1679 o nel 1680, compì i primi studi sotto la direzione del C. e lì continuò nel collegio palermitano dei gesuiti. Ordinato sacerdote, alternò l'attività di predicatore con quella di studioso: collaborò infatti col fratello in molte iniziative culturali e di ricerca e curò l'edizione postuma delle incompiute Memorie istoriche e di altri scritti del Caruso. Autore di una Lettera apologetica sopra il diritto della quarta pertinente alla mensa vescovile di Siracusa (Palermo 1721), lasciò anche inediti alcuni scritti di storia municipale, zibaldoni e raccolte di materiale documentario e varie dissertazioni di erudizione siciliana recitate nell'Accademia del Buon Gusto, della quale fu socio. Nel 1726 ottenne l'investitura della baronia di Xiureni; morì a Palermo il 17 maggio 1750.
Opere: I manoscritti del C. sono conservati nella Biblioteca comunale di Palermo, ai segni Qq. D. 63; Qq. F. 7 (n. 8), 42, 43, 44, 45, 46, 48, 49, 230; Qq. G. 25. Una copia manoscritta delle Memorie istoriche, segnata Ms. 91, è conservata nella Biblioteca universitaria di Catania, il cui nucleo originario è costituito dalla biblioteca privata del C., comprata dallo Studio catanese nel 1755. I manoscritti del fratello Francesco sono conservati nella Biblioteca comunale di Palermo, ai segni Qq. D. 3 (Documenti varii per la città di Cammarata)e Qq. F. 47 (Discorsi accadem.), 50 (Varie notizie appartenenti ai primi abitatori di Sicilia), 228-229 (Delle cose siciliane. Discorsi istorici). Tutti i codici indicati sono descritti da G. Rossi, I manoscritti della Biblioteca comunale di Palermo, I, Palermo 1873, pp. 40, 56, 241, 275-280, 378-380; G. Di Marzo, I manoscritti della Biblioteca Comunale di Palermo, I, 2, Palermo 1894, pp. 47 s.; G. Mazzatinti-A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, XX, Firenze 1914, pp. 144 s. Alle opere edite del C., ricordate nel corpo della biografia, occorre aggiungere la Lettera di N.N. al signor marchese N.N. sovra le note vertenze tra le due corti di Roma e di Sicilia per fatto del Tribunale della Monarchia, pubblicata anonima e senza indicazioni di luogo e di anno; a quelle inedite, la Lettera di un siciliano in risposta ad un piemontese curioso della controversia per la Monarchia di Sicilia e le Riflessioni sulla bolla e lettere in forma di brevi che si dicono pubblicate dal Papa a' 20 febbrajo 1715 (manoscritte, Palermo, Biblioteca comunale, Qq. D. 63), oltre ad uno zibaldone di materiale vario, prevalentemente documentario, raccolto dal C. insieme con M. Del Giudice (Mescolanze di cose siciliane, ms., Palermo, Biblioteca comunale, Qq. F. 230).
Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca comunale, Qq. F. 230, n. 13 (ms. anonimo): Orazione funebre in lode di G. B. C.;F. Mugnos, Teatro genologico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche nobili del fidelissimo Regno di Sicilia, I, Palermo 1647, pp. 241-243; [M. Del Giudice], Relazione del carattere del fu signor Abbate D. G. B. C., s. l. né d., poi in Giornale de' letterati d'Italia, t. XXXVII (1725), pp. 339-360 con aggiunte di A. Mongitore, e infine in Archivio storico siciliano, n. s., XXIII (1898), pp. 209-218; L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, I, 2, Mediolani 1725, pp. 239 s.; D. Schiavo, Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, I, Palermo 1756, parte I, pp. 24-32; parte V, pp. 24 s., 28; R. Gregorio, Introduzione allo studio del dritto pubblico siciliano, Palermo 1794, pp. 43-46; G. Bertini, Ab. G. B. C., in G. E. Ortolani, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, III, Napoli 1819, pp. non num.; D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel sec. XVIII, I, Palermo 1824, pp. 7 s., 31, 33, 54-74, 114-117, 185, 197, 212 s., 265; A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica, I, Palermo 1850, pp. 143-145 e passim;G. M. Mira, Cenni biogr. di G. B. C., in G. B. Caruso, Disc. istorico apologetico della Monarchia di Sicilia, Palermo 1863, pp. V-XVI; P. Sanfilippo, Storia della letteratura italiana, III, Palermo 1863, pp. 567-569; G. M. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1875, pp. 186 s.; D. Schiavo, Elogio dell'abbate Francesco Caruso, in Arch. stor. sicil., n. s., XXIII (1898), pp. 221-223; A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, I, Palermo 1912, pp. 194 s.; M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, Catania 1933, I, pp. 4 s., 66 s.; C. Caristia, P. Giannone e la "monarchia sicula", in Scritti giuridici in on. di S. Romano, IV, Padova 1940, pp. 515 s., 523, 531; F. San Martino De Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, VII, Palermo 1931, p. 66; X, ibid. 1941, pp. 171 s.; F. Pottino, Lineamenti storici della diplomatica in Sicilia, in Archivio storico siciliano, s. 3, I (1946), pp. 126 s.; C. Caristia, P. Giannone giureconsulto e politico, Milano 1947, pp. 98-100, 114; F. De Stefano, Storia della Sicilia, Bari 1948, pp. 214-215; G. Catalano, Le ultime vicende della Legazia Apostolica di Sicilia, Catania 1950, pp. 63-65 e passim;A. De Stefano, L. A. Muratori e la cultura siciliana del suo tempo, in Misc. di studi muratoriani, Modena 1951, pp. 103 s., 108 s.; G. Fasoli, IlMuratori e gli eruditi sicil. del suo tempo, ibid. pp. 116 s., 119; V. Titone, La storiografia dell'illuminismo in Italia, Palermo 1952, pp. 108, 185, 190; M. Condorelli, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del sec. XVIII, in Ildiritto ecclesiastico, LXVIII (1957), pp. 316-319, 323-326, 331-336; S. Bertelli, Erudizione e storia in L. A. Muratori, Napoli 1960, pp. 264-267, 291 s., 303, 315 s.; G. Giarrizzo, Appunti per la storia culturale della Sicilia settecentesca, in Rivista storica italiana, LXXIX (1967), pp. 575, 584 s.; G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di P. Giannone, Milano-Napoli 1970, pp. 305, 334; S. Fodale, Comes et legatus Siciliae, Palermo 1970, p. 44; G. Catalano, Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia, Reggio Calabria 1973, pp. 130 ss., 324 s., 327 s.; M. Condorelli, G. B. C. e la cultura del suo tempo, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, LXX (1974), pp. 343-356.