CASTIGLIONE, Giovan Battista
Scarsissime sono le notizie intorno alla sua vita. Nato a Firenze da una famiglia nobile, intraprese unitamente gli studi di diritto e di letteratura. Dagli atti dell'Accademia pisana risulta che egli entrò a far parte di essa sotto Cosimo de' Medici, che lo spinse a coltivare anche il diritto canonico. Il Fabroni afferma che il C. prestò la sua opera all'Accademia fino al 1542, quando vi entrarono altri due dottori di diritto canonico. Forse tale affermazione è da riferirsi alla morte del C., avvenuta probabilmente in Firenze.
Il C. è autore di un commento petrarchesco, I luoghi difficilidel Petrarca, pubblicato a Venezia nel 1512, e nuovamente nel 1532. Il Trabalza attribuisce al C. anche una Grammatica toscana, in riferimento ad alcune osservazioni grammaticali contenute ne I luoghi difficili, ma di tale opera non si ha alcuna altra notizia.
Il commento petrarchesco anticipa la linea delle Prose bembiane del 1525, nell'accezione retorica della poesia di Petrarca. Giustamente dunque il Baldacci lo accosta insieme ad A. Brucioli e a G. Camillo Delminio, prima all'opera del Bembo, poi a quella di Ludovico Dolce.
Il C. dedica la sua opera al marchese Alfonso del Vasto e afferma che la sua vita era stata piena di colpi di sfortuna, per i quali aveva cercato conforto nelle lettere; dichiara anche che il suo intento è di "puramente ritrovare" lo spirito del Petrarca.
In realtà la lettura che il C. fa del Canzoniere non è solamente in funzione retorica, cioè mirante a enucleare canoni stilistici e linguistici, come doveva fare poi la scuola bembiana: anche se tale prospettiva è in fondo privilegiata, non manca la ricerca di un discorso filosofico all'interno dei versi petrarcheschi. Il C. discute, ad esempio, il problema della provvidenza e dell'azione di Dio sulla terra, richiamandosi a s. Tommaso; si difende dalle accuse di neoplatonismo e polemizza con i platonici riguardo al rapporto anima e corpo, affermando che mentre questi sostengono che la prima serve il secondo, è vero piuttosto il contrario. D'altronde però sembra lui stesso tener presente alcune categorie tipicamente platoniche, allorché afferma che l'uomo nasce con alcune "faville di sapere",ma queste poi vengono smorzate dalle false opinioni della vita quotidiana. Altri passi costituiscono evidenti tributi dell'autore al pensiero di Platone: quando afferma, ad esempio, che occorre interpretare alla lettera un verso di Petrarca circa la possibilità che l'amore continui anche dopo la morte, richiamandosi esplicitamente ad alcuni passi del filosofo greco; oppure allorché elabora una propria allegoria dell'anima tirata da quattro cavalli (quattro virtù o vizi), che rimanda direttamente al mito platonico dell'anima come "biga alata". Altrove prevale un interesse linguistico e grammaticale, che conduce il C. ad erudite disquisizioni: frequenti sono le osservazioni lessicali, che tendono a motivare le scelte del Petrarca, così come le annotazioni sulle costruzioni sintattiche, che gli permettono di derivare dal Canzoniere precisi elementi normativi. Esemplare di questo procedimento è una nota sui verbi riflessivi, quali si rinvengono nella lingua toscana e sull'uso che ne fa il Petrarca. Anche Dante è un punto di riferimento costante ed è evidente la tendenza del C. ad unire alla delineazione della retorica petrarchesca una funzionalizzazione allegorica della stessa poesia di Petrarca, appunto sulla scorta dei vari livelli di lettura (anagogico, didascalico, allegorico) della poesia dantesca.
Si veda, ad esempio, il dettagliato e insistente accostamento del motivo dell'"uscir dalla selva" del Petrarca, con quello del "salir alle stelle" in Dante. Attraverso queste analisi così articolate, il C. mette in mostra una vasta cultura, che abbraccia la filosofia classica e quella patristica, oltre che la tematica linguistico-letteraria a lui più vicina. A conclusione dell'opera, il C. pubblica anche cinquanta suoi sonetti, naturalmente di pedissequa imitazione petrarchesca, che non presentano alcun motivo di interesse.
Bibl.: G. Negri, Historia degli scritt. fiorentini, Ferrara 1722, p. 244; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, Pisis 1792, p. 138; L. Trabalza, Storia della grammatica ital., Milano 1908, p. 100; L. Baldacci, Il petrarchismo ital. nel '500, Napoli 1957, p. 69.