CORNER, Giovan Battista
Nacque a Venezia il 1° apr. 1613 da Girolamo di Giacomo Alvise, dei Corner detti Piscopia dal feudo cipriota di Episkopi di cui erano stati investiti nel sec. XIV, e da Caterina Thilmans, figlia di Guglielmo, un mercante fiammingo attivo a Venezia.
Dei sette fratelli, il C. fu l'unico a raggiungere la maggiore età, quando si escluda cioè Baldissera, che morì diciottenne a Costantinopoli dove si trovava al seguito del bailo veneziano; Guglielmo Pietro e Francesco Antonio morirono infatti poco dopo la nascita, Fantino Federico, Giacomo Alvise e Guglielmo Francesco nella prima adolescenza. Ebbe anche tre sorelle: Maria Chiara, Paola Isabella, che sposò Girolamo Contarini, e Caterina Isabella, monaca a Padova, oltre a Chiara, una figlia naturale di Girolamo. Con la morte della madre nel 1629 - il padre era morto nel '25 - i fratelli, ancora minorenni, furono affidati dal nonno materno, che si era trasferito a Pesaro, dapprima a Matteo Van Losen e poi a Sebastiano de Cuyper, che continuò poi ad amministrare il patrimonio del C. anche dopo che fu uscito di tutela.
Il C. ebbe una vicenda familiare piuttosto travagliata. Ancor giovane, strinse una relazione con una certa Zanetta di Angelo Boni, donna di assai umili origini, secondo taluni contemporanei una prostituta, detta Valdesabia in riferimento alle sue origini bresciane, che nel corso degli anni gli diede ben sette figli: Francesco (1635-90) che sposò Isabetta Grigis; Caterina (1636-53); una figlia poi monacata di cui non si conosce il nome; Baldissera (1643-45); la celebre Elena Lucrezia (1646-84); Caterina Isabetta (1655-1707), che andò in moglie ad Antonio Vendramin di Andrea; Girolamo Baldissera (1657-1734), che sposò Dolfina di Giovanni Tiepolo e fu rettore a Treviso e a Bergamo. Solo alla nascita del quarto figlio, nel 1643, il C. si decise a condurre la donna e gli altri bambini ad abitare presso di sé, e attese ancora fino al 27 maggio 1654 per regolarizzare la situazione con il matrimonio. Nonostante la legittimazione ricevuta, i figli continuavano tuttavia a restare esclusi dal novero della nobiltà, a causa della condizione sociale della madre. Le aggregazioni concesse per rinsanguare le casse dello Stato stremate dalla guerra permisero al C. di porvi rimedio, ma egli dovette elevare le sue offerte da 40.000 a 105.000 ducati, e subire l'umiliazione di ben quattro rifiuti, prima di riuscire a vincere le fortissime resistenze del Senato e del Maggior Consiglio - che sembrano avvalorare l'ipotesi di una dubbia moralità della Boni, giacché ben altri popolari erano stati accolti - e di vedere iscritti al Libro d'oro, il 1° marzo 1664, i figli Francesco e Girolamo.
Le vicende familiari non impedirono, comunque, al C. di intraprendere una normale carriera politica, anche se non è possibile valutare in che misura influissero poi sul suo successo. Suo primo incarico fu il provveditorato di Peschiera, che tenne dalla fine di maggio 1638 a tutto l'anno successivo. I pochi dispacci inviati al Senato indicano che si occupò essenzialmente della conservazione e del restauro dei depositi e delle fortificazioni, provvedendo in particolare al rimboschimento degli spalti per rinsaldarne la compattezza e ridurre la visibilità dalle alture circostanti.
Dal luglio 1641 al novembre 1642 il C. sostenne il capitanato di Bergamo, nel corso del quale dovette dedicarsi soprattutto alle sue mansioni militari. La Repubblica aveva infatti arruolato 3.000 fanti e 200 cavalieri oltremontani, destinandoli alla piazza di Bergamo; al C. toccò perciò il gravoso compito di "ricever la gente, riconoscerla, disporla sotto li capitani et essercitarla nelle funtioni militari", vigilando perché fossero rispettate le capitolazioni e reprimendo con decisione sia i frequenti tentativi di diserzione sia quelle intemperanze che rischiavano di "perturbar la quiete e sicurezza de cittadini". Neppure da parte civile si erano dovuti registrare turbamenti all'ordine pubblico, tanto in città che nelle campagne, al punto che il "tranquillissimo riposo" prodotto dall'inaspettato scemare delle contese di fazione e del banditismo era giunto per un altro verso ad allarmare il Senato, preoccupato dal marcato declino nel numero dei condannati al remo, quanto mai necessari in quegli anni: inconveniente cui i rettori si ripromettevano candidamente di rimediare "aggiungendo ai doveri della Giustitia anco questo riguardo del publico servitio". Assai poco efficace era stato invece il loro intervento contro il dilagante disordine monetario, che si rifletteva negativamente soprattutto sulla riscossione e sugli appalti dei dazi: il C. riconosceva onestamente nella sua relazione che a "niente ha giovato" il suo impegno, pur avendo "procurato per tutte le vie di darle il proprio rimedio"; ma più volte durante il suo incarico ne aveva imputato l'inefficacia all'eccessiva disinvoltura degli altri rettori, in particolare quelli di Brescia, che faceva apparire "puntuali troppo e troppo rigorose le nostre osservationi". Anche a Bergamo, del resto, i suoi provvedimenti contro "l'eccesso dell'alteration delle monete" sollevarono non poche opposizioni in coloro che se ne avvantaggiavano, in primo luogo lo stesso camerlengo veneziano, che traeva enormi profitti dalla speculazione sui cambi, e si era clamorosamente rifiutato di riconoscere al C. il diritto di controllo e di intervento sul suo operato.
A questi due primi incarichi seguì una prolungata assenza dalla vita politica, interrotta solo nel marzo del 1649 con l'elezione a provveditore in Cecca "deputato al pagamento dei pro'". Nel giugno dello stesso anno il C. approfittò della creazione di tre nuovi procuratori, di S. Marco, decisa per far fronte alle esigenze finanziarie della guerra coi Turchi, ottenendo la nomina con l'offerta di 20.500 ducati. La prestigiosa carica non valse tuttavia ad aprirgli quell'accesso ai massimi organismi di governo in cui verosimilmente sperava. Continuò bensì per un quarantennio a partecipare alla vita pubblica, ma restando sempre relegato in una trafila di magistrature di scarso rilievo politico. Fu infatti ancora provveditore in Cecca "al pagamento dei pro'" nel 1653, 1660, 1678, e "alla Cassa dei ori et argenti" nel 1680; provveditore sopra i Danari (1666-68), sopra Feudi (1665-67), sopra "Ori e monede" (1678-79); esecutore delle deliberazioni del Senato (1650-51, 1658-59, 1687-89); sopraprovveditore alla Giustizia Nuova (1654-55), alle Pompe (1662-63, 1676 -77, 1679-80), alla Sanità (1661-62); presidente "di rispetto" sopra l'Esazione del denaro pubblico (1654-57); inquisitor sopra Dazi (1660-61, 1663-65) e all'officio del Sale (1672-73); sovrintendente alle Decime del clero (1681-83); aggiunto ai Riformatori dello Studio di Padova (1688-89). Nel maggio 1663 venne eletto all'importante incarico di provveditore in Friuli, ma preferì chiedere di esserne dispensato, mentre fu tagliata l'elezione a inquisitore sulle isole del Levante del settembre 1664.
Una carriera così deludente non era certo dovuta solo al biasimo suscitato dalla condotta privata del C., ma rifletteva chiaramente una diffusa disistima nei suoi confronti, di cui non mancano esplicite testimonianze. Attorno al 1664, l'anonimo estensore di una relazione su Venezia lo considerava come "il rovescio della medaglia in paragone del Proc. Cornaro della Casa Granda" (definito poco sopra "il più nobile ingegno di tutta la veneta nobiltà"), e ne dava la seguente descrizione: "gracile, collerico, fiero, impetuoso; d'ingegno valido, non erudito che leggiermente, ma nulla dotto. Uffizioso in sommo grado, minuto, tenace; ciarlone inarrivabile, ambizioso, ardito, abile ad usar violenze lombarde [sic] ove bisogni, havendo umor di bravo e cervello rotto, privo di ogni rispetto". Se godeva di un po' di influenza - concludeva - era perché "essendo egli corteggiano e brogliesco, serviziale che si vale di molti, così ha molti creditori di grazie" (ed. in Molmenti, 1919). Una decina d'anni dopo, un commentatore più benevolo lo giudicava sì "buon venetiano, non havendo affetto che lo devii dal vantaggio commune", ma se lo riteneva capace di arrecare qualche beneficio alla vita pubblica, era perché "non si dà animal velenoso, o herba medicinale, che bene usati non diano qualche servigio" (Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Gradenigo 15).
Frustrato nella vita politica e forse anche in quella civile, il C. cercò di rinverdire altrimenti il prestigio della famiglia, un tempo tra le più illustri e cospicue dell'intero patriziato, e del cui declino solo in parte poteva considerarsi responsabile. Fece raccogliere da Giacomo Zabarella le memorie e le testimonianze più antiche che celebravano "l'origine augusta" della sua casa, l'Episcopia. Forse anche in concomitanza col diffondersi della fama di Elena Lucrezia, adottò il vezzo di aggiungere l'appellativo di Piscopia al cognome, quasi a distinguersi più nettamente dagli altri Corner. Riacquistò infine l'intero possesso del palazzo avito sul Canal Grande, simbolo e monumento delle antiche fortune della famiglia, con la facciata istoriata dalle insegne dei privilegi e degli onori concessi dal re di Cipro Pietro Lusignano, cui il C. teneva in modo particolare. Nel testamento il C. specificava l'obbligo per i discendenti, pena la perdita dell'eredità, di conservare sempre "tutte esse armi, insegne e geroglifici come stano e giaciono di presente, mentre sono quelle che fano chiaro conoscere il privileggio del cavalierato di Cypro e la perpetuità del medesimo". Ma quando aveva chiesto di potersi fregiare di questo titolo puramente onorifico aveva dovuto subire una nuova cocente delusione, poiché la sua domanda non era stata neppure presa in considerazione.
Maggiori soddisfazioni il C. doveva trovare nel mondo della cultura, meno restio agli elogi e alle celebrazioni. La sua famiglia godeva del resto di una buona tradizione: il nonno Giacomo Alvise - nipote per via materna del celebre Alvise - era stato una personalità di spicco nella vita culturale padovana, amico tra i più intimi di Galileo; il padre, autore di studi di idraulica, gli aveva lasciato una ricchissima biblioteca di oltre 1.500 opere, che il C. dichiarava nel testamento di avere "molto ampliata e più del dopio multiplicata de libri e manuscritti" e arricchita con "teste, busti di pietra, istromenti matematici, globi, sfere et altro". Aveva allestito anche una bella pinacoteca, con opere di Tiziano, Iacopo Bassano, Carlo Loth, e un'armeria. L'interesse suscitato dalle sue raccolte lo metteva in frequente contatto con eruditi e letterati, che non gli lesinavano dediche e riconoscimenti.
Fu comunque nelle straordinarie doti della figlia Elena Lucrezia che il C. scorse nuove insperate opportunità di raccogliere quelle glorie di cui era tanto bramoso, e su di esse si concentrò con tenace accanimento.
Tutti i biografi di Elena Lucrezia insistono molto nel contrapporre la vanità e l'ambizione del C. alla riservatezza e alla ritrosia della figlia, la quale avrebbe persino temuto "non fusse il padre per ardere nel Purgatorio per lo vano compiacimento" che mostrava ai suoi successi (M. Deza, Vita di Helena Lucretia Cornara Piscopia, Venezia 1686, p. 105); e la stessa d'altronde, benché molto probabilmente a disagio nei panni d'eroina veneta, cui avrebbe preferito quelli monacali, era ben conscia del ruolo che il padre le aveva attribuito per il riscatto della famiglia. Dopo averle fatto impartire un'educazione del tutto inusitata per una donna, fu dunque il C. a spingerla a quelle esibizioni erudite e a quell'attività accademica che dovevano procurarle una fama sempre più vasta, fino a concepire l'idea, quanto meno audace per quei tempi, del conferimento della laurea in teologia. Quando poi sorse l'imprevisto ostacolo dell'opposizione di Gregorio Barbarigo, il C. ingaggiò col cardinale una lunga contesa epistolare che toccò punte assai aspre, finché con la mediazione di Giulio Giustinian si arrivò al compromesso, mal digerito dal C., del titolo in filosofia. Il giorno della laurea, il C. si mise a girare per Venezia distribuendo a tutti componimenti poetici in onore della figlia. Quando però, alcuni mesi dopo, la figlia del medico Carlo Patin chiese anch'essa di potersi laureare, fu proprio il C. ad opporvisi con maggior vigore, sostenendo che se la richiesta fosse stata accolta lo Studio di Padova "sarebbe poi stato chiamato d'Eliogabalo", ben conscio che, sminuendo l'eccezionalità del suo caso, "ne veniva a prendere per tal causa anche pregiudicio" Elena Lucrezia.
Dopo la precoce morte della figlia (1684), il C. si preoccupò in ogni modo di perpetuarne la memoria, pubblicò a sue spese le celebrazioni funebri dell'Accademia degli Infecondi, le fece erigere un monumento nella chiesa del Santo a Padova, appose lapidi nei suoi palazzi di Venezia e di Padova. Ancora nel testamento rievocava la sua figura, "compianta da tutto il mondo per le sue rare qualità, singolari virtù, bontà di vita e costumi angelici, per le quali è stata applaudita da per tutto, come aparisce da tanti gravi scrittori, che di lei parlano e ne fanno ampla testimonianza alla posterità".
Il C. morì a Venezia il 15 marzo 1692.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscell. codici, I, Storia veneta, 18: M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, III, c. 17; Avogaria di Comun, Libro d'oro nascite, reg. 57, c. 185v; Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 898, cc.n.n. (15 marzo 1692); Notarile, Testamenti, Andrea Porta, b. 773, nn. 163 s.; Segretario alle voci, Maggior Consiglio, regg. 16, c. 166; 17, c. 169; 20, c. 94; Segret. alle voci. Pregadi, regg. 16, cc. 89, 117 s.; 17, cc. 28, 58, 76 s., 85; 18, cc. 28, 47, 59, 64, 76 s., 98, 125, 137, 144, 147; 19, cc. 25, 29, 49, ss, 59, 62, 67; 20, cc. 71, 120; Senato, Dispacci rettori, Verona e Veronese, aa. 1638, 1639; Bergamo e Bergamasco, aa. 1641-1642; Capi del Consiglio dei dieci, Lettere rettori, b. 5, nn. 40 s., 45-66; Miscell. codd., I, Storia veneta, reg. 45, cc. 135-139v (suppliche per l'iscrizione dei figli al patriziato); ibid., b. 149 (suppliche per il cavalierato di Cipro); Riformatori dello Studio di Padova, busta 490, ff. n.n. (27 febbraio del 1679; lettera del C. contro la laurea della Patin). Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 326v-328; Mss. It., cl. VII, 183 (= 8161), cc. 108-189: G. Zabarella, L'Episcopia, overo Origine augusta dell'ill.mo et ecc.mo sig. G. B. C. ...; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Miscell. Correr 1108, cc. 111, 403-408 (suppliche del C. per il titolo di procuratore di S. Marco e per l'aggregazione dei figli al patriziato); Ibid., Mss. P. D. c836, n. 117 (una lettera del C. a Pietro Valier provveditore straordinario in Dalmazia); Mss. P. D. Arch. Morosini Grimani, busta 503 seconda, XXI (una lettera di A. Grimani ambasciatore a Roma al C.); Mss. P. D. c 2377, XXVI (scritture del C. sul patronato della chiesa di Codevigo goduto dalla famiglia); Ibid., Codd. Gradenigo, 15: Esame istorico politico di cento soggetti della Republica veneta, cc. 63-65; Codd. Cicogna, 1213: Origine delle famiglie aggregate alla nobiltà veneta, I, cc. 23 s., 197-206; Padova, Bibl. universitaria, ms. 186: Raccolta di poesie varie, c. 152: Pasquinata fatta l'anno 1653 sopra tutti li Procuratori di S. Marco: Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XII, Podest. e capit. di Bergamo, Milano 1978, 525-528; P. Oliva, Lettere, I, Venetia 1681, pp. 157 s.; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venetia 1660, pp. 554-56; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare ... con aggiunta ... da G. Martinioni, Venetia 1663, pp. 374, 390, 396; B. Gallici, Mercurii Tripoda et trium Venetorum heroum ... sive exc. virorum gesta Hieronymi Foscareni..., I.B.C.P. ... Battistae Nani ..., Vincentiae 1666, pp. 1-60; F. Macedo, Pictura Venetae urbis, Venetiis 1670, pp. 61 s.; J. Mabillon-M. Germain, Museum Italicum, I, Luteciae Parisiorum, 1678, pp. 35 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscriz. Venez., IV, Venezia 1834, pp. 442 s.; T. Gar, I codici storici della collez. Foscarini nella Biblioteca di Vienna, in Archivio storico ital., V (1843), pp. 419, 427; P. Molmenti, Curiosità di storia venez., Bologna 1919, pp. 400-401; G. J. Fontana, Cento palazzi di Venezia storicamente illustrati, Venezia 1934, pp. 395 s.; S. Serena, S. Gregorio Barbarigo e la vita spirituale e culturale nel suo seminario di Padova, I, Padova 1963, ad Indicem; S. Savini Branca, Il collezionismo veneziano nel '600, Padova 1965, pp. 202, 205 s.; S. De Bernardin, La politica culturale della Repubblica di Venezia e l'università di Padova nel XVII secolo, in Studi veneziani, XVI (1974), pp. 500 s.; tutte le biografie della figlia Elena Lucrezia si soffermano ampiamente anche sul padre: ci limitiamo qui a rinviare allo studio più recente e documentato, con ampie indicazioni di fonti, di F. L. Maschietto, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia (1646-1684)..., Padova 1978, ad Indicem; cfr., infine, P. H. Labalme, Women's Roles in Early Modern Venice, an Exceptional Case, in Beyond their Sex. Learned Women of the European Past, a cura di P. H. Labalme, New York-London 1980, pp. 140 ss.