FABBRI, Giovan Battista
Nacque il 7 apr. 1806 a San Michele in Bosco, sopra Bologna, da Marco Antonio, economo del penitenziario che allora si trovava a San Michele, dove oggi ha sede l'Istituto Rizzoli, e da Rosalia Fregni. Dopo i primi studi compiuti in una scuola pubblica, passò in quella privata del prof. G. Minarelli, del quale in seguito sposò la figlia Rosa.
Laureatosi in medicina a soli 20 anni presso l'università di Bologna, iniziò l'attività professionale come medico condotto in alcune sedi delle Marche, orientandosi ben presto verso la chirurgia. Nel 1837, per rinnovare e arricchire la propria cultura, si recò a Parigi, a frequentare i corsi di quella brillante facoltà medica. Conseguito il titolo di primario chirurgo a Ravenna, compì la sua prima esperienza didattica in una scuola cittadina a ordinamento comunale ma provvista di approvazione governativa, ove insegnò ostetricia alle levatrici. Nel 1845 il F. divenne professore di istituzioni chirurgiche e ostetricia nell'università di Camerino, ove in seguito gli fu anche affidato l'insegnamento dell'anatomia; a Camerino nel 1848 fu eletto deputato al Parlamento.
In quel tempo gli venne offerta una cattedra presso la facoltà medica di Roma, ma declinò Pìnvito in quanto aspirava a Bologna; qui fu poi chiamato nel 1854 a reggere la cattedra di istituzioni chirurgiche e ostetricia, rimasta libera dopo la morte di P. M. Baroni. Nel 1859, quando i due insegnamenti di chirurgia e di ostetricia vennero divisi per disposizione di L. C. Farini, che stava rinnovando le strutture didattiche dell'università, il F. optò per l'ostetricia, e mantenne questo insegnamento per tutti gli anni successivi, dimostrandosi sempre didatta di grande successo.
Le ricerche del F. riguardarono essenzialmente l'ortopedia e l'ostetricia, pur estendendosi anche a questioni di chirurgia generale e di storia della medicina.
Ancora agli inizi della carriera, quando era a Sant'Angelo in Vado e cominciava ad appassionarsi alla chirurgia, inviò alla Società medico-chirurgica di Bologna una comunicazione su una fistola vescico-vaginale con allegato il disegno degli aghi da lui stesso ideati e usati anche in un caso di fistola vagino-rettale (Sopra un caso di fistola vescico-vaginale guarito colla cucitura, in Opuscoli d. Soc. med-chir., VIII [1830], pp. 3-14) e polemizzò con il chirurgo di Loreto in merito al metodo più opportuno per la cura del favo, che riteneva consistesse nell'incisione. Le corrette norme pratiche e tecniche che sono a fondamento della medicina operatoria, peraltro, resteranno sempre presenti nel suo pensiero, pure quando sarà ormai assorbito dalla didattica e dalla ricerca: ne è testimonianza il lavoro sulla siringatura della vescica nell'uomo, in un periodo in cui il cateterismo vescicale maschile rappresentava un intervento a rischio che esigeva consumata esperienza pratica e un tirocinio adeguato di "pedagogia chirurgica" sul cadavere (Intorno ad alcuni ostacoli falsi o fattizi che rendono malagevole la siringatura nell'uomo e intorno la topografia dell'uretra, in Mem. d. Acc. d. scienze d. Ist. di Bologna, s. 2, VIII [1868], pp. 115-142).
Assai più originali furono comunque i suoi contributi alla chirurgia dell'apparato locomotore, dagli studi sulla lussazione del pollice a quelli sulla patologia del femore: il lavoro sul pollice, il primo di interesse traumatologico, è preceduto da puntuali verifiche sul cadavere che dimostrano come per rimuovere l'ostacolo alla riduzione sia necessario detendere i muscoli adducendo il pollice e avvicinandolo al mignolo (Sulla riduzione della lussazione posteriore completa del dito pollice, in Bull. d. scienze med. [Bologna), s. 2, X [1838], vol. 6, pp. 286-296); per quanto concerne la patologia dei femore, nella magistrale monografia Memorie di chirurgia sperimentale sulle lussazioni traumatiche del femore, Bologna 1841, il F., sulla scorta delle osservazioni anatomopatologiche in corso di lussazioni provocate sperimentalmente, poté distinguere con precisione fra quanto concerne la frattura da una parte e la lussazione del collo del femore dall'altra. Sulla patologia del femore tornò ripetutamente negli anni successivi e, dissentendo dal grande chirurgo francese J. F. Malgaigne, negò la possibilità di lussazioni incomplete (Studi sulle lussazioni del femore di J. F. Malgaigne, in Bull. d. scienze med., s. 4, XXVI [1854], vol. 2, pp. 335-352; Della molta importanza della chirurgia sperimentale nello studio delle lussazioni, in Mem. d. Acc. d. scienze d. Ist. di Bologna, s. 1, X [1858], pp. 41-108; Riunione ossea di alcune fratture entro-capsulari del collo del femore, ibid., XII [1861], pp. 201-221; Di una lussazione ovalare completa ridotta con un metodo nuovo e di alcune quistioni che riguardano altre lussazioni traumatiche del capo del femore, ibid., s. 2, IV [1864], pp. 401-430).
Di interesse comune all'ortopedia e all'ostetricia furono alcune pubblicazioni riguardanti le deformità pelviche da zoppia: nella memoria Delle deformità che derivano alla pelvi da diverse maniere di zoppicamento (ibid. pp. 1-33), brillantemente illustrata da litografie di O. Nannini, viene ricordato che il bacino lussato può rendere difficile il parto e, nel contempo, si discutono le complesse cause statiche e dinamiche che possono indurre le deformazioni.
Nell'ultima parte della sua vita di studioso, il F., pur non abbandonando definitivamente l'ortopedia, si dedicò con assoluta prevalenza all'ostetricia. Convinto dell'utilità delle dimostrazioni e della pratica sperimentale, raccomandò di simulare il parto distocico con adeguato tirocinio sul cadavere opportunamente preparato (Utilità dell'ostetricia sperimentale, ibid., II [1862], pp. 305-325). In relazione all'assistenza clinica al parto, propose nuovamente l'uso della leva, che ritenne in molti casi meno traumatizzante e altrettanto utile del forcipe, distinguendo appunto situazioni nelle quali è più opportuno ricorrere al forcipe da quelle in cui è sufficiente la semplice leva come "quando la testa, presentando o il vertice o la faccia è trattenuta nell'ingresso del catino" (Dell'uso ragionevole della leva nell'ostetricia, ibid., pp. 453-523).
In tema di patologia ostetrica il F. fu autore di interessanti ricerche comparate volte a indagare la genesi e le conseguenze della morte endouterina del feto: in un periodo caratterizzato dal rapido evolversi della chirurgia, egli si mostrò eccezionalmente pronto a cogliere i problemi posti dalla moderna pratica clinica. Così, studiando anzitutto i preparati raccolti nel Museo bolognese di anatomia patologica veterinaria da insigni maestri, quali A. Alessandrini e G. B. Ercolani, ed estendendo poi le sue osservazioni alla donna, riguardo ai casi di parto ritardato richiamò l'attenzione sull'inerzia uterina che ritenne indicazione all'operazione cesarea, così come lo era per i veterinari che in qualche caso avevano operato con successo; fu deciso quindi nell'indicare, nei casi di morte endouterina del feto, di procedere senza indugio e "di togliere dall'utero il corpo morto del feto prima che ne succeda la putrefazione" che può provocare la morte della madre (Del parto pretermesso o mancato nei bruti domestici e nella specie umana, ibid., V [1865], pp. 487-536). È interessante notare come nella letteratura citata e discussa dal F. siano ormai menzionate l'anestesia e la disinfezione grazie all'uso, rispettivamente, del cloroformio e della tintura di iodio.
Il F. fu anche autore di interessanti studi storici, nei quali ebbe modo di mostrare il distacco e la capacità di giudizio che una ricerca di tale tipo esige: nel lavoro Della litotomia antica e dei litotomi e oculisti norcini o preciani, in Bull. d. scienze med., s. 5, XL (1869), vol. 7, pp. 443-447) egli sostenne che quegli antichi operatori non possono essere considerati banali ciarlatani, in quanto per secoli operarono con valore e decorosamente il mal della pietra e la cataratta, recando anche utili contributi riguardo sia al materiale utilizzato sia alla tecnica operatoria. Nella monografia dedicata al Museo di G. A. Galli (Antico museo ostetrico di Giovanni Antonio Galli, restauro fatto alle sue operazioni in plastica e nuova conferma della suprema importanza dell'ostetricia sperimentale, ibid., s. 3, 11 [1872], pp. 129-166) il F. volle includere un testamento didattico e metodologico indirizzato agli allievi e in particolare al figlio Ercole Federico, in cui, ricordando i riconoscimenti ottenuti all'estero, valorizzò ancora una volta l'importanza dell'ostetricia sperimentale, illustrò tecniche anatomiche personali, descrisse modelli didattici antichi e moderni, in legno e cristallo, in cera o terracotta, e addirittura in ferro.
Il F. ebbe della clinica una concezione eminentemente anatomo-topografica, che rendeva possibile, ad es., accostare agevolmente gli studi sul bacino e sul femore a quelli sul meccanismo del parto. Grande didatta, oltre che grande clinico, negli studi di anatomia comparata e nella pratica dell'anatomia macroscopica ravvisò un momento essenziale per la ricerca e per l'insegnamento. E ancora, in osservanza a una prestigiosa tradizione bolognese settecentesca, vide nel Museo anatomico, fornito di preparati naturali e di modelli artificiali, un centro di primaria importanza soprattutto per l'ostetricia. Da buon morfologo, profondamente interessato alla fedeltà nella rappresentazione iconografica, si servì esemplarmente di accurate immagini litografiche e anche della fotografia.
Il F. morì a Bologna il 31 dic. 1875.
Bibl.: Necrol., in Gazzetta medica [di Roma], II (1876), 22; L. Simeoni, Storia dell'Università Bologna, II, L'età moderna, Bologna 1940, pp. 189, 217; V. Putti, Biografie di chirurghi del XVI eXIX secolo, Bologna 1941, pp. 36-42; G.G. Forni, La chirurgia nello Studio di Bologna dalle origini a tutto il secolo XIX, Bologna 1948, pp. 171 s.; V. Pedote, Saggio iconografico e profili bio-bibliografici degli ostetrici e ginecologi dell'Università di Bologna, in Rivista di storia della medicina, VIII (1964), pp. 22 s.; A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Arzte..., II, pp. 456 s.; Encicl. Ital., XIV, pp. 694 s.