FANUCCI, Giovan Battista
Nacque a Pisa da Rainieri il 7 marzo 1756. Suo padre, insieme col fratello Alessandro, figli di Matteo di Vincenzo, era stato ascritto alla cittadinanza pisana. La famiglia, benestante, favorì l'educazione del F. con larghezza di mezzi. Dopo aver studiato lettere umane e rettorica sotto la guida del padre Vedani e d'un altro barnabita, egli fu inviato nella locale università. Qui ebbe per maestri Carlo Antognoli nella lingua greca, Cristoforo Sarti nella dialettica e nella metafisica, Bartolomeo Bianucci nella matematica, Giovanni Maria Lampredi, Bartolomeo Pellegrini e Anton Maria Vannucchi nei vari rami del diritto. Conseguì la laurea in utroque iure il 20 giugno 1776 (Archivio di Stato di Pisa, Università, 2° versamento, D II 8, n. 1028).
Di carattere assai versatile, il F. pubblicò diverse composizioni poetiche (si ricorda, tra le altre, un Ditirambo edito a Pisa nel 1779), suonò musica e si impegnò nel foro: le sue difese furono ammirate per la dottrina e per lo stile conciso e nervoso. In particolare esercitò il diritto marittimo presso il locale tribunale d'appello per le cause marittime giudicate in prima istanza a Livorno.
Cominciò ad interessarsi di storia pisana con la dissertazione Sull'origine del giuoco del Ponte (Pisa 1785). Il 19 febbr. 1788 recitò nell'Accademia della Colonia Alfea, davanti al granduca, l'orazione Sulla storia militare pisana (ibid. 1788).
Le conclusioni a cui perveniva tendevano a individuare nel permanente stato di guerra dei Pisani dall'XI secolo in avanti la causa fondamentale dell'estensione del commercio, dell'ampliamento della flotta e dello sviluppo delle manifatture.
Il 15 sett. 1789 sposò Gaetana Andreini, figlia di un ingegnere, dalla quale ebbe un figlio, che visse pochi mesi.
Un primo interessante tentativo di divulgazione storica fu tentato dal F. coll'opera, pubblicata a Pisa nel 1791, La Rossane, romanzo storico, in cui si fanno conoscere di passaggio le vicende politiche, che accaddero in Italia, ed in Germania sotto l'imperatore Federigo I chiamato il Barbarossa. Sempre nello stesso anno egli scrisse la prefazione e qualche profilo biografico del II volume delle Memorie istoriche degli uomini illustri pisani (a firma di D. G. B. F.).
Partendo dal principio interpretativo "che i talenti umani si modifichino quasi sempre secondo le circostanze dei governi; e che i chiari e sommi ingegni vadano a paro il più delle volte con la potenza delle Nazioni", il F. ripercorreva i passaggi salienti della storia altomedievale con la presentazione delle figure più celebri della sua patria.
Soggetta a contrastanti interpretazioni fu la collaborazione del F. col governo francese nel 1799. Il 6 giugno di quell'anno fu chiamato dal commissario C. Reinhard ad occupare un posto vacante nella Municipalità di Pisa e di lì a poco fu investito - anche se per breve tempo - della cattedra di diritto marittimo presso quell'università.
In piena Restaurazione egli cercherà di dimostrare la propria sostanziale estraneità alle idee repubblicane con l'affermare di essere stato "ultimo a entrare e primo ad uscire" dalla Municipalità pisana (Breve orazione funebre dell'ottimo e mai abbastanza pianto Ferdinando III... pronunziata in Pisa il 28 giugno 1824…, Pisa 1824, p. 4). A rettifica, almeno parziale, dei giudizi di biografi ottocenteschi come il Buonamici o il D'Ancona, va comunque detto che il F. assunse, nel periodo dell'occupazione francese della Toscana, posizioni moderatissime e non si fece illusioni sulla stabilità delle nuove istituzioni.
Coll'opuscolo Ai miei concittadini (Pisa 1799) invitò alla conciliazione le diverse fazioni e indirettamente condannò il radicalismo dei "democratici". Dopo la partenza dei Francesi cercherà di discolparsi dall'aver assunto incarichi pubblici nel foglio a stampa Mio rendimento di conto al principe e alla nazione (Pisa, 22 luglio 1799).
Queste giustificazioni non furono, tuttavia, considerate convincenti dal restaurato governo lorenese, perché nei mesi successivi il F. verrà rinchiuso in carcere per i suoi trascorsi. Il 22 ott. 1799 indirizzò una "supplica" al commissario per essere restituito alla famiglia (Arch. di Stato di Pisa, Commissariato, Appendice, filza 10, ins. 1, che contiene anche altre richieste di familiari). Ritornato in libertà, fu costretto a ritirarsi a Genova per un certo periodo e ne approfittò per condurre ricerche sulla storia di quella città.
Il tema delle repubbliche marinare divenne il filo conduttore delle sue indagini, sia sul terreno della storia del diritto sia su quello di storia politica, economica e sociale.
Rispetto ai primi saggi giovanili dati alla luce "quando non aveva né senno bastante da far lo storico, né ingegno critico da conoscer la falsità dei cattivi scrittori", il F. aveva maturato, sull'esempio del Muratori, una concezione critica delle fonti fondata sull'"inconcussa fede" dei documenti originali e delle notizie degli scrittori esteri (Opuscolo critico di G. F...., Pisa 1822, p. 12).
Questa metodologia trovò larga applicazione nell'opera maggiore del F., la Storia dei tre celebri popoli marittimi dell'Italia Veneziani Genovesi e Pisani e delle loro navigazioni e commerci nei bassi secoli, edita a Pisa in quattro volumi tra il 1817 e il 1822.
Scopo dell'opera fu quello di comporre una storia della civiltà delle tre potenze marinare col seguirle "in tutte le spedizioni navali, nei loro traffici, nelle loro colonie, e nelle loro fattorie di commercio". Reagendo contro la svalutazione dell'età medievale (in linea con lo spirito romantico), il F. era portato ad esaltare lo spirito dei tre popoli che "uguagliarono la gloria dei Fenici e Cartaginesi e superarono quella dei Rodiensi" (I, p. III) e a porre in risalto gli apporti da essi dati allo sviluppo della civiltà occidentale mediante la creazione di nuove istituzioni marittime, l'intensificazione dei commerci e i relativi scambi tecnici e culturali. Sviluppando questi temi in modo organico, il F. era convinto di colmare una lacuna sia della storia d'Italia (che né il Muratori né il Denina avevano percepito e che, invece, il Tiraboschi si proponeva di sanare) sia della storia della navigazione (tra l'opera del vescovo P. D. Huet e quella dell'abate G-TI-F. Raynal rimanevano dieci secoli di vicende oscure).
Nonostante le differenze di valutazione del Medioevo, il F. rimase ancorato ad un criterio interpretativo di tipo sostanzialmente illuministico. Egli credette, infatti, che il condizionamento territoriale e il fattore economico determinassero in modo fisso e costante l'evoluzione storica dei popoli. Allo stesso modo dei Fenici, la necessità di procurarsi la sussistenza fuori della terra angusta ove erano situati - quella stessa "dura necessità" - avrebbe costretto i Veneziani, i Genovesi e i Pisani a darsi tutti alle cose del mare (v. le considerazioni finali del I vol., pp. 277 s.).
Tuttavia, essi non avrebbero raggiunto la superiorità sugli altri popoli se non avessero praticato le virtù civili: "Essi erano sobrii, non deliziati e molli: non si piccavano di essere bell'ingegni, ma valorosi ed industri: stimavano la religione: erano fieri per costume e per macchina, ma nel cuore morali; e sentivano gloria più delle cose pubbliche che delle private" (I, p. II).
Alla recensione sfavorevole dell'opera apparsa nel Giornale di Pisa (n. 3, maggio-giugno 1822) rispose l'Opuscolo critico di Giambattista Fanucci... (Pisa 1822). In esso si discuteva la teoria genetica del diritto pubblico marittimo e si lamentava che l'autore non avesse approfondito il regime di governo politico di ciascun popolo. Si respingevano però le critiche stilistiche fatte al F., "milla curando che i suoi libri piaccino, fino ad esser riletti più volte senza stancare" (p. 14).
La scorrevolezza della narrazione e l'intento di leggere la storia delle Repubbliche marinare in chiave risorgimentale dovettero essere i motivi che spinsero, nel 1856, Vincenzo Salvagnoli a pensare ad una riedizione della Storia dei popoli marittimi... presso l'editore fiorentino Le Monnier. Michele Amari avrebbe dovuto annotare, correggere e integrare l'opera, mentre il Salvagnoli si sarebbe impegnato a compilare la biografia del Fanucci. Ma questo progetto non andò in porto.
Oltre alla divulgazione storica, la fama del F. è legata, come s'è detto sopra, ai suoi studi di storia del diritto marittimo e alla sua collaborazione con G. M. Pardessus. Scrisse il trattato Della giurisprudenza marittima universale e particolare. Libri tre, ma non riuscì a pubblicarlo. Tra il 1821 e il 1824 fu in corrispondenza col giurista francese Pardessus, per il quale elaborò una Bibliografia italiana del gius marittimo e commerciale (rimasta inedita), preparò sunti di opere ivi segnalate, svolse ricerche documentarie negli archivi italiani e risolse una serie di quesiti storico-eruditi.
Nella Collection des lois maritimes antérieurement au siècle XVIIIème il Pardessus menzionò frequentemente il F. e gli espresse riconoscenza (cfr. IV, pp. 545, 569, 585). Nella lettera che gl'indirizzò il 16 luglio 1824 il F. mostrava un grande interesse per la legislazione marittima della sua patria "che amo tanto, benché verso di me un poco ingrata" e sperava che egli ne delineasse in maniera completa il diritto marittimo "fino ad ora da niuno accozzato o messo bene insieme", dopo averlo depurato dagli errori degli storici e archivisti precedenti come il Valsecchi e D. A. Azuni (Buonamici, G. M. Pardessus e G. B. F...., p. 647).
Il F. fu ascritto come socio corrispondente alla Regia Accademia delle scienze di Torino, a quella dei Georgofili di Firenze, alla Labronica di Livorno, all'Arcadica di Pisa. Oltre all'Orazione panegirica per il fausto ritorno in Toscana del gran duca Ferdinando III, recitata in quest'ultima Accademia, all'orazione funebre dello stesso granduca (commissionatagli nel 1824 dall'Arciconfraternita della Misericordia di Pisa) e a diversi componimenti poetici, il F. scrisse anche un'opera (inedita) di matematica sull'impossibilità del moto perpetuo.
Colpito da apoplessia, morì a Pisa il 13 febbr. 1834.
Fonti e Bibl.: Oltre alle fonti ricordate sopra, cfr. anche Archivio di Stato di Pisa, Miscellanea manoscritti proprietà libera, n. 9, cc. 98v-103r (biografia del F. di G. Sainati); Novelle letterarie, n. s., X (1779), col. 572; XIX (1789), coll. 434-437; G. Giulij, F. G. B., in E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, VIII, Venezia 1841, pp. 494-498; Dizionario biografico universale, II, Firenze 1842, p. 684; F. Inghirami, Storia della Toscana XIII, Fiesole 1844, pp. 25-26; F. Buonamici: G.M. Pardessus e G. B. F., in Il Diritto commerciale, XII (1894), pp. 642-654; A. D'Ancona, Carteggio di M. Amari..., II, Torino 1896, pp. 42 s.; G. Natali, IlSettecento, Milano 1964, II, pp. 415, 429; M. Luzzati, Orientamenti democratici e tradizione leopoldina nella Toscana del 1799: la pubblicistica pisana, in Critica storica, VIII (1969), pp. 481, 492; M. Montorzi, I processi contro Filippo Mazzei e i liberali pisani del 1799, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1981, n. 10, pp. 58-59; B. Casini, I "cittadinari" del Comune di Pisa sec. XVI-XIX, Massa 1985, p. 171 n. 1800.