Scrittore (Firenze 1498 - ivi 1563). Calzolaio, senza abbandonare il mestiere si diede alle lettere e alla filosofia. Socio dell'Accademia fiorentina, vi entrò immediatamente dopo la sua fondazione e vi lesse Dante e Petrarca. Dal 1553 divenne lettore pubblico di Dante di cui commentò l'Inferno, sino al XXVI canto, quando lo raggiunse la morte. Oltre a volgarizzamenti, rime, due commedie (La Sporta, 1543 e L'errore, 1556), un Trattatello sull'origine di Firenze (1542-45), scrisse due operette moraleggianti, pregevoli per arguzia, indipendenza di pensiero, limpidità di stile e sapidità di lingua: I ragionamenti di Giusto bottaio da Firenze (o, secondo il titolo più comune, I capricci del bottaio). Composti fra il 1541 e il 1548, sono dieci dialoghi che hanno luogo in dieci giorni tra Giusto e la propria anima, e toccano varie questioni: dalla filosofia alla religione, alla letteratura, senza ordine alcuno, con il frequente ricorso ad aneddoti e storie di vario genere; forse contemporaneamente ai primi sette Ragionamenti G. scrisse La Circe, il suo capolavoro: si tratta di dialoghi tra Circe, Ulisse e undici suoi compagni, trasformati in bestie, i quali, potendo tornare uomini, preferiscono la vita animale, tranne uno, ch'era stato filosofo e come tale aveva trovato in vita la pace nella ricerca della verità.