MORONI, Giovan Battista
– Nacque ad Albino, in Val Seriana, tra il 1521 e il 1524, primogenito di Francesco di Moretto e di Maddalena di Vitale Brigati. Dal matrimonio nacquero altri tre figli: Antonio (nato nel 1533), Margherita e Anna (Tiraboschi, 2004A).
Gli estremi post e ante quem relativi al periodo in cui si colloca la nascita, sono reperibili in due documenti dell’Archivio di Stato di Bergamo: il primo, datato 11 novembre 1520, riguarda gli accordi prematrimoniali di Francesco con Maddalena, mentre nel secondo, del 6 marzo 1549, Giovan Battista figura come procuratore per conto del padre nella gestione di questioni economiche famigliari, esercizio che fa presupporre che a tale data avesse già compiuto i 25 anni. Anche il luogo di nascita si ricava con buona approssimazione dalla documentazione, visto che Francesco risulta abitare in Albino almeno fin dal 1517; da respingere invece è l’indicazione di Locatelli (1867) nella quale si identificava una presunta casa natale di Moroni in frazione Bondo di Albino, proprietà in realtà appartenente a un altro ramo della famiglia (Rossi, 1979A). Allo stato attuale delle conoscenze, risulta probabile che Giovan Battista sia nato nella contrada di Via Nova, presso la chiesa di S. Giuliano (Gregori, 1979B).
Il padre Francesco, figlio unico di Moretto, fu attivo nel settore edile, non solo ad Albino, con ruoli e mansioni che andavano dai lavori in muratura alla progettazione architettonica, segno di una certa versatilità ed emancipazione; fu inoltre consigliere e sindaco del consorzio della Misericordia di S. Maria della Ripa (Rossi, 1979A). È assai probabile (secondo tradizione critica mai messa in discussione) che, a seguito di un soggiorno per motivi professionali di Francesco ad Azzano Mella, nel Bresciano, il giovane Giovan Battista venisse posto presso la bottega del pittore Alessandro Buonvicino (il Moretto) per intraprendere il percorso di apprendistato.
I limiti cronologici della formazione di Moroni presso il Moretto non sono del tutto chiariti, così come risulta problematica l’individuazione di opere realizzate in collaborazione fra i due, come prassi caratterizzante i rapporti di discepolato; le prime tracce dell’attività artistica del pittore sono ravvisabili in cinque disegni, copie di figure del Moretto, conservati presso la Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, due dei quali, il S. Girolamo orante e il S. Antonio Abate, sono datati al 1543. Il catalogo di Moroni, nella fase di esordio, appare orientato verso soggetti sacri, con poche eccezioni; il Ritratto di Marco Antonio Savelli (Lisbona, Museu Calouste Gulbenkian) e il perduto S. Girolamo penitente, commissionato dalla famiglia trentina dei Madruzzo, sono stati collocati per ragioni stilistiche intorno al 1545 (Gregori, 1979A), mentre la S. Chiara (Trento, Museo diocesano tridentino) e l’Annunciazione (Trento, Castello del Buonconsiglio, Museo), sono datate 1548. Risalirebbe al 1549, secondo l’indicazione di Francesco Maria Tassi (1793, p. 164) l’esecuzione di affreschi in alcune stanze in casa di Marcantonio Spini ad Albino, con «capricci alla chinese, paesetti, puttini» oltre allo «stemma gentilizio di quella casa», oggi non più visibili. Da collocare anteriormente al 1550 sono anche la Madonna in gloria con i ss. Giovanni Evangelista, Pietro e Paolo nella chiesa dei Ss. Pietro e Paolo a Orzivecchi, e il ritratto della poetessa Isotta Brembati Grumelli (Bergamo, Accademia Carrara), esponente dell’aristocrazia bergamasca. È dunque accertato che prima della metà del secolo Moroni, oltre all’attività nel Bresciano e nel Bergamasco, avesse già avuto contatti e operato nell’ambiente trentino, in coincidenza temporale con la prima sessione del concilio (Tiraboschi, 2004A).
L’analisi comparata dei dipinti licenziati da Moroni dopo il 1550 e dei relativi contesti di committenza permette di delineare un quadro della rete di rapporti intessuta dal pittore fino a quel momento e di verificarne l’avvenuta emancipazione, in termini stilistici e professionali; tuttavia l’individuazione dei tramiti culturali fra Moroni e i suoi mecenati è tutt’ora in corso da parte della critica, apparendo evidente che tale funzione non può essere riconosciuta in via esclusiva al Moretto. In base alla documentazione, sarebbe da datare al 1551 la consegna della pala con la Vergine in gloria col Bambino, quattro Padri della Chiesa e s. Giovanni Evangelista, destinata alla chiesa di S. Maria Maggiore a Trento, uno dei luoghi in cui si tenevano le sessioni del concilio tridentino, circostanza che avvalora l’ipotesi di un Moroni deliberatamente presente a Trento in occasione delle sedute conciliari (Rossi, 1979A). Nella pala, oltre a utilizzare cartoni provenienti da dipinti del Moretto, il pittore si mostra già orientato verso una esposizione diligente e ortodossa, nel binario della pittura devozionale lombarda del Quattrocento (Gregori, 1979B).
Fra le prime realizzazioni della copiosa produzione ritrattistica di Moroni del sesto decennio, caratterizzata dall’adeguamento alle istanze culturali di un’aristocrazia a vocazione ‘europea’, si collocano il ritratto di LudovicoMadruzzo (Chicago, Art Institute) e quello di Gian Federico Madruzzo (Washington, National Gallery of Art); realizzati probabilmente intorno al 1551 (Gregori, Introduzione, 1979A; Rossi, Per una biografia, 1979A), rappresentano un ulteriore momento del rapporto dell’artista con la famiglia dei vescovi-conti di Trento; entrambi a figura intera, evidenziano l’allineamento di Moroni ai modelli internazionali dello State-portrait aristocratico (Rossi, 1991). Anche il Ritratto di guerriero (New York, The Metropolitan Museum of Art), il Ritratto di gentiluomo (Baltimora, The Walters Art Museum) e il Ritratto dello scultore Alessandro Vittoria (Vienna, Kunsthistorisches Museum), possono essere ricondotti al mecenatismo dei Madruzzo (Rossi, 1979A). Una committenza di elevato rango sociale è riscontrabile anche in altri ritratti eseguiti in questa fase, ricca e diramata, del percorso artistico di Moroni, datati dal pittore o collocati dalla critica per ragioni storiche o stilistiche. Nel 1553 Moroni dipinse il Ritratto virile (Honolulu, Academy of Arts) e nel 1554 il Ritratto di gentiluomo (Milano, Pinacoteca Ambrosiana) identificabile con Michel de l’Hôpital, futuro cancelliere di Francia (Rossi, 1979A); intorno a questa data, eseguì anche un secondo Ritratto di Isotta Brembati, a figura intera (Bergamo, collezione Moroni) e quello della poetessa Lucia Albani Avogadro, la cosiddetta Dama in rosso della National Gallery di Londra, esponente dell’aristocrazia bresciana. Sono databili intorno al 1557 il Ritratto della badessa Lucrezia Vertova Agliardi (New York, The Metropolitan Museum of Art) e il Ritratto di prelato in collezione privata a Bergamo. Ben quattro opere sono datate dal pittore al 1560: il Magistrato e il Ritratto di poeta (entrambi a Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo), il Ritratto di don Gabriel de la Cueva y Gironduca di Albuquerque (Berlino, Staatliche Museen) e il Ritratto di Gian Girolamo Grumelli, conosciuto come Il cavaliere in rosa (Bergamo, collezione Moroni).
Nondimeno il Moroni del sesto decennio e degli inizi del settimo appare impegnato in opere di soggetto sacro; benché prive di ancoraggi cronologici, la critica (Rossi, 1979A) inserisce in quest’epoca alcuni dipinti che testimoniano l’ascesa del pittore e l’inserimento anche nell’ambiente bergamasco: la Crocifissione con la Vergine e i ss. Giovanni Evangelista, Maria Maddalena e Defendente, oggi nella parrocchiale di Ranica, e il Martirio di s. Pietro da Verona (Milano, Castello Sforzesco).
Se Carlo Ridolfi (1648) e Marco Boschini (1660) avevano espresso un giudizio positivo su Moroni, limitato però alla sua attività di ritrattista (celebre il sonetto encomiastico di Boschini nella sua Carta del navegar pitoresco) e condizionando per oltre un secolo il giudizio critico sul pittore, fu solo con le Vite di Tassi, pubblicate nel 1793, che si operò la riconsiderazione della sua produzione sacra, restituendogli quella patente di ‘universalità’ che gli era stata sottratta relegandolo nei confini di un pur apprezzato specialismo. Le categorie stilistiche frequentemente utilizzate fino ad allora per definire il carattere dei suoi ritratti (la «simiglianza», la «naturalezza») permisero di inquadrare la pittura di Moroni nell’ambito delle più moderne istanze di un realismo che rigettava ogni tendenza idealizzante sulla base della precettistica conciliare, sebbene, ancora nel 1953, Roberto Longhi esprimesse alcune riserve sulla qualità delle opere di soggetto sacro. La pittura «grigia» di Moroni e la secchezza del tratto (secondo le definizioni che ne diede lo stesso Longhi nel 1929 in Quesiti caravaggeschi) divennero un linguaggio organico alle esigenze di rigorismo filo-imperiale della sua committenza, che ne apprezzò la coerenza e l’aggiornamento ai più recenti modelli della ritrattistica nordica (Rossi, 1977).
Entro il 1561 possono essere inseriti per ragioni stilistiche e contestuali il Ritratto di Prospero Alessandri (Cambridge, MA, Fogg Art Museum), il Ritratto di cavaliere (Madrid, Museo nacional del Prado) e il Ritratto di Giovan Pietro Maffeis (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Novella Barbolani di Montauto (2004), nel posticipare l’esecuzione di quest’ultima opera al 1565, sottolinea la capacità di Moroni di coniugare la fedeltà al modello – finanche nelle imperfezioni fisiche – con l’indagine introspettiva. Allo stesso periodo appartengono anche il Ritratto di Bartolomeo Bonghi del Metropolitan Museum di New York (Gregori, 1979B) e il Ritratto di Vittorio Michiel (Zurigo, Kunsthaus), podestà di Clusone, che datò al 1561 il dipinto sul retro apponendo anche un riferimento all’autore («me feci retrar… da uno dalbino»), sebbene tale indicazione non sia più leggibile (Tiraboschi, 2004B, p. 289).
Il dato che emerge con maggiore evidenza dalla cospicua documentazione posteriore al 1561 (Savy, 2004A) è quello di un deciso ritorno alla produzione di opere di soggetto sacro – insieme con il relativo diradarsi di quella ritrattistica – destinate a strutture ecclesiastiche provinciali. Fra i primi numeri del catalogo moroniano del settimo decennio si trovano la Madonna con il Bambino in trono e i ss. Giacomo e Giovanni per la parrocchiale di Vall’Alta, lo stendardo con S. Cristoforo per la parrocchiale di Pradalunga (opere pagate all’autore nel 1562) e la Trasfigurazione per la chiesa del Ss. Salvatore di Comun Nuovo. Sono del 1564 la commissione per la pala con la Madonna col Bambino in trono e i ss. Pietro, Paolo e Giovanni Evangelista per la chiesa di S. Pietro a Parre e l’esecuzione dell’Assunzione della Vergine per la parrocchiale di Palazzago; al 1565 può essere datato il Polittico di s. Bernardo per l’omonima chiesa di Roncola; nel 1566 Moroni firmò e datò la Deposizione per la chiesa degli Zoccolanti di Gandino (Bergamo, Accademia Carrara); databile al 1568 è l’Ultima Cena per la chiesa di S. Maria Assunta a Romano di Lombardia, commissionata nel 1565. Quanto alle motivazioni di un così drastico cambiamento di orizzonti culturali, con un indiscutibile processo di provincializzazione della committenza, la critica è orientata nel ritenere verosimile che l’attività di Moroni abbia risentito della caduta in disgrazia delle più influenti famiglie bergamasche – i Brembati e gli Albani – in seguito all’invasione della città di Bergamo, avvenuta nel luglio del 1561, da parte di armate della Repubblica di Venezia (Savy, 2004A).
Nella produzione ritrattistica del periodo, spesso identificato dalla critica come l’‘esilio’ in Albino, Moroni sembra rinunciare, con poche eccezioni, alla figura intera, optando per una visione di programmatica essenzialità e di scarno realismo adeguata anche alle minori disponibilità economiche dei committenti (Gregori, 1979A). Nel 1562 firmò e datò il Ritratto di Giovanni Bressani (Edimburgo, National Galleries of Scotland), ritratto commemorativo di cui si ignora il committente, mentre la data 1564 figura nel Ritratto di Pietro Secco Suardo (Firenze, Galleria degli Uffizi). Datati dal pittore al 1565 sono i ritratti del cosiddetto Gentiluomo di casa Mosca (Amsterdam, Rijksmuseum) e di Antonio Navagero (Milano, Pinacoteca di Brera). Gregori (1979A) pone tra il 1563 e il 1565, per ragioni stilistiche, anche il Ritratto di Bonifacio Agliardi e quello della moglie Angelica de’ Nicolinis (Chantilly, Musée Condé). Il 1567 è la data riportata nel Ritratto di giovane uomo (Bergamo, Accademia Carrara). Ancora ragioni stilistiche, insieme alla constatazione dell’estrazione sociale ‘borghese’ di molti dei soggetti ritratti nel periodo del ritorno ad Albino, fanno pensare che sia da collocare in quest’epoca anche il celeberrimo Sarto della National Gallery di Londra (Rossi, 1991). Non datati, ma inseribili in questa fase della carriera di Moroni sono anche i ritratti di Bartolomeo Colleoni oggi al Castello Sforzesco di Milano e quelli dei prelati Basilio Zanchi e del fratello Gian Grisostomo (Bergamo, Accademia Carrara), probabilmente posteriori al 1566 (Rossi, 1979A).
Dalla seconda metà degli anni Sessanta, in una condizione economica non floridissima, Moroni risulta tuttavia piuttosto attivo nella comunità albinese e spesso impegnato, affiancato al padre, per il Consorzio della Misericordia; dalla documentazione (Tiraboschi, 2004A) si evince che Moroni assunse responsabilità pubbliche di rango progressivamente crescente. Nel 1567 fu incaricato di collaborare al completamento dei lavori per la costruzione della nuova casa del Consorzio; nel 1569 risulta fra i quattro presidenti della stessa istituzione. Importanti cambiamenti subì sul piano familiare e su quello professionale a partire dal 1570. Il testamento del padre, dettato il 1° giugno 1570, prevedeva la divisione dei possedimenti familiari fra i due fratelli, Giovan Battista e Antonio: al primo venivano assegnati quelli in territorio bergamasco, al secondo quelli nel Bresciano. Le sorelle, Margherita e Anna, in quell’epoca, avevano già contratto matrimonio: la prima nel 1554 con Sebastiano di Giuliano Benti, Anna nel 1562 con Battista Tomadoni. Negli anni successivi alla morte del padre (avvenuta nel 1572) il pittore risulta piuttosto attivo nella gestione dell’economia familiare, con la riscossione di crediti pregressi e la cessione di piccole proprietà (Tiraboschi, 2004A). Nel 1571 fu eletto console del Comune di Albino; nel 1573 fu nominato ministro della Misericordia e nel 1577 pervenne alla presidenza dell’importante istituzione cittadina (ibid.).
Sul piano professionale, il 1570 vide il pittore impegnato nell’esecuzione di un affresco (perduto) sulla facciata della Madonna della Misericordia (Tassi, 1793) e nell’esecuzione – intorno a questa data – di tre importanti ritratti, quello di Gian Gerolamo Albani (Bergamo, collezione privata), quello di Ercole Tasso (Zanesville, OH, Art Institute) e quello, dubitativamente identificato da Rossi (1979a), con il fratello di questo, Enea (Milano, Castello Sforzesco), che sembrerebbero sancire la fine del periodo di isolamento in provincia e la ricostituzione di proficui rapporti con una committenza bergamasca di alto livello. L’Albani, rientrato nel 1568 a Bergamo dopo la condanna al confino a seguito dell’omicidio di Achille Brembati (delitto di cui fu considerata mandante la famiglia Albani), ottenne due anni dopo il titolo cardinalizio da Pio V: il ritratto di Moroni sembrerebbe dunque databile alla vigilia di tale nomina, visto che l’Albani non è ritratto nelle vesti di cardinale (Rossi, Per una biografia, 1979).
I repentini avvicendamenti nei rapporti di forza fra esponenti dell’aristocrazia filo-spagnola e sostenitori del partito legato alle istanze papali, possono essere ragionevolmente collegabili con una certa ripresa, in termini quantitativi, delle committenze legate al contesto bergamasco; a questi dati storici, e alle considerazioni che se ne possono dedurre, è necessario aggiungere che la visita apostolica dell’allora arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, nel 1575 ma anticipata da anni di numerose visite pastorali nel Bresciano e nel Bergamasco, fece consolidare l’apprezzamento per il pittore che nel corso della sua ormai trentennale carriera si era mostrato attento e ricettivo nei confronti delle esigenze di rinnovamento della Chiesa controriformata e della relativa precettistica. In questo senso, nella produzione sacra di Moroni posteriore al 1570 si registra una indubbia tendenza verso le nuove istanze di rigore etico e dottrinale (Spina, 1966), come nel Polittico di s. Giorgio a Fiorano al Serio, del 1575, e soprattutto nella pala del duomo di Bergamo raffigurante la Vergine in gloria e i ss. Girolamo e Caterina, firmata e datata 1576. Databili ai primi anni Settanta sono le pale di Seriate (Crocifissione e santi, nella parrocchiale del Redentore) e di Cenate d’Argon (Madonna con bambino e s. Martino, il povero e don Leone Cucchi, nella chiesa di S. Martino), mentre intorno al 1575 eseguì la pala con S. Gottardo in trono tra i ss. Lorenzo e Caterina d’Alessandria destinata alla parrocchiale di S. Pancrazio a Gorlago e il Crocifisso tra i ss. Francesco e Antonio da Padova per la parrocchiale di Albino. La pala di Gorlago, nella vibrante mobilità della stesura cromatica, evidenzia quantomeno la sintonia della pittura di Moroni con i processi pittorici in atto a Venezia nello stesso periodo (Savy, 2004B). Al 1576 sono datate l’Incoronazione di Maria per la chiesa della Trinità a Bergamo (oggi in S. Alessandro in Colonna) e la Madonna e i ss. Vittore e Fidenzio realizzata per la chiesa omonima a Gaverina (entrambe firmate); nel 1577 firmò e datò la Madonna con il Bambino e i ss. Andrea e Pietro per la parrocchiale di Fino del Monte.
Fra i ritratti eseguiti nell’ottavo decennio, possono essere situati intorno al 1570 quelli a figura intera di Pace Rivola e di Bernardo Spini, coniugi albinati (Bergamo, Accademia Carrara), mentre il Ritratto di Vincenzo Guerinoni, probabilmente un sacerdote albinate, è datato 1572 (Gregori, 1979A; Savy, 2004B). Nel 1575 firmò e datò il Ritratto di Jacopo Foscarini (Budapest, Szépmüvészeti Múzeum); l’anno successivo eseguì il Ritratto a figura intera di cavaliere (Boston, Isabella Stewart Gardner Museum) e il Ritratto di Paolo Vidoni Cedrelli (Bergamo, Accademia Carrara). Il connotato stilistico comune alla ritrattistica moroniana di quest’epoca è la tendenza verso un’austerità coloristica funzionale all’emergenza di alcune cromie e alla penetrazione psicologica (Barbolani di Montauto, 2004).
La conclusione della vicenda artistica del pittore dovette dunque avvenire in un momento di discreto successo professionale e di integrazione nei circuiti culturali dell’epoca; il 29 aprile 1577 ricevette l’incarico per l’esecuzione di un Giudizio universale destinato alla chiesa di S. Pancrazio a Gorlago (per la quale aveva già eseguito il citato S. Gottardo e un’Adorazione dei magi con s. Lucia, tra il 1572 e il 1573) fissando il termine della consegna entro 15 mesi. Il pittore ricevette pagamenti per tale commissione, che non portò mai a compimento, ben oltre la scadenza pattuita, fino al secondo trimestre del 1579 (Facchinetti, 1995); tale notizia appare dunque in contrasto con la storiografia precedente (Rossi, 1979A) che tradizionalmente fissava ai primi mesi del 1578 la morte del pittore. Un documento dell’Archivio parrocchiale di Gorlago anterioreal 5 giugno 1580 – ultimo riscontro archivistico allo stato attuale della ricerca – fa inoltre riferimento a un’azione economica della Confraternita del Ss. Sacramento di Gorlago «contra il depentore di albino» (Tiraboschi, 2004B, p. 298). Sulla base di tali evidenze la data di morte del pittore sarebbe quindi da situare, benché dubitativamente, intorno al 1580 o poco oltre in una località attualmente ignota.
Il completamento del Giudizio universale di Gorlago fu affidato, nel giugno 1580, al pittore Francesco Terzi (Id., Note biografiche, 2004).
Fonti e Bibl.: Per orientarsi nell’imponente mole di studi critici prodotta dalla storiografia su Moroni e sul contesto storico e culturale in cui operò, si impone l’individuazione di alcuni punti di riferimento all’interno del materiale bibliografico disponibile. Bibliografie aggiornate e regesti documentari testimonianti lo stato della ricerca fino alla relativa data di edizione, saggi biografici, sillogi di materiali archivistici e cataloghi ragionati di opere si trovano in G.B. M.1520-1578 (catal.), a cura di M. Gregori, Bergamo 1979 (F. Rossi, Per una biografia di G.B. M., ibid. [A], pp. 295-316; M. Gregori, Introduzione al M., ibid. [A], pp. 17-68); Id., G.B. M., in I Pittori bergamaschi dal XIII al XIX secolo. Il Cinquecento, III, 3, Bergamo 1979 [B], pp. 95-377 (F. Rossi, Regesti, ibid. [B], pp. 105-110); G.B. M. Lo sguardo sulla realtà 1560-1579 (catal.), a cura di S. Facchinetti, Cinisello Balsamo 2004 (B.M. Savy, Ritorno ad Albino: escursioni nella produzione degli anni Sessanta, ibid. [A], pp. 95-97; N. Barbolani di Montauto, Ritratti naturali, ibid., pp. 143-147; B.M. Savy, Gli ultimi anni: considerazioni intorno alla produzione estrema dell’artista, ibid. [B], pp. 177-179; G. Tiraboschi, G.B. M.: note biografiche, ibid. [A], pp. 282-287; Id., Regesto dei documenti, ibid. [B], pp. 288-298; Bibliografia generale, a cura di F. Anfuso, ibid., pp. 306-319). Per fonti antiche, monografie, cataloghi e saggi su aspetti particolari o su argomenti specifici: C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, overo Le vite degl’illustri pittori veneti e dello Stato, I, Venezia 1648, pp. 131 s.; M. Boschini, La carta del navegar pitoresco, Venezia 1660, p. 360; P. Orlandi, Abecedario pittorico, Venezia 1753, pp. 278 s.; F.M. Tassi, Vite de’ pittori, scultori e architetti bergamaschi, I, Bergamo 1793, pp. 162-172; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia..., II, Firenze 1834, p. 82; P. Locatelli, Illustri bergamaschi. Studi critico-biografici. Pittori, I, Bergamo 1867, pp. 362-391; C. von Lützow, G.B. M., in Die graphischen Künste, XIV (1891), pp. 21-26; E. Fornoni, G.B. M. e gli altri pittori di Albino,Bergamo 1902; G. Frizzoni, Moretto und M. Eine Charakterisierung auf Grund zweier massgebender Studienblätter, in Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst, VII (1912), pp. 28-38; A. Locatelli Milesi, La collezione dei conti Moroni in Bergamo, in Dedalo, III (1922-23), pp. 568-584; R. Longhi, Quesiti caravaggeschi:II, I precedenti, in Pinacotheca, 1929, nn. 5-6, pp. 270, 293, 295; D. Cugini, M. pittore, Bergamo 1939; W.E. Suida, Aggiunte all’opera di G.B. M., in Emporium, CIX (1949), pp. 51-57; R. Longhi - R. Cipriani - G. Testori, I pittori della realtà in Lombardia (catal.), Milano 1953, passim; R. Bassi Rathgeb, Uno stemmario sconosciuto del pittore G.B. M., in Venezia e l’Europa. Atti del XVIII Convegno internazionale di storia dell’arte, Venezia 1956, pp. 272 s.; E. 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