NARO, Giovan Battista
NARO, Giovan Battista. – Nacque a Roma il 10 aprile 1579 da Fabrizio e da Olimpia Lante.
Nel 1595 chiese di essere ammesso nell’Ordine di Malta e, accettata l’istanza, con atto notarile del 7 giugno 1595 rinunciò in favore dei fratelli Orazio, Gregorio e Bernardino a costituirsi in futuro erede dei beni paterni o materni. All’inizio del 1602, dovette allontanarsi da Roma, bandito per l’omicidio del nobile umbro Monaldo Clementini. Il suo primo impiego militare fu nelle Fiandre, dove, grazie all’esplicito appoggio dei più alti livelli della diplomazia pontificia, nel gennaio 1606 ebbe il comando di una compagnia di cavalleria.
Tra il 1606 e il 1607 era considerato dallo stato maggiore pontificio come un potenziale candidato per incarichi di comando. Invece, nel 1612, assunse il comando della galera San Lorenzo dell’Ordine di Malta, partecipando nel 1613 alla spedizione contro Focea (in Anatolia, sul Mar Egeo). Quindi, nel 1615 curò l’arruolamento di 400 fanti destinati alle guarnigioni di Malta. Entrò al servizio del pontefice nel 1616, quando fu nominato sergente maggiore generale al posto di Federico Fabio Ghislieri: lo stipendio assegnatogli era di 1200 scudi all’anno, più i 200 che avrebbe ricevuto a ogni viaggio d’ispezione effettuato. Fra l’ottobre 1616 e il marzo 1617, mosse dal Patrimonio di s. Pietro verso l’Umbria e le Marche per rassegnare le compagnie delle milizie (ordinamenti territoriali non professionali). Quindi, prese dimora ad Ancona: sua principale preoccupazione era la custodia del litorale adriatico dalle incursioni dei pirati barbareschi o dell’armata ottomana. Denunciò l’insufficiente sicurezza di Loreto e della stessa Ancona, cui non poté provvedere a causa dei contrasti con il locale governo municipale.
Durante il pontificato di Gregorio XV (1621-23), mantenne la sua carica, anche se lo stipendio gli fu dimezzato. Con la successione al soglio di Urbano VIII, invece, grazie ai rapporti consolidati tra le famiglie Barberini e Naro, la sua carriera ebbe una netta accelerazione. Nel dicembre 1623, fu nominato ‘mastro di campo generale’ nella Marca, con il compito di disciplinare le milizie; poi, tra l’aprile e il giugno 1624, concluso l’accordo per la futura devoluzione alla S. Sede del Ducato di Urbino, vigilò sui confini con il Granducato di Toscana. Infine, nel gennaio 1625, fu nominato sergente maggiore di uno dei tre ‘terzi’ arruolati da Urbano VIII nel momento in cui, agli attriti tra Francia e Spagna per il controllo della Valtellina (che un contingente pontificio di pace presidiava dal 1623), si aggiunsero i disegni contro Genova della lega conclusa tra Francia, Savoia e Venezia.
All’inizio del 1626, ebbe il comando di un ‘terzo’ di fanteria inquadrato nel corpo di spedizione guidato da Torquato Conti e pronto a riconquistare i forti della Valtellina che i francesi avevano sottratto alle truppe pontificie nei mesi precedenti. In marzo, prese quartiere a Ferrara, assumendo anche l’incarico di luogotenente di Conti. Mosse quindi con l’esercito e in agosto giunse in Valtellina; non affrontò i pericoli di una guerra: piuttosto, secondo quanto disposto dalla pace di Monçon tra Francia e Spagna (del 5 marzo 1626), le truppe pontificie provvidero alla demolizione dei forti contesi, portata a termine entro il febbraio 1627.
Il 15 marzo 1627, un breve pontificio nominò Naro luogotenente generale delle galere pontificie (carica che gli era stata assegnata sin dal febbraio 1624). I movimenti della piccola flotta posta sotto il suo comando, tra il 1627 e il 1634, furono limitati per lo più al trasporto di truppe e alla scorta di importanti personaggi, come i cardinali Bernardino Spada e Maurizio di Savoia nel 1627, il nunzio in Spagna Cesare Monti nel 1628, i cardinali Giandomenico Spinola e Stefano Durazzo nel 1634. In queste occasioni (come pure durante le crociere che si susseguirono ogni estate), Naro non tralasciava di effettuare controlli sulle imbarcazioni in navigazione: catturò così due brigantini nel 1627-28 e due tartane nel 1633-34. Furono i soli risultati di rilievo in anni di relativa tranquillità.
Il 22 giugno 1635 Naro (che dal 1631 rivestiva la dignità di Priore d’Inghilterra) fu eletto generale delle galere dell’Ordine di Malta. Arrivato nell’isola alla fine di ottobre, fu investito dell’incarico il 13 novembre 1635. Nella primavera 1636, manifestò l’intenzione di scorrere il Mediterraneo orientale: tuttavia, la penuria di grano a Malta lo obbligò a concentrarsi sulle necessità dell’approvvigionamento cerealicolo. Salpò quindi verso Gallipoli (l’odierna Gelibolu, in Turchia) con l’obiettivo di intercettare i vascelli che trasportavano frumento. Nell’estate 1636 ebbe altresì modo di impossessarsi di diverse imbarcazioni turche, catturando più di cento schiavi.
Il 6 dicembre 1636 fu nominato ambasciatore straordinario presso la Santa Sede, con il compito di acquistare riserve di grano a Roma e di cercare di contenere i tentativi del cardinale Giannettino Doria, arcivescovo di Palermo, «di conoscere come ordinario le cause dei cavalieri» (lettera di Naro al card. Francesco Barberini, in Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 6697, c. 16r). Fece ritorno a Malta nella primavera del 1637: all’inizio di maggio, prese il mare con la flotta maltese tentando un’incursione contro Valona, fortezza ottomana sul versante orientale dell’Adriatico. Sfumata questa possibilità, condusse le galere maltesi contro Scala Nuova, in Anatolia (l’odierna Kuşadası). Di nuovo, l’impresa fallì e Naro rientrò a Malta verso il 10 novembre. Fu sostituito nella carica di generale delle galere maltesi da Jacques du Liège Charrault, bailo della Morea. Poteva però contare sempre sull’appoggio dei Barberini, dei quali era sostanzialmente l’agente di fiducia a Malta. Così, il 4 agosto 1638, fu nominato ammiraglio della flotta dell’Ordine e alla fine dello stesso anno sembrò addirittura possibile una sua elezione a Gran Maestro: ma il delegato apostolico a Malta Fabio Chigi chiarì presto che «per il Sig.r Nari, questa volta, non vi è giuoco, et egli ben lo conosce» (cit. in Borg, p. 454).
La carriera di Naro ebbe nuovi sviluppi nello Stato della Chiesa, dopo l’inizio della guerra di Castro (che opponeva i Barberini a una lega tra Venezia, il Granducato di Toscana e i duchi di Parma e di Modena). Nel febbraio 1643, fu nominato ‘mastro di campo generale‘ del Patrimonio di s. Pietro. Nella successiva primavera, temendosi uno sbarco di truppe del duca di Parma sulle coste tirreniche, curò la difesa del litorale; in giugno, poi, concentrò le sue truppe verso i confini con il Granducato. Nel settembre 1643 entrò con un corpo di 1200 uomini in territorio toscano, con l’obiettivo di soccorrere Citerna e di verificare la possibilità di un colpo di mano contro Borgo San Sepolcro. Riuscì nel primo intento, ma limitò le azioni offensive alla presa e alla demolizione del castrum di Celle, presso Città di Castello (16 settembre 1643). Dopo essere rimasto a presidio del territorio di Narni, all’inizio di ottobre rientrò a Viterbo e tornò ai suoi compiti di custodia del confine con il Granducato e di addestramento e coordinamento delle milizie.
All’inizio del 1644, dopo una sosta a Roma per incontrare il cardinale Francesco Barberini, attese all’ispezione delle galere pontificie a Civitavecchia e alla rassegna dei corpi militari imbarcati. Difese il confine settentrionale del Patrimonio di s. Pietro fino alla fine di marzo: pochi giorni prima della firma del trattato di pace che poneva fine alla guerra di Castro (31 marzo 1644), ancora riteneva probabile una scorreria delle truppe toscane fino a Orvieto. Terminate le ostilità, fu occupato nelle operazioni necessarie per la restituzione dei bestiami depredati dall’uno e dall’altro contendente. In aprile fu nominato mastro di campo generale di Ferrara, cioè ufficiale superiore dei soldati del presidio, e provvide alla rassegna e al pagamento dei 2433 fanti e 281 cavalieri in quel momento in servizio nello Stato ferrarese.
Restò in servizio anche dopo la morte di Urbano VIII (29 luglio 1644), ma morì prima della fine dello stesso anno, probabilmente a Bologna o a Ferrara.
Fu seppellito nella Chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma nella cappella di famiglia, dove fu poi collocato un suo busto marmoreo opera di Clemente Giannozzi. Ebbe una figlia naturale, Olimpia, nata dalla gentildonna anconetana Elisabetta, moglie di Giovan Antonio Nappi.
Fonti e Bibl.: Bibl. apost. Vaticana, Barb. lat. 6697, 9354-9355, 9387, 9768-9775 (lettere del periodo 1623-1644); Urb. lat. 1084, cc. 146r, 164r, 401r-v; 1085, cc. 109v, 115v; 1093, cc. 743r, 932r; 1094, cc. 94r, 124v; Ottob. lat. 3094, p. 22; Arch. segreto Vaticano, Segr. Stato, Principi, 154, cc. 10r, 19r, 15v-16r, 45r; Fondo Borghese, II, 108, c. 113r; Arch. Patrizi-Montoro, lettera C, Arm. I, t. 29, cc. 710r-711r; Arch. di Stato di Roma, Archivio Giustiniani [Arm. Unico Savelli], b. 100, cc. n.n.; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, I, Roma 1869, p. 497, n. 1918; B. Dal Pozzo, Historia della sacra Religione militare ... detta di Malta, I, Verona 1703, pp. 573, 575, 802, 835; II, Venezia 1715, pp. 16 s.; V. Borg, Fabio Chigi apostolic delegate in Malta (1634-1639), Città del Vaticano 1967, ad ind.; W. Reinhard, Papstfinanz und Nepotismus unter Paul V. (1605-1621), II, Stuttgart 1974, pp. 329 s.; R. Chiovelli, Ingegneri ed opere militari nella prima guerra di Castro, in Bulletin de l’Institut historique belge de Rome, LXIII (1993), p. 177; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen (1621-1623), a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, Roma 2003, ad ind.; Il ruolo geostrategico svolto nel Mediterraneo dalla marina del Sovrano militare Ordine gerosolimitano di Rodi e di Malta, a cura di A. Colleoni, Trieste 2006, p. 82; M. Trebeljahr, Karrieren unter dem achtspitzigen Kreuz : die mikropolitischen Beziehungen des Papsthofs Pauls V. zum Johanniter-Orden auf Malta, 1605 - 1621, Butzbach 2008, pp. 132-134, 153, 287; F. Nicolai, Mecenati a confronto: committenza, collezionismo e mercato dell’arte nella Roma del primo Seicento, Roma 2009, pp. 93-109.