PALATINO, Giovan Battista
PALATINO, Giovan Battista. – Nacque a Rossano, in Calabria, in data ignota, ma da collocare dopo il 1510, poiché egli si riferisce al suo primo libro, edito nel 1540, come pubblicato «nell'età giovanile», dunque presumibilmente prima dei trent'anni. Non si conosce il nome dei genitori. Nei suoi scritti accanto alla forma volgare del nome adoperò spesso quelle latine: «Ioannes Baptista Palatinus» o «de Palatio» o «de Palatinis».
Non si hanno notizie sulla formazione né attraverso quali esperienze sia approdato a Roma a una data piuttosto precoce, se è lui, come è molto probabile, il «Ioannes Baptista scriptor» al quale il 27 marzo 1538 fu concessa la cittadinanza dai Conservatori della Camera Urbis. Il conferimento della cittadinanza implicava, a norma degli statuti, la permanenza nell’Urbe da almeno tre anni, il possesso di una casa in città e di un predio rustico nel contado.
Nel manoscritto Oxford, Bodleyan Library, Canoniciano 196, autografo, Palatino vergò a c. 84r la dicitura «Et ego Palatinus de Palatinis Civis Romanus Publicus et Ap[osto]lica auct[oritate] Notarius» con la data 1538 (Wardrop, 1952, p. 33), ma non risulta altrimenti abbia esercitato la professione. La dicitura dovrebbe attestare per lo meno un pregresso di studi giuridici, che però allo stato delle ricerche non è neppure esso documentato. La cittadinanza acquisita è esibita da Palatino nei frontespizi delle opere a stampa e a essa allude il sonetto proemiale di Tommaso Spica Sia con tua pace homai, gentil Rossano nella prima edizione del Libro nuovo d'imparare a scrivere tutte sorte lettere (Roma 1540).
La cittadinanza dovette coronare il felice inserimento di Palatino negli ambienti letterari romani. Fu membro dell'Accademia dello Sdegno, già costituita e operante almeno nel 1540, se egli ne dà notizia nella dedica al cardinale Robert de Lenoncourt del Libro nuovo, datata 12 agosto di quell'anno. Della Accademia erano «protettori» Francesco Maria Molza e Claudio Tolomei, ma la loro doveva essere piuttosto una preminenza riconosciuta dagli altri membri in virtù del prestigio di cui godevano. Oltre a letterati già da tempo attivi sulla scena romana, come Tolomei, Molza, Trifone Benci, Giacomo Cenci, Giulio Poggio, nello Sdegno entrarono nuovi personaggi, provenienti da altri regioni della penisola e che iniziavano ora la loro attività, come Dionigi Atanagi, Girolamo Ruscelli, Tommaso Spica e, appunto, Palatino. Secondo quanto riferisce Dionigi Atanagi proprio a Ruscelli, Spica e a Palatino si doveva addirittura l’iniziativa del nuovo consesso («fu autore, et fondatore l’unico Signor Girolamo Ruscelli insieme con nobilissimi spiriti M. Tomasso Spica, et M. Gio. Battista Palatino», De le rime, 1565, pp. Ll2v-3r) e «protettore» (lo stesso termine usato da Palatino, ma qui sarà da intendere come patrocinatore) il cardinale Alessandro Farnese. Il nome di Palatino ricorre, con quello di altri Sdegnati, in una lettera scritte ad Atanagi da Trifone Benci il 19 giugno 1541 da Ratisbona, dove si era recato nel suo ufficio di segretario di Ludovico Beccadelli, nel seguito del cardinale Gasparo Contarini, e in tre lettere rispettivamente di Spica ad Atanagi, di Atanagi a Spica e di un tale Bianchetto a Spica del giugno-agosto 1549.
Lo Sdegno era ancora in vita nel 1543 (Tolomei, 1547, cc. 66v, 184r-v), ma non abbiamo attestazioni della presenza di Palatino nel sodalizio, sulla cui attività, del resto, permangono molto incertezze. Probabilmente erede di una precedente Accademia Vitruviana di cui era stato animatore Tolomei e che aveva intrapreso lo studio del De architectura riunendo dotti in varie discipline, necessarie all'interpretazione del complesso testo dell'autore latino, lo Sdegno ne accolse buona parte degli accoliti e ne proseguì il programma antiquario, senza però che siano per noi chiari i contenuti e le modalità.
Palatino è autore della raccolta di modelli calligrafici più nota e stampata di ogni tempo. La prima edizione del Libro nuovo d'imparare a scrivere tutte sorte lettere antiche et moderne di tutte nationi, con nuove regole misure et esempi, con un breve et utile trattato de le cifere apparve a Roma, editore Benedetto Giunti, tipografo Francesco Cartolari, nel 1540. Due ristampe seguirono nel 1543 e 1544 per la vedova di Cartolari, Girolama. Nel 1545 il Libro uscì per Antonio Blado, con una nuova dedica al cardinale Rodolfo Pio, «riveduto nuovamente, et corretto dal proprio autore. Con la giunta di quindici tavole bellissime». Le stampe bladiane del 1547, 1548, 1550 sono probabilmente solo nuove emissioni; per l'edizione del 1553, sempre per Blado, le forme furono invece ricomposte. Seguirono altre due edizioni romane nel 1556 (A.M. Guidotto e D. Viotto) e nel 1561 (V. Dorico a istanza di G. Della Gatta). Una terza edizione rivista dall'autore risale al 1566 (Roma, Er. V. e L. Dorico), con il titolo mutato in Compendio del gran volume de l'arte del bene et leggiadramente scrivere tutte le sorti di lettere et caratteri, con le lor regole misure, et essempi, dall'autore «cavato et ristretto, con ogni possibile brevità». Anche a questa edizione arrise successo editoriale: fu riproposta nel 1578 (Venezia, Er. F. Rampazetto) e 1588 (ibid., G.A. Rampazetto).
L'opera di Palatino veniva dopo i manuali di scrittura di Ludovico degli Arrighi e di Giovanni Antonio Tagliente, ma si distingueva per la qualità delle incisioni e per la quantità di lettere rappresentati, testimonianza di una attenzione universale per la scrittura, rivolta a tutti i tipi di lettere e interessata agli sviluppi grafici di cui essa è suscettibile, anche a prescindere dall'impiego pratico. Alle scritture documentate e storicamente in uso Palatino accosta varianti personali e interpretazioni creative, talora di grande effetto, che mostrano la disposizione artistica con cui egli affronta la materia. Il risultato non è un manuale di scrittura, sebbene siano fornite informazioni tecniche sulla strumentazione necessaria, sulle caratteristiche delle diverse scritture e sul modo di eseguire le lettere, bensì una galleria delle possibili esecuzioni grafiche dell'alfabeto latino e non solo. La selezione comprende la lettera francese, spagnola, longobarda, longobarda "corrente", fiamminga, tedesca, francese, napoletana. Inoltre sono presenti mostre di alfabeti non latini: greco, due differenti ebraici, due caldei, arabo, egiziano, indiano, siriano, saraceno, illirico. Alcune di queste lettere non hanno fondamento storico, così le mercantesche, presentate in diverse fogge (milanese, romana, veneziana, fiorentina, senese, genovese, bergamasca, antica), variazioni dello stesso modello. Stravaganze sono la lettera mancina (cioè la scrittura destrorsa con lettere rovesciate, su fondo nero), la lettera "trattizata", la lettera "rognosa", "tagliata", queste ultime con particolarismi grafici che le rendono sui generis. Una curiosità è anche un sonetto figurato, cioè un rebus.
Nel Libro nuovo è presente anche un Breve et utile discorso delle cifere dedicato alle crittografie adoperate nella corrispondenza diplomatica, per il quale Palatino dichiara il suo debito verso un nutrito numero di esperti in materia, che dovrebbe testimoniare una certa frequentazione del personale di cancellerie della penisola. Sono nominati un certo Soro e Giovambattista Ludovici, segretari della Signoria di Venezia, Andrea Vincenzo Elisio, Antonio D'Elio, segretario del cardinale Alessandro Farnese, Pirro Musefilo e Bernardo Giusti, segretari del duca di Firenze, Trifone Benci segretario della Cancelleria pontificia, Dionigi Atanagi e infine Girolamo Ruscelli, considerato all'epoca particolare competente in questo campo.
L'edizione del 1545 presenta un'aggiunta di «quindici tavole bellissime» inserite in modo da distinguerle dalle altre. Contengono due alfabeti in cifre e due nuovi esempi di cancelleresca, senza introdurre però novità sostanziali. L'edizione del 1566 muta il titolo in Compendio del gran volume de l'arte del bene et leggiadramente scrivere tutte le sorti di lettere et caratteri, con le lor regole misure, et essempi e sostituisce le dediche a porporati delle due precedenti con una premessa al lettore. Il contenuto è trasformato. Tutte le tavole della cancelleresca furono incise ex novo in uno stile "a la testeggiata", cioè secondo la reinterpretazione così chiamata della cancelleresca proposta dal milanese Giovanni Francesco Cresci, nel 1555 scrittore della Biblioteca apostolica Vaticana, nell'Essemplare di più sorti lettere (Roma 1560), e presentate da Palatino sotto la definizione comprensiva di «Cancelleresca Romana nella forma ch'è detta corrente». In questa terza edizione Palatino tenne presente il modello di Cresci, ma senza aderirvi acriticamente: le tavole si ispirano a quelle dell'Essemplare, ma non sono un'applicazione di quel modello di scritture.
Cresci replicò nella prefazione del Perfetto scrittore (Roma 1570). La polemica continuò nel postumo L'idea con le circostanze naturali che a quella si ricercano, per voler legittimamente posseder l'arte maggiore e minore dello scrivere (Milano 1622), in parte dedicato alla confutazione metodica di Palatino e in special modo del Compendio, di cui vengono criticati le eccentricità nell'esecuzione di alcune lettere, che secondo Cresci non hanno a che fare con l'arte della scrittura e il suo impiego pratico.
Nel 1544 apparve a Roma (V. e L. Dorico) la seconda edizione della Urbis Romae topographia di Bartolomeo Marliani, in quattro fogli, uno dei quali, con funzione di contenitore degli altri, rappresenta il perimetro della città e reca la sottoscrizione «IO. BAP. PALATINVS HAEC SCRIPSIT», per cui non c'è ragione di dubitare che anche gli altri tre siano di sua fattura.
Nel 1562-63 Palatino fu chiamato da Pio IV a eseguire l'iscrizione destinata alla porta del Popolo, la cui costruzione era iniziata nel 1562 sotto la direzione dell'architetto fiorentino Nanni di Baccio Bigi e fu terminata non oltre il 1565. Palatino si occupò, oltre che del disegno, dell'incisione e della doratura insieme con un maestro Giovan Battista.
Sono noti due manoscritti autografi di Palatino: il Canoniciano 196 della Bodleyan Library di Oxford, scoperto nel 1947, e il ms. Hs. 5280 della Kunstbibliothek Berlin-Dahlem di Berlino (già Berlino, Kunstgewerbemuseum, Mss., 5280, transitato poi per l'Inghilterra a seguito degli eventi bellici, cfr. Wardrop, 1952, p. 4, e per la Universitätsbibliothek di Tubinga, cfr. Nas, 1955, p. 139). Il Canoniciano, probabilmente composto da parti in origine indipendenti, presenta una serie di capitali romane acquarellate, basate su nomi romani, ed esemplari calligrafici che ripetono, ma non replicandoli, quelli del Nuovo libro: scritture notarili francesi e italiane, una serie di cancelleresche, scritture orientali, cifre e una "lettera antica tonda" non illustrata altrove da Palatino. Il berlinese è un codice di grosso formato di 213 carte (di cui 20 bianche), fitto di esempi di scrittura. Molti sono sottoscritti, ventisei recano date comprese tra il 1543 e il 1575, non disposte in ordine cronologico. Alcune tavole del codice sono in Wardrop (1952).
La data e il luogo di morte di Palatino non sono noti. Come termine post quem vale il 1575 presente nel ms. berlinese. Wardrop (1952, p. 36), sulla base di una rubrica «PALATINVS FACIEBAT NEAPOLI» in questo codice, congettura che egli abbia trascorso gli ultimi anni in questa città, ma senza esibire prove.
Gli unici testi letterari noti di Palatino sono il sonetto Mentre altri statue, altri archi al tempo avaro, nel Tempio alla divina signora donna Giovanna d'Aragona (Venezia, P. Pietrasanta, 1555, c. 52r), la silloge plurilingue curata da Ruscelli, e un altro di dedica a Enrico II di Valois nel codice di Berlino (la riprod. in Wardrop, 1952, tav. fuori testo).
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico del Comune, Registro di patenti di cittadini romani creati, Credenzone VI, t. 49, c. 201v; De le lettere di M. Claudio Tolomei lib. sette, Venezia 1547, cc. 66v, 184r-v; De le rime di diversi nobili poeti toscani, raccolte da M. Dionigi Atanagi, I, Venezia 1565, cc. Ll2v-3r; De le lettere facete, et piacevoli di diversi grandi huomini, et chiari ingegni, raccolte per M. Dionigi Atanagi, I, Venezia 1561, pp. 463, 465; II, ibid. 1581, pp. 36, 93, 175; H. Sotzmann, Ueber die ältesten maist xylographischen Schreibbücher der Italiener aus der ersten Hälfte des XVI. Jahrhunderts und Hugo da Carpi’s Antheil daran, in Archiv für die zeichnenden Künste, II (1856) pp. 300-303; L. Baer, P., G., in Allgemeine Lexicon der Bildenden Kuenstler von der Antike bis zur Gegenwart, XXVI, Leipzig 1932, p. 156; F. Barberi, Annali della tipografia romana di Baldassarre jr e Girolama Cartolari (1540-1559), in La Bibliofilia, LIII, 1951, pp. 73 s.; J. Wardrop, Civis Romanus sum. G.B. P. and his Circle, in Signature, XIV (1952), pp. 3-39 (recens. di R. Nas, in The Library, s. 5, VII [1952], pp. 138 s.); E. Casamassima, Trattati di scrittura del Cinquecento italiano, Milano 1966, pp. 50-53, 67-71, tavv. XXXV-XLIV; P.M. Arnold, P. and Bibliander of Ciphers, in Cryptologia, V (1981), 3, pp. 149-154; A. Vincens Castañer, Propuesta para una lectura del “Soneto figurato” de G.B. P., in Annals. Serie humanitats, n. 1 (1985), pp. 157-171; Alfabeto delle maiuscole antiche romane di Luca Orfei, introd. di A. Petrucci, Milano 1986, p. IX; L. Bolzoni, Riuso e riscrittura di immagini: dal P. al Della Porta, dal Doni a Federico Zuccari, al Toscanella, in Scritture di scritture. Testi, generi, modelli del Rinascimento, a cura di G. Mazzacurati - M. Plaisance, Roma 1987, pp. 171-179, 182, 187; B. Agosti, Su G.B. P., un calligrafo calabrese del Cinquecento tra artisti e letterati, in Interventi sulla «questione meridionale». Saggi di storia dell'arte, a cura di F. Abbate, Roma 2005, pp. 111-115, figg. 76-78; P. Procaccioli, "Costui chi è si sia". Appunti per la biografia, il profilo professionale, la fortuna di Girolamo Ruscelli, in Girolamo Ruscelli. Dall'accademia, alla corte alla tipografia, Atti del Convegno internazionale di studi (Viterbo, 6-8 ottobre 2011), a cura di P. Marini - P. Procaccioli, I, Manziana 2012, pp. 19 s., 42 s.; A. Ciaralli, Ruscelli maestro di cifre, ibid., II, pp. 725 e n., 729, 741 e n., 744 e n.